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La mia prima volta con un lui


di animatrav
27.06.2024    |    946    |    5 9.8
"Mi fece tenerezza quando lo vidi rivestirsi imbarazzato, quindi mi voltai di spalle..."
La mia prima volta (forse)

La mia prima volta l’ho voluta io.
M era diventato mio amico da qualche anno e mi reputava il suo fratello minore. Mi diceva sempre di volermi bene, che era un bene fraterno.
Il suo attaccamento era stato conseguente alla morte di sua sorella: mi aveva detto che erano molto legati e che io gliela ricordavo. Ho sempre interpretato quella sua affermazione come una sorta di sfogo senza mai approfondire: non volevo entrare nel rapporto che aveva con sua sorella.
M aveva modi strani di comportarsi. Agli occhi di tutti era invadente, morboso, ma io sapevo che i suoi abbracci erano dettati da sentimenti che nutriva per la sorella defunta e che dopo la sua scomparsa li stava riversando in me.
Passavamo molto tempo insieme, ma la maggior parte delle ore ci rintanavamo nel suo garage a fumare ascoltando musica, nella sua auto, o distesi su un vecchio materasso che i suoi genitori tenevano nel rifugio.
Suo padre sapeva che fumavamo e che i miei genitori erano ignari della cosa, ma se ogni volta che sentivamo i suoi passi oltre la serranda, non ci fossimo sbrigati a riporre il materasso contro la parete, avrebbe male interpretato certi atteggiamenti. Dalla sua Fiat Uno uscivano le note di Vasco, mentre noi, a luci spente, con il solo chiarore che entrava dalle bocche di lupo, aspiravamo il fumo fissando il soffitto. M mi fissava spesso, mi accarezzava i capelli. Sapevo che erano gesti d’affetto, sapevo anche che agli occhi di qualcun altro certi gesti sarebbero sembrati ambigui, ma eravamo solo lui e io e in fondo la cosa non mi dava fastidio. Poi un giorno mi diede un bacio a stampo sulle labbra. Sbarrai gli occhi, poi lo vidi ridere a crepapelle.
“Volevo vedere l’espressione che facevi”, disse. “Ma stavo solo scherzando”.
Tirai fuori l’aria che avevo trattenuto, mentre il cuore, liberato dal panico, tornava a battere in modo regolare. Ora nel soffitto non vedevo più scorrere i sogni di un qualunque adolescente, ma stavo rivivendo quegli attimi di panico. Perché lo aveva fatto? Cosa ci trovava di bello nel darmi un bacio sulle labbra? Per un po’ di tempo i giorni continuarono a scorrere sereni. Mi riabituai alle sue attenzioni, alle sue coccole insistenti e a tutti gli altri atteggiamenti che chiunque altro non avrebbe tollerato. M mi voleva un bene dell’anima e non avrebbe fatto più niente senza il mio consenso.
Un pomeriggio mi confidò che aveva davvero voglia di baciarmi, che era una cosa sua e non lo avrebbe mai fatto se non avessi voluto. Quindi non me ne curai più di tanto: in fondo, il problema non si poneva.

“Posso baciarti?” Ormai M lo domandava ogni giorno in modo sistematico.
Io puntualmente rispondevo di no e lui tornava ad ascoltare la musica, con la testa sul mio petto.

Un caldo pomeriggio di primavera, nel nostro rifugio la temperatura era gradevole. Dalle grate si percepiva l’essenza della primavera che a fatica si mescolava a quella umida dei sotterranei e di quell’ambiente saturo di fumo. Alla solita domanda di M, che fece forse per abitudine, risposi di sì. Lui rimase incredulo: me lo domandò altre tre volte prima riprovare a baciarmi sulla bocca e studiare la mia reazione. Ero rimasto imperturbabile. Il bacio successivo fu talmente delicato che mi costrinse a schiudere le labbra. Mentre io me ne stavo supino a prendermi le sue attenzioni, sentivo lui agitato che a pancia in giù si contorceva verso il nulla. Poco dopo, forse in preda all’eccitazione, iniziò a strusciarsi contro la mia mano. Quando aprii gli occhi lo trovai che mi fissava con lo sguardo impaurito. Con un leggero cenno del mio sguardo gli dissi che era tutto a posto. Continuammo le effusioni mentre, in tutta naturalezza, gli abbassai la zip e lo toccai attraverso i suoi slip. Lui, eccessivamente eccitato, arretrò, forse per non pretendere troppo, ma si rifece avanti subito dopo. La mia mano aveva scavalcato il tessuto degli slip e, persa tra i peli, muoveva il suo desiderio eretto con dolcezza. Aprii di nuovo gli occhi e ci perdemmo ognuno nell’imbarazzo dell’altro quando ci baciammo avidamente. La sua lingua ruvida divenne smaniosa e capii che si trovava a un passo dal suo culmine. Infatti il suo membro iniziò a pulsarmi nelle mani, mentre rallentavo il movimento, incurante del suo liquido che si spargeva sul palmo della mia mano e nei suoi slip. Mi fece tenerezza quando lo vidi rivestirsi imbarazzato, quindi mi voltai di spalle.
Gli stavo dicendo che andava tutto bene e nulla sarebbe cambiato.

Quella non fu la prima volta che baciai un uomo, ma fu talmente dolce e sentita come situazione che la reputai la mia prima volta.
Con M lo rifacemmo altre volte. Una, cento... Eravamo talmente amici che ormai era inevitabile, ma era sempre lui a prendere l'iniziativa. Io non avevo il coraggio. Forse lo facevo per la semplice immagine di perbenismo: non volevo passare per quello "diverso" e mi rimaneva più facile dire “sì, ma sei stato tu a iniziare”. Non facevo mai il primo passo, neanche quando ero io ad avere voglia di avere le sue mani addosso. Quando capitava mi bastava mettere cose aderenti che mettessero in risalto le mie forme o guardarlo con uno sguardo “insolito”. Lui non resisteva e iniziava il suo approccio così come faceva ogni volta: mano sul ginocchio e via su… fino a quando la mia mano l’avrebbe fermato (era un no. assoluto), o l’avrebbe lasciato correre. Lui allora controllava subito la mia erezione per sincerarsi di non avere frainteso.
Di solito lo facevamo in garage, o da lui quando i suoi genitori erano fuori casa. Lo facevamo (volevo farlo), solo in situazioni particolari e soltanto con il volere reciproco. Non siamo mai andati oltre la semplice masturbazione o rapporti orali, ma ci bastava. In fondo eravamo poco più che adolescenti, neopatentati, innamorati delle donne che avremmo voluto come ragazze, ma ci piaceva baciarci e toccarci tra di noi, vederci nudi e sentirci il reciproco desiderio da soddisfare indurirsi nelle mani, e lo facevamo più volte al giorno, o una volta al mese, tra una sigaretta e l’altra, sotto gli occhi del mondo, all’insaputa di tutti.
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