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Sinfonia perfetta
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17.02.2025 |
2.015 |
2
"La sua lingua era lenta, metodica..."
Il loft era ampio, essenziale. Pochi arredi, linee nette, nessun eccesso decorativo. La luce della città filtrava dalle vetrate, disegnando ombre irregolari sul parquet scuro. Lei era lì, al centro della stanza, in piedi con il corpo già leggermente inclinato in avanti, come se l'attesa fosse una forza tangibile che la spingeva ad abbandonarsi.Gli uomini erano disposti intorno a lei in un semicerchio non perfetto. Si muovevano lentamente, senza parole inutili, osservando il suo corpo con lo stesso interesse con cui si osserva un'opera d’arte appena svelata. Alcuni le sfioravano la pelle con gesti misurati, altri si limitavano a guardarla, trattenendo il momento, lasciando che l’aria si saturasse di tensione.
Lui, l’unico che aveva il diritto di dare inizio al gioco, era seduto su una poltrona poco distante, una posizione che gli permetteva di avere il controllo totale della scena. Il suo sguardo si posava su di lei con la precisione di un architetto che valuta gli spazi, calcolando il ritmo, i passaggi, i momenti esatti in cui accelerare o rallentare.
Lei chiuse gli occhi per un attimo. Poi li riaprì. Sentì le prime mani che la sfioravano. Non disse nulla.
Le mani che la sfioravano erano diverse. Alcune esitavano per un istante, quasi testando la consistenza della sua pelle, altre procedevano con più decisione. C’era chi la prendeva per i fianchi con fermezza e chi si limitava a sfiorarle la clavicola, la linea sottile del collo. Il contatto variava di intensità, un gioco di contrasti tra pressione e leggerezza.
Non c’era fretta, solo un’organizzazione silenziosa che si autoregolava senza bisogno di indicazioni verbali. Il respiro di lei era già più profondo, come se il corpo avesse iniziato a rispondere prima ancora che la mente ne prendesse coscienza.
Lui osservava. Era ancora seduto, senza muoversi. Aveva stabilito il ritmo fin dall’inizio, e sapeva che non era il momento di intervenire. Per ora, lasciava che fossero loro a dettare il primo movimento, una progressione lenta, studiata, in cui il tempo si dilatava come un elastico tirato appena sotto il punto di rottura.
Un primo uomo si mosse. Dietro di lei. Non si annunciò, semplicemente occupò lo spazio vuoto, la prese per i polsi e li portò dietro la schiena con un gesto che sembrava casuale, ma non lo era. Lei non oppose resistenza.
Un altro le sfiorò il seno, con il dorso delle dita. Nessuno la afferrava ancora in modo definitivo, il contatto restava fluido, in una tensione fatta di attese e di pause misurate.
Quando la bocca del primo uomo le sfiorò la nuca, lei inclinò leggermente la testa in avanti, un cedimento appena percettibile, sufficiente a far capire che il corpo aveva già trovato la propria predisposizione.
Lui, dalla poltrona, sorrise appena. Era il segnale che attendeva.
Si alzò con calma, senza rompere il flusso. Gli altri uomini lo percepirono immediatamente. Ora il gioco aveva ufficialmente inizio.
Si alzò con calma, senza rompere il flusso. Gli altri uomini lo percepirono immediatamente. Ora il gioco aveva ufficialmente inizio.
Il primo cambiamento fu quasi impercettibile: una modifica nell’energia della stanza, una tensione che si addensava senza necessità di parole. Gli uomini si adattarono immediatamente, i movimenti divennero più precisi, meno esitanti. Non si trattava più di esplorare, ma di prendere.
Lei lo capì nel momento esatto in cui il primo uomo si fece avanti. Era quello che l’aveva tenuta ferma per i polsi all’inizio. Non le chiese nulla. Si posizionò dietro di lei e la prese con un unico gesto fluido.
La prima penetrazione fu controllata, un ingresso lento, volutamente misurato. Sentì il suo corpo aprirsi, adattarsi, riconoscere la presenza. Lui non aveva fretta. La teneva salda, con una mano appoggiata sulla parte bassa della sua schiena, l’altra sulla sua anca, scandendo un ritmo che la costringeva a sentirlo interamente.
Ma l’attenzione di lei non era solo su di lui. C’era qualcos’altro, davanti a lei.
Un secondo uomo si era abbassato tra le sue gambe, il suo respiro caldo contro la pelle tesa dall’eccitazione. Il primo contatto della lingua sul clitoride fu leggero, quasi impercettibile. Non stava cercando di darle piacere immediato, non ancora. Stava mappando la superficie, testando la reazione del suo corpo, determinando il modo esatto in cui avrebbe proceduto.
