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Con la schiava al ristorante sul lago di garda 1


di Membro VIP di Annunci69.it padrone29
01.05.2023    |    2.764    |    3 9.5
"Pietro mi ringraziò, prese la salsa e la spalmò lentamente sul suo capezzolo sinistro..."
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Sabato ordinai alla mia schiava di indossare una gonna corta con mutandine di pizzo, camicia abbottonata senza reggiseno e un paio di scarpe con i tacchi alti. Avevo deciso di portarla a cena in uno dei miei ristoranti preferiti.

Il ristorante da Franco sul lago di Garda era sempre stato una delle mete che frequentavo con maggiore piacere. Non era un ristorante esclusivo, ma si rivolge a coloro che ricercano la privacy, quindi dopo aver prenotato con largo anticipo decisi di portare la mia schiava a mangiare qui.

Arrivammo verso le otto, il cameriere ci accompagnò in uno dei tavoli più riservati e intimi del ristorante che si trovava nel retro. C’era un’illuminazione incassata nel soffitto che poteva essere abbassata in modo che le candele sul tavolo producessero la maggior parte della luce, sebbene non fossero state abbassate. Il tavolo era di pregiato legno di ciliegio, fissato al soffitto con un palo sottile al centro, invece che su un piedistallo sul pavimento. Le finestre davano una bellissima vista sul lago. Quando eravamo seduti, potevamo vedere solo un altro tavolo in tutto il ristorante, a circa tre metri di distanza.

Arrivò un cameriere e dopo essersi assicurato che fossimo a nostro agio lasciò la carta dei vini. L’uomo si chiamava Marco era uno dei camerieri storici di quel ristorante con cui negli anni avevo sviluppato una bellissima amicizia e avevo richiesto espressamente che fosse lui a servirci. Dopo che se ne andò con la nostra prenotazione per il vino, mi avvicinai alla schiava e iniziai a sbottonarle i bottoni della camicia, sistemandola in modo che questa coprisse appena appena i capezzoli.

Il cameriere fece un sorrisetto di approvazione, quando tornò per servire il vino ad entrambi.

La schiava in realtà non fu molto imbarazzata in quanto Marco l’aveva vista nuda già diverse altre volte e mi disse che presto avrebbe servito gli antipasti. Poco dopo arrivò un mio vecchio amico che avevo convocato per la serata che si sedette nel tavolo più vicino, facendomi un cenno col viso. La schiava arrossì leggermente vedendo come l’uomo osservava il modo in cui era vestita.

Il cameriere tornò servendo un cocktail di gamberetti. Mi piace come servono il cibo in quel ristorante. I gamberetti venivano serviti in un grande bicchiere da margarita (è un cocktail messicano per chi non lo conoscesse), il fondo pieno di ghiaccio con strati di lattuga in cima, la salsa cocktail al centro con 12 gamberi grandi appesi a metà sul lato. Adagiato sul fondo del bicchiere c’era un bel garofano color violaceo e un cucchiaino molto piccolo, ma decorato.

Raccolsi il garofano, avvicinandomi alla schiava e feci avvicinare lo stelo verso l’orecchio sinistro dicendo che era un bel fiore per la mia schiava.

Mi sorrise prontamente, avvicinando le sue labbra alle mie per ringraziarmi. Mentre mi appoggiai all’indietro, le scostai la camicia fino a denudarle una delle tette. Non era sicura che l’avessi fatto apposta, ma il mio sguardo le chiarì che era così. La schiava cercò di non agitarsi e di lasciare la maglia così com’era, ma i suoi occhi andarono verso l’uomo all’altro tavolo per vedere se aveva notato la cosa. Arrossì quando questi le rivolse il bicchiere in segno di ringraziamento.

Il suo sguardo tornò prontamente verso di me, che presi il cucchiaio, intingendolo per un po’ di salsa cocktail spalmandola sulla tetta che ormai era scoperta. La schiava fece un profondo respiro mentre la salsa fredda faceva indurire il suo capezzolo. Arrossì ancora di più quando presi un gambero, mi chinai e succhiai via tutta la salsa con una lunga e costante boccata. Ridacchiai alla sua reazione tremante, poi mi voltai e vidi l’uomo alzare di nuovo il bicchiere in segno di approvazione. Proprio in quel momento, il cameriere tornò e gli dissi che i gamberi erano ottimi, ma che sarebbe stato il caso di controllare se la schiava si stesse divertendo. Marco ringraziandomi, mi disse che era un onore, si inginocchiò e si infilò sotto il tavolo, spostandosi tra le gambe della schiava, la quale divenne rossa dalla vergogna vedendo che l’uomo seduto di fronte a noi la osservava, ma fu ancora peggio quando Marco si allungò facendo scorrere le mani sulle sue cosce fino alle sue mutandine. Sentì le mutandine muoversi sulle sue ginocchia e infine sui suoi piedi. Marco si alzò di nuovo, mettendo una mano su ciascun ginocchio e allargando le sue gambe. Rimase senza fiato quando sentii la sua lingua scorrere tra le labbra della sua figa, trovando il suo clitoride in cima e sentendo i suoi denti iniziare a mordicchiare.

