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LA PROFESSORESSA (STORIA VERA)


di Zagor_black
20.05.2023    |    12.529    |    11 9.1
"La hall era piena di persone mentre la musica del piano bar si diffondeva delicatamente nell’aria, per me non esisteva nessuno all’ infuori di Lei la..."
Ero nel classico periodo di stanca che periodicamente attraversavo dalle mie amanti che con libidine e perversione si sottomettevano ai miei diabolici giochi di seduzione e di dominazione che creai in un social web un profilo un po’ diverso in cui mi proponevo come sottomesso ad una Donna Dominante; più per gioco e per risvegliare in me la volontà di dominante.
Dopo un paio di chat con alcune Donne che si ritenevano Dominanti e che però mi risultarono subito noiose e pedanti, incontrai Lei: la Professoressa.
All’inizio la schernii in maniera abbastanza evidente, rimarcando il Suo soprannome con il quale si presentava. Lei con assertività, senza mai alterarsi, con un gioco di sofismi degni di un navigato filosofo, riusciva sempre a ribaltare le prese in giro che facevo di Lei contro me stesso; dimostrando che il mio gioco di finta sottomissione era invece reale.
Mi confidò che era davvero una professoressa, di lingua e cultura greca al Liceo Classico più antico e titolato d’Italia che si trovava a Venezia. Una Donna, quindi, abituata a farsi ascoltare e a farsi ubbidire dai suoi allievi. Trattava anche me come se fossi un Suo alunno; la Sua cultura superiore mi soverchiava e mi affascinava. Forse ero davvero ritornato lo scolaretto intimorito dalla figura dell’insegnante con una mente superiore.
Lentamente, malgrado le mie reticenze, mi stava portando per mano in un mondo inesplorato, misterioso e lussurioso che stava destabilizzando tutte le mie certezze.
Un paio di volte ebbi delle reazioni spropositate ad alcune Sue semplici richieste che mi aveva posto. La prima volta ci passò sopra reputando che era troppo presto per ottenere da me dimostrazioni di sottomissione, ma la seconda volta adottò la tattica del silenzio: non rispondeva più ai miei messaggi, vedevo che li leggeva ma non dava riscontro. La cosa mi faceva impazzire: in me albergavano sentimenti altalenanti di ira (le reminiscenze da dominante erano ancora vive nel mio animo) allo scoraggiamento più profondo per averla persa. Mi piaceva moltissimo quella mente così raffinata e sottilmente Dominante, sadica e dolcemente crudele. Non avevo idea di come fosse fisicamente; nel suo profilo non c’erano foto che la ritraevano; si trovavano solo immagini che rappresentavano varie scene di Dominazione Femminile molto eleganti e mai volgari; quasi tutte in bianco e nero. Lei invece conosceva benissimo il mio aspetto fisico: mi aveva chiesto delle foto a volto scoperto che le avevo mandato immediatamente; non avevo avuto però il coraggio di chiedere delle Sue immagini; speravo solo che un giorno me le avrebbe mandate.

Dopo una settimana di silenzio, alla fine cedetti alla Sua richiesta: era una semplice foto che mi ritraeva vestito in ginocchio in un atto di adorazione. Ebbi subito la Sua risposta e, nonostante fosse tagliente ed adirata, mi si aprì il cuore nel sollievo più profondo. Ora però voleva la stessa foto a torso nudo ed in un luogo aperto. Era Febbraio, è vero che a Roma c’è un clima diverso rispetto a Venezia, ma è pur sempre freddo. Non ebbi il coraggio di contraddirla per non incorrere ancora nelle sue ire. Uscii di casa e mi recai nei giardini adiacenti l’abitazione, sistemai il telefono su di una panchina, mi tolsi giacchetto, maglione e maglietta e regolai l’autoscatto del telefono inginocchiandomi ai piedi del sedile; tremavo per il freddo e per il timore dell’umiliazione che qualcuno potesse vedermi; segretamente lo speravo per aggiungere quel pizzico di eccitazione nella situazione. Mi stupivo di me stesso e dei miei pensieri. Non passò nessuno ed ebbi tutto il tempo per rivestirmi, non sapevo se esserne sollevato o dispiaciuto. Trascorsero le settimane e le Sue richieste si facevano sempre più spinte ed audaci, voleva sempre prove diverse di sottomissione nelle più svariate posizioni, finchè chiese un video molto particolare: dovevo leccare la parte superiore della tazza del water del bagno di casa mia. Quella parte dove noi maschietti facciamo sempre cadere le goccioline di urina quando la facciamo in piedi. Mi disse che era per dimostrare la mia inferiorità rispetto alla Donna che la fa seduta e non sporca; anzi da dopo di allora avrei dovuto prendere l’abitudine di non farla più da alzato. Ebbi un moto di stizza pensando: questa è matta se pensa che io mi metta a leccare la mia piscia dal cesso. Alla mia esitazione nel rispondere lei chiuse la comunicazione disconnettendosi dalla chat. Ero fregato: o lo facevo e continuavo a cadere sempre più in basso ma mantenevo il gratificante rapporto epistolare con Lei, oppure la perdevo. Scelsi la prima ipotesi; non avevo altre opzioni, tutti i miei sensi protendevano verso di Lei; stava aspirando le mie volontà con una cannuccia ed ogni giorno ne toglieva una parte sempre più cospicua. Durante il video ebbi mio malgrado un’erezione al pensiero del degrado in cui stavo cadendo: lo facevo affinchè Lei fosse contenta ed io degno di Lei. Razionalmente tutto questo non aveva senso; irrazionalmente la forte erezione ed il percolare di liquido dalla ghiandola di cowper che avevo, smentiva tutto. Mi stupii a sperare che Lei fosse fiera di me.