Lui, il marito, rimase in piedi poco distante, con lo sguardo fisso su di lei. Controllava tutto.
Sapeva che la combinazione di stimoli avrebbe funzionato come un’onda crescente: la pressione profonda e costante della penetrazione, alternata alla precisione meticolosa della bocca che la esplorava senza fretta. Due movimenti separati, ma perfettamente sincronizzati.
Il secondo uomo non la leccava con voracità. La sua lingua era lenta, metodica. Tracciava linee morbide lungo i bordi del clitoride, evitando il centro, provocandola solo con il respiro. Un’anticipazione studiata.
Nel frattempo, il primo uomo cambiò ritmo. La penetrazione divenne più fluida, più sicura. Ora che il suo corpo si era adattato alla presenza, poteva aumentare la profondità senza incontrare resistenza. La riempiva completamente, poi si ritraeva quasi del tutto, lasciandola sospesa nel vuoto per un attimo prima di ricominciare.
Lei gemette senza pensarci. Fu un suono involontario, un segnale che il corpo aveva superato la soglia della semplice accettazione e stava entrando nella fase in cui il piacere cominciava a imporsi sulla razionalità.
Lo sentì ridere, dietro di lei. Un suono basso, soddisfatto.
Fu in quel momento che la bocca tra le sue gambe cambiò tattica. Passò dalla provocazione al controllo.
La lingua divenne più decisa, più precisa. Le labbra si chiusero attorno al clitoride, creando una pressione esatta, il giusto equilibrio tra morbidezza e fermezza. Non succhiava, non ancora, si limitava a scivolare lentamente avanti e indietro, a stimolarla con una ripetizione ipnotica.
E proprio mentre la bocca trovava il ritmo perfetto, anche la penetrazione cambiò.
Il primo uomo la trattenne più forte. Ora la spingeva in avanti leggermente, obbligandola a premere di più contro la bocca che la stava leccando. Il contatto divenne più intenso, il clitoride ancora più esposto alla pressione calda della lingua. Lei sentì l’effetto immediato: una contrazione involontaria del bacino, un tremito lungo le cosce.
Lui, il marito, notò tutto. Ogni minima reazione.
Si avvicinò. Le prese il viso tra le mani. Non per baciarla, ma per farle sentire la sua presenza. Il suo tocco era un promemoria, un’ancora per impedirle di disperdersi.
"Sei concentrata?"
La sua voce era bassa, ferma. Lei lo guardò, annuì appena.
Un altro cambio.
La lingua ora alternava movimenti più veloci e più profondi, premendo con più decisione. La penetrazione seguì la variazione. Ora il ritmo era sostenuto, più vicino a una presa totale.
Fu allora che capì che non c’era più modo di tornare indietro.
L’orgasmo non fu improvviso. Fu un accumulo lento, inevitabile. Ogni contrazione muscolare, ogni onda di calore, ogni fremito interno si costruì esattamente nel modo in cui doveva. Non era un’esplosione, ma un collasso progressivo.
Nel momento in cui il suo corpo si irrigidì, la penetrazione si fece più profonda, la bocca si chiuse con più forza intorno al clitoride, e tutto si fuse in un unico punto esatto nel tempo. Lei si perse completamente.
Il primo uomo lo sentì immediatamente. Si fermò solo un istante, abbastanza per sentire le ultime contrazioni attorno a sé. Poi si ritirò.
Lei sapeva cosa sarebbe successo. Non c’era bisogno di parole.
Ancora tremante, abbassò lo sguardo. Lo prese tra le labbra con lo stesso abbandono con cui lo aveva accolto dentro di sé.
Intorno a lei, gli altri uomini aspettavano. Non si muovevano. Il primo atto era concluso.
Ora il loro piacere poteva iniziare davvero.
La mossero con facilità, posizionandola esattamente come la volevano. Sul letto, il corpo aperto, vulnerabile, ma completamente disponibile a essere preso.
Le mani non smettevano di toccarla.
Uno le prese i seni, li strinse con decisione. I pollici premevano contro i capezzoli, facendola rabbrividire. Un altro si abbassò, la bocca che avvolse il suo seno, la lingua che lo percorse con precisione, succhiandole il capezzolo fino a farlo indurire completamente.
La prima penetrazione fu immediata. Un uomo si sistemò tra le sue cosce, la prese con un’unica spinta fluida, riempiendola fino in fondo. Lei sussultò, il corpo che si adattava subito alla pressione, il respiro che si fece più corto.
