Gay & Bisex
Il villaggio vacanze
di gserpe
30.07.2024 |
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"Mandava gran parte del suo stipendio alla famiglia e per lui non rimaneva mai nulla..."
Avevo 23 anni. Da 3 anni, ogni estate, lasciavo i comfort di casa per lavorare in questo bel villaggio sul mare. Tanta fatica, tanto caldo, poche ore di sonno. In compenso tanti nuovi amici tra colleghi e turisti, serate sfrenate e…sesso. Molto sesso.Studiavo comunicazione e quindi in villaggio mi occupavo principalmente di eventi organizzati dal villaggio e varie attività collaterali.
Chi ha fatto questo lavoro sa che a dispetto dello sfarzo offerto dal villaggio o dalla struttura, i dipendenti sono relegati in spazi che di sfarzoso hanno ben poco. Spesso con bagni e camere comuni.
Nel mio caso “fortunato” avevamo una stanza modesta con un letto abbastanza grande, un armadio e, udite udite, un simil condizionatore. Di contro dovevamo utilizzare i bagni della zona camping che erano grandi costruzioni con tantissime stanze che contenevano un wc, un lavabo, una doccia e una sedia. Queste toilette in serie avevano un muro abbastanza alto ma non arrivava al soffitto, quindi era in pratica uno spazio aperto a rumori di ogni genere…non mi dilungherò in spiegazioni!
Al mio terzo anno ero ormai un esperto e mi muovevo con una certa tranquillità e professionalità. Ero uno degli “anziani” del gruppo e mi occupavo, tra le altre cose, di formare i nuovi arrivati. Oltre a me, tra gli anziani, c’era un responsabile di struttura, un bagnino e una ragazza. Avevo visto intervallarsi tantissimi giovani negli anni…e con tanti di loro avevo approfondito la conoscenza oltre l’orario lavorativo, nelle nostre piccole stanze e non solo!
Oltre a noi staff animazione, in struttura c’era personale di tutti i generi quindi la zona dipendenti era un piccolo villaggio ai margini della struttura. Diviso in zone così da ottimizzare e rendere più agevole la vita dei dipendenti.
Dal mio primo anno in villaggio avevo stretto una bellissima amicizia con uno dei manutentori, un ragazzo Siriano di 39 anni, Hadam. La gentilezza fatta persona. Sempre disponibile e con un sorriso che illuminava la giornata. Un ragazzo bellissimo, occhi neri come la pece, carnagione scura e capelli foltissimi portati mossi dall’effetto bagnato sempre all’indietro, un corpo imponente che aveva costruito durante gli anni di durissimo lavoro nelle strutture. Lavorava tutto il giorno e non sembrava mai stanco, era grato di quello che aveva e lo dimostrava dando il massimo. Mandava gran parte del suo stipendio alla famiglia e per lui non rimaneva mai nulla. Ogni anni cercavo di portargli vestiti nuovi e chiedevo a tutti di dargli una mano in qualsiasi modo.
Quell’anno la situazione era più dura del solito; Hadam mi accolse con uno dei suoi abbracci e sorrisi, ero felice di vederlo ma notai subito gli occhi velati di tristezza e un aspetto molto trasandato, si stava curando pochissimo e si notava.
Il giorno dopo lo invitai a bere una birra con me “Hadam molla tutto, una bella doccia calda e poi al bar per una birra” sorrise imbarazzato e mi disse che non poteva accampando scuse poco credibili. Non mi arresi. Alle 19, prima di cena, mi appostai davanti alla sua camera e attesi. Mi sorrise appena mi vide, ancora imbarazzato, ma sapeva che avrebbe dovuto affrontarmi e parlare.
Lo guardai e subito i suoi occhi si velarono di lacrime. Sua madre aveva bisogno di cure, quindi stava dando totalmente il suo stipendio alla famiglia. Per farvi capire, non aveva soldi nemmeno per un bagnoschiuma e non si permetteva nemmeno di chiederlo in prestito o di prenderlo nelle stanze liberate dai clienti. Non lavava i suoi vestiti con del detersivo chissà da quanto. Mi si spezzava il cuore. Lo presi dalle spalle e passando per la mia stanza presi bagnoschiuma, deodorante e qualche vestito pulito che poteva adattare al suo corpo massiccio e lo spedii a lavarsi. Presi un sacco di suoi vestiti sporchi e li lavai come solo una massaia sa fare. Era in imbarazzo ma felicissimo.
Torno dopo circa 40 minuti ed era come nuovo. Era tornato il bellissimo ragazzo che conoscevo. Sembrava rinato e sorrise nel vedere la lavatrice comune in azione.
