Gay & Bisex
Il personal trainer _ cap 13 FINALE
di Beat
31.12.2024 |
4.338 |
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""Aspetta, questo lavoro fallo fare a qualcuno alto" mi risponde Antonio sorridendo e gustando la scena poggiato contro lo stipite della porta..."
Il grande tiglio nel giardino condominiale ha perso tutte le sue foglie regalando un manto marrone ai suoi piedi. Cammino goffamente carico di scatole e buste nella corte del condominio sotto un cielo bianco di nuvole che coprono il sole pomeridiano dei primi giorni di dicembre mentre il signor Astolfi dell'interno 3, su una scala a libro in alluminio, è intento a posizionare fili di luci a led colorate tra i rami del grande albero. Ci salutiamo con garbo ed educazione, ognuno dei due rimanendo concentrato sulle proprie mansioni. Noto che nel salutarmi una piccola nuvola di vapore esce dalla sua bocca e si perde nell'aria.
Apro la porta di casa con alcune difficoltà e porto dentro tutte le scatole e buste con gli addobbi di Natale.
"Tesoro, vieni a darmi una mano con le luci?" urlo rivolto in direzione della cucina.
"Aspetta, questo lavoro fallo fare a qualcuno alto" mi risponde Antonio sorridendo e gustando la scena poggiato contro lo stipite della porta.
Mi dà un bacio sempre sorridendo e mi prende in braccio aiutandomi a scendere dallo sgabello sul quale sono posizionato maldestramente per cercare di mettere le luci intorno al pino di plastica di due metri e quaranta che ho deciso di comprare.
"Ma non bastava un albero normale? Proprio uno che sembra rubato dalla casa di Babbo Natale?" Mi dice sorridendo e io tiro fuori la lingua facendo una pernacchia.
I suoi occhi chiari si poggiano su un mazzo di rose rosse adagiate sul tavolino della sala, poi alza il suo sguardo verso me, guardandomi con dolcezza e chiede "Quando vai?".
"Pensavo di finire qui prima" rispondo io distogliendo lo sguardo dai suoi occhi verdi e fissando un punto alla mia destra.
Antonio mi dà un buffetto sulla guancia, mi abbraccia forte e dice "ci penso io alle luci, tu va' prima che chiuda".
Infilo le scarpe, cappotto e sciarpa e prendo le rose dal tavolo della sala. Mi giro in direzione di Antonio e sussurro "grazie".
Cammino sul sentiero di brecciolino bianco di quel posto diventato ormai per me terribilmente familiare negli ultimi due anni.
Il sentiero battuto centinaia di volte in quel tempo mi conduce ad un luogo capace di suscitare sensazioni pacifiche ma dolorose allo stesso tempo.
Il mio traguardo è una lastra di marmo bianco in mezzo ad una parete di altre lastre di pietra, ognuna con una storia dentro.
Quella che cerco ha un nome:
Carlo Rossini
02-11-1991
12-03-2022
"Se mi hai amato, asciuga le tue lacrime e sorridi"
Le lettere sono incise nella pietra chiara con un carattere semplice ed elegante, senza troppi orpelli. Nella parte sinistra della lapide, in alto, una foto di Carlo, del mio Carlo. Sorride in eterno abbracciando una felice Athena in una giornata di sole in montagna.
Poggio una mano sulla fredda pietra della lapide sperando che questa possa restituire un battito di cuore che non c'è più, di percepire un bagliore di vita.
Una lacrima solca la mia guancia e sparisce nella barba folta. Guardo quella lapide, i biglietti e gli oggetti lasciati qui da amici e parenti e capisco quanto sia importante per ognuno di noi avere un luogo dove piangere le nostre perdite, dove riuscire a dare fisicità all'assenza.
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Di quei giorni ho ricordi nitidi ed altri meno lucidi. Ricordo i dettagli, come i numeri "06:27" sulla radiosveglia del comodino quando Guglielmo, il padre di Carlo, mi chiamò con voce spezzata dalle lacrime dicendo "Carlo ha avuto un incidente con un camion... Luca, corri in ospedale, la situazione è grave".
Ricordo la sensazione di vuoto alla bocca dello stomaco e di panico, ricordo la fredda luce al neon della sala al pronto soccorso mentre il dottore spiegò la situazione "il paziente ha riportato serie ferite, nonostante il suo cuore sia molto forte, ha un'emorragia cerebrale in atto e dobbiamo operarlo di urgenza per cercare di aspirare il sangue che preme sul cervello."
Ricordo la sensazione di bruciore agli occhi per i continui pianti di quelle ore, ricordo i miei genitori in lacrime a cercare di sostenere me e i genitori di Carlo.
Ricordo il trasferimento di Carlo dopo l'operazione nel reparto di terapia intensiva, l'odore di alcol denaturato e le procedure di igenizzazione per poter entrare a trovarlo.
Ricordo lo sguardo carico di partecipazione degli infermieri ogni volta che mi incontrarono nei corridoi aspettando l'orario delle visite per poter tenere la mano al mio amore.
Ricordo di aver urlato con tutto il fiato che avessi in corpo quando mi dissero che il cuore di Carlo aveva smesso di battere.
Ricordo il colore della sua bara in legno chiaro e l'odore di fiori nell'obitorio dell'ospedale.
