bdsm
Greta
di AleBi
06.06.2024 |
4.170 |
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"Accanto ad essa è appoggiata una rosa: è un po’ rovinata, ma ancora viva e forte, e bella, come te..."
Infili una mano nella borsetta alla ricerca delle chiavi di casa. Vai decisa e diretta verso la prima tasca interna e le trovi lì, accanto al portafoglio, come sempre: la tua meticolosità non lascia scampo a nulla, o quasi. Non ami perdere il controllo, non ne sei mai stata capace nemmeno da ragazzina. Tre giri nella toppa, una carezza al micio bianco che ti raggiunge affettuoso per darti il bentornata – o forse per rivendicare la sua dose di croccantini -, poi ti sfili gli stivaletti e li abbandoni vicino all'ingresso, facendo planare sul divano le chiavi e la borsa con il laptop del lavoro.Ti spogli in fretta e, dopo aver tastato la temperatura dell’acqua, ti lanci sotto la doccia. Quando il getto caldo raggiunge il tuo volto, sospiri nel tentativo di dar pace ai tuoi imperterriti pensieri: quelli non hai mai imparato a controllarli. È il tuo pegno da pagare, perdere la lucidità della tua mente in cambio di un’illusoria, ma confortante, sensazione di controllo sulla tua vita e su ciò che ti sta attorno. L’acqua scaccia via tante cose Greta, lo sai, o forse, ingenuamente, sei arrivata a convincertene qualche anno prima, quando ti sei sentita sporca e hai voluto cancellare quelle tracce dal tuo corpo, pensando che tale consuetudine fosse sufficiente per vedere svanire anche le colpe che avevi voluto saldamente ancorare alla tua anima. I pensieri, però, nemmeno l’acqua è riuscita a scacciarli mai.
Allunghi lateralmente una mano per prendere l’accappatoio, mentre l’altra si abbassa in cerca dello smartphone che avevi lasciato appoggiato sul tappetino davanti alla doccia. Apri l’app e rileggi quel messaggio, ora adornato dalle goccioline d’acqua e vapore lasciate sullo schermo dal tuo indice.
“Ore 19. Solito posto. Terza sessione, dolce Greta”.
Leggi e rileggi, come a voler cogliere qualcosa fra le righe, come a voler imprimere quelle lettere nella tua mente per sempre. Non sai cosa ti aspetta e, assieme ad un leggero fremito, ti assale quella sensazione di eccitazione mista a timore, più di te che di lui, più della tua mente che della sua, nonostante tutto.
Ti guardi allo specchio e, mentre osservi imbambolata il labbro inferiore, raccogli una ciocca di capelli ramati fra le dita. La arrotoli, giocandoci, seguendo la sua onda naturale. Per un attimo tentenni, ma poi ti convinci a lasciarli asciugare da soli: prenderanno quell’effetto mosso che sa d’estate, pensi, che sa di libertà.
Indossi una goccia di Fragonard sul collo per esaltare la tua raffinatezza, assieme all'elegante lingerie di seta e pizzo che il tuo padrone ti ha fatto recapitare in ufficio qualche giorno prima. Infine, opti per un abito leggero e colorato per contrapporre un’immagine fresca al nodo di tensione che senti in gola, calzi dei sandali rosa ai piedi e ti avvii verso la nuova strada che hai scelto per te.
Il cigolio del vecchio legno di noce che scricchiola sotto i tacchi annuncia il tuo arrivo in cima alla scalinata. Apri la porta dell’ingresso rimasta accostata e ti ritrovi davanti la stanza semi buia che stai imparando a conoscere, un’oscurità smorzata soltanto da un fascio di luce che entra dalla lieve apertura fra le ante socchiuse. L’odore di rustico e di campagna avvolge le tue narici, portandoti d’istinto a chiudere gli occhi e respirare più profondamente per aggrapparti ai ricordi che esso ti scatena. Poi il profumo del legno lascia spazio al sentore del cuoio che si impossessa della tua mente e la scalda, così come qualche settimana pima aveva fatto con la tua morbida pelle.
Apri gli occhi e procedi, finché a piccoli passi la forza delle tue gambe un po’ insicure ti conduce alla sedia sistemata al centro della stanza. Sopra di essa un pacchetto e un biglietto: “indossala”.
Raccogli quel tessuto fra le mani: è morbido e scivoloso come la seta, rosso come la vita che ancora ti scorre nelle vene. Tendi la benda e la porti davanti agli occhi, serrandola con un piccolo ed elegante fiocco dietro la nuca, poi sbottoni l’abito lungo la schiena, facendolo scivolare ai tuoi piedi, lo superi con un passo felino e sensuale e ti accomodi sulla sedia, composta come ti è stato insegnato, in trepida attesa.
