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Prime Esperienze

Francesca, c'è sempre una prima volta


di RandagiVlad
09.11.2023    |    3.706    |    1 9.7
"Sorrido contento, soddisfatto e stupito..."
Il lavoro che facevo allora mi portava spesso a pranzare in un bar -sempre quello – nei pressi di piazza Maciachini, a Milano.
Spesso l’appuntamento era con Francesca, una “collega” (tra virgolette, perché pur facendo il mio stesso lavoro, era dipendente di un’altra società) originaria del sud Italia, che si era trasferita, a Milano per l’appunto, dove viveva sola e dove ospitava, di tanto in tanto, il fidanzato.
Con Francesca c’era una bella intesa, che volentieri si tingeva dei toni della complicità e dell’attrazione, ma che non si era mai evoluta oltre l’amicizia per lo stato suo e mio di fidanzati.
Qualche tempo dopo la nostra conoscenza ero tornato single, a causa della turbolenza della mia sessualità, che seppure non aveva coinvolto Francesca, mi aveva portato ad accarezzare più di una pelle diversa da quella della mia (allora) fidanzata.

[A mia (non) discolpa aggiungo che la mia turbolenza sessuale era dovuta ad una non corrispondenza, tra me e la mia ex, di curiosità, di voglia di trasgressione, di appetito sessuale.]

In quel bar, dove io e Francesca ci incontravamo spesso in pausa pranzo, da diverso tempo avevo notato lei, Giulia, dove era di casa e dove tutti conoscevano il suo nome; invero era impossibile non notarla: faceva il suo ingresso nel bar con la stessa importanza di un’onda sonora, sembrava di poter vedere l’aria che veniva spostata dal suo muoversi, come se urtasse contro la sua figura, contro quel seno sempre discretamente in mostra, mossa da quei capelli rossi che frustavano gli atomi d’ossigeno.
Un giorno io e Francesca ci trovavamo a pranzare in quel bar, seduti l’uno di fronte all’altra, e le stavo raccontando - per soddisfare una sua, forse, morbosa curiosità, dovuta anche allo scemare della passione nel suo rapporto, che si sarebbe concluso di lì’ a poco – della serata appena trascorsa con una ragazza con cui facevo giochi che intrigavano parecchio Francesca, ma che lei (ancora) non aveva il coraggio di fare, o forse era il suo pudore a fermarla (?), quando Giulia fece il suo ingresso, silenziosamente roboante, assieme al suo vecchio collega andandosi a sedere in un tavolo in fondo al bar, vicino al banco ed in una posizione tale che io la vedessi. Non credo che lo avesse fatto a posta – non sono nemmeno certo che mi avesse notato prima d’allora -, ma tant’è: era a meno di una decina di metri e leggermente spostata alla mia destra, il suo collega ci dava le spalle, come Francesca le dava a loro, ma i nostri occhi -i miei e e quelli della rossa Giulia – potevano guardarsi senza ostacoli.
Mentre parlavo con Francesca, lei notò che i miei occhi erano “distratti” e mi disse, con un sorriso strano sulle labbra “Cazzo Angelo! Ok che l’hai vista, ma la stai fissando in modo imbarazzante”.
“Mi ha visto anche lei” avevo risposto a Francesca “e ha anche notato che la sto guardando...un po’ troppo, ma sembra che non le dia fastidio, anzi….” conclusi, senza descrivere a Francesca il modo discreto in cui Giulia, sentitasi guardata, metteva i mostra il suo décolleté, poggiando in modo quasi distratto e inconsapevole il seno sul tavolo e stringendo le mammelle tra le braccia in modo dolce, come a volerle mettere ancor più in risalto.
Francesca, incuriosita, si ara alzata per andare a prendere una bottiglia d’acqua e al suo ritorno disse “Le mie, anche con la stessa scollatura, non farebbero lo stesso effetto” facendo un chiaro confronto tra le sue tette quelle – in mostra- di Giulia; “Hai un culo che mi ha sempre distratto dal guardarti le tette” le risposi, faceto ma sincero… del resto non le avevo mia nascosto quanto il suo culo piccolo, ma perfetto, mi piacesse. Continuammo a pranzare ed io continuavo a farmi distrarre da Giulia, con l’intento di comunicarle che ‘sì, ti ho vista chiaramente e altrettanto chiaramente ti sto guardando...e, ancora sì, ti scoperei’.
