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Gay & Bisex

Piazza Vetra


di Bottony
12.03.2021    |    709    |    5 9.8
"Federico: Perché sei andato via con il broncio? Paolo: No, nulla credimi! Solo mal di testa..."
Avevo finalmente iniziato l'università e mi stavo avvicinando alla mia libertà, ero superfelice. Sarei andato a vivere fuori casa con altri ragazzi ed ero molto entusiasta. Premetto che ai tempi ero un ragazzo gay non dichiarato ma evidentemente abbastanza sgamabile. Occhi azzurri, fisico mingherlino, bel tipo ma, cosa che davvero non passava inosservata, non avevo ragazze se non le amiche di cui mi circondavo - che in realtà segretamente ci provavano. 

Avevo avuto poche esperienze e tantissime fantasie ma niente di veramente serio.

Così a Milano cominciai i corsi  in comunicazione e a frequentare alcuni vecchi compagni di liceo che si erano trasferiti  come me. Solite serate, sbevazzate e cene in casa con pizze take away. Avevo la fortuna di essere ben voluto da tutti e, anche se non avevo mai stretto legami forti con i maschi della mia classe, godevo di un certo rispetto. Molte volte mi chiedevo come ci si doveva sentire ad essere discriminati per la propria sessualità, io ricevevo stima e anche protezione in molte occasioni da tutta la classe con una delicatezza che se ci penso adesso mi viene molta nostalgia - e molta rabbia per quello che si sente in giro.

I miei compagni, ovviamente, erano (almeno così pensavo) tutti etero, mai nessuno aveva provato ad avvicinarsi a me, anche se ad alcuni sarei saltato praticamente addosso. 

Tra tutti c'era anche Federico, uno che al liceo era stato un po' outsider con dei bruttissimi capelli lunghi che non gli donavano per niente e il cui carattere affabile ed educato brillava sopra di ogni altra cosa. Ricordo che aveva una passione per la campagna e molti lo prendevano in giro per il fatto che, essendo figlio di un agricoltore, sapeva tutto riguardo alle coltivazioni e alla cura degli animali. Non era mai stato un genio a scuola ma sapeva il fatto suo. Senza sforzo era riuscito a diplomarsi e ad iscriversi all'università. Io lo stimavo.



"Ci sono un sacco di moscerini in questo posto!", mi disse mentre stavamo per uscire da un festa a casa di una nostra ex compagna di scuola che viveva sui navigli. Io ero totalmente brillo e anche orgoglioso di camminare con al fianco Federico che si era fatto davvero un figaccione e attirava lo sguardo di tutte quelle commesse milanesi vestite di nero che scontravamo nella nostra camminata. Alto 1.88 e piazzato come un armadio. Aveva un aria molto maschile ma ancora non ben definita, se ci penso, i caratteri ancora non proprio spigolosi di un comune ventenne, nonostante un corpo molto sviluppato e ormai adulto. Io a confronto ero uno stecchino. 



"Non credo di potercela fare ad arrivare a casa con il motorino, sono troppo sbronzo, Fede!", gli dissi mentre camminavamo sul naviglio grande con tutta la gente che ci veniva incontro, quel venerdì sera di maggio. Lo vedevo nella sua bellissima camicia hawaiana che lasciava intravedere le braccia possenti. Pensai che non era tanto male. 



"Cazzo, Paolo, non ho nemmeno la patente con me oggi. Porca Puttana, ripigliati. Dai che voglio arrivare a casa sano e salvo, domani devo studiare". Mi disse con il sorriso sulla faccia. "Vedrai che quando saremo arrivati dove hai parcheggiato la moto ti sarai già ripigliato e accompagnerai il tuo fratellone (ci chiamavamo così, nella cerchia dei più intimi) fino a casa, ormai la metro è chiusa, non farmi prendere la notturna!".



Ero eccitato da qualcosa nel suo modo di fare ma brillo come poche volte era successo. C'era un alone di mistero e di alcool quella sera. Mi misi a guidare lungo la circonvalla con lui che pesava cento chili dietro e che mi faceva perdere l'equilibrio. Non so come arrivai sotto casa sua, alcune volte aveva preso lui in mano la situazione e se mi fermavo erano le sue gambe a sorreggerci perché la mia forza non bastava. 