Appena dopo inviato il video sentii squillare il telefono: era Lei, mi stava cercando in video chiamata attraverso la messaggeria della chat. Mi sentivo liquido, le gambe non mi reggevano una morsa aveva attanagliato lo stomaco; la salivazione era azzerata, il sapore dello sporco e dell’urina riempivano ancora la bocca, mantenendo viva l’erezione. Era bellissima: capelli corvini, occhi chiari, pelle del viso bianca come il latte senza neanche una sfumatura di fondotinta; bocca carnosa disegnata da un rossetto tenue e delicato che ne esaltava la forma, zigomi alti, guance leggermente incavate, la mascella squadrata ed il mento affilato facevano trasparire le Sue origini slave. Rimasi senza fiato, balbettati un semplice:
“Signora è incantevole”
a cui Lei rispose: “Sei un grandissimo ruffiano quante volte l’hai detto alle tue amichette?” sapeva dei miei trascorsi da master.
“E’ vero l’ho detto mille volte ma non lo pensavo, era solo per conquistarle. Con Lei è diverso, lo penso davvero” ammisi senza fronzoli.
Sorrise e aggiunse: “Come ci si presenta al cospetto di una Signora?”
Mi inginocchiai senza farmelo ripetere.
Successivamente per una settimana volle diversi video in cui mi sedevo per fare la pipì e per premio mi mandò il suo numero di telefono personale pregandomi di usarlo con discrezione e solo in particolari orari serali, in cui era più libera di parlare.
Trascorsero altre settimane di foto e video vari in cui sprofondavo sempre più in basso nelle mie umiliazioni, delle conversazioni che duravano ore in cui raccontavo tutto di me, della Sua voce delicatamente sonora, leggermente roca, che mi faceva impazzire di eccitazione; finchè arrivò un giorno; o meglio il Giorno.

Una sera di Maggio qualunque per tante altre persone, per me era la Sera in cui l’avrei incontrata. La telefonata era arrivata il pomeriggio del giorno prima: “bada bene di renderti presentabile: domani pomeriggio arrivo nella tua città e voglio vederti.” Quella Sua voce che mi era entrata nell’ anima, mi scuoteva i sensi, mi faceva tremare le ginocchia.
L’albergo sapevo qual’era, si aspettava di trovarmi nella hall in attesa di Lei alle 20.30. Avevo scelto un gessato blu con camicia bianca e cravatta blu perfettamente intonata al vestito; ai piedi indossavo le Windsor Smith colore neutro stile classico.
Durante il viaggio in macchina riflettevo e ricordavo la prima volta che le avevo parlato: la Sua voce e del potere che aveva su di me: io macho italo-latino, uomo-denim che avevo frotte di femmine ai piedi, stavo correndo come un forsennato per non arrivare tardi con un mazzo di dodici rose riposto sul sedile vuoto della macchina accanto al guidatore … Se spera che io mi inchini davanti a tutti alla Sua presenza questa sta proprio fuori di testa, vanno bene ed avanzano come umiliazione i video che le ho mandato; al massimo le posso fare un baciamano come faccio alle altre, pensavo con un sorrisetto beffardo; intanto suonavo, sorpassavo a destra, maledicevo chiunque mi si potesse mettere sulla strada tra Lei e me. Arrivai con un quarto d’ora d’anticipo; poco male, pensai, ho il tempo di prendermi un caffè con calma al bar vicino all’albergo. Tracannai la bevanda tutta d’un sorso, mi scottai la lingua ma non ci feci caso; volevo che arrivasse presto il momento dell’Incontro.
Aspettai un tempo interminabile fino alle 20.30 prima di annunciarmi alla ragazza della portineria: le dissi il nome e la stanza dove alloggiava, con un sorriso che interpretai di velata complicità mi disse che stava scendendo; aveva ovviamente notato il mazzo di rose.
