bdsm
La cantina
di aliceslave
02.04.2023 |
1.723 |
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"Quando finalmente il furgone si fermò, attesi ancora qualche minuto prima di vedere la porta aprirsi..."
Mi risvegliai quasi di soprassalto realizzando di essere in un locale buio ed umido e ricordando a malapena come avessi potuto trovarmi li. La mia mente era in quella fase in cui non si capisce pienamente se si tratta di una situazione da sogno oppure reale ma lentamente i miei occhi cominciavano ad adattarsi all’oscurità.
Davanti intravedevo solo una debolissima luce che filtrava da quella che sembrava una porta con delle feritoie. Il posto poteva essere un box o forse una cantina ed era del tutto avvolto in un silenzio spettrale, solo rotto da uno stridio metallico e da un gocciolio che sentivo ritmicamente.
Ne avevo già sentore per il freddo che percepivo su tutto il corpo ma quelle piccole strisce di luce che mi colpivano nel buio mi diedero l’ulteriore certezza di essere completamente nuda, considerato che mi vedevo in posizione eretta e distinguevo porzioni di pelle del petto, dei capezzoli, del bacino e delle gambe. Dalle costrizioni che avvertivo a mani, piedi e cosce, mi rendevo conto di essere stata saldamente legata, con le mani unite e protese verso l’alto ed una sola gamba verso il basso, con il piede che poggiava a malapena in terra. Ero tutta indolenzita ed Il busto era inclinato in avanti, così come il viso, mentre l’altra gamba era sospesa e tirata verso destra, con una stretta legatura sulla coscia e sul piede. Riuscivo a fare solo piccolissimi movimenti, ondulando come una trottola e percependo il dolore sordo dovuto a quella che doveva essere una corda spessa e nodosa che mi stringeva anche negli anfratti più reconditi del mio corpo.
Mentre provavo ad immaginare l’oscena posizione in cui ero e pensavo a come avrei potuto apparire in quello stato di totale degrado se il locale fosse stato illuminato, fui cosciente di avere bocca e culo prepotentemente occupati da qualche oggetto, soprattutto il culo che doveva aver subito una possente dilatazione ed era stato certamente riempito ed allargato con un oggetto considerevole. Ne intuivo le pareti perfettamente aderenti a questo corpo estraneo tanto che provavo la sensazione di essere stata sfondata in profondità oltre che in larghezza. La consistenza di quest’oggetto nel mio culo era poi sicuramente accentuata da quei piccoli movimenti ondulatori che effettuavo involontariamente con tutto il mio corpo, rendendolo se possibile ancora più invasivo e penetrante, tanto che mi sembrava di vederlo muovere, nonostante il buio, per la forma anomala che assumeva esternamente il mio ventre.
In bocca, invece, immaginavo di avere una ball gag, fissata strettamente anche lei con qualche gancio dietro la nuca, e dalle labbra avvertivo la saliva colare come una fontana. La bava finiva la sua corsa sulle tette, strette sicuramente con delle pinzette, e poi sulla gamba poggiata sul pavimento, completando quello spettacolo di umiliazione estrema e di patetica depravazione che dovevo apparire agli occhi di chi mi avesse trovata sottoposta a quel trattamento.
In quel locale, ammorbato da un potente odore di urina e sperma, ragionavo sul fatto che per essere in una situazione simile dovevo aver toccato il fondo della perversione e del decadimento, tanto che qualcuno poteva usarmi in quella maniera senza alcun rispetto e ritegno.
Tuttavia, con una lentezza ed una costanza quasi velenosa, si fece sempre più strada tra i miei pensieri l’insano convincimento e poi la certezza che quella condizione di prigionia e sottomissione mi era tutt’altro che estranea, ed anzi stava in realtà alimentando un’eccitazione che raramente avevo provato così intensa.
D’altronde mi capitava spesso di immaginare scenari di quel genere e di fantasticare, durante le mie scorribande da lurida cagna, su quando e come subire quel tipo di trattamento estremo.