Gli dissi che da qual giorno tutti i miei prodotti erano anche i suoi, a sua completa disposizione. Poteva entrare in camera e prendere quello di cui aveva bisogno e non avrei tollerato un no. Mi abbraccio fortissimo e mi lasciai finalmente andare per sentire quel corpo che mi stringeva, quei muscoli e quella pelle.
Bevemmo un paio di birre e cenammo insieme, mi raccontò tutto e gli dissi che avrei aperto un conto a suo nome e chiesto a tutti i colleghi di fare qualcosa per lui, anche la direzione avrebbe partecipato, tutti sapevano quanto si dava da fare.
Passavano i giorni e vedevo Hadam che poco a poco tornava al suo stato di poca cura. Dovevo sempre spronarlo e lui diceva che non voleva disturbare; orgoglio e timidezza. Ma dovevo fare qualcosa per far cadere il muro. Dissi che avrei lasciato i prodotti all’ingresso della mia stanza così non sarebbe dovuto entrare nella stanza dove c’era il letto. La stanza aveva un piccolo disimpegno dove c’era l’armadio e tenevo tutto la.
Notai che cominciò a seguire la mia richiesta, sempre molto timidamente. Lo sentivo entrare mentre riposavo dopo pranzo, facevo finta di dormire e lo osservavo nella penombra della stanza. Faceva con molta calma e attenzione ad ogni singolo movimento. Prendeva quello che gli serviva e poi si fermava a guardarmi per qualche secondo. Poi tornava per rimettere a posto o prendere un detersivo per la lavatrice e ancora si soffermava prima di uscire in silenzio. Quegli occhi addosso mi piacevano, mi intrigavano, mi guardava diversamente dal solito. Io dormivo in mutande perché la stanza non era fresca. Perché mi guardava così? Era semplice riconoscenza? Quella però me la dimostrava ogni giorno. Cominciai a fantasticare, lo immaginavo nudo, lo immaginavo sopra di me, lo immaginavo nel mio letto.
I giorni passavano e ormai era un’ossessione. Quando mi salutava abbracciandomi cercavo di sentire se c’era altro in quel gesto. Cercavo di prolungare quel gesto.
Presi a fare il riposo pomeridiano con mutande molto piccole o in posizioni tali da dirgli la vista dei miei bei glutei tondi. Qualche volta li abbassavo leggermente quando lo sentivo arrivare. Notai che si soffermava più a lungo. La vista era di suo gradimento. Lo immaginavo segarsi nelle docce comuni.
Una mattina mi svegliai sentendomi osservato. Avevo alzato il gomito e mi ero addormentato nudo, la luce entrava dagli scuri semiaperti. Hadam era là e mi guardava con uno sguardo profondo, una mano sotto la maglia a stringersi un capezzolo e l’altra che massaggiava una bella protuberanza tra le gambe. Questione di attivi. Lui veniva solo di pomeriggio, non avevo programmato nulla. Immediatamente scattò verso l’uscita, scusandosi imbarazzato. Lo chiamai e gli dissi di fermarsi. Rimase sull’uscio dandomi le spalle.
Misi un boxer e gli dissi che poteva girarsi ed entrare.
Si mosse con estrema lentezza, non osava guardarmi. Mi alzai, gli andai incontro e gli dissi che non aveva fatto nulla di grave. Scuoteva la testa e mormorava nella sua lingua. Gli chiesi di calmarsi e lo feci sedere sul mio letto.
Mi disse che non faceva sesso da tantissimi anni, che in struttura non osava avvicinarsi a nessuno per paura di perdere il lavoro. Si era fatto prendere da quel momento. “Hadam non c’è problema. Non ti giudico. Vorrei aiutarti!” “Carlo tu mi aiuti sempre. Tu sei il mio miglior amico, io ti aspetto ogni anno! Non puoi aiutarmi anche in questo.” Sapeva che sono gay, me lo aveva chiesto quasi subito dopo il mio arrivo 3 anni prima. Potevo aiutarlo, anzi volevo.
“Hadam, certo che posso aiutarti.” E gli poggiai una mano sulla coscia possente, quasi verso l’interno, verso il suo pene strizzato in quel pantalone da lavoro. Lo sentii fremere e spostarsi. Non mollai, anzi, andai proprio tra le gambe e col migliorino sfiorai il rigonfiamento.
“Carlo non possiamo. Non devi.”
“Shhhhhh rilassati!” E portai la mano sul pacco che pulsava sotto la stoffa. Cercai di sbottonare ma mi bloccò “no per favore, non ho fatto nemmeno una doccia. Non voglio che pensi che sono sporco. Non devi farlo perché faccio pena. Devo fare la doccia!” Era nel panico.