Erano le 20.45 e non si vedeva ancora, non osavo sollecitare la mia seconda richiesta alla receptionist. Mi accomodai su un’ampia poltrona ma dopo pochissimi minuti mi alzai, sentivo come se fossi seduto su di un tappeto di chiodi. Non riuscivo a far stare ferme le gambe. Mi imposi di calmarmi, in fondo era un’appuntamento come tutti gli altri ….. NO, disse una voce imperiosa in fondo all’anima: era l’Appuntamento. Iniziarono a sudarmi le mani mentre stringevo con tutta forza le rose, la gola arsa non riusciva a produrre una goccia di saliva per alleviarne la secchezza. Erano le 21.00 e Lei ancora non si vedeva: la mente diceva di lasciarle (da buon gentiluomo) i fiori alla reception ed andarmene via per il ritardo che stava accumulando, il mio corpo però non si muoveva da lì. Rimasi in spasmodica attesa fino alle 21.30, la mano che stringeva il mazzo. La costanza e la pazienza fu allora premiata: la vidi che usciva dall’ ascensore. Mi sembrava un sogno, indossava un tailleur dal colore primaverile molto sobrio, il suo lento e sicuro incedere metteva in evidenza le Sue stupende gambe fasciate da calze nere leggere velatissime, ai piedi un paio di decolté nere lucide tacco 12. Il trucco era delicato appena accennato, una Donna di Classe, Una Dea scesa in terra. Non riuscivo a distoglierle lo sguardo da dosso, ero completamente ipnotizzato.
Non mi salutò neanche, il suo commento fu: “Che c’è, non hai mai visto una Donna?”
Completamente inebetito con la bocca semi aperta in atteggiamento ebitoide scossi la testa in cenno di diniego: avrei voluto dirle con il mio miglior sorriso da conquistatore “una Donna così incantevole è difficile da vedere dal vivo tutti i giorni”
Ma non una parola uscì dalle mie labbra. Non riuscivo ad articolare nessuna sillaba. Le porsi le rose con un’espressione da scolaro che voleva farsi perdonare l’impreparato all’interrogazione. Lei non le guardò nemmeno, mi ordinò solo di lasciarle in portineria che al suo ritorno forse le avrebbe prese.
Eseguii diligentemente il compito assegnatomi.
Mi sembrò di vedere uno sguardo vagamente soddisfatto nei suoi occhi. Mi vedevo da fuori e mi facevo pena: sembravo uno stupido che aveva passato i propri quarantasette anni sul catalogo di Postalmarket a desiderare una donna. Invece sapevo di non essere così, ne avevo avute a decine, ma con lei sapevo che ogni artifizio della conquista sarebbe stato vano.
Mi porse la mano per essere baciata, lo feci con trasporto e passione, forse troppa; la ritrasse subito. Mi scrutò nel più profondo degli occhi e capì prima di me che ero pronto. Si avviò verso i divanetti poco distanti dalla portineria. La hall era piena di persone mentre la musica del piano bar si diffondeva delicatamente nell’aria, per me non esisteva nessuno all’ infuori di Lei la Donna-Dea che mi guardava divertita. Si accomodò voluttuosamente sul divanetto accavallando le sinuose gambe ciondolando indolentemente e pigramente il piede giocando con la scarpa. Non avevo il coraggio di sedermi, aspettavo un Suo cenno, che però non arrivava. Avevo lo sguardo interrogativo da povero ragazzo di campagna. Mi guardò godendosi il momento. Sapeva meglio di me che avrei fatto qualunque cosa pur di assecondare i Suoi desideri.
“E allora sto aspettando; come si saluta una Domina?” disse in tono tra il divertito e l’autoritario pur mantenendo una inflessione molto garbata e dolce. Sporse leggermente il piede della gamba accavallata verso di me.
Era quello il momento in cui mi arresi senza più difese, il resto non contava più nulla, il piano bar, le persone nella hall, la ragazza della reception (che forse aveva già capito dove la Ella voleva portarmi e che guardava con un misto di eccitazione ed ammirazione Lei: la Dea-Donna); spogliai l’anima di tutte le finzioni, di tutti gli stereotipi, di tutte le corazze che mi ero creato e caddi in ginocchio adorante di quel piede che magnanimamente mi si offriva. Mi sentivo rinascere a uomo nuovo finalmente libero di esprimere pienamente me stesso e le mie pulsioni, abbandonarmi a Lei: la Dea-Donna Padrona di me. La resa totale ed incondizionata che sarebbe stata solo ed unicamente per Lei, l’Eletta colei la quale aveva preso la mia Mente, la mia Anima e l’avrebbe custodita tra le cose più preziose che potesse mai avere.
© ZAGOR_BLACK


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