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A minha viagem em Lisboa (Viaggio a Lisbona)


16.06.2020 |
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"Ebbi poi una notte molto tormentata..."
Fu lungo Avenida da Liberdade che incrociai il tuo sguardo. In quel momento mi sentii completamente indifeso tanto sapesti scandagliarmi in profondità ...
Poi mi seguisti fino a Parque Eduardo VII e da lì fino al Jardim Amália Rodrigues. Fu allora che mi fermai e mi voltai.
La sensazione che fossi seguito da te mi spaventava e mi faceva piacere al tempo stesso ... Nella testa mille domande, mille perché. Il profumo dei tigli era talmente forte che era l'odore prevalente. Sulla testa un Boeing a bassa quota direzione non-so-dove ... Mi guardasti.
Fu una sorpresa per te che ti approcciai in portoghese. Avevi intuito dal mio abbigliamento, come mi dicesti tempo dopo, che ero italiano.
"Jaîme" mi dicesti fosse il tuo nome.
Eri bellissimo. Moro di capelli e carnagione olivastra. Possente, tonico.
Sotto quel paio di baffi assai folti e neri una dentatura bianca ed un sorriso disarmante.
Indossavi un paio di pantaloni di cotone beige ed una camicia a righe pallide ed a tinta sapientemente aperta a metà petto dalla quale si intravedeva un manto uniforme di pelo nero ...
Parlando e camminando arrivammo fino a Jardim Zoológico. Era tardi. Mi attendevano per cena.
Ci demmo appuntamento per il pomeriggio del giorno seguente e ci salutammo.
Difficile per me fu quella sera mantenere in compagnia un livello di attentività tale da farmi partecipare alla conversazione dei miei familiari che furono costretti a chiedermi se fossi stato preoccupato o contrariato per qualche cosa.
Seduto sui gradini dell'imbarcadero in Praça do Comércio respiravo la brezza atlantica che alimentava il moto ondoso delle acque rivierasche della foce dell'amato Tejo e ti pensai fortemente.
Ebbi poi una notte molto tormentata ... Ero a Lisbona per un meccanismo di allontanamento dal dolore. Avevo 34 anni e da poco meno di un mese avevo subito il grave lutto della morte di mio Padre.
In men che non si dica avevo organizzato quel viaggio in Portogallo con mia Madre e mio fratello minore per evitare il tormento continuo delle visite di parenti ed amici che, sebbene animati da affetto e compassione, rialimentavano più volte al giorno il dolore viscerale di quella scomparsa.
Sognai mio Padre più volte, poi te.
Eri sulla cinquantina. Virile, determinato, maschio nel fisico e negli atteggiamenti.
Allora io pesavo sessanta chilogrammi per un'altezza di 175 centimetri, I miei capelli erano rasati ai lati come imponeva lo stile del tempo. Il mio corpo senza un pelo.
L'indomani pomeriggio, quando io mi presentai a te, eri in auto nel Pavilhão dos Desportos, sotto quel magnifico azulejos raffigurante una caravella alla scoperta del nuovo mondo. Dal chiosco del "fado" la dolce melodia di "Meia noite e uma guitarra" arrivava fino al più profondo del mio cuore allentando la tensione di quell'incontro. Volevo andarmene ... ma non ce la feci.
Scendesti dalla tua auto e mi tendesti la mano. Poi cominciasti a parlare.
All'epoca il mio portoghese era poco fluente e, per capirci, decidemmo di parlare in francese dato che anche il tuo italiano era poco fluente.
Mi raccontasti della tua esperienza lavorativa in Piemonte dove avevi sostato diversi mesi lavorando in una grande industria come ingegnere e continuasti a parlare affascinandomi ogni momento sempre di più.
Quel giorno si festeggiava il settantesimo compleanno di un'icona della musica e della cultura portoghese: Amália Rodrigues. Lisbona era scintillante, in festa, piena di gente.
Mi proponesti di allontanarci in auto verso la costa atlantica ed io, forse anche avventatamente, accettai ...
Solo due ore dopo eravamo a Cabo da Roca ad ammirare stupefatti il grande Oceano. Non esistevo più. L'unico senso fu il sapore del tuo bacio.
Ti appartasti all'apice di un promontorio percorrendo una strada dove il tuo SUV a malapena riusciva a tenere la carreggiata. Mi dicesti che li eravamo al sicuro ...
D'improvviso aggiungesti "Dis donc ... il t'en faut de courage pour m'avoir suivi jusqu'ici ... Tu ne connais rien de moi. Au demeurant ... je pourrais même te tuer et personne ne le saurait".
Era vero.
D'un tratto il sangue mi si raggelò ed ebbi una paura fottuta.
Del resto, in quell'epoca, pur esistendo già i cellulari la loro diffusione era élitaria ed io non lo avevo. Mi ero allontanato sconsideratamente senza avvertire nessuno preso dalla frenesia di poter stare insieme a quell'uomo.
Sconcertato, impotente, perso, mi misi a piangere ...
