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Un occhio molto privato - Capitolo tre
di eborgo
28.01.2023 |
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"Alzai gli occhi e incontrai il suo sguardo..."
Capitolo terzo. Che razza di amante, ha mio marito.L’acqua era tiepida, quasi piacevole in quel frangente. Stavo immerso fino alle spalle, le gambe piegate, tenendo quelle della ragazza tra le mie.
Ci avevano messo anche i sali e il bagno schiuma, mancava solo una coppa di champagne ghiacciato.
Lei stava appoggiata dalla sua parte, seria, gli occhi tristi. Se non ci fosse stata Rossana con la mia pistola in mano a tenerci d’occhio sarebbe stato un momento carino.
Il bagno era senza finestre quindi non c’era bisogno che uno di loro rimanesse li con noi. Erano in camera da letto e parlottavano. Ma questo non significava che non ci stessero con gli occhi addosso.
Posai una mano sul ginocchio della ragazza e le sorrisi. Mi guardò con i suoi bellissimi occhi neri ma non le riuscì di sorridermi.
«Come ti chiami?.»
«Nadifa.» I suoi denti erano candidi e regolari. «Il mio nome è Nadifa.»
«Io sono Matteo» dissi. «È tutta colpa mia se ci troviamo qui. Mi spiace.»
Finalmente un lieve sorriso. Era veramente bellissima, il viso, i capelli ricci, neri come l’inchiostro e quelle piccole tette dai capezzoli scuri che spuntavano dalla schiuma.
«Ti tirerò fuori di qui» mormorai, «ancora non so come ma ci riuscirò.»
Fece cenno di si con il capo ma non sembrava molto convinta della cosa.
«Che cosa ci faranno?.» Chiese in un soffio. «Perché ci hanno rapiti?.»
La sua voce era musica.
«Trafficano in merce rubata» risposi giocherellando con la schiuma, «e io li ho scoperti per caso. Stavo indagando su una storia di adulterio. Tu sei solo uscita di casa nel momento sbagliato… Dieci minuti più tardi e nemmeno ci avresti visti.»
Appoggiò la testa al bordo della vasca e chiuse gli occhi. «Sono terrorizzata» disse e il suo corpo fu scosso da un tremito. Poi tornò a guardarmi. «Grazie per quello che hai fatto prima…» mormorò. «Hai avuto coraggio.»
Le sorrisi. Ragazzi, uno cerca una bambola del genere tutta la vita e una sera te la ritrovi dritta dritta nella vasca da bagno.
«Il colore della tua pelle» dissi, «è bellissimo…»
I suoi occhi si fissarono nei miei e le sue dita toccarono le mie.
«Non lasciarmi con loro, ti prego…» Fu appena un soffio ma bastò a riaccendere la mia agitazione.
I due entrarono in bagno, il rosso con un paio di grandi asciugamani e Fabryzia con la mia pistola in mano, il cane alzato, pronto a distribuire esequie.
«Adesso basta» fece con grazia, «non siamo mica a Love Boat… Fuori dalla vasca e asciugatevi.»
Uscimmo dall’acqua e prendemmo gli asciugamani che ci porgeva Rossana. Attesero che finissimo poi il rosso acchiappò Nadifa per un braccio. «Andiamo» ordinò tirandosela dietro verso la camera da letto.
Fabryzia mi indicò la porta con un gesto della pistola. Non mi piacque come mi guardava, ma tant’è.
Entrammo in camera. Rossana stava legando le mani dietro la schiena alla ragazza. Era una scena assurda, una donna di un metro e novanta che ne legava un’altra che le arrivava a malapena al petto. Finì di stringere le corde e la spinse seduta sul letto. Prese un altro pezzo di corda bianca e venne alle mie spalle. «Dammi le mani» disse. Le misi dietro la schiena. Incrociò i polsi, cominciò a legarli assieme.
«Ti diverti, eh, rosso?» Domandai
Lui strinse più forte, strappandomi un gemito. «Ci sono tante altre cose che mi divertono» rispose beffardo, «poi te le racconto.»