“Hadam io voglio farlo perché ti desidero!”
Gli presi la mano. Ci alzammo e lo tirai verso la porta. “Ok facciamo la doccia!”
Mi seguì poco convinto, timoroso ma in silenzio. Arrivati alla porta del bagno disse “io voglio. Ma ho paura.”
“Hadam, non faremo nulla che non vuoi fare. Deciderai tu se vuoi o non vuoi.”
Accennò un sorriso ed entrò.
Rimase immobile al centro della stanza, ci guardavamo e avevamo voglia l’uno dell’altro. “Hadam se mi dai il permesso, vorrei farti rilassare. Se va bene per te, dovresti spogliarti.” Lo vidi irrigidirsi ma dopo un paio di secondi cominciò togliendo scarpe e calze, poi tolse la t-shirt sudata e sporca dal lavoro. Aveva un corpo imponente, spalle ampie e braccia forti. Non aveva muscoli da palestra, era tonico e forte. Peli neri ricoprivano folti il torace, l’addome e le braccia. Ogni zona pelosa aveva un verso che dava armonia al suo corpo, peli stranamente lisci. Aveva un odore maschio, forte. Respirai a pieni polmoni e mi eccitai tantissimo. Rimase fermo. “Hadam, devi togliere tutto altrimenti bagniamo il pantalone”
“Posso tenerlo per adesso? Non mi importa se si bagna.”
Non avevo pensato a questa alternativa, la trovai interessante. “Ok. Come vuoi, decidi tu.”
Gli accarezzai una guancia e lo portai verso la doccia. Il getto lo colpì e subito l’acqua scese disegnando strani sentieri tra i suoi peli. I capelli caddero sul viso e li scostai.
Il pantalone cominciò a bagnarsi, l’acqua prendeva possesso delle fibre e le scuriva.
“Posso?” E feci cenno con le mani per fargli capire che volevo lavarlo. Un lieve cenno del capo e le mie mani si posarono sulle sue braccia. Cominciai ad accarezzare e massaggiare il suo torso. Le mie mani passavano sul suo petto e i capezzoli si inturgidivano, chiuse gli occhi e capii che gli piacevano quelle attenzioni. Scesi sull’addome e piano le mie mani passavano tra il tessuto delle mutande e la pelle. Lo feci girare e continuai passando le mani vicino alle sue natiche e poi salendo su per la schiena e poi le spalle che massaggiai delicatamente per sciogliere la tensione. Presi il bagnoschiuma e dissi “se vuoi togli il pantalone così posso andare avanti.”
Questa volta non vidi segni di timore, li calò e vidi che la sua erezione già pulsava sotto le mutande, ma non mi sembrava il suo massimo. Lo guardai e chiesi “posso abbassarle io? Se ti va, potresti chiedermelo?”
“Carlo toglimi le mutande…per favore!”
Mi inginocchiai e fissai quel rigonfiamento. C’era un lieve alone giallo là dove era l’apice del suo membro.
Delicatamente lo presi in una mano e lo strinsi con delicatezza. Sentii subito il sangue pompare all’interno e Hadam che guardandomi gemette leggermente e chiuse gli occhi per il piacere.
Tirai giù lentamente le mutande e quello che mi si presentò davanti era un cazzo di tutto rispetto. Non era enorme, non troppo lungo ma spesso abbastanza con una bella cappella chiusa nel suo prepuzio, le palle tonde e pesanti pendevano tra quel cespuglio di peli nerissimi. Il suo odore mi inebriava. Avvicinai le narici e inspirai voracemente.
Ormai era nudo. Era bellissimo. Fragile e potente allo stesso tempo.
Presi lo shampoo e ne misi una noce nella mano, lo feci sedere sulla sedia in plastica che era in ogni bagno e cominciai a lavargli i capelli massaggiando la cute. Aveva gli occhi chiusi e si stava godendo del massaggio. Dall’alto vedevo il suo pene che trovava una forma più rilassata, la cosa mi piaceva, lo avrei potuto far indurire con le mie mani o la mia gola. Non sapevo quanto mi avrebbe permesso di spingermi, ma io volevo tutto e stavo faticando a non baciarlo.
Gli sciacquai i capelli e ripetei l’operazione. Lui era in estasi. Lo feci rialzare. Presi il bagnoschiuma e cosparsi il corpo di quel gel bianco, l’immagine mi rimandò la mente al momento che più bramavo e la mia erezione si fece sempre più dolorosa nei bermuda ormai fradici.