Non era certo la prima volta che venivo legata, frustata ed usata con forza dal padrone e dai suoi amici, anche in posti impervi ed insoliti, anche al freddo, sotto la pioggia o nella neve, nei parcheggi o nei parchi pubblici, e sempre con il preciso scopo del Padrone di farmi provare la massima vergogna possibile, con una manipolazione del mio corpo rude e severa, al cui ricordo puntualmente trasalivo e continuavo a godere oscenamente anche a distanza di settimane, soprattutto per i segni che vedevo ancora dopo sul mio corpo. Spesso, terminate quelle sessioni di schiavitù sessuale, continuavo a cercare il piacere con ogni altro mezzo possibile e, quando la voglia mi riprendeva e non ero a disposizione del padrone, usavo sistemi e modalità inimmaginabili, che mi confermavano la mia naturale predisposizione ad essere schiava e puttana di tutti e tutto.
Mentre facevo questi pensieri tornavo con la mente a quanto poteva essere accaduto prima di trovarmi in quella condizione e così, sempre più stuzzicata e curiosa, ricostruivo i momenti precedenti alla prigionia. Erano come dei flash che mi colpivano la mente ed anche come delle frustate di goduria che mi colpivano tutto il corpo.
Quella sera il Padrone aveva ordinato di farmi trovare al cinema alle 21.00 perché doveva incontrare due suoi amici ai quali voleva presentarmi; mi raccomandava di stare attenta a servirli a dovere in tutto ciò che mi avrebbero chiesto in quel locale e di non deluderlo. Poi mi avrebbe portata in un’area di sosta lungo la strada, una zona che già conoscevo e dove normalmente mi aveva usata e fatta usare in ogni modo possibile, e quindi avrebbe completato la sessione all’aperto.
Mi aveva dato indicazioni sull’abbigliamento, limitato in realtà al solo cappotto, alle calze autoreggenti, ai tacchi ed al collare. Superata la cassa del cinema dovevo entrare in sala ed accostarmi al muro nella parte sinistra, togliere il cappotto lasciandolo cadere in terra, e rimanere da subito completamente nuda a fissare lo schermo. Lui mi avrebbe raggiunto dopo con i suoi amici ed io dovevo eseguire ogni ordine senza obiettare.
Ribadiva ancora di non deluderlo o mi avrebbe punita duramente.
Per questo motivo mi preoccupai di eseguire alla lettera tutte le indicazioni, immaginando che il Padrone ed i suoi amici mi stessero osservando ancor prima di entrare nel cinema; così alle 21.00 in punto feci ingresso nel locale. Camminai velocemente verso la cassa pagando il biglietto e pochi secondi dopo entravo nell’oscurità della sala, dove già distinguevo diverse sagome umane ed un sommesso vociare. Dopo aver raggiunto la parte indicata sbottonai e lasciai cadere in terra il cappotto, mostrandomi ai presenti per tutta la mia innata troiaggine. Restai cosi per due lunghi minuti, con il culo proteso in fuori, la bocca semi aperta e lo sguardo fisso sullo schermo dove si susseguivano le scene di una bionda sfondata da una doppia penetrazione da parte di due neri, mentre un terzo la riempiva in gola.
Cominciavo a godere mentalmente anch’io al pensiero di subire delle attenzioni simili e di essere ugualmente farcita da più cazzi quando mi arrivò un potente schiaffo sul culo. Non feci in tempo a voltarmi che me ne arrivò subito un altro ed un altro ancora, fino a susseguirsi in una raffica che, oltre al dolore, resero la mia pelle bollente e di colore bordeaux. Intanto le mani sul mio corpo aumentavano costringendomi a subire manipolazioni sul ventre, sulle cosce, e poi lo strizzamento dei capezzoli ed un allargamento estremo delle chiappe, mentre il mio culo veniva preparato con le dita a ricevere le attenzioni che meritavo.
Il primo cazzo arrivò a trafiggermi senza pietà quasi come una spada di carne. L’assalto che stavo subendo mi faceva gridare per la combinazione di piacere e dolore ma le mie urla vennero quasi subito attutite da una mano sulla bocca ed immediatamente dopo da un enorme cazzo che inizio a riempirla ed a scoparla come se fosse un altro culo. Ero in piedi, quasi piegata sulle ginocchia e con il culo verso l’alto, in parte poggiata al muro di sinistra ed in parte mi tenevo ai fianchi dell’uomo che mi stava sfondando la gola, mentre da dietro subivo la sodomizzazione profonda ed irruenta dell’altro cazzo che, nonostante le dimensioni XXL, entrava ed usciva dal mio culo senza alcuno scrupolo e difficoltà. Di certo lo aiutava il fatto che qualcun altro, dal mio fianco destro, mi teneva le chiappe oscenamente spalancate, incitandolo a sfondarmi sempre più forte e con prepotenza.