Finì di legarmi e mi spinse sul letto. Ci sistemarono uno accanto all’altra e ci legarono strettamente le caviglie collegandole ai polsi in modo che non potessimo distendere le gambe.
Ci aspettava una notte di merda.
Fabryzia si fermò ai piedi del letto. «Non vi imbavaglio» disse, «ma se vi mettete a far chiasso sarò costretta a farvi male…» Si lisciò la gonna. «Cercate di dormire e fate i bravi.»
Spensero la luce e uscirono dalla stanza. Rimanemmo in silenzio. Si udivano solo i nostri respiri.
Provai a muovere i polsi ma riuscii solo a farmi del male. Quel dannato ci sapeva fare con le corde.
Cercai il corpo di Nadifa e sentii la sua pelle calda contro la mia. «Cerca di dormire un poco» sussurrai, «ne abbiamo bisogno.»
«Ci lasceranno andare?» chiese in un soffio
«Se volevano ucciderci lo avrebbero già fatto» la rassicurai. «Hanno solo bisogno di tempo per poter sparire. Sono ladri, non assassini.»
Rimanemmo in silenzio. Chiusi gli occhi e inspirai il suo profumo. Sentivo il corpo sottile contro il mio e mi venne una voglia tremenda di toccarla. Abbassai la testa e sentii i suoi capelli sul viso e sulla bocca. Pensai che potevo baciarla, che sarebbe stato facile. Ma sarebbe stato una porcata, in quel frangente qualsiasi donna avrebbe accettato.
«Ti cercherà qualcuno?» domandai, «Che so, parenti, amici, colleghi di lavoro… un fidanzato…»
Sollevò il viso e le sue labbra mi sfiorarono il mento. «I miei abitano a Roma» disse, la voce carica d’ansia, «Forse, non vedendomi arrivare, in Facoltà si chiederanno dove sia finita…» La sentii respirare accanto a me, il suo fiato tiepido sul mio petto. «Ma anche se fosse, cosa potrebbero fare?…» Sospirò.
«Non hai nessuno» chiesi, «nessuno che…?.»
Non potei finire. Le sue labbra si posarono sulle mie. Ci baciammo piano, lentamente. La sua bocca era morbida e calda.
«Adesso ho solo te…» disse in un soffio, «sei la sola persona di cui mi importi al mondo…»
Appoggiai la guancia sul suo capo. «Andrà tutto bene» dissi, «adesso cerca di dormire.» Ragazzi miei, ero cotto fradicio. Forse per le circostanze, forse perché lei era così deliziosa e spaventata…
Si aprì la porta e la luce del corridoio inondò la stanza. Lo spavento fece fare un balzo a Nadifa. Sollevai il capo e vidi Rossana venire verso di noi. Controluce si capiva solo che indossava qualcosa di lungo e morbido. Sentii le sue dita sulle corde e potei allungare le gambe. Poi mi sciolse anche le caviglie.
«Vieni con me» ingiunse tirandomi in piedi. Mi prese per un braccio e mi portò in corridoio. Richiuse la porta alle nostre spalle. Mi voltai a guardarlo. Portava una comoda vestaglia di raso color tortora, con le maniche lunghe e ampie, che gli colava addosso in morbidi e setosi drappeggi di tessuto lucido. La portava slacciata sopra una camicia da notte di seta nera, sospesa a due semplici spalline delle stesso tessuto. Ai piedi calzava un paio di sandali formati da un complicato intreccio di fascette dorate, senza talloniera e con un basso tacco a spillo. Si voltò verso di me scostando dal viso una ciocca di capelli fulvi. Aveva l’aria di una di quelle madame ricche e eleganti che nei film rosa americani passano il loro tempo in deshabille aspettando che il lattaio le venga a trombare.
