Racconti Erotici > bdsm > R.F.H.
bdsm

R.F.H.


di TheDeepDive
16.09.2023    |    168    |    1 6.0
"Non strangola, no, comprime le carotidi inibendo l' afflusso di sangue al cervello e, se applicata correttamente, provoca la perdita di coscienza nella..."
[N.B. racconto di assoluta, totale fantasia.]

Il gracchiante suono della sveglia elettronica lo ridestò da un sogno nebuloso, le ultime immagini di corpi avvinghiati e l'eco di gemiti confusi svanirono rapidamente mentre le membra intorpidite riprendevano coscienza.
Dormiva poco, poco secondo i salutari standard moderni, dove dottori sovrappeso consigliavano un riposo di otto ore a notte e di prendere integratori di melatonina.
La routine della mattina procedette senza intoppi, caffè, barba, camicia pulita, cravatta, e via verso l' ufficio.
L'ufficio, si, la facciata per tutti era quella.
Quando arrivò, il capannone era immerso nel silenzio della campagna sonnecchiante, attorno a esso, il nulla per una decina di chilometri, nessuna insegna, nessuna finestra, un'unica entrata e due telecamere a sovrastarla.
Un respiro profondo riempì i polmoni di aria gelida, lo trattenne per un paio di secondi prima di espirare, lo faceva spesso, una sorta di reset fisico e mentale prima di premere il campanello su cui figurava una sigla: RfH.
Dall' interno non arrivò un suono, ma sapeva che C. era già al lavoro, e guardava attraverso gli obiettivi, sollevò leggermente il mento così da farsi riconoscere. Qualche secondo dopo, la serratura scattò.
Entrò facendosi strada in un dedalo di corridoi anonimi illuminati da neon spettrali che sfarfallavano rumorosamente, quel fremito elettrico accompagnò il rumore dei passi sicuri che lo accompagnavano fino a una stanza più grande.
Era uno spogliatoio, non molto diverso da quello che si potrebbe trovare in una qualsiasi palestra, si avvicinò a un armadietto, il suo, contrassegnato dalla lettera D. All' interno trovò, come sempre, quella che era divenuta negli anni non più una divisa, ma una seconda pelle. Un completo in tre pezzi, nero. camicia e cravatta dello stesso colore, scarpe lucide, sempre nere. Aggiustò orologio e gemelli ai polsi, e si diede un' occhiata nello specchio vicino.
Impeccabile.
Imboccò quindi la seconda porta, opposta a quella da cui era entrato, e finalmente fu nella sala principale, uno spazio enorme, asettico, vuoto se non per una scrivania, e per una serie di container disposti ordinatamente, l' uno di fianco all' altro. La ficura di C. lo accolse senza troppe cerimonie, gli occhi severi, di un verde acceso, si sollevarono dallo schermo del pc alla scrivania, come sempre.

"Ciao, oggi un solo appuntamento, ma la finestra di lavoro è ampia".

Si prese qualche secondo per osservare la figura della donna, un metro e ottanta di forme sinuose fasciate in un impeccabile tailleur nero, capelli corvini raccolti in un chignon, lineamenti affilati e taglienti, le labbra null' altro che uno spaccato, una crepa nella pelle diafana, pochi attimi di silenzio a contemplare quella creatura, prima di rispondere.

"Ciao. Si, ricordo, Olgiata, 10-19, ci aggiorniamo appena l'ho presa."

Il tono calmo non aveva sottintesi. C'era stato un momento, tra loro, anni prima, ma erano troppo simili, frammenti spaccati di uno specchio pronti a squarciarsi l' anima, erano giunti ad un rapporto amicale, sincero, e brutalmente onesto. Si avvicinò alla scrivania, la destra sfiorò il legno fino a raccogliere un mazzo di chiavi.

"Con le carte siamo a posto, si? La liberatoria la abbiamo? Il pagamento?"

Snocciolò le domande come grani di un rosario, e lei rispose immediatamente, un lampo di stizza negli occhi che si inchiodarono nei suoi.

"Con chi cazzo credi di parlare."

Lui soffocò un sorriso, e prese ad avviarsi verso il fondo del capannone.

"Mea culpa. Vado, mi rimanderesti il profilo per mail?".

