tradimenti
Francesca, c'è sempre una prima volta -3-
di RandagiVlad
20.03.2024 |
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"E sapendo che le stavo guardando il culo..."
La storia con Giulia andava avanti, senza essere una vera storia: io ero il suo amante e, in qualche modo, il suo “master”, dato che, come lei diceva “...stare sotto non è il tuo ruolo…”, ma non c’erano legami sentimentali che trasfigurassero la nostra storia di sesso in una storia d’amore. Non lo voleva lei, non lo volevo io. Ero più giovane di lei, avevo l’energia dei miei anni, la dolcezza dei miei sogni e mi mancava l’arroganza di chi è troppo giovane, o troppo vecchio.Si notava,invece -a detta sua- la fermezza delle mie consapevolezze e delle mie preferenze, nonché l’attenzione per un sesso che non fosse appagante solo per me, anzi … mi ha sempre dato più appagamento essere essere la causa del piacere delle mie partner, ed il mio “dominarle” non era mai (né ora lo è) corrisposto ad un comportamento da padre-padrone, quanto più a quello di un maieuta, colui che tira fuori quel che hai già dentro.
Detto ciò, quel giorno, venerdì, ero al solito bar, all’angolo tra via Farini e via Stelvio; leggevo non so cosa, seduto da solo ad un tavolino, dato che né Giulia né Enzo si eran visti. Alzando al testa al rumore della porta che si apriva, vidi Francesca: solita chioma riccia corvina, solita statura ridotta su una silhouette invidiabile, un cappotto/piumino nero che l’avvolgeva coprendola fin sotto al ginocchio e un paio di stivali con un discreto tacco quadrato calzati ai piedi.
Restai a guardarla senza farle cenno alcuno, finché non mi vide e, con un sorriso che le si allargava sul viso, si diresse verso il mio tavolo.
Aveva un che di leggero, di solare, di euforico, come se … ma non volli andare oltre nei miei pensieri -forse per una sorta di gelosia, o forse per altro- dato che non avevo motivo di essere geloso, mentre lei aveva un fidanzato ed era libera di scopare con chi voleva, come aveva già fatto con me del resto.
≪Ciao Angelo!≫ disse arrivandomi di fronte.
Mentre si sedeva di fronte a me, dopo aver tolto il cappotto che la copriva, potei apprezzare sotto ad un pullover sbottonato sul davanti, la sua camicia azzurra, anch’essa sbottonata quel tanto ché io notassi il suo seno velato dall’intimo nero e, poi, spostando la sedia dal tavolo e piegando le gambe, l’occhio mi cadde su una gonna abbastanza corta, pur non essendo una mini.
≪Come stai? scusami se sono sparita≫.
Fece un cenno al cameriere chiedendo una bottiglia di acqua naturale ed un bicchiere, poi continuò ≪sono successe mille cose: sono tornata dai miei per qualche giorno, perché mia sorella è stata poco bene, ed è per questo che non ci sono stata. E poi≫, fece una piccola pausa ≪Ho sposato Paolo (quello che fino a pochi giorni prima era il suo fidanzato) ed è per questo che non mi sono fatta sentire: dovevo mettere un po’ in ordine le idee.≫
≪Fra’ non mi devi…≫, cercai di rispondere; ≪No, Angelo, zitto … scusa≫ mi interruppe lei ≪non te ne ho mai parlato, credevo non potessi capire, sebbene tu sia di vedute ben ampie. È una storia complicata, diciamo, ma tu hai l’uccello troppo vagabondo per iniziare una storia, anche se non voglio rinunciare a te come amico e… il tuo uccello mi piace un sacco…. ≫.
Arrivò la sua acqua; stappò la bottiglia, versò un bicchiere e fece un sorso.
≪E poi abbiamo una cosa lasciata a metà≫.
Restai in silenzio ad osservarla, mentre mi diceva l’ultima frase abbassando leggermente lo sguardo, come se si vergognasse dei suoi desideri, arrossendo un po’ -cosa che, ai miei occhi, la rese ancora più carina e affascinante-
Sì, c’era qualcosa da portare a termine: esaudire il suo desiderio di essere legata. Ed il mio di farle quel bellissimo culo che, di certo, non avevo dimenticato.
≪Riattacco a lavorare lunedì≫ mi disse Francesca ≪e con tutto quel che è successo, non ho voglia di stare da sola. Vieni da me questa sera? Così ti racconto≫.
Sebbene non mi fosse nuova la sua delicata intraprendenza, dato quel che mi aveva raccontato, restai stupito di quell’invito, ma di certo mi fece piacere e accettai.
≪Sì, vengo volentieri a te… pizza?≫ chiesi.