Mi spinse avanti, fino alla porta aperta di un’altra camera da letto. Spense la luce del corridoio e mi fece entrare nella stanza chiudendo la porta alle nostre spalle. Mi fece appoggiare con la schiena al battente e premette il suo corpo contro il mio. Devo ammettere che il contatto con il raso lucido sulla pelle mi dette un brivido lungo e piacevole. Abbassò il capo cercando la mia bocca e io lasciai che la trovasse. Si incollò alla mia. Il primo istinto fu quello di svincolarmi dal suo abbraccio ma, cavolaccio, fui colto da un incontenibile raptus erotico e, senza fretta, schiusi le labbra lasciando che la sua lingua entrasse prepotentemente nella mia bocca. Il solo suono udibile era quello dei nostri respiri, corti e eccitati.
Sentii il suo uccello crescere lentamente sotto il raso della camicia da notte e diventare grosso e duro contro il mio addome. Prese a sfregarmelo sulla pelle mentre mi baciava, lentamente, mugolando di piacere. Passarono diversi minuti prima che si staccasse da me. Mi guardò negli occhi con aria impudente e eccitata passandosi la lingua sulle labbra umide.
Avevo il respiro corto e un po di batticuore. É sempre preoccupante scoprire che ti piacciono certe cose. Davanti a me riuscivo solo a vedere un grandissimo pezzo di figa, un po’ fuori misura, d’accordo, ma ragazzi…
Il suo sesso in erezione sollevava come un attaccapanni il tessuto lucido e nero della camicia da notte. Mi prese per un braccio e mi portò verso il letto. La stanza, per quel che riuscii a vedere nella penombra, era simile all’altra, solo un po’ più piccola. Vidi un telefono a tasti sul comodino e ne presi mentalmente nota.
Mi spinse sul letto e mi si sdraio accanto. La sua bocca si incollò di nuovo alla mia e le nostre lingue si incrociarono ancora in singolar tenzone. Sentii il raso strusciare sulla mia pelle, lo sentii morbido e setoso contro di me. Un lungo brivido di eccitazione. Anche il mio uccello era ormai in piena erezione. Lui smise di carezzare il mio corpo e lo prese in mano scorrendolo su e giù con le dita. Sentivo il suo sesso contro la coscia. Salì completamente su di me e prese a strusciarmisi addosso, sfregando il pube contro il mio addome, gemendo e mugolando, baciandomi il viso, il collo le spalle. Mi baciò ancora sulla bocca infilandomi la lingua tra le labbra e costringendomi a succhiarla per bene, poi si sollevò e ci alzammo dal letto. Si sedette sulla sponda e mi fece inginocchiare tra le sue gambe. Sollevò lentamente la camicia da notte, rivelando prima le gambe poi le cosce e liberando infine il suo uccello grande e duro. Mi mise una mano dietro al collo e mi attirò a se. La sua eccitazione era quasi tangibile, la si leggeva negli occhi, nelle narici dilatate, nella bocca schiusa. I capelli rossi gli circondavano il viso come una criniera. Mi baciò ancora, muovendo la bocca contro la mia, cercando la mia lingua, Sentivo il suo glande picchiettarmi il petto. Il sangue mi pulsava sulle tempie e cercavo di rimandare il più possibile ciò che presto avrei dovuto fare. Una vocina nella mia testa diceva “assecondali, dagli quello che vogliono, conquista la loro fiducia… distraili”.
Si staccò da me e spinse senza fretta la mia testa verso il basso. Lasciai scorere il suo glande sulle mie labbra schiuse, a destra e a sinistra, lentamente, finchè lui con un movimento del bacino non lo spinse verso l’alto penetrando nella mia bocca.