Per tutta risposta a donna grugnì un assenso infastidito.
Tornò fuori e raggiunse un furgone di un bianco anonimo, come se ne possono vedere a migliaia. Lasciò scivolare la mano sullo sportello del bagagliaio, fece scattare la serratura con le chiavi e aprì per un rapido controllo all' interno. Il vano di carico era ovviamente vuoto, se non per una piccola cassetta degli attrezzi, al suo interno pochi oggetti. Tre metri di corda, american tape, un cutter.
C'era tutto.
La strada correva veloce, e poteva permettersi di guidare in maniera rilassata, era quella magica ora in cui gli uffici ormai sono già stati riempiti fino all'orlo di umanità, e il traffico era ridotto al minimo Dall' auricolare del telefono arrivava un file audio.

"Elisabetta Filosi, 45 anni, un metro e 65, 52kg, avvocatessa, pacchetto standard, ha scelto un secondo livello ma dal questionario direi che è pronta per il terzo. Si evidenzia un latente complesso di Edipo."

Annuì a se stesso mentre sullo schermo del telefono comparve uno slide show di immagini di una donna piacente, mora, occhi scuri, fisicamente curata, ma senza la maniacale ricerca della perfezione di quegli anni. Bene, una donna in carriera che ha combattuto per emergere, innamorata di papà. La voce continuò.

"Liberatoria firmata, niente clausola per video, ha dato il consenso al prelievo anche in orario lavorativo."

Aveva sentito abbastanza. Inspirò, ed espirò, iniziando a condizionarsi mentalmente all' atto.
La Bestia, così l'aveva soprannominata in gioventù. La Bestia c'era sempre stata.
Un istinto primevo che ribolliva nei meandri della mente, che gorgogliava nel petto con la furia di un animale in gabbia. Il respiro accelerò mentre la marea cremisi risaliva dal fondo, sentì un familiare formicolio agli arti, la muscolatura tendersi appena, le mani stringere e rilasciare il volante con forza, i denti serrarsi e il respiro sibilare tra di essi, gli occhi puntati sulla strada, di una fissità animale.
La Bestia c'era, ci sarebbe sempre stata.
E aveva.
FAME.
Raggiunse l' indirizzo indicato e fermò il furgone senza spegnere il motore. Uno studio associato, inserito in un dignitosissimo complesso abitativo.
Un quartiere perbene, di gente perbene.
Sapeva che la donna quella mattina avrebbe avuto un appuntamento importante in un Golf Club vicino, sapeva che avrebbe dovuto percorrere una strada poco trafficata.
Lei uscì. in perfetto orario, e lui soppesò la figura come si fa con una libbra di carne. Era bella, pantaloni chiari a vita alta e una camicia bianca sottolineavano orgogliosamente un fisico tonico, un seno alto e pieno. La vide sorridere al portiere e infilarsi in macchina, e quando lei partì lui le fu dietro in pochi attimi.

"Ti voglio trasformare In bambola gonfiabile stringerti forte, fino a farti scoppiare."

La voce dell' uomo risuonava in macchina, una cantilena che sembrava litania:

"Ti voglio trasformare, con l' acido muriatico, modellarti tanto fino a sembrare ME"

Fu un attimo, nel momento in cui furono fuori città, diede gas, la sorpassò per poi inchiodarle davanti, lei per evitare l' incidente fermò a sua volta l' auto, e quando uscì dalla macchina, lui la prese alla schiena. Il braccio destro le si avvinghiò sotto il mento, piegandosi per stringere, ancorandosi poi alla spalla sinistra. La mancina andò a far forza sulla nuca, a spingere verso l' incavo del gomito.
Mata leao.
Non strangola, no, comprime le carotidi inibendo l' afflusso di sangue al cervello e, se applicata correttamente, provoca la perdita di coscienza nella vittima in pochi secondi.

la donna si agitò per qualche attimo, ogni urlo le morì in gola e gli si afflosciò tra le braccia. Una bambola fatta di carne e ossa. Lui aveva gustato ogni secondo della sua vulnerabilità, aveva visto il seno sollevarsi freneticamente nei respiri di terrore e l'aveva vista tentare di liberarsi con tutte le sue forze senza successo. Quella paura era puro nutrimento per l'anima, era magnifica, e lui l'aveva assaporata fino all' ultimo.

Un buon antipasto.

Fu semplice caricarla sul furgone, legò mani e piedi e le passò l' american tape sulla bocca.

Sentiva l'eccitazione crescere, una fibrillazione primitiva data dalla caccia, e dall' attesa di ciò che avrebbe fatto. La strada verso il capannone era libera, e lui dette gas.