Percepisci il tempo che passa, ma nulla intorno a te può aiutarti a scandirlo e solo il fruscio dei grilli attorno al casolare e l’aria fresca che entra dalla fessura della finestra ti fanno compagnia. Poi d’un tratto senti un suono lontano che ti sorprende e che interrompe il flusso dei pensieri. Dei passi raccolgono la tua attenzione, e poi di nuovo quel rumore. Altri passi, questa volta molto vicini, ti raggiungono assieme ad un respiro che percepisci ora all’altezza del tuo ventre e ti fa intuire che qualcuno si è inginocchiato di fronte a te. Le dita sfiorano con discrezione la tua caviglia, poi lentamente salgono. Senti gli umori che aumentano e bagnano il pizzo delle mutandine e istintivamente, ma con un movimento quasi impercettibile, serri le cosce, nel timore che il padrone possa scoprire subito quello stato lussurioso e decidere di punirti per non aver ancora imparato a controllare il tuo desiderio.
È troppo tardi: quelle mani raggiungono il filo di seta che ti cinge la vita e lo conducono a terra, mentre tu accompagni quel movimento con una lieve e rassegnata alzata di bacino. Poi le dita risalgono risolute e, arrivate alle ginocchia, ti spalancano le cosce su cui qualche gocciolina delle tue voglie aveva già iniziato a scorrere. Stringi forte gli occhi e trattieni il respiro, ma con sorpresa quelle mani riscendono subito alle caviglie e procedono poi a legare ognuna di esse con una corda tesa ai piedi della sedia.
Il respiro si sposta e arriva ora sopra di te, così vicino al tuo volto da riuscire ad intuire che il profumo di quella pelle non è quello che conosci bene, non è quello del tuo padrone. La tua mente scatta, cerca una rassicurazione, una logica, mentre quelle dita si insinuano fra i tuoi capelli, scendono lungo il collo, si intersecano nello spazio della clavicola e infine arrivano al solco del tuo seno. A quel punto il tatto perde delicatezza e senti quelle mani sconosciute che con forza e decisione afferrano le coppe portandole fuori dal reggiseno per stringerle poi con vigore. Sospiri, mentre la presa poco dopo viene lasciata.
Per qualche istante non senti più alcun movimento attorno a te, poi di nuovo quel rumore, che questa volta, però, riconosci bene: è il suono di uno scatto fotografico, seguito da quello dei passi che si allontanano, e poi dal silenzio che torna ad intrecciarsi ai tuoi pensieri.
Questa volta la solitudine ti concede poco tempo per rielaborare. Qualche minuto più tardi senti la voce calda del padrone che ti sussurra un “mi sei mancata” all’orecchio e le sue labbra che ti stampano un leggero, ma lungo, bacio all'angolo della bocca. La dolcezza di quel contatto scalda ogni tua emozione e fa sparire per un attimo tutte le tue paure.
Un piccolo brivido, però, ti percorre la schiena quando percepisci appoggiarsi al tuo ventre qualcosa che subito non riesci a riconoscere. È fresco e delicato al primo tocco, ma graffiante nei suoi movimenti appena dopo, è capace di cullarti, ma di farti stare in allerta nello stesso momento. Stai lasciando correre a mille i tuoi pensieri, quando all’improvviso quel contatto si allontana leggermente dal tuo addome e vi ritorna subito dopo sferrato da un colpo fermo, facendoti trasalire e urlare.
La mano del tuo padrone si fionda allora prontamente sulla tua bocca, la tace e poi ti colpisce con un piccolo schiaffo per ricordarti che hai la forza di resistere, che puoi sopportare il dolore se solo ci provi. Poi ti accarezza il volto con una carezza, laddove poco prima aveva sferrato la sua durezza. Deglutisci e annuisci con un impercettibile accenno per far comprendere a te stessa che hai tu il controllo del tuo corpo e della tua mente, che al dolore puoi rispondere con nuove emozioni, che puoi affiancargli un ricordo diverso.