≪Va bene una pizza≫.
≪Porto il vino o la birra?≫.
≪Quello che vuoi, basta che sia fresco, buono e frizzante≫. La sua risposta arrivò assieme ad un suo sorriso, come quando vuoi tanto che non arrivi una delusione e questa non arriva. ≪Ora vado a sistemare le mie cose≫ mi disse alzandosi e rivestendosi in fretta. ≪Ti aspetto questa sera per le otto≫.
Se ne andò dopo essersi chinata per darmi un bacio. Su una guancia. Dopo il quale stette per qualche secondo ad un centimetro dal mio viso, guardandomi fisso negli occhi.
Non so dire esattamente cosa fu, ma mi venne il cazzo duro. Forse fu la non implicita allusione a quello che avremmo fatto quella sera e quella notte; forse il modo in cui mi guardò dopo aver posato le labbra sulla mia guancia, in modo casto, ma...non casto; forse, ancora, perché mi aveva detto che il mio uccello le piaceva… tant’è: ero eccitato. Lo ero al punto che disdissi gli appuntamenti del pomeriggio e andai a casa a rilassarmi,e prepararmi, sia fisicamente, sia mentalmente all’incontro che sarebbe avvenuto di lì a poche ore.
Pensando a molte cose, ricordai che la mansarda in cui viveva Francesca aveva delle belle travi a vista! Avrei usato quelle per legarla, o meglio: la avrei legata in sospensione e, sì, avrei fatto l’amore con lei anche così.
Deciso. Non mi restava che preparare il necessario: ammorbidire le corde di juta, assicurarmi che stringessero senza rovinare quella pelle che bramavo di avere sotto la mia, che le corde fossero anche profumate di sandalo.
Poco prima di uscire di casa, dopo una buona doccia ed una toilette in cui avevo provveduto a rasarmi … dove sarebbe stato necessario, misi nella borsa che conteneva le corde anche un frustino.
Fuori di casa fumai una sigaretta prima di salire in macchina, quindi, una volta finito, mi avviai in zona Parco Nord, verso casa di Francesca.
Come promesso portai con me, oltre a tutto il resto, una bottiglia di un ottimo prosecco, fresco, e salii le scale senza affanno, ma eccitato.
Francesca mi aprì la porta come non me la aspettavo: aveva indosso una maglia tipo basket, a canottiera, di colore grigio chiaro e lunga appena sotto le natiche; una spallina scivolava dalla sua spalla fino a cadere a metà braccio, scoprendole in parte il petto e rivelando che non indossava reggiseno, cosa che notai anche dai capezzoli eretti che premevano contro la stoffa “chissà se non indossa nulla nemmeno sotto” mi chiesi, rispondendomi che lo avrei scoperto e decidendo che avrei preferito che non fosse del tutto nuda. Ai piedi indossava un paio di calzini corti, bianchi e con un voile alla sommità, attorno alla caviglia. I capelli raccolti dietro la testa, spettinati ad arte ed un gloss sulle labbra che le rendevano lucenti e “bagnate”.
≪Ben Arrivato≫ mi disse spostandosi per lasciarmi entrare.
Posai la borsa a terra, vicino al futon che arredava la stanza e seguii con lo sguardo i suoi movimenti mentre chiudeva la porta dandomi le spalle. E sapendo che le stavo guardando il culo.
Tornò verso di me, che avevo ancora la bottiglia in mano, mi sfiorò col corpo e mi prese la mano libera per accompagnarmi alla cucina ≪Questa dobbiamo metterla in fresco?≫ mi chiese appoggiandosi al piano di appoggio.
Mi avvicinai a lei, quasi schiacciandola e la baciai, guardandola negli occhi, che tenne aperti per la sorpresa. ≪Sì≫, le risposi, ≪Tanto non abbiamo fretta, abbiamo tutta la notte≫.
La portai alla finestra che dava sul parco. Sotto di noi solo la strada, qualche locale illuminato coi suoi avventori all’esterno ed un viavai di automobili e scooter. Mentre Francesca si appoggiava alla balaustra, io la abbracciai da dietro, entrando con le mani sotto la canotta e risalendo fino al suo seno, fino a prenderlo nelle mani, fino a sentire i capezzoli già duri contro il palmo.
Francesca sospirò, sospirò più forte quando le strinsi i capezzoli tra le dita e le dissi ≪Goditi la tua libertà, perché tra poco sarai mia prigioniera≫.
≪Non vedo l’ora≫, mi rispose lei piegando la testa indietro e scoprendo il collo, così che io potessi morderla senza farle male.