Lo feci scorrere fra le labbra, lungo e duro, lucido di saliva, sentendone contro le mucose la pelle satinata. Data la grandezza non potevo prenderne in bocca che poco più di metà, ma ogni volta, con una piccola spinta del bacino, lui cercava di spingermelo giù fin nella gola. Con le mani legate dietro alla schiena dovevo comunque accettare e accompagnare i suoi movimenti. Lo sfilò dalla mia bocca e, reggendo il glande con due dita, lo sollevò porgendone l’asta e i testicoli alla mia lingua e alle mie labbra. Lo baciai e lo leccai piano, scorrendolo su e giù, risucchiando tra le labbra la pelle morbida dello scroto, baciandola e stuzzicandola con la lingua. Lo feci gemere e mugolare di piacere mordicchiando la pelle delle cosce accanto al pube e baciandogli l’addome teso e asciutto. Con una lieve mossa del bacino spinse nuovamente l’asta tra le mie labbra. Lasciai di nuovo che scorresse nella mia bocca e l’avvolsi con la lingua.
Rossana emise un lungo gorgoglio di piacere. Alzai gli occhi e incontrai il suo sguardo. «Vedo che ti piace succhiare» mormorò eccitato, «ho anche altri piaceri in serbo per te…»
Puttana. Lo morsi leggermente, con i denti, alla radice del glande e un brivido di piacere percorse il suo corpo come una scarica elettrica. Sollevò il seno piatto carezzandoselo attraverso il raso nero della camicia da notte e inarcò leggermente il bacino spingendo a fondo il suo uccello nella mia bocca, gli occhi chiusi e le labbra umide parzialmente aperte. Mi fece succhiare per qualche istante ancora poi si alzò in piedi sfilandosi dalla mia bocca e mi tirò su con sé.
«Vieni amore» bisbigliò sdraiandosi di schiena sul letto. Mi costrinse a inginocchiarmi a cavallo del suo addome. Sentii il raso tra le gambe e il suo coso appoggiato tra le chiappe. Prese una boccetta di plastica sul comodino, si spruzzò del liquido denso sulla punta delle dita e lo spalmò piano sul suo uccello. Mi fissò beffardo negli occhi, divertito dal fatto che non potevo rifiutarmi di fare quello che voleva lui. Con lo sguardo fisso nel mio si pulì le dita con dei fazzoletti di carta, lentamente, un dito alla volta, sorridendo. Il mio coso era duro e teso davanti al suo petto, simbolo della sua totale affermazione su di me.
Mi prese per i fianchi e mi spinse leggermente indietro costringendomi a sedere sulla punta del suo uccello. Essendo un esperto trovò presto la strada giusta e il suo sesso duro cominciò subito a farsi strada nella mia pancia. Faceva un male dell’accidente, anche se lui avanzava piano, guadagnando un millimetro alla volta. Ero costretto a collaborare per lenire il dolore e questo lo mandava in visibilio. Attese che tutta la sua asta fosse dentro di me e si mise a muovere il bacino in su e in giù, costringendomi ad assecondare il suo movimento. Lo sentivo scorrere lentamente nel mio ventre, avanti e indietro mentre lui gemeva gorgogliando di piacere. Le sue dita, abbandonati i miei fianchi, si misero a carezzare il mio sesso teso, stuzzicandolo delicatamente.
In quella si aprì la porta ed entrò Fabryzia. «Mmmhhh…» sospirò vedendoci, «guarda che stronzi…»
Aveva indosso una corta vestaglia di seta molto lucida viola, aperta su una specie di sottoveste di raso nero, bordata sul décolleté e sull’orlo inferiore da una striscia di pizzo traforato. I boccoli della parrucca scura emanavano riflessi ramati alla luce dell’abat-jour.
Venne a inginocchiarsi sul letto, accanto a me e mi costrinse a girare la testa verso di lei. «Non mi avete aspettata, puttane…» gorgogliò eccitato dandomi piccoli baci sul collo.
