Volo Roma - Miami

Era bellissima.

Si sedette di fianco a me come in una scena scritta da qualcuno che sapeva esattamente cosa speravo. Capelli lunghi, neri come la notte caraibica, occhi profondi, caldi, e un profumo che sapeva di dolce e d’estate. Mi sorrise appena, accennando un “ciao” che sembrava più un sussurro che una parola. Aveva un accento delizioso, di quelli che ti fanno venire voglia di ascoltare qualsiasi cosa, anche il silenzio.

“Sei qui per vacanza?” chiese, girandosi verso di me mentre l’aereo rullava verso il decollo.

“Vado a trovare un amico… e tu?”

“Rientro a casa. Vivo a Miami, ma ero a trovare mia sorella a Roma. Mi mancava.” Si chiamava Yomely. Venezolana. Il nome mi sembrò subito sensuale.

Non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso. Le sue labbra piene, le mani curate, le curve morbide ma decise. Ogni dettaglio era una tentazione. Il pensiero mi balenava in testa senza controllo: farle l’amore, lì, su quell’aereo, magari nel bagno stretto, caldo, mentre tutto il resto del mondo dormiva.

Dopo un paio d’ore di chiacchiere leggere e sguardi che diventavano sempre più lunghi, lei si lasciò andare a una confidenza: “Mi sono lasciata da poco. Lui mi tradiva. Stupida io a non averlo capito prima.”

“Bam,” dissi, come se potessi racchiudere tutta la mia sorpresa e il mio dispiacere in quella parola secca. Cercai di indagare un po’, capire se era una porta aperta o solo una ferita ancora fresca. Ma lei scivolò via con lo sguardo fuori dal finestrino. Poco dopo chiuse gli occhi.

Era bella anche nel sonno. Forse di più.

Rimasi sveglio, a guardarla, come ipnotizzato. Quando si svegliò, mi chiese sottovoce: “Ma tu non dormi?”

“No,” risposi. “Stavo guardando te.”

Non disse nulla, ma il suo sguardo cambiò. Mi scrutò un attimo, poi, con naturalezza, appoggiò la mano sulla mia gamba. Il gesto era calmo, ma elettrico. Il cuore mi balzò nel petto. Eravamo vicini, così vicini. Presi la coperta dell’aereo e la sistemai su di noi. Sotto, sentii le sue dita che iniziavano piano, lente, ad aprire i bottoni dei miei jeans. Il suo respiro era calmo, ma io ero un’esplosione silenziosa.

Volevo portarla in bagno, ma sapevo che sarebbe stato ridicolo, stretto. Impacciato. Così andai verso gli ultimi posti, quelli vuoti. Lei mi seguì. Ci sistemammo sotto un’altra coperta. E lì, nel buio silenzioso dell’aereo, ci toccammo. Lenti, profondi. Lei sapeva esattamente come farmi impazzire. I nostri sospiri erano trattenuti, ma intensi. E alla fine, venimmo insieme. Come se il volo avesse raggiunto il suo picco più alto in quel momento, non nel cielo.

Atterrammo a Miami con gli occhi ancora pieni di quella notte rubata. Prima di scendere, mi disse con un sorriso: “Ci vediamo ancora, vero?”

“Promesso,” dissi.

Ma non l’ho più rivista. Né sentita.

Solo quel profumo, ogni tanto, mi torna nella testa.

E mi basta per sorridere.