Ricordo la chiesa di Sant'Ilario piena come non mai il giorno del funerale di Carlo, ricordo il suono delle parole del parroco, simile allo sciabordio delle onde del mare, ma non ne ricordo nemmeno una.
Ricordo che tante persone lessero una lettera dopo la funzione, compresa Anna la madre di Carlo. Io non ne ebbi la forza, non riuscii a mettere le parole sul foglio e comunque non volli condividere con tutta quella folla il dolore, nessuno avrebbe potuto soffrire quanto me in quel momento.
Ricordo che qualcuno liberò decine e decine di palloncini bianchi all'uscita del feretro dalla chiesa e, forse lo stesso qualcuno, fece partire un lungo applauso carico di commozione.
Ricordo i colpi di mazza quando chiusero con la malta e le mattoni il forno di Carlo.
Mi fu detto in un secondo momento che svenni mentre il custode del cimitero lanciò due spatole di cemento contro il muro di foratelle che chiusero per sempre Carlo da un lato e me dall'altro.
I mesi seguenti furono tosti, davvero tosti.
Passai settimane in casa prendendo l'aspettativa dal lavoro.
Dormire divenne impossibile anche se passai davvero tanto tempo a letto o in sala con le persiane chiuse. La mia occupazione in quel periodo diventò quella di riascoltare gli audio di Carlo per poter sentire ancora la sua voce, per poterlo sentire ancora con me.
I miei genitori e i miei amici cercarono di lasciarmi poco da solo, anche se successe una cosa davvero strana: ogni volta che mi trovai da solo cercai compagnia come un drogato cerca una dose; mentre in compagnia cercai sempre di divincolarmi per stare solo con il mio dolore.
Un giorno di fine maggio, intento a fare la spesa, incrociai nella corsia dei sughi pronti Elisa, la ex ragazza di Carlo.
Ci guardammo negli occhi per qualche secondo, poi mi fissai i piedi come Carlo quando si trovava in imbarazzo.
Elisa venne verso di me e senza dire una parola mi abbracciò delicatamente ma con decisione.
Mi abbandonai ad un pianto di dolore abbracciando la ragazza, respirando il suo profumo e godendo di quell'affetto inaspettato.
"Vieni, prendiamoci qualcosa da bere" disse lei con dolcezza, lasciando i nostri carrelli nel reparto dei sughi pronti e prendendomi la mano in direzione dell'uscita del supermercato.
Ci sedemmo ad un bar vicino al supermercato ed ordinammo due caffè. Non avevo voglia di bere quell' intruglio marrone ma per educazione accettai.
Elisa parlò senza indugi con una voce dolce ma ferma "Non ti chiederò come stai, perché so che stai distrutto. Si vede. E nemmeno ti dirò che la vita va avanti e che il tempo cura ogni ferita, sono stronzate che funzionano solo sui bigliettini dei Baci Perugina.
Stai male, ed è tuo diritto. Ma Carlo non avrebbe mai voluto che tu versassi una sola lacrima.
Forse non te l'ha mai detto, ma ci siamo sentiti dopo la nostra rottura al matrimonio di Andrea e Federica. Da amici, non pensare a male!" Aggiunse lei di fretta vedendo la mia espressione confusa. Continuò "Carlo si era sentito in colpa per come era finita e di come mi avesse abbandonato al matrimonio. Mi ha raccontato di te, di come tu lo rendessi felice. Luca, Carlo ti ha amato e mi piace pensare che ovunque lui sia questo amore sia ancora vivo. Ma devi riuscire a tornare a vivere. Devi farlo per te e per lui, che non può farlo.
È difficile, lo so. Ho perso anche io Carlo, la fine di una storia è simile al lutto. Quindi se hai bisogno di una spalla, io ci sono. Ma per l'amor del cielo, torna a vivere e basta fare la larva, altrimenti Carlo ci mena a entrambi: a te perché fai l'ameba e a me che te lo lascio fare" concluse lei con un sorriso bagnato dalle lacrime.
Le versai addosso il mio dolore che accolse in religioso silenzio stringendomi la mano.
Dopo quello strano colloquio al bar decisi che avrei reagito a quel dolore, sentii che Elisa non arrivò per caso in quella corsia di sughi pronti e che ci fosse lo zampino del mio Carlo in quell'incontro.
Anna e Guglielmo furono dello stesso avviso di Elisa, e mi chiesero di andare avanti con la mia vita, di conoscere nuove persone senza dimenticare il loro figlio. Guglielmo mi abbracciò una sera di fine luglio che decidemmo di andare a cena fuori, e mi ringraziò per l'amore che donai a Carlo.
Antonio, Elisa, i miei amici, Anna e Guglielmo e i miei genitori mi furono molto vicini e pian piano iniziai a stare meglio e a sopportare quel dolore, senza mai però dimenticarlo.
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Sistemo le rose nel vaso di marmo bianco della tomba di Carlo, passo la mano sulla sua foto ricordando quando la passavo sulla sua guancia o sul suo petto.
Fisso la sua foto, guardo i suoi occhi neri in quella fotografia e lo immagino accanto a me.
Poggio la fronte sul freddo marmo della lapide e sussurro "ti amo anche io".
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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