Ma non era l’unico.
Le cosce le furono sollevate, il bacino inclinato. Sentì la seconda punta contro la sua entrata già occupata.
Spinsero insieme.
L’apertura si tese, una pressione forte, inarrestabile, che la dilatava completamente. Lei si aggrappò alle lenzuola, il fiato spezzato in un gemito lungo, mentre i due membri scivolavano dentro di lei contemporaneamente, riempiendola fino all’ultima fibra.
Non c’era più spazio. Non c’era più resistenza. Solo la sensazione pura e liquida di essere completamente presa, divisa, penetrata fino al limite.
E non era ancora abbastanza.
Davanti a lei, un altro uomo si inginocchiò. Le prese il viso tra le mani, guidandola senza fretta. Lei aprì la bocca, lo accolse profondamente, senza esitazione.
Ora era posseduta ovunque.
La pressione dentro di lei aumentò.
Le spinte nella vagina erano più profonde, più decise, alternate in un ritmo perfetto, uno che usciva mentre l’altro entrava, facendo scivolare il suo corpo avanti e indietro con una fluidità ipnotica.
La bocca venne presa con lo stesso ritmo.
La gola si aprì per lui, accogliendolo più a fondo, le mani che la tenevano ferma, controllando la sua respirazione, il suo movimento.
E poi, la bocca tra le sue gambe.
Un altro uomo si abbassò. Sentì la lingua calda premere contro il suo clitoride già teso, già pulsante.
Il tocco era preciso. La lingua tracciò una linea perfetta lungo il centro, poi si fermò per succhiarla esattamente nel punto giusto.
Leccava con ritmo, in perfetta sincronia con le spinte dentro di lei.
Il piacere era totale, senza scampo.
Lei venne per la seconda volta.
Le contrazioni la attraversarono con forza, il corpo scosso da una serie di spasmi profondi, il clitoride pulsante sotto la bocca che non smetteva di succhiarlo, le sue pareti che stringevano i due membri dentro di lei, facendo aumentare il piacere di chi la stava possedendo.
I primi uomini iniziarono a raggiungere il culmine.
Uno si ritirò, venne sulle sue cosce, un fiotto caldo che scivolò lungo la pelle.
Un altro lo seguì, lasciandole il ventre e il seno umidi del loro piacere.
Uno dopo l’altro, tutti gli uomini la marchiarono con il loro seme, coprendola interamente, lasciando il proprio segno sul suo corpo ancora tremante.
E poi lui.
Il marito si avvicinò, fino a quel momento aveva osservato, aveva guidato, ma non aveva ancora preteso il suo posto.
Ora sì.
Si inginocchiò tra le sue gambe.
La prese per le anche, la sollevò leggermente, il suo membro che scivolò dentro di lei senza alcuna resistenza, tra i fluidi caldi che la coprivano ancora.
Lei lo accolse completamente, il corpo che si adattava alla sua forma, alla sua presa.
Non parlò. Non c’era bisogno.
Le mani le strinsero le cosce, la prese con colpi profondi, senza pause, possedendola esattamente come aveva voluto per tutta la sera.
La guardava negli occhi mentre si muoveva dentro di lei. Sapeva che ora era solo sua.
L’ultima contrazione la attraversò mentre lui raggiungeva il culmine dentro di lei.
Il suo corpo assorbì tutto, sentì il calore riempirla, senza lasciarne cadere una goccia.
Solo allora la lasciò andare.
Solo allora il rito finale poteva compiersi.
L’ultimo atto.
Il primo uomo, quello che le aveva regalato il primo orgasmo, quello che l’aveva aperta per primo, si inginocchiò davanti a lei.
Lei si voltò verso di lui. Era il rituale della coppia.
Ogni volta, ogni sera, ogni incontro, era sempre lui l’ultimo.
Era il modo in cui il cerchio si chiudeva.
Lei lo prese in bocca lentamente, non c’era più fretta, non c’era più tensione.
Lo voleva.
Lo succhiò con calma, con precisione, fino a sentirlo pulsare contro la lingua, fino a quando venne direttamente sulla sua lingua, fino all’ultima goccia.
Quando si ritirò, lei rimase inginocchiata, il corpo ancora ricoperto del piacere di tutti, il respiro ancora irregolare.
Il marito la prese per il mento, le fece alzare lo sguardo verso di lui.
Le accarezzò il viso, il pollice che tracciava il contorno delle sue labbra ancora umide.
"Sei stata perfetta."
Non servivano altre parole.
Era finita.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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