Per riavere la mia completa attenzione Francesca mi invitò a fare un aperitivo,a giornata lavorativa conclusa; insistette affinché non le dicessi di no e, anzi, pretese che la andassi a prendere a casa perché “...sai in quel locale fanno dei cocktail buonissimi e non vorrei dover chiamare un taxi per tornare…”. Messaggio “strano”, non era la prima volta che la riaccompagnavo a casa dopo una serata e mai mi aveva lasciato sospettare che volesse più di un passaggio, quindi perché sottolineare che (forse) avrebbe bevuto più del solito?, tant’è “No problem Fra’” le risposi “passo da te le 7 (di sera, n.d.a.)”.
“Mettiti figo” aggiunse. “Mettiti poco” ribattei scherzando. “Il solito maiale” chiosò Francesca ridendo.
Ore 19.13, sono sotto casa di Francesca e le mando un messaggio “Ci sono, scendi Fra’”.
“Sali, non sono ancora pronta” la sua risposta, come volevasi dimostrare. Con un sorriso e la pazienza che avevo già in tasca, parcheggio e salgo da Francesca; all’ultimo piano della palazzina la porta d'ingresso della mansarda “boeme” di Francesca è aperta. Entro e chiudo. “Arrivo” sento dire dal bagno, mentre mi metto comodo sul fu-ton che funge sia da letto che da divano.
Lei esce dal bagno a piedi nudi – sono piccoli e graziosi, credo un 36, 37, con le ossa piccole ed una forma affusolata – indossa una maglietta tecnica color verde militare, stretta e aderente ai suoi capezzoli e dei palloncini da running grigi, anch’essi aderenti alla sua pelle e generosamente sgambati. Non avevo mai visto così tanto le gambe di Francesca, mai e poi mai la piega che le natiche disegnavano all'attaccamento della coscia. Aveva un corpo snello, slanciato pur essendo piccina nel suo metro e 60 scarso (non che io sia un gigante!), tonico, modellato dalla palestra e dallo jogging. La guardo come per dire ‘Quindi?’ e lei mi risponde placida “Non mi va di uscire stasera, forse sono un po’ stanca, preferisco stare a casa”, poi, anticipando la mia domanda tipo che-cazzo-mi-hai-fatto-venire-a-fare, ha continuato “però non mi andava nemmeno di star sola ed ho pensato che una serata noi due ci stava”.
“Be’. Sì, ci sta” ribatto “me lo avessi detto mi sarei vestito più easy”.
“No, così vai benissimo, mi piace questa eleganza informale”. Francesca si gira verso la cucina, si avvicina ai fornelli e si piega (?) per prendere lo zucchero da un mobiletto basso “Lo vuoi un caffè?” mi chiede. “Doppio, grazie” le dico guardandole il culo, mentre mi gira le spalle e, ci giurerei, sa che le guardo quel culo, oh, se lo sa!
Il caffè e pronto e Francesca porta due tazze fumanti nell’angolo della stanza dove ci sono sia il fu-ton sia io, che ci sono seduto sopra. Sale a piedi nudi sul materasso e si siede incrociando le gambe. Solo ora noto che sotto a quel pantaloncini potrebbe non indossare altro: il tessuto tecnico è teso dalla posizione e aderisce perfettamente alla pelle della vagina, non c’è traccia di un indumento intimo e le sue grandi labbra sembrano inghiottire la cucitura degli shorts. A questo punto non mi interessa dissimulare interesse per ciò che ha colpito la mia attenzione: guardo solo quel che è lì davanti a me per farsi … vedere.