Di questa persona riconobbi ben presto la voce per quella autoritaria del Padrone e per la decisione con cui dava indicazioni agli altri su come usarmi. Ricordo che in quel turbinio di piacere provato gli fui immensamente grata per le sensazioni indescrivibili che mi permetteva spesso di provare.
Su suo ordine poi, i due si scambiarono di posizione tra il mio culo e la mia bocca, permettendomi a malapena di riprendere fiato.
Avvertivo continue fitte di dolore e godimento estremo e mi immaginavo trafitta come un sandwich, mentre il rumore degli schiaffi sul mio corpo continuava a riecheggiare in sala insieme ai miei gemiti resi rochi dal piacere. Gli altri spettatori presenti intorno non mancavano di toccarmi ovunque e qualcuno di masturbarsi e sborrare il suo piacere sulla mia schiena, peraltro spronati dal Padrone che aveva la piena regia di quella mia totale umiliazione.
Dopo una lunga serie di altri possenti colpi di cazzo, i due uomini finirono per godere dentro di me quasi contemporaneamente, inondando i loro preservativi di sborra. Quando stavano per gettarli in terra il Padrone li invitò a svuotarne il caldo contenuto sulla mia schiena, sulle spalle e sulla nuca, quindi, così inzozzata, mi ordinò di mettermi in terra a carponi con il viso poggiato sul pavimento ed il culo più in alto possibile, senza provare a muovermi.
Sebbene ancora frastornata dal piacere, assecondavo immediatamente il suo volere e rimanevo ferma nonostante i presenti intorno si stringevano a cerchio intorno a me. Fu a quel punto che il Padrone disse a tutti “GUARDATELA, E’ PROPRIO UN CESSO. ADESSO POTETE USARLA PER QUELLO CHE E’ !”
Qualcuno era già pronto e cominciava a pisciarmi addosso, altri ci impiegarono più tempo, ma dopo una decina di minuti di attesa, ricevetti sputi e diverse docce più consistenti di ogni tipo e poi pedate su chiappe, schiena e viso. Restai in terra così per un tempo indefinibile, tanto che sebbene fossi stata completamente insudiciata e impiastrata, quei liquidi mi si erano quasi seccati addosso. A ridestarmi, come un boato, fu l'ordine con cui il Padrone si rivolse a me dicendo “MUOVITI CAGNA!”, trascinandomi bruscamente per il collare verso il punto dove avevo lasciato il cappotto. Quindi lo calpestò più volte con le sue scarpe, ordinandomi di raccoglierlo e di seguirlo. Mi alzai immediatamente da terra, notando gli ultimi rivoli e gocce di sperma e piscio che cadevano dal mio corpo e mi rivestii in fretta, riuscendo appena a coprire le mie nudità con il cappotto ancora semiaperto, mentre il Padrone riprendeva a strattonarmi dal collare in direzione dell’uscita del cinema.
Arrivata in strada mi fece segno di camminare dietro di lui fino al suo furgone, ma avrei dovuto mantenere una distanza di venti passi, quindi sarei salita nella parte dietro del veicolo.
Camminai per circa 500 metri come una troia ubriaca, arrancando a causa di un tacco piegato e cercando di evitare, per quanto possibile, gli sguardi di disapprovazione dei passanti che incrociavo, fino a che il Padrone spalancò la porta posteriore di un furgone bianco parcheggiato sulla via.
Quindi, con una mano sul culo, mi spinse maldestramente all’interno dell’abitacolo ordinando di spogliarmi di tutto, compresi, calze e tacchi, e di sdraiarmi a pancia in giù sul pavimento del furgone. Si assicurò che lo facessi mantenendo la porta aperta, nonostante il freddo e qualche passante curioso. Quindi la richiuse salendo in cabina di guida.
Il viaggio durò all’incirca 15 minuti che mi sembrarono eterni per il freddo e la scomoda posizione che il Padrone mi aveva costretto ad assumere. Quando finalmente il furgone si fermò, attesi ancora qualche minuto prima di vedere la porta aprirsi. Perentorio arrivò subito l’ordine del Padrone “ESCI CAGNA E COMINCIA A CAMMINARE FINO AL PARCHEGGIO. POI INGINOCCHIATI DAVANTI ALLA PRIMA PANCHINA CON IL CULO IN FUORI !”