Cominciai a massaggiargli il corpo con vigore. Dapprima il torso, mi soffermai molto sul petto e i capezzoli, poi le ascelle dove la peluria era straordinariamente folta. La schiuma invase tutto il suo corpo. Scesi sull’addome, poi il pube; ero nuovamente faccia a faccia col suo membro, volevo prolungare quel momento quindi lavai le cosce e l’interno coscia sfiorando i testicoli che mi sembrarono durissimi e pieni. Il cazzo ricominciò a prendere vita piano quindi lo presi in una mano e con l’altra presi le palle e le massaggiai delicatamente. La cosa lo lascio impietrito ma ben presto rilassò i muscoli delle gambe, socchiuse gli occhi e schiuse le labbra, disse qualcosa in siriano, qualcosa di dolce, non chiesi, mi limitai a muovere la mano e cominciai a masturbarlo lasciando uscire la cappella poco alla volta fino a rivelarla completamente. Presi altro bagnoschiuma e la sega diventò più vogliosa come il suo cazzo che ormai era all’apice della sua espressione. Duro e dritto, cadeva pesante in avanti, era molto spesso. Stava godendo tanto e cominciò a muovere il bacino per assecondare i miei movimenti, gemeva piano e mi mise una mano sulla guancia e mi guardo dolcissimo. Volevo baciarlo ma non osavo oltrepassare quel limite, volevo che fosse lui a farlo.
Mollai la presa e spostai le mani sui glutei, li lavai e lo girai per guardare quella scultura, per ammirare quelle spalle enormi e quel bacino stretto da quella posizione che ne accentuava la possanza. I peli coprivano schiena e natiche, era la cosa più bella mai vista.
Il lavaggio si fece sempre più intimo, le mani si addentravano tra le natiche e lui si irrigidì e girò la testa spaventato. Gli sorrisi e dissi “devi lasciarmi fare, non ti farò nulla.” Si rilassò e lavai anche il suo buco, stavo esplodendo, credo di aver avuto diversi orgasmi senza toccarmi, senza venire.
Lo riportai sotto il getto d’acqua e lo sciacquai bene, tornai sul suo cazzo e ripresi quello che avevo lasciato. Quando chiuse gli occhi e reclinò la testa all’indietro presi l’iniziativa e mi infilai quella grossa nerchia in bocca e giù fino alla gola. Vibrò tutto il corpo e i suoi occhi si posarono sui miei. Era in preda al panico. Non credo fosse pronto a nulla di quello che stava succedendo, ma soprattutto non era pronto ad un pompino, a vedere tutto il suo cazzo scomparire nella mia bocca, a sentire la sua cappella toccare la mia gola.
Comincia a muovere la testa e a dare grosse leppate all’asta. Lui era ingiustissimo e stava per liberare il meglio di se, cominciò a scoparmi piano la bocca, poi piano si spinse più a fondo e le spinte diventarono più dure, secche, decise. Le mani mi bloccavano la testa. Trattenevo i conati e continuavo a massaggiare le palle dure. Non si accorse che la mano libera si stava insinuando tra le sue natiche, tanto era preso dal fottermi la gola. Non resistevo più e lui non cennava a smettere. Avevo la soluzione e lui non se lo aspettava. Appena sentii le natiche rilassarsi e i movimenti diventare più frenetici, gli infilai il dito medio nel buco. Emise un verso cavernoso da animale e cominciò a schizzarmi prima in gola e di fretta sfilò il cazzo e continuò ad inondarmi faccia e petto.
Il ragazzo aveva una scorta niente male. Aveva proprio bisogno di svuotarsi. La sborra era dolce e continuai a leccare quella che mi scendeva dal viso e le ultime gocce che emergevano dalla sua cappella violacea.
Quando finì si accasciò sul pavimento col fiatone, stravolto. Mi sedetti difronte a lui e gli accarezzai le gambe. “Hadam respira, è tutto ok?!”
“Carlo…Carlo…cosa hai fatto?”
Sorrisi e gli accarezzai il viso.
Presi un telo e ripulii il suo pene, poi quello che restava sul mio viso e petto.
Si alzò e mise un telo in vita, cercò i vestiti e iniziò a vestirsi.
Io andai alla porta e dissi “fai tranquillo. Ti lascio un po’ di privacy!” Sorridendo.
Ricambio e cercò di dire qualcosa. Lo fermai e dissi “non dire nulla adesso. Pensa a quello che è successo e rilassati. Se dopo vuoi dirmi qualcosa sai dove trovarmi. A dopo” uscii e lo lasciai ai suoi pensieri.
Lo vidi un paio d’ore più tardi, ero al bar e lui mi cercava nella folla. Quando incrociò il mio sguardo sorrise e si diresse verso di me. Sembrava un’altra persona, era sereno. E lo ero anche io.
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