“Dato che staremo a casa” mi dice Francesca guardandomi e sorseggiando il suo caffè “se vuoi puoi ance toglierti le scarpe e la giacca…” - “Sì, in effetti sarebbe più comodo”, dico di rimando e, dopo aver poggiato la tazza a terra, sfilo la giacca. Uno sguardo per cercare un posto dove appoggiarla e Francesca mi dice “Dai a me, faccio io”. Ed ho ancora modo di guardarla camminare con una leggerezza che non le ho mia visto, osservando i polpacci che si contraggono mentre si allunga sulle punte dei piedi ed i pantaloncini del tutto infilati tra le sue natiche ‘Cazzo Fra’ -penso – stasera ti faccio male’. Lei torna, mi guarda, incantato dal suo essere felina, con la tazza in mano e le scarpe ancora ai piedi. Si accovaccia tra le mie gambe “Faccio io” mi dice cominciando a slacciare una scarpa.
Sa, gliene ho parlato molte volte raccontandole le mie “avventure” per soddisfare la sua curiosità, quanto questo insieme di gesti sia eccitante per me, quasi un rituale (perché il bdsm non è mica solo mazzate-e-dolore).resto a guardarla, in silenzio, mentre comincia a slacciarmi una scarpa; è una cosa nuova per lei, lo intuisco, ma in lei c’è qualcosa di innato: i suoi gesti, la delicatezza, la curiosità, come di una novizia geisha che sa di far qualcosa che piace al suo uomo. Sento e vedo le dita che sciolgono i nodi delle stringhe, che le allargano, che sfilano la scarpa dal piede. Tutto con gesti lenti, con i suoi occhi concentrati su quel che fa, Francesca non alza mai lo sguardo. Ripete gli stessi gesti sul piede destro e, dopo aver posato anche la seconda scarpa a terra infila le mani calde e delicate sotto la gamba dei miei jeans, afferra il bordo della calza e comincia a sfilare anche quella. Ora il mio piede nudo è nelle mani di Francesca, che lo accolgono come i una culla, le sue dita ne carezzano il dorso, passano sui fianchi, disegnano le dita dei piedi. Quasi a malincuore, Francesca poggia il mio piede sul fu-ton e ripete anche questo gesto sull’altro piede. Si spinge “oltre” e avvicina il piede al suo viso, resta a guardarlo u attimo, prima di poggiare le sue labbra sulle mie dita: 5 dita, 5 piccoli baci.
Io resto seduto sul quello letto basso che richiama il Giappone, il busto reclinato all’indietro e sorretto dalle mie mani poggiate al materasso; alzo leggermente la gamba e con la pianta del piede carezzo Francesca, che chiude gli occhi, accompagna con le sue mani la carezza e, poi, senza che lo esigessi, né me lo aspettassi, gira il viso e bacia la pianta del piede. Un bacio che indugia qualche secondo pelle su pelle. Raccolgo leggermente l’altra gamba, l’altro piede nudo e lo infilo in mezzo alle sue cosce. A contatto con gli shorts. Proprio sotto la sua fica che avverto calda, bollente. Dopo un attimo di sorpresa che dura uno sbatter di ciglia, Francesca preme il suo bacino sul dorso del mio piede e comincia a muoversi avanti e indietro sfregandosi la fica, preme il piede destro più forte sul suo viso e, poi, lo sposta tra le tette, mentre continua a masturbarsi “su di me”. Cerco di mettermi seduto, senza togliere il piede da sotto il suo bacino, ma staccandomi dal suo petto, porto una dietro al nuca di Francesca e afferrandole i capelli la porto a me, alla mia bocca, per tuffarmi tra le sue labbra e succhiarle e infilarci la lingua per incontrare la sua.
Sei dolce..cazzo! Sei calda, Finalmente! - penso un po’ eccitato ed un po’ sorpreso, mentre le nostre bocche continuano ad assaggiarsi, baciarsi, toccarsi, scambiarsi saliva e mentre Francesca solleva i lembi della mia maglietta per spogliarmi e fa in modo che io possa spogliare lei. Restiamo a dorso nudo e Francesca fa franare i suoi riccioli scuri sul mio petto, mentre col naso inspira il mio profumo ed il mio odore, mentre con la bocca solletica la pelle con piccoli baci e con la lingua carezza e fa rizzare i miei capezzoli. Sposto le mie mani tra i nostri corpi e raggiungo il suo seno, forse tra una seconda ed una terza, ma con una pelle elastica che sfida la forza di gravità e due capezzoli, che ancora non ho visto, ma che avverto duri e grandi sotto le mie dita. Prendo i due capezzoli tra le dita e… stringo, senza esagerare, ma stringo. Francesca geme, muove il viso in una smorfia di dolore (forse), ma -lasciando la mia bocca – mi guarda e mi dice “Trattami come una vacca”.
