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La mia vera identità


di animatrav
27.06.2024    |    497    |    3 9.0
"E qualunque fosse la mansione che svolgevo, la personalizzavo con atteggiamenti copiati dall’icona che avevo sempre sognato di essere: una donna..."
Nessuno conosce la mia vera identità. Sono per tutti una persona riservata, il vicino di casa da evitare, quello con l’espressione austera che non vorresti incrociare per le scale. Chi mi incontra abbassa lo sguardo, per poi lanciarmi un timido cenno di saluto all’ultimo momento. La mia riservatezza incute timore, ma non è mai stato quello il mio intento e chi mi conosce sa che si tratta di una semplice sensazione comune.
“Cazzo”, mi dicono, “chi non ti conosce pensa che sei davvero stronzo!”
Io mi limito a scrollare spalle. Dopotutto è sono verità che già conosco. Mia moglie fu la prima a raccontarmi questa verità. Siamo sposati da un decennio e solo lei conosce ogni mio segreto. Beh, non proprio tutti…

Non sa che a volte, da bambino, indossavo i vestiti di mia madre e che ho continuato farlo per una vita. Anche adesso.
All'inizio lo facevo in bagno, di nascosto, o nella camera dei miei genitori quando sapevo che erano fuori per diverse ore. Come mi piaceva aprire l’armadio e fare man bassa di vestitini, collant e mutandine! È stato allora che ho scoperto che anche mia madre indossava slip ricamati e autoreggenti. Non erano con gli altri indumenti intimi, ma nascosti in fondo al cassetto. In vista c'erano i collant comuni, semplici mutandine di cotone che sembravano essere usate per il quotidiano con alcune piccole macchie al centro.
Quando finivo di vestirmi sfilavo davanti allo specchio con il passo incerto di chi indossa per la prima volta delle scarpe col tacco di quattro misure più grandi. Non mi eccitavo e non mi toccavo. Mi limitavo a vivere quei momenti con tante formichine che mi camminavano nello stomaco, procurandomi una indescrivibile sensazione di benessere. Quella sensazione perdurò anche negli anni a venire, quando le scarpe iniziavano a essere della mia stessa taglia e i peli cominciavano a spuntare copiosi. Quando i miei genitori erano fuori casa rimanevo a lungo con i vestiti addosso, comportandomi come fossi mia madre o una qualsiasi donna che sbriga le faccende di casa; passavo la scopa con i vestiti di mamma, mi spogliavo facevo la doccia e mi rivestivo con quegli stessi abiti, ci vedevo la tv accavallando le gambe, ci andavo in bagno. E qualunque fosse la mansione che svolgevo, la personalizzavo con atteggiamenti copiati dall’icona che avevo sempre sognato di essere: una donna.