Dopo quel bacio ferino, Francesca si voltò cercando con la mani il mio sesso.
≪No≫ le dissi ≪Non ancora. Questa notte dovrai avere pazienza≫.
La laciai girata verso l’esterno, ancora affacciata alla finestra, premetti il mio busto ed il bacino contro di lei che, ne sono certo, sentì il turgore del mio sesso ceh spingeva nel solco delle natiche, per quanto ancora non fosse nuda.
Con le mani, dal seno scesi lungo il suo ventre fino ad incontrare l’elastico delle sue mutandine (ecco, avevo scoperto che era solo senza reggiseno, ma con indosso gli slip) e vi entrai con una mano.
Trovai una piacevole -per me- sorpresa: Francesca non era del tuto rasata. Non sapevo se fosse sua abitudine, ma ero sicuro di averle detto, nelle nostre chiacchierate licenziose, che la fica mi piace pelosa, non una foresta, sia chiaro!, ma una striscia di morbido pelo curato l’ho sempre apprezzata, preferita.
Scivolando sul quella seta che copriva il suo monte di Venere, incontrai un clitoride già eretto e scivolai con le dita tra le grandi labbra della sua fica, che trovai già ben umida. Mi fermai qualche istante a giocare col suo “grilletto”, fino a che sentii il suo respiro accelerare, per poi affondare un dito nelle sue carni tenere e calde e… zuppe.
≪Raccontami del tuo matrimonio≫ le chiesi ≪e raccontami di Paolo≫ insistetti, pizzicandole il grilletto tra le dita.
Mentre continuavo a “massaggiarla”, Francesca mi raccontò.
≪Paolo è un caro ragazzo, ci siamo conosciuti da giovanissimi: stesso paese, stessa compagnia. Gli voglio bene, credo anche di amarlo, ma da che mi son trasferita a Milano ho scoperto una vita che non pensavo potesse esistere; ho imparato ad amare l’indipendenza, ad essere curiosa e Paolo, che è rimasto al paese, ha conservato l’ingenuità di quella piccola comunità, ne ha assorbito pregi e difetti e i lui non s’è risvegliato lo stesso fuoco che mi anima. Da sempre, anche se l’ho scoperto da poco. Lavoro nell’azienda di famiglia, una piccola azienda agricola, e non ne vuol sapere di lasciare. Gli ho detto che non voglio rinunciare al mio lavoro e che sarei comunque rimasta a Milano, oppure avrei potuto avvicinarmi, chissà, a Roma≫. Da qualche momento, con la mano sempre nei suoi slip, ero andato a toccarle il culo e, proprio sulle ultime parole, le avevo infilato un dito -bagnato della ciprigna della sua fica- nel culo.
Francesca trasalì, quasi, rasse un lungo sospiro ≪Bastardo...mmmm…≫ .
≪ Ammetti che non è tanto male, vero?≫ le chiesi, senza attendere la risposta che il suo corpo già mi stava dando, col movimento delle sue anche a spingere indietro come a volerne dentro di più, ≪Continua≫, le dissi.
≪La mia risolutezza≫ Francesca riprese a raccontare ≪lo ha un po’ spento, diciamo, non riusciva più a fare l'amore con me, nonostante gli dicessi che ne ho bisogno. NE HO BISOGNO, cazzo! Angelo: ne ho bisogno. Voglio cazzo! Voglio il tuo cazzo!≫.
Questo mi diss mentre le affondavo nel culo due dita, dandole un assaggio, un piccolo accenno di quel che sarebbe successo dopo.
≪Chissà se immagina che sei tornata a Milano per farti fottere il culo≫, chiesi.
≪Lo sa≫, mi rispose con grande sorpresa ≪Fa parte dell’accordo: lo sposo e lui può mostrare la sua bella moglie laureata e lavoratrice, in cambio mi lascia la libertà di sfogare le mie voglie con uomini che non temono una donna indipendente; gli ho parlato di tem e, ti dirò, sembra che la cosa lo ecciti. Quella sera al solo pensiero che sarei tornata qui per… gli è venuto duro finalmente. E l’ho fatto finire con una sega≫.
Non capivo, non ancora, perché Francesca avesse scelto me, ma la cosa mi inebriava.
Sì, mi sentivo ubriaco di lei, Francesca, la morettina riccia che volevo fare diventare la MIA morettina riccia. Mentre frugavo con le dita nel suo culo la sentivo tremare, fremere, da dentro, dall’anima, mi stava dando quello che non aveva, né avrebbe mai concesso ad alcuno: se ero Padrone, lo ero grazie al lei che mi si dava, adesso.