Oh Francesca! Non sai quante volte ho immaginato di fotterti, penso e al contempo stringo -questa volta forte – il suo capezzolo destro. Francesca alza il mento, con la bocca aperta in un mugolio di soddisfatto dolore e, allora, le tiro uno schiaffo che la desta dal suo oblio e “Voglio che mi succhi il cazzo”, le dico fissandola negli occhi. Mi allontano leggermente dal suo corpo restando seduto sul quel letto basso, per lasciarle lo spazio necessario, e apro le gambe per offrirle il bastone duro e voglioso che simboleggia la mia lussuria e la mia voglia di averla. Francesca non tentenna, forse per non ripensarci, si piega con le ginocchia sul materasso e col busto su se stessa per raggiungere la mia cappella con la bocca. Si passa la minchia sulle guance, la annusa, si ferma, la guarda e, poi, la imbocca. Sento la lingua scorrere sul frenulo mentre accompagna il cazzo nella sua bocca; sento le mucose delle guance stringersi attorno alla mia carne, quando Francesca succhia; guardo la sua testa muoversi su e giù, giù e su, mentre sento al sua saliva che mi scivola su coglioni. “Dove hai imparato a fare i pompini cosi, troia?” le chiedo. “Sì, sono la tua troia”, è la sua (non) risposta. Allora le infilo le dita nei capelli e comincio a darle il mio ritmo: ora accelerando nel fotterle la bocca, ora rallentandola e negandole l’affondo, ora staccandola dal cazzo per godermi la sua lingua che lo cerca, ora premendole il capo affinché possa sentire il cazzo in fondo alla gola.
‘Basta!’ penso ‘adesso voglio sentire io il sapore della tua fica’. Le sollevo la testa, interrompendo quel pasto di labbra e lingue che stavamo consumando, e la “sbatto” sul materasso del fu-ton; lei ci cade con la schiena e le gambe scomposte, gambe che afferro ed apro chinandomi, io questa volta, tra di esse e fermandomi a pochissimi centimetri dalla sua fica: bagnata, leggermente aperta e rossastra al suo interno, un clitoride dritto e pronunciato, che si svelava alla sommità di piccole labbra molto esposte (una fica che era già di per sé un gran vedere!) e -quale migliore sorpresa per me?! - il monte di venere vestito di una peluria scura e curata e morbida.
“Che fica Fra’!’” esclamo senza attendere risposta e cominciando a leccare, succhiare, mordere quel tesoro nascosto e desiderato, che ora è alla mia portata. “Ohhhhccristo!” è la risposta della mia amante “Sì!”.
Le mani di Francesca tra i miei capelli, ora a stringere i suoi stessi seni, ora tese sopra la sua testa che afferrano qualcosa cui si tiene al di là del letto; ed ancora la mia lingua, le mie dita che aprono la vulva vogliosa, che entrano dentro di lei, andando a toccarla dove – intuisco dai suoi gridolini di gradimento e dalle sue parole – più le piace, dove più quelle mie dita la fanno godere, a volte dove nemmeno lei sapeva di poter godere. E, infine, quasi “a tradimento” le infilo un dito nel culo. Nel suo bellissimo culo che so -per quel che mi ha detto – essere vergine.
Lo faccio guardandola negli occhi, mentre con al mano libera continuo a giocare con il suo clitoride: un po’ per distrarla, un po’ per “accompagnare” in modo gentile l’invasione di quello che -a detta sua – è ancora il suo limite.