C. aveva preparato ogni cosa con una cura nei dettagli tipicamente femminile. due dei container, allineati e comunicanti, erano stati preparati per la sessione. Lui caricò la cliente ancora svenuta in spalla, e la adagiò con cura sul cemento. C lo guardò, sorniona.

"Ti sei rammollito, una volta l' avresti trascinata per i capelli"

Lui si tolse la camicia, restando in una canottiera nera, voltandosi di scatto verso la collega. Solo che non c'era nulla di amichevole, in quell' espressione.

"Vattene."

Lei non se lo fece ripetere. Sapeva che quando era in quello stato, l' uomo perdeva le più basilari inibizioni, e per lui, lei sarebbe potuta diventare benissimo un' altra vittima. Era successo, e ne portava i segni addosso. C uscì, e per un attimo fu il silenzio.

Anna iniziò a riprendere conoscenza, davanti a lei, D. aveva indossato un passamontagna, e si ergeva su di lei per il suo metro e novanta, e per i suoi novanta chili di peso. Anna urlò, iniziò ad agitarsi furiosamente preda di un terrore atavico, tanto folle che le corde ai polsi e alle caviglie scavarono nella pelle. l' uomo restò a godersi lo spettacolo per qualche attimo.

Poi sollevò un piede.

E andò a poggiarlo sulla gola della donna.

Lei si bloccò, gli occhi fissi sul volto coperto del suo rapitore, che fece una leggera pressione con le suole di cuoio sulla carne tenera,

"Ferma."

Un' unica parola, un ordine a cui lei obbedì immediatamente. Lui spostò il piede, e iniziò ad abbassarsi su di lei. Mani avide percorsero il corpo femminile irrigidito. Da una delle tasche l' uomo estrasse il cutter, fece scorrere la lama e iniziò a tagliare il cotone dei pantaloni, lentamente, perchè lei lo sentisse fare. I brandelli di tessuto vennero strappati via con un gesto di stizza, la stessa fine fecero rapidamente camicia e indumenti intimi.

Lei stava piangendo, in silenzio, senza emettere un suono, paralizzata dalla paura, reprimendo i singhiozzi nelle labbra ancora serrate dal nastro adesivo.

"Ora giochiamo"

Le parole di lui erano poco più di un sussurro, eppure rimbombavano nel silenzio spettrale del container. La destra le afferrò la mandibola stringendo con violenza il viso nella mano, portandoselo vicino, a distanza di respiro.

"Prima di stasera, mi pregherai di non lasciarti andare."

La lasciò andare con uno schiaffo, lei mugugnò una mezza preghiera, e lui, per tutta risposta, afferrò le corde che le tenevano i polsi e iniziò a trascinarla, nuda, verso uno dei container.
Al soffitto era fissato un gancio da rimorchio e lui a quello la assicurò.

La mancina andò alla guancia della donna, un gesto lento, quasi carezzevole, e iniziò a scendere verso la gola, verso il seno, dove afferrò un capezzolo, turgido di freddo e paura. iniziò a solleticarlo, a giocarci per qualche secondo.

Poi lo afferrò tra pollice e indice e lo torse senza pietà.

Lei inarcò la schiena e urlò, di dolore e sorpresa, lui non aspettava altro, la destra saettò verso la gola della donna, ad afferrare la trachea tra le dita che sembravano una morsa, la sentì annaspare mentre la tortura si spostò all' altro capezzolo, un alternanza di carezze e torsioni, stimolazione e violenza. Interruppe quel gioco per qualche istante solo quando lei ricominciò a piangere, e a mugugnare preghiere. Lui fece qualche passo indietro, gustandosi la figura martoriata, le lacrime che dal viso erano colate al collo.
Iniziò ad avvicinarsi, camminandole attorno, una spirale che aveva come centro quel corpo nudo e meraviglioso. Quando le fu alle spalle, le mani andarono alla bocca di lei, e con uno strattone liberarono le labbra dal nastro. Lei urlò, tossì, e soffocò dei conati di vomito, la voce che seguì era tremante, impastata.

"...Ti prego."

Non poteva vederlo, ma lui stava sorridendo. Fece scivolare una mano tra le sue natiche, andando ad afferrarle l' inguine, a stringerlo in una morsa.

"No, si pregano gli dei, e io per te non lo sono."

La sinistra andò a ruotarle il viso, quanto basta per poterla guardare in faccia, da vicino.