Insomma, le luci della città erano particolarmente vivide quella sera. Me lo ricordo come fosse oggi. Arrivammo davanti casa sua e lui scese con un salto. Senza che mi dicesse nulla, aprì la porta e mi aiutò a portare la moto nell'androne. "Questa notte ti fermi da me, mezza calzetta! Non ti lascio andare a casa conciato così!". Io non opposi alcuna resistenza. Gli dissi che mi mancavano le mie cose e che sarebbe stato disagevole... "Disagevole per cosa? Scimpanzè.. muoviti e non svegliare tutto il palazzo."



Mi spogliai e mi lavai il volto mentre Federico cambiava le lenzuola. Mi distesi fresco e con un cerchio alla testa nel letto matrimoniale della sua singola. Mi chiese se gli dava fastidio dormire insieme e nello stesso momento saltò dal lato del letto dove aveva deciso di dormire. Io gli dissi di no.  Speravo in una sua prima mossa. Che non avvenne. Di notte ogni tanto mi svegliavo. Sentivo il suo fiato pesante. 



Poi, di punto in bianco mi svegliai per il suo braccio che mi cingeva la spalla. Aprii gli occhi e lo vidi con gli occhi chiusi. Dormiva ancora. Feci finta di dormire anche io quando il mio corpo si avvicinò più al suo. Sentii la sua erezione e mi sciolsi. 



Furono attimi che durarono una vita. Mi chiesi perché lo stavo facendo. Se la cosa era opportuna. Avrei forse perso la sua amicizia? E se si fosse svegliato dando di matto? Avrei perso una persona cara che mi aveva aiutato e sostenuto. Temevo di tradire la sua fiducia. Perché rovinare tutto. Nel frattempo la sua erezione non diminuiva. Io ero immobile e pieno di sensi di colpa. Perché ero attratto da un amico, perché avrei dovuto infliggergli questo male?



Dopo circa tre minuti di cuore che batteva a mille, fu lui ad avvicinarsi e ad abbracciarmi. Si strinse più a me senza lussuria. Quasi come fossi un pupazzo o un fratello più piccolo. Una tenerezza familiare e fraterna. Sentivo il palazzo crollare, il mio desiderio alle stelle, il sangue guizzare a fiotti in tutte le vene. 



L'indomani ci svegliammo abbracciati e lui mi diede un bacio sulla testa. C'erano un sacco di poesie che avevo letto, violini al vento, profumi di fiori inebrianti, rose rosse scarlatto, e una serie di altre cose che associai quella mattina a Federico. Mi ricordo che mi sentii pieno di energia ma allo stesso tempo frenato da un terribile senso di colpa. Avrei voluto abbracciarlo e sentirlo di nuovo vicino come lo era stato quella notte. Ovviamente, ero troppo scemo e giovane per ragionare e timido per prendere in mano la situazione. La panna si era smontata. Avevo la certezza che non potesse avere un interesse per me. Che avere un interesse per lui, in ogni caso per me sarebbe stato sbagliato. Perché non mi saltava addosso? Cosa aveva aspettato? Lui non era gay, gli facevo solo pena.



"forza tirati su poltrone! Come ti senti? Guarda che ho preso le brioche al pistacchio che ti piacciono tanto al bar prima che ti svegliassi!". Mi diede una pacca sulla spalla e mi alzai affranto e confuso. Perché quelle pene, perché non sono andato a casa?



Lui ando in bagno e lasciò la parta aperta. Vedevo le sue spalle nude piene di muscoli. I suoi ricci lunghi in alto e rasati ai lati. Lo vedevo riflesso dallo specchio mentre lavava i denti e lo fissavo attendendo che mi chiedesse qualcosa...

Nulla. Io mi avvicinai, strisciai sul suo corpo come un gatto e all'ennesima assenza di qualche reazione mi innervosii e me ne andai. 



Cinque minuti dopo su whatsapp.

Federico: Ti ho fatto qualcosa? 

Paolo:...

Federico: Perché sei andato via con il broncio?

Paolo: No, nulla credimi! Solo mal di testa. Grazie per ieri e per avermi ospitato. 

Federico: Cosa ringrazi? Avresti fatto anche tu la stessa cosa.

Paolo: Si, in effetti ;)

Federico: Vedi... 

Paolo: Cosa?

Federico: avresti fatto la stessa cosa.