Dopo averle sfilato le dita dal culo, la feci girare, portai le dita alla sua bocca e lei le leccò, obbedendo ad un ordine muto, o forse ad una lussuria che aveva sciolto le briglie, finalmente!
≪Spogliami≫, le dissi perentorio. Francesca cominciò a sbottonare la camicia, quando fu aperta passò le dita sul mio petto, giocò con i (pochi) peli che lo coprono, avvicinò il viso e tirò col naso. ≪È qui che lo metti≫, disse, poi, con un gesto delicato, mi sfilò del tutto la camicia estraendola dalla cintura dei jeans e la posò su una seggiola che stava accanto alla finestra. Con le mani sfiorò la cintura, gliela lasciai sfilare, poi toccò il bottone del pantaloni.
Fermai le sue mani e feci un solo cenno col capo. Sapevo che avrebbe capito. Non avevo idea di dove, come, o quando avesse imparato quel “codice”, ma sentivo che avrebbe capito. Ne avevamo tanto parlato: del mio modo di intendere il sesso, del mio modo di sentire, che -forse- era il mio modo di sentirla ed il suo stesso modo di essere, ora allo scoperto.
Francesca alzò le braccia e le sfilai la canotta, rivelando i sui seni turgidi 3 giovani, i capezzoli scuri ed eretti, la pelle candida ed increspata dall’eccitazione. Quindi si abbassò inginocchiandosi di fonte a me, seduta sui talloni e cominciò a slacciare le mie scarpe. Prima la destra, poi la sinistra, alla fine i calzini. Quando ebbe terminato, mi invitò ad alzare un piede, lo prese tra le mani e gli diede un bacio.
La presi per mano facendola alzare e la portai vicino al futon ed alla borsa che conteneva le corde.
Decisi di bendarla, anche se sarebbe una cosa troppo “forte” come prima volta, ma le sarei stato vicino, molto vicino, per farle sentire il mio corpo, il mio calore, la mia presenza.
Presi una sciarpa di seta cruda, nera, che avevo portato con me, con quella le carezzai il viso, gliela feci toccare con le mani, ≪Ti fidi di me?≫ le chiesi e, dopo aver avuto un assenso con un sorriso timido, ma sincero, le dissi, bendandole gli occhi ≪Concentrati sulle sensazioni. Io sarò qui. Sempre. Mi sentirai vicino e tu...ascolta quello che sentirai≫ .
Toccandole la pelle, dal collo al petto, in mezzo ai seni, fin giù sul ventre e poi ancora sui capezzoli, notai come Francesca avvertiva vividamente le mie dita: il suo corpo fremeva di sensazioni, di piacere, come fosse una cosa nuova, come se non l’avessi mai toccata prima. Come se nessuno prima la avesse mai toccata, mi rivelò più tardi. Le lasciai qualche momento “sola”, quindi andai alle sue spalle e la avvolsi in un abbraccio delicato.
Dopo averle lasciato apprezzare il contatto della pelle sulla pelle, tornai di fronte a lei e, piegandomi sulle ginocchia, mi trovai faccia a faccia col suo pube, con la sua fica ancora coperta dalla stoffa degli slip. La annusai, quindi cominciai a sfilarle l’indumento scendendo sulle sue cosce modellate dal nuoto e dalla palestra. Il suo respire sembrava ancora regolare, ma attraversato, di tanto in tanto, da sospiri profondi.
Presi allora la corda più lunga, 30 metri di canapa intrecciata e trattata, ammorbidita e profumata di sandalo. Ne poggiai un’estremità sulle sue spalle, così che ne avvertisse odore e contatto e cominciai a legarla.
Intrecciavo i nodi sulla sua pelle e facevo scorrere la corda sul suo corpo: le vibrazioni della canapa che sfregava contro se stessa si trasmettevano sul corpo di Francesca. Il suo respiro, ora, era decisamente eccitato, come i suoi capezzoli, che svettavano duro alla sommità delle sue tette. Arrivai al punto in cui la corda doveva passare a contato con la fica, strisciare sulle grandi labbra (e sulle piccole), affinché l'opera di bondage potesse arrivare a termine. Quindi la feci inginocchiare, le legai le mani stese in alto e con un ultimo nodo (che non starò a descrivere) legai anche i capelli, come in una coda che le tirava la testa leggermente indietro, facendole arcuare i busto ed esponendola ancora di più.
≪Mioddio! Angelo…≫ sussurrò Francesca.
≪Ssssht≫, le risposi, ≪adesso goditi solo il momento. Ascolta, ascoltati. Senti te stessa. E sii pronta.≫
≪Pronta per cosa?≫
...se siete pronti e lo volete, vi farò sapere com’è continuata questa storia….
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