Una volta, per caso, vidi che oltre la finestra, a un centinaio di metri da me, stavano facendo dei lavori di ristrutturazione. Non mi ero accorto che gli operai camminavano sull’impalcatura. Cazzo! Spero non mi abbiano visto… chiusi subito la tenda, mentre il cuore mi martellava a mille sotto il reggiseno. Poi però, in modo razionale mi fermai a riflettere: da quella distanza non avrebbero potuto vedermi e semmai ci fossero riusciti, le mie forme sarebbero state molto simili a quelle di una donna. L’abbigliamento sarebbe stato inequivocabile. La paura si era trasformata in ansia e quel formicolio che sentivo all’altezza dello stomaco si ripresentò puntuale. Quando mi baleno un’idea per la testa era quasi ora di dormire e nessuno avrebbe potuto vedermi da un'impalcatura vuota.
I miei genitori sarebbero tornati il pomeriggio seguente: potevo andare a dormire con i collant di mamma.
Il mattino, al pensiero degli operai, mi svegliai con lo stomaco che mi bruciava dal desiderio. Forse era per quel pensiero, o per la costrizione dei collant e l’idea che stavo indossando mutandine da donna, che mi svegliai con un’erezione invidiabile.
Corsi a mettere la vestaglia di mia madre e feci colazione. Per il desiderio che avevo, la lasciai quasi tutta nel piatto e corsi a vestirmi. So che è difficile da credersi, ma in tutte le volte che avevo indossato i vestiti di mia madre non avevo mai osato mettere le sue cose sexy; la ritenevo una violazione alla sua dignità di madre. Rimasi a lungo a fissare le calze e gli slip ricamati, ma alla fine cedetti. Come sempre, per non rischiare di essere scoperto, memorizzai la posizione in cui erano ordinati gli indumenti. Credo sia inutile soffermarmi sull’emozione che provai quando mi sfilai i collant per mettere le autoreggenti; sulle movenze che copiai dai giornalini pornografici che avevo sfogliato; sulla sensazione che provai quando, accavallando le gambe, vidi il ricamo delle calze spuntare oltre l’orlo della gonna. Mi guardai allo specchio: ero pronto.
Tirai su la serranda e come gli altri giorni iniziai a fare faccende, andare in bagno, concentrandomi nei passaggi in camera da letto. Niente: gli operai erano presi da ben altro.
Stavo per desistere quando, poco più su, al piano superiore rispetto a quello in cui avevo visto i muratori, scorsi una figura nascosta dietro un muro. Identificato il punto, rimasi a monitorarlo per le ore seguenti: il ragazzo, che avrà avuto dai 24 ai 30 anni, lavorava fissando nella mia direzione. Corsi a prendere il binocolo di mio padre e lo guardai da un’altra finestra. Non mi sbagliavo. Era incredibile. Non nego che ero combattuto dal timore di essere scoperto e la voglia e il bisogno di essere spiato. E fu la seconda ipotesi a prevalere, ma non me la sentivo di rischiare a lungo. Decisi che era l’ora di tentare il tutto e per tutto.
Dopo essere andato in camera dei miei genitori e aver finto di preparare della roba sul letto mi spogliai in modo naturale, di schiena. Non potevo conoscere l’espressione dell’operaio perché, anche se l’avessi guardato con attenzione, da quella distanza sarebbe stato difficile valutarne la reazione. Decisi quindi di vivere tutto con assoluta naturalezza, sperando che il giovane, almeno per il momento, stesse focalizzando la sua attenzione su di me.
Credo che sia stata una delle esperienze più belle che abbia vissuto, soprattutto perché tutto il desiderio che avevo accumulato in quei giorni, dopo aver risposto gli abiti di mia madre negli appositi scomparti, lo liberai in un rapporto tra me e il giovane sconosciuto. Nella mia mente infatti fu il primo a mettermi le mani addosso, seppur con il solo pensiero che aveva inconsapevolmente condiviso con me. Lo rividi nei giorni seguenti, quando passai sotto il cantiere, e lo rividi, sempre isolato dagli altri operai, mentre era seduto sul bordo dell’impalcatura e fissava verso la finestra della camera dei miei genitori.

Credo sia stato quello il momento in cui ho capito quanto fosse importante per me indossare indumenti femminili. Anche se i peli erano un ostacolo. Non che dovesse vedermi qualcuno, ma vederli mi faceva perdere di credibilità con me stesso, anche se, in fondo, quel che facevo non l’ho mai fatto per piacere a qualcuno.

Ho trovato la soluzione anni più tardi. Avevo 27 anni e lavoravo lontano dalla mia città.
Era tardo pomeriggio e stavo facendo la spesa al supermercato. Prima di allora, quando passavo davanti al reparto di intimo ripensavo sempre ai tempi in cui mi dilettavo a rovistare nell’armadio di mia madre, ma in particolare, quel giorno, sentii il mio stomaco riempirsi di formiche…
E se…?
Mezz’ora dopo ero nella mia camera, chiuso a chiave, con indosso i collant che avevo preso al supermercato. Metterli era stata una liberazione, era come se fino a quell’istante avessi vissuto con le mani legate. Oltre le pareti sentivo il vociare dei coinquilini e alla sola idea di dover togliere le calze mi sentivo mancare l’aria. Non immaginavo che avrei rivissuto appieno le emozioni che avevo provato fino a dici anni prima, neanche con le gambe pelose e il petto villoso. Ed era maledettamente difficile separarmi dalla sensazione che stavo riprovando.

Poco dopo ero a tavola, con i miei coinquilini e i collant sotto la tuta. Con quell’escamotage avevo trovato la soluzione al mio problema e anche la stessa notte avrei dormito con quelle indosso. Il mattino seguente non ho avuto problemi a togliere i collant e nasconderli nel mio armadio. Per ogni evenienza sarebbero stati sempre li ad aspettarmi.

Li ho usati spesso. Li ho indossati sotto i jeans abbinati a un paio di slip bordato di pizzo, anche quando uscivo col mio capo. Ho sempre temuto che qualcuno mi scoprisse, ma il desiderio di sentire la seta che mi accarezzava la pelle ha sempre avuto il sopravvento… Non li ho più indossati per uscire: come per le mie esperienze che sono sempre risultate uniche, lo farò per una ragione valida, come soddisfare il desiderio di chi riuscirà a farmi felice e allo stesso tempo essere felice di quel che sono. E non mi riferisco ai soli maschi!

Questa storia può risultare monotona per chi non ha provato la mia stessa emozione, ma è vera, così come tutte le altre storie che andrò a raccontare…
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