"Non ancora."

C. era stata meticolosa, e nel container vi era una ventiquattr'ore di metallo. Lui la aprì, all' interno vi erano una gag ball, delle nipple clamp, un collare di cuoio, una serie di 4 wand di diversa grandezza, e un gatto a nove code

"Oh C. Lo sai che preferisco la cintura."

Afferrò la gag ball, le clamp, e la wand più grande

"Ora veniamo a noi, avvocatessa."

Le appuntò la gag ball, stringendo il più possibile, in modo che lei non potesse non solo parlare, ma nemmeno controllare la salivazione. Le mani poi scesero al seno, forzando i capezzoli nella fredda presa d' acciaio delle pinze. Lei urlò di nuovo mentre lui applicava una catena a entrambe, reggendola nella sinistra. La destra, ora libera. avviò la vibrazione della wand alla massima velocità, forzandola tra le sue cosce, fino all' inguine, fino al clitoride, le si rivolse, viso a viso. Lei iniziò a dimenarsi, ad urlare, a chiedere aiuto mentre si dibatteva. Per tutta risposta lui diede un lieve strattone alla catena dei morsetti, il dolore della donna raggiunse un picco, e smise di muoversi per un momento

"Ora ti farò delle domande, avvocatessa, sbatti le palpebre una volta per un si, due per un no. Hai capito?"

Lei lo guardava negli occhi, in quello che cominciava ad essere un disperato abbandono, sbattè le palpebre una volta.

"Bene."

Fece pressione con il vibratore, ora completamente a contatto con la sua intimità, lei tornò a gemere, sebbene in modo...Diverso.

"Pensi di essere una brava persona, avvocatessa?"

La donna sbattè le palpebre, una volta.

"SBAGLIATO!"

E strattonò le catene tanto forte da far saltare le pinze. L'urlo della donna sembrò per un attimo quello di un animale al macello, tuttavia lui non mosse il vibratore, anzi, fece ancora più pressione, quasi iniziando a penetrarla. L' urlo divenne gemito, il gemito crebbe di intensità. I morsetti tornarono al loro posto, i capezzoli erano ormai scuri, turgidi e martoriati.

"RIPROVIAMO. Pensi di essere una brava persona, avvocatessa?"

La donna sbattè le palpebre.
Due volte.

"Esatto!"

E spinse la testa del vibratore fino a penetrarla, arrivando a sfiorarle la vagina fradicia di umori con le dita, iniziò a muovere la testa vibrante, dentro e fuori, mentre lei ancora costretta dalle corde alla sospensione iniziò a contrarsi nei primi spasmi di un orgasmo.

"Sei una piccola e patetica puttana, ti circondi di adoratori nella tua meravigliosa vita ma guardati ora! Vuoi venire, puttana?"

La donna lo fissò per qualche secondo, il seno si sollevava negli spasmi preorgasmici.

E sbattè le palpebre.
Una volta.

"SBAGLIATO!"

Altro strattone, altro urlo soffocato dalla gag ball, ma non di dolore, non solo, questa volta lui fece entrare l' intera testa vibrante in lei, per poi estrarla con violenza.

"Tu vieni quando IO ti dico di venire."

Di nuovo, la penetrò con quel surrogato, inserendolo con la violenza carnefice. E ripeté il gesto ancora, e ancora, e ancora. Per lunghi minuti la tortura continuò.

"Vuoi venire?"

Afferrò la wand vicino alla testa vibrante, e la penetrò con tanta violenza da entrare dentro di lei con la mano intera.

"VIENI."

D. estrasse il vibratore con un movimento rapido, e lei venne nello stesso istante. Gli umori della violentissima eiaculazione schizzarono sul cemento mentre perdeva il controllo di se stessa, gridando e gemendo furiosamente. Finalmente, le mani di lui andarono alle corde, facendo in modo di sganciarla dal supporto che l' aveva sospesa fino a quel momento. Le andò a sfilare anche la gag ball, voleva sentirla, voleva quella voce.

"Che cosa sei."

Questo le chiese, mentre le teneva la nuca bloccata a terra con la mancina sul pavimento gelido, e la destra passava dal solco anale alla vagina fradicia

"..Un avvocat"

Non finì la frase, lui le aveva penetrato l'ano con indice e medio della destra, senza preavviso, lei gemette di dolore.

"Che cosa. Sei."

"...Una puttana. La tua puttana."