Francesca sgrana gli occhi per la sorpresa, ma non protesta, non accenna a spostare le mie mani (soprattutto quella che la sta violando dietro) e, quando comincio a muovere il ditro nel suo culo, sollecitando la parete frontale della vagina, quella dove dovrebbe trovarsi il punto G, Francesca geme più forte “OH!….OH!….CRISTO SÌ!…..”.
mi tuffo con la bocca sul suo clitoride lecco, succhio, mordo (piano) e naocra lecco, succhio, lecco fino a che lei esplode “Godogodogodo!!!! cazzo Angelo Vvengoooooo…”.
IL suo corpo bello, caldo e sudato si contorce leggero sul materasso del fu-ton ed io, rallentando i movimenti dentro lei, risalgo il suo ventre con la bocca, fin sui seni, fin sul collo, Fino a baciarla ancora una volta.
“Stronzo” mi dice Francesca, tra un bacio e l’altro, “mi hai messo un dito nel culo”.
Non rispondo e le lecco le labbra.
“Mi è piaciuto stronzo. Mi hai fatto godere” mi afferra i coglioni tra il suo corpo ed il mio “Sono una puttana… sì, sono la tua puttana. Scopami”.
Non sono convito se sia più un ordine od una preghiera, ma non sto a filosofeggiare: mi alzo sul busto prendendo le sue gambe sotto le ginocchia, le apro e mentre lei mi afferra per puntarlo: Spingo! Sì, cazzo! Ti sto scopando Fra’ - penso – e mi fermo a sentire e percepire quanto sia calda.
“Fra’” le dico, “hai la fica che brucia”.
“E tu…” mi risponde lei “sei grosso”. [non sono davvero un superdotato, ma voglio credere alle sensazioni di Francesca. Una donna che immaginavo “divertente”, ma che non pensavo si abbandonasse al sesso in modo così … pieno].
Dopo averlo tenuto per qualche secondo dentro di lei, fino in fondo, la abbraccio sdraiata e comincio un movimento lento ed estenuante: lo estraggo, spingo solo la cappella una volta e poi entro, forte, di nuovo fino in fondo; lo estraggo, di nuovo, infilo la cappella due volte e poi spingo; fuori, tre spinte accennate e… Dentro; e di nuovo quattro spinte superficialie una quinta violenta fino all’utero...e così via per nove volte. E poi ritorno: 9,8,7,6,… fino a ricominciare la “tortura”, che ripeto per 3, 4 volte.
“Angelo...Angelo…” mi dice lei “basta! Ti prego...impazzisco...ti prego scopami. Sbattimi. Fottimi”
Sì, penso, nemmeno io voglio più aspettare e, allora comincio a spingere a ritmo dentro di lei; mi alzo di nuovo eretto sulle ginocchia, le sue gambe piegate poggiate nell’incavo dei gomiti ed incalzo con le mie spinte in modo disordinato ma implacabile. Mi agito dentro al sua fica che sguazza, che mi bagna le palle e bagna le lenzuola. Francesca gode “Sì” Sì! Sììììììì”.
“Godo Fra’...godo!” le urlo di rimando. “Insieme! Sì sborrami! Veni...sono protetta” e questo da il via alla detonazione: dici colpi, dieci spari, dici fiotto di sperma che riverso nel ventre di Francesca. In un gesto quasi automatico lo afferro il collo stringendo “senza stringere”, ma quel tanto che la stupisce e le fa mancare il fiato. Il mio orgasmo esplode assieme al suo ennesimo.
Sfinito mi stendo su di lei e ascolto il suo respiro che le alza e abbassa il petto. Ascolto il battere del cuore che fa da contro-tempo al mio. Assaporo l’odore della sua pelle eil sapore della sua saliva.
“Angelo” mi dice Francesca, guardandomi negli occhi “Cazzo Angelo..che scopata! La prossima volta però, voglio che leghi anche me”.
Sorrido contento, soddisfatto e stupito. Sì, penso, la prossima volta lego anche te. E col pensiero volo a quando le farò il culo.





(Continua...se vi è piaciuta questa storia vera e romanzata vi farò, con piacere, avere il seguito)


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