Paolo: Si.

Federico: Ricorda che su di me puoi contare.

Paolo: stessa cosa.

Federico: :*

Paolo: :*



Poi silenzio... avrei voluto scrivergli mille messaggi! Ma nulla... poi alle 8 di sera mi scrive.



Federico: Uè che fai?

Paolo: Stavo finendo di cenare. Tu?

Federico: Bene. Passato il mal di testa?

Paolo: Si si.

Federico: Che ne dici di andare a prendere una birra alle colonne di San Lorenzo? 

Paolo: Bar Rattazzi?

Federico: Bene. Ci vediamo lì tra mezz'ora?

Paolo: ok. Chiamo gli altri?

Federico: Volevo fare una cosa veloce in realtà.

Paolo: ok. allora a dopo.



Mi vesto e scendo. Forse una speranza. 

Lo vedo venirmi incontro. Ha la sua terribile felpa gialla con il cappuccio. I jeans stretti che gli mettono bene in vista le natiche e il suo parka verde di sempre. Profuma di buono. Ci diamo la mano. "Comunque sei un pazzo! Ieri ti sei completamente sballato. Stavi facendo ridere tutti alla festa!" Mi disse. "Si, faccio lo scemo ma poi mi pento!". replicai. "Ma va! Devi essere te stesso!" mi disse.

Poi ci raccontammo un po' dove eravamo arrivati con le nostre famiglie. Con lo studio. Mi chiese se stavo vedendo qualcuno. Risposi no. Vidi un sorriso sulle sue labbra. Gli occhi illuminati. Forse per la birra. Tutti lo guardavano, froci e femmine. Di certe cose ti accorgi.



"Facciamo due passi?", mi chiese. Poi mi prese per il braccio e cominciò ad avviarsi fuori da quella bolgia infernale. Ci dirigemmo verso le Colonne e poi dietro la basilica, nel parco della Vetra. 

Fu lì, sotto un albero che ci bacciamo per la prima volta. Sentivo il mio cuore scoppiare. Salii su un pezzo di marmo per facilitare la cosa. Lo attiravo a me mentre i rumori delle auto e la gente stava al di là della cancellata. 



Andammo a casa e fummo subito preda di un terribile demone che ci portò dritti a letto. Lui baciava i miei peli e leccava il mio cazzo. Io stravedevo per i suoi muscoli sodi e le sue natiche perfettamente rotonde e massicce. Baci lunghissimi che sapevano di odori giovani, di profumi da centro commerciale. Poi il sudore e gli ormoni. Un bagno di sesso che durò per tutta la notte. Ci esploravamo e sperimentavamo. Ciascuno alla ricerca del piacere proprio e dell'altro. Poi fu un attimo che sentii la sua capella entrare dentro. Si faceva spazio con dolcezza come si farebbe come una ragazza pensai (forse avevo visto troppi film porno, immaginavo qualcosa di più rude). Prima venne il dolore e poi il piacere. Mi contorsi quando vidi il suo cazzo farsi spazio con delicatezza dentro me. Venni quasi subito ma gli diedi il tempo anche a lui, che scoppio donandosi ad un abbracciò e poi si perse in un sorriso stupendo che ho ancora stampato in mente. 



Da allora stiamo ancora insieme. Lui gioca a Rugby e si occupa di finanza. Io lavoro nel marketing per una catena di supermercati e ho anche un po di pancetta. Milano continua ad essere la nostra città. La sera io cucino mentre lui guarda le partite. Lui è grande e grosso ma ha paura di guidare in autostrada e alla guida sono sempre quasi io. Ci completiamo e dove non arriva uno, viene in soccorso l'altro. Pur se per gli altri siamo una coppia invidiabile, abbiamo affrontato periodi difficili che abbiamo superato con forza. 



Quando gli do la mano in giro per la città penso a quanto sono fortunato ad averlo, a quanto mi fa ancora perdere la testa. Penso che ne valga davvero la pena vivere ed amare. Mentre scrivo questa storia sulla scrivania in ufficio, vedo la sua foto incorniciata che mi fa compagnia quando sono giù. Così spengo il pc e mi incammino verso casa, veloce, nel desiderio di tornare e vederlo arrivare mentre mi bacia all'ingresso come la prima volta  e come accade, ininterrottamente (o quasi) da 8 anni. 







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