Lui si sfilò la cintura, ne fece un cappio, si posizionò dietro di lei, e la penetrò senza pietà. Il cappio di cuoio andò a ghermirle la gola, e la costrinse ad arcuare sempre più la schiena avvolgendosi la cintura alla mano con una rotazione del polso. Ogni colpo la penetrava fino alla cervice, ogni botta la riempiva fino allo stomaco ancora e ancora e ancora fino a farle perdere il controllo del proprio corpo e rimanendo sollevata solo per via del cuoio che la costringeva, orgasmo dopo orgasmo, ad essere in totale balia dell' uomo. Della bestia.
E la Bestia non aveva ancora finito.
Quando ogni razionalità venne abbandonata, lui estrasse il membro ancora turgido e fradicio di umori, lasciandola andare. Lei evitò a malapena di colpire il suolo, ma finì sdraiata, tremante, sul cemento. Pensava, sperava di avere respiro, mentre l' eco degli ultimi orgasmi iniziava a scemare.

"Ora ti spacco in due, puttana. ORA, puoi pregare."

La voce, provata dalla stanchezza, ma ferma, le arrivò alle orecchie come una minaccia, eppure anche dentro di lei si era risvegliato qualcosa. Le mani andarono alle natiche. E le allargarono.

"Sfondami il culo. Ti prego."

Ecco. Lui non se lo fece ripetere, con movimenti felini le fu addosso, stringendole il capo in una morsa simile a quella che aveva dato inizio a tutto, solo non così stretta. Il membro ancora umido di umori scivolò dentro senza difficoltà, questa volta i fianchi di lei assecondarono ogni, singola profonda pompata, in un ritmo furioso e senza pause che andrò avanti per un tempo indefinito, fino a quando lui non avvertì montare un orgasmo troppo violento per essere ricacciato indietro, uscì da dentro di lei, contemplando il prolasso dello sfintere provocato dal sesso anale, bellissimo.

"Voltati."

Lei non se lo fece ripetere, lui la afferrò per i capelli e iniziò a penetrarle la gola.
La donna cercò di ricacciare i conati, vana speranza. Rimise con il pene ficcato in gola, senza che lui si fermasse, anzi, i colpi continuarono ad aumentare di ritmo fino al momento in cui lui non le tenne la testa nel punto più profondo della penetrazione, e affondato nella sua gola fino alla radice venne copiosamente, e lei non poté far altro che ingoiare ogni singolo fiotto di sperma.

D. Si alzò in piedi, ripulendosi, per quanto possibile con ciò che rimaneva della camicia strappata dell' avvocatessa, iniziò a tornare in se, regolarizzando il respiro.

Inspira, trattieni per quattro secondi, espira, ripeti.

Lei non si muoveva, ansimava fissando il soffitto del capannone, occhi fissi, fermi.

Lunghi minuti passarono senza che nessuno dei due dicesse una parola, il silenzio venne rotto solo dal rumore di una serratura che scattava. C. Si fece avanti, impeccabile, e apparentemente imperturbabile davanti alla scena di abuso.

"Dr.ssa Filosi, si prenda il tempo che le serve, il nostro medico le farà un check up generico come da contratto, uscendo dalla stanza da cui sono entrata troverà un bagno e abiti puliti, abbiamo già chiamato un auto per riportarla a casa."

La donna a terra, sporca di umori e vomito, annuì appena.

C. continuò, mentre D. già si avviava verso l' uscita.

"La ringraziamo per aver scelto Rape for Hire, spero di rivederla presto."

D. Uscì dalla stanza, e dietro di lui la collega lo seguì.

"Piaciuto lo spettacolo?"

"Lo so come scopi, so che lo fai per sentirti così, per liberarti. Ecco perchè hai scelto Diomede come nome."

"Ah si, lo sai?"

"Perchè contiene Dio."

Diomede sorrise, in realtà pensava all' antico eroe, ma si, perchè no? Come faceva quella canzone? Diventare una divinità/Mi consolerà.
Disclaimer! Tutti i diritti riservati all'autore del racconto - Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell'autore. Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Votazione dei Lettori: 6.0
Ti è piaciuto??? SI NO


Commenti per R.F.H.:

Altri Racconti Erotici in bdsm:



Sex Extra


® Annunci69.it è un marchio registrato. Tutti i diritti sono riservati e vietate le riproduzioni senza esplicito consenso.

Condizioni del Servizio. | Privacy. | Regolamento della Community | Segnalazioni