Tra i vari stati d’animo l’eccitazione cominciò nuovamente a prevalere dentro di me, facendomi quasi scordare quella condizione di brutalizzazione e così mi alzai uscendo subito dal furgone. La voglia di essere all’altezza delle aspettative del Padrone e l’insaziabile desiderio di godere tanto ed ancora, eclissavano il freddo pungente della notte sul corpo e sui piedi nudi.
Raggiunsi quasi subito la panchina e mi inginocchiai a carponi con il culo proteso verso l’alto in direzione della strada.
Parcheggiate difronte c’erano diverse auto ed all’interno si notavano sagome umane che si stavano godendo l’insolito spettacolo. Qualche minuto dopo giungeva il Padrone portando con se un sacchetto di nylon. Dopo averlo poggiato sulla panchina ne estrasse delle pinzette per capezzoli con dei pesi, un dildo in gomma nero di notevoli dimensioni, forse 6 cm di diametro e 40 di lunghezza, che poggiò sulla mia schiena arcata per la posizione assunta, ed un tubetto di quella che sembrava crema mani. Mungendomi come una vacca, applicò con modi ruvidi le pinzette ai capezzoli, facendoli penzolare ed oscillare dolorosamente verso il basso, poi spruzzò una massiccia quantità di crema nel solco anale ed impugno a due mani l’enorme dildo, spianandogli rudemente la strada verso il mio culo, tanto da allargarlo all’inverosimile per quella pressione costante che esercitava in tutte le direzioni.
Mi sorpresi a gridare il dolore ed il piacere che provavo con il dildo ormai conficcato quasi per metà, mentre notavo lo sguardo di approvazione del Padrone che mi stava sottoponendo a quel trattamento di sottomissione completamente nuda ed al freddo in un parcheggio pubblico, al cospetto di tanti altri uomini che probabilmente si stavano masturbando seduti nelle proprie auto.
Il Padrone, incurante di qualunque cosa, proseguiva imperterrito nella penetrazione del mio culo, sfondandolo con estrema decisione, tanto che era ormai del tutto completata. Dalla mia posizione immaginavo che il dildo non si vedesse ormai più all’esterno, sprofondato quasi del tutto nel mio culo in tutta la sua lunghezza; di questo ne ero certa perché ne notavo i movimenti sulla mia pancia che, dall’esterno, si gonfiava a ritmo delle spinte del Padrone.
Ero in piena estasi e non ragionavo quasi più per la goduria continua e per quella sensazione quasi di potere che provo nell’essere sottomessa al volere perverso del Padrone e così cominciai a gemere e quasi gridare per il piacere arrivando, grazie a quella devastazione anale, ad un orgasmo talmente violento e sconvolgente che quasi mi fece svenire e che mai mi sarei aspettata.
A riportarmi alla realtà sono stati i violenti schiaffi del Padrone su tutte le parti del corpo che aveva a disposizione, ed i suoi tuonanti insulti per aver disobbedito all’ordine di aver goduto senza il suo consenso.
Così come mi trovavo, a carponi, con le pinze ai capezzoli ed il dildo che ancora occupava ogni anfratto del mio culo, il Padrone mi trascino brutalmente via dalla panchina, strattonandomi come una lurida cagna in direzione del furgone ed a cui arrivai con le ginocchia martoriate dalla strada.
Prima che aprisse la portiera mi diede altri potenti schiaffi, qualcuno anche in viso, e poi a forza di calci sul culo ed ulteriori pressioni sul dildo con mani e scarpe infilate nel solco anale, mi fece salire sul veicolo, schiacciandomi con il piede sul pavimento, mentre inveiva verso di me con insulti di ogni tipo.
Era deluso per il mio comportamento e sembrava una furia, tanto che non perse tempo per ripartire subito, facendo ruggire prepotentemente il motore.
Io, ancora stordita da quell’esplosione di godimento animale e poi cullata dai rumori ovattati provenienti dal furgone in strada, mi lascai sopraffare da un profondo stato di torpore da cui, solo due ore dopo, mi sarei ripresa ancora più eccitata e sottomessa all’interno di un locale buio e sconosciuto.
cagna alice
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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