Marco stava succhiando il clitoride della schiava nella sua bocca, la sua lingua talentuosa la stava stuzzicando finché non urlò per l’eccitazione. Succhiò ancora più forte, la sua lingua scorreva più veloce sul clitoride gonfio della schiava. Stava facendo del suo meglio per trattenere i suoi gemiti di piacere, ma diventava per lei sempre più difficile trattenere l’orgasmo tanto che alla fine mi chiese il permesso di godere che accordai.

Indietreggiando da sotto il tavolo, Marco si alzò di nuovo, sorridendomi da un orecchio all’altro dicendomi che effettivamente la schiava si stava divertendo e di ringraziarmi per quello che gli avevo concesso di fare.

Io gli risposi dicendo che il mio vecchio amico che era seduto di fronte a noi avrebbe apprezzato le mutandine della mia schiava e gli chiesi di consegnargliele.

La schiava arrossì furiosamente quando l’uomo abbassò lo sguardo sulla sua figa luccicante, si portò le mutandine al naso e inspirò profondamente. Lei stava ancora guardando l’uomo mentre mi allungai, spostai un po’ di insalata nel bicchiere da cocktail, presi un pezzo di ghiaccio, poi spostai la mano tra le sue gambe. Trasse un profondo respiro, mentre facevo scorrere il ghiaccio sul suo clitoride, tra le sue labbra, e lo spingevo dentro la sua figa calda. La schiava rabbrividì vedendomi usare il cucchiaio per prendere altra salsa cocktail e spalmarla di nuovo sul suo capezzolo. Dopo aver mangiato i gamberi e aver succhiato la salsa dal suo capezzolo, presi un altro pezzo di ghiaccio e feci la stessa cosa di prima. La schiava non riusciva a fermare la piccola pozzanghera d’acqua che si stava formando tra le sue gambe a causa del ghiaccio che si scioglieva.

Mi rivolsi al mio amico che stava seduto nel tavolo di fronte a noi che si chiamava Pietro, se volesse unirsi a noi. Certamente rispose, alzandosi dal suo tavolo raggiungendoci. Lo presentai alla mia schiava dicendole che era il proprietario dello sexy shop in centro a Riva del Garda.

La mia schiava si rivolse a lui dicendogli che era un piacere conoscerlo. Lui rispose che il piacere era tutto suo e che avevamo messo in scena un bello spettacolo che lo stava divertendo molto. Il rossore negli occhi della mia schiava si intensificò ancora di più, ma lo ringraziò per i complimenti.

Presi un cucchiaino e lo porsi a Pietro chiedendogli se volesse dei gamberetti. Ripresi il cucchiaio mi allungai e scoprii l’altra tetta della schiava.



Pietro mi ringraziò, prese la salsa e la spalmò lentamente sul suo capezzolo sinistro. La schiava rabbrividì leggermente per l’indurimento del suo capezzolo, gemendo forte quando le sue labbra si chiusero su di esso per succhiarlo. Credo che sia il miglior gambero che abbia mai mangiato in vita mia ti ringrazio sei un vero amico mi disse.

Sorrisi, presi un altro pezzo di ghiaccio e lo spinsi nella figa, poi iniziai a chiacchierare con Pietro. A turno mangiavamo gamberi e succhiavamo la salsa dai capezzoli, con io che mi spingevo un pezzo di ghiaccio nella figa della mia schiava ad ogni boccone.

Anche se i cubetti di ghiaccio erano piccoli, stavamo mangiando i gamberetti a una velocità che non permetteva al ghiaccio di sciogliersi completamente dentro la figa della schiava prima che un altro venisse spinto dentro, i suoi capezzoli erano durissimi.

Mentre il cameriere iniziò a portare via il carrello, lo fermai chiedendogli di aspettare un attimo. Chiesi alla schiava di togliersi la camicia, cosa che fece e la consegnai al cameriere affinché potesse tenerla per ricordo.

La schiava era molto allarmata, mentre il cameriere si avvicinò temeva infatti che non avrebbe più riavuto la camicia, temeva che l’avrei fatta uscire dal ristorante in topless. Certo si trattava di un ristorante frequentato da persone per lo più progressiste, ma non si sapeva comunque cosa avrebbero potuto pensare vedendola uscire in topless.

Si trattenne però dal fare domande, mentre io le porsi un tovagliolo per pulire la pozza d’acqua che si era formata tra le sue gambe. Dopo che finì di pulire l’acqua, tirai fuori dei morsetti per capezzoli collegati da una catenella. Erano del tipo con i dadi per regolare la pressione, ma avevo tolto i dadi per far sentire tutta la forza dei morsetti. La pressione sarebbe stata notevole, ma la plastica che ricopriva i denti non le avrebbe tagliato la pelle. Mi chinai e stuzzicai il capezzolo destro, facendolo indurire prima di attaccare la pinza. Gemette dolcemente per la pressione, con un formicolio che le arrivava fino al clitoride. Porsi poi l’altra estremità del morsetto a Pietro.

Questi prese il morsetto, si avvicinò e le pizzicò il capezzolo sinistro. Quando la pressione delle sue dita aumentò, la schiava alzò gli occhi verso i suoi. Lui fece un sorriso complice e pizzicò più forte, attaccò la pinza a quel capezzolo, dando uno strattone deciso alla catena. La schiava inarcò la schiena, mordendosi il labbro, il piacere e il leggero dolore si scontravano, facendola gemere di nuovo.

Pietro mi disse che la mia schiava aveva