Jaîme si compenetrò immediatamente nel mio spavento e subito cominciò a rassicurarmi.
Mi accarezzava la testa, il corpo e via via mi ritrovai nudo.
Lentamente anch'egli si spogliò ...
Aveva un cazzo enorme, erto e lungo. I suoi coglioni erano giganti, pieni. Il suo pube era una foresta. Era circonciso e la sua cappella debordava dall'asta possedendo un meato più grande della norma che faceva presagire l'irruenza e la grande quantità di sborra che era in grado di emettere.
Sorprendentemente mi ritrovai però in faccia il suo buco di culo che egli mi invitò a leccare.
Non lo avevo mai fatto e provavo, a quella richiesta, un senso di disgusto. Mi ritrassi.
Fu lì che lui cominciò ad essere impositivo. Mi spinse la testa in mezzo alle sue natiche e mi forzò a leccargli il buco del culo.
Così mi piacque ... Leccai il bordo del buco, torno torno, e spinsi la lingua per far cedere quella resistenza che quel buco di maschio possedeva.
Ero al settimo cielo. Quegli attimi non li dimenticherò mai.
Odori, sapori unici.
Lui emetteva gemiti di piacere sempre più frequenti e più forti fino a quando decise che era ora che io cominciassi a lavorare di bocca.
Eravamo nudi. Gli sportelli della macchina aperti.
Si sedette a bordo del sedile dal lato del passeggero e inclinato davanti a lui, ma fuori dell'abitacolo, mi piegai ulteriormente per prendere "o seu caralho" in bocca.
La sua cappella era inondata da pre-cum ed io non esitai a leccargliela ripulendo tutto.
Poi cominciai a sbocchinarlo seriamente con lui che mi spingeva fortemente la testa per farmi arrivare il suo cazzo in gola.
Lo ebbi tutto a lungo oltre l'istmo della fauci in un deepthroat indimenticabile.
Jaîme si muoveva forsennatamente scopandomi la bocca senza ritegno ed io, sottomesso al massimo, mi feci trattare come la peggiore delle troie.
Mi intrigava la situazione, mi piaceva quell'enorme cazzo, mi pregustavo quel sapore di sborra che di li a poco avrebbe riempito la mia bocca.
E cosi fu.
Fiumi di sborra mi riempirono il cavo orale mentre avevo ancora il cazzo in bocca e rivoli di liquido caldo scendevano ai lati della stessa.
Era tanta, era buona, era calda.
Poi fui spinto ancora più distante dell'abitacolo poiché egli ne discese e si mise in piedi appoggiato alla fiancata dell'auto.
Mi fece piegare all'altezza del cazzo mentre mi teneva forzatamente la bocca aperta e ... mi pisciò in bocca. Una pisciata ricca, calda, imponente. Un getto maschio che fui costretto ad ingoiare mio malgrado.
Credetti che di li a poco saremo ripartiti. Seduto sul sedile dal lato del guidatore Jaîme si fumò una sigaretta nel silenzio più assoluto.
Io, a fianco a lui, gli accarezzavo le cosce, l'inguine, il cazzo in stato di riposo.
Mi venne voglia di prenderlo in bocca in quello stato di semi-erezione e mi piegai.
Questo atto ebbe un effetto scatenante sul mio parceiro (partner) che di impeto scese dall'auto dirigendosi verso di me.
Fu in quel momento che mi posizionò semichino, a pecora, col il petto rivolto verso il sedile.
D'impeto mi aprì le natiche con le sue possenti mani e, avvicinandosi al mio buco con la sua faccia, emise consistenti sputi ...
Mi penetrò a pecora con forza e con altrettanta forza cominciò a scoparmi. Entrava e usciva con violenza, assestando di tanto in tanto, dei colpi poderosi e magistrali.
Ansimavo, urlavo, imploravo.
Mentre mi scopava allargava il mio buco distanziando le natiche e più volte oltre al cazzo sentii diverse dita intrudere il mio pertugio oramai collassato.
Fu indimenticabile il suo grido liberatorio nel momento in cui mi riempi le viscere di sborra.
Mi sentivo sfondato. Avevo il buco beante e a lungo da esso ne uscì il suo seme.
Erano le due di notte quando tornai alla Pousada. Alla finestra della stanza mia Madre mi attendeva disperata. Si era svegliata sognando mio Padre in uno stato di preoccupazione premonitrice.
Piangemmo. Lei, per lo spavento ed il dolore di un lutto recente assai grande, Io di felicità. Era il 1994 a Lisbona.
Al ritorno vissi due mesi di incubo prima di liberarmene eseguendo più tests anti - HIV, sapendo che in terra lusitana quella patologia aveva un'incidenza rilevante.
Un giorno, qualche mese dopo, cercai di telefonare a Jaîme.
Mi rispose una donna anziana.
Mi presentai come amico e chiesi di lui.
Fu a quel punto che la donna, piangente, mi disse "Jaîme se foi" ...
Da quel momento vivo nella saudade di lui e, quando ascolto "fado das duvidas", mi sento irrimediabilmente perso, disperato, solo.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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