Non era truccato ma il suo viso era tutt’altro che brutto e l’espressione eccitata dei suoi occhi la diceva lunga sulla sua abilità di seduttrice. Mi baciò sulla bocca strusciandomisi contro e si impadronì a piene mani del mio uccello, cominciando a masturbarmi con estrema perizia. La sua lingua si insinuò tra le mie labbra e si attorcigliò alla mia. Mi baciò a lungo, con foga, strusciando la sua repentina erezione contro il mio fianco nudo. Rossana eccitata dalla scena venne dentro di me. Sentii il suo sesso pulsare nella mia pancia, con sussulti sempre più lenti e distanziati. Ebbi il mio orgasmo tra le dita di Fabryzia mentre la sua lingua si faceva strada verso il mio stomaco e il mio seme si spargeva sull’addome nudo di Rossana.
Ne avevo abbastanza, ero confuso e stanco. Mi sfilai dall’uccello di Rossana con il suono di un tappo di champagne sgasato e mi accoccolai sul letto. Fabryzia si stava levando il mio seme dalle dita con dei fazzoletti di carta e parlottava con l’amico. Non sentivo nemmeno quel che si stavano dicendo. Ebbi il desiderio di scomparire, di essere a mille miglia da quel posto di perdizione indotta.
E avevo male al culo.
Fabryzia guardò verso di me chiudendosi la vestaglia di seta viola e i nostri sguardi si incontrarono. «Vorrei essere presente» disse con un sogigno, «quando dovrai dire a mia moglie che il mio amante sei tu…»
Evitai di rispondere.
Il suo sesso eretto sporgeva attraverso le falde della vestaglia. A quello ci avrebbe pensato il suo amico. Si alzò dal letto. Mi prese per un braccio e mi portò in bagno. Mi fece sedere sul bidet e mi lavò con cura, senza praticamente levare la sua lingua dalla mia bocca.
«Adesso Rossana ti riporta dalla tua amichetta» mi disse quand’ebbe finito di asciugarmi.
Uscimmo dal bagno e il rosso mi spinse fuori dalla stanza. Percorremmo il corridoio per raggiungere la porta della stanza nella quale Nadifa aspettava legata. Prima di aprire la porta mi schiacciò contro il muro e mi baciò un ultima volta, premendo il suo corpo asciutto contro il mio e carezzandomi mollemente i fianchi. Di nuovo tutto quel raso contro la pelle mi diede un lungo, stronzissimo brivido di piacere. Risposi al suo bacio lasciando che quella miriade di sensazioni attraversasse il mio corpo come una pioggia di meteoriti.
Entrammo. Alla luce del corridoio vidi la ragazza che alzava spaventata il capo per guardare verso di noi. Vedendomi si tranquillizzò e la sua bella testa di riccioli neri tornò ad appoggiarsi sul cuscino. Rossana mi fece sdraiare accanto a lei, mi legò le caviglie e le collegò nuovamente con i polsi dopo avermi fatto piegare per bene le gambe. La vidi uscire in uno svolazzo di riflessi setosi ed ebbi una stretta allo stomaco. Poi la camera ridivenne buia.
Sentivo il respiro di Nadifa accanto a me. La bellissima, dolcissima Nadifa. Mai come in quel momento desiderai sentire il suo corpo accanto al mio.
«Cos’è successo?.» Mi chiese. La sua voce era sottile, stanca e provata.
«Mi hanno torturato» mentii. «Volevano un indirizzo.»
«Mi dispiace…»
Sentii le sue labbra sulla bocca e risposi al bacio. Ebbi pure l’impressione di essere un po’ figlio di puttana.
«Comunque non gli ho detto nulla» la rassicurai.
«Hai una voce strana…» Sentii la sua pelle calda contro la mia. Un fiotto di desiderio si riversò nel mio ventre come un’onda di piena.
«Ho bisogno di sentirti vicino» dissi in un soffio, «baciami ancora, ti prego…»
Le sue labbra si posarono sulle mie. Ci baciammo più a fondo, brucando ciascuno le labbra dell’altro. Le sue erano dolci, morbide, così differenti dalle labbra grandi e sode di Fabryzia. Due universi così distanti, il lecito e l’illecito, il permesso e il proibito. La calda lana e la lucida seta.
Mi addormentai nella sua bocca.
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