I colpi riprendono a graffiarti la pelle vellutata, prima sulle cosce, poi sul seno, e quel profumo, ora più vicino al tuo viso, inizia a rendersi familiare. È una rosa quella che raggiunge le tue labbra: i suoi petali le accarezzano con delicatezza, poi vengono accompagnati lentamente giù lungo il collo, fra i seni, sopra il ventre già esplorato. A quel passaggio trattieni con più difficoltà i tuoi sospiri: senti le spine che sfiorano la tua carne già punita, ancora bruciante, e serri con forza i pugni aggrappati ai lati della sedia. Non fai in tempo, però, a soffrire quel dolore, perché la tua mente in un lampo realizza il percorso e comprende, portandoti a socchiudere le labbra in un’espressione di stupore. Poco dopo quella rosa, con i suoi petali e le sue spine, con la sua dolcezza e la sua durezza, raggiunge la tua, che nonostante tutto ha continuato inaspettatamente in tutto questo tempo a manifestare il suo bisogno di appagamento e il tuo struggente desiderio.
Un solo colpo le viene destinato, poi il tuo angelo vi si avvicina e ne bacia i graffi ancora caldi, mentre le sue dita entrano dentro di te e ti conducono a scoprire quanto può essere intenso e totalizzante il piacere che rinasce dalle ceneri di un dolore. Il calore si irradia in tutto il tuo corpo, le tue mani stringono il suo capo in una riconoscente carezza e i muscoli si tendono per poi sciogliersi assieme al tuo respiro. Stai recuperando le energie perse nel tuo orgasmo, mentre senti liberare la stretta alle caviglie e la sua mano prendere la tua per accompagnarti nella stanza affianco e farti distendere sul letto.
Il suo corpo si adagia sopra il tuo ed entra dentro di te. Quell’uomo, che sembra conoscerti più di te stessa, ti possiede con impeto e intensità e, mentre scioglie la benda liberando il tuo sguardo, la sua voce ti sussurra all’orecchio i modi più crudi, ma vivi, con cui ti farà sua, ancora e ancora.
Il suo sguardo e il suo pollice sfiorano con cura il tuo labbro inferiore, passando sulla ferita ancora visibile. Nel tempo si è scoperto a bramare le tue labbra, a renderle sue in ogni modo possibile e immaginabile, si è ritrovato ad invadere la tua bocca con la lingua, con le dita, persino con i denti, fino a farla talvolta sanguinare. Un nuovo morso raggiunge ora la traccia ancora gonfia e dolorante di quello da lui lasciato qualche giorno prima: un dolore volto a mostrarti la potenza di ciò che siete insieme, a farti capire quanto puttana vuole che diventi per lui, necessario per ricordarti che hai scelto di appartenergli.
Si discosta da te e afferrandoti poi per i capelli ti fa voltare e sdraiare nuovamente supina, facendo in modo che la tua testa possa ora inclinarsi all’indietro appoggiando sul bordo del letto. Spinge il cazzo nella tua bocca e la possiede fino a raggiungere la tua gola con il suo gettito caldo, mentre sei immobilizzata sotto di lui, dal suo corpo e dalle sue mani, dalla tua mente e dal tuo desiderio. Ora sei esattamente dove vorresti essere, piccola grande Greta.
Si china verso di te, ti regala un sorriso accompagnato da un tenero bacio sulla fronte, cerca i tuoi occhi per qualche interminabile minuto e poi si distende al tuo fianco, cingendoti fra le sue braccia.
Quando ti risvegli nel cuore della notte, ti scopri sola. Ti concedi ancora qualche attimo per rilassarti e ricordare le ore passate e, di tanto in tanto, ispiri il suo profumo, rimasto sulla tua pelle, fra i tuoi capelli, nell’aria. Vorresti poterlo tenere sempre con te, avere la possibilità di non scacciare mai via quell’odore dal tuo corpo.
Ti persuadi ad alzarti e torni nell’altra stanza per raccogliere le tue cose, ma una volta lì vieni distratta da una carta abbandonata sopra la sedia. È una foto: ritrae te bendata, mezza nuda e a gambe spalancate che aspetti di diventare sua, che attendi di rinascere. Accanto ad essa è appoggiata una rosa: è un po’ rovinata, ma ancora viva e forte, e bella, come te. Una sola lacrima ti scorre sul volto, raggiungendo così la serenità del tuo sorriso. Prendi la rosa fra le dita, la osservi e decidi senza esitazione che questa volta la porterai con te, mentre ti avvii verso l’uscita e chiudi la porta alle tue spalle.
È ora di tornare a casa, Greta. È ora di ricominciare a vivere.
“Tu, bambina e donna alle prese coi tuoi rimorsi. Come le rose a novembre, tu trova forza all'interno, è li che trovi la forza per insegnare a un maestro. E vorrei dipingere insieme a te parole per vivere, se vita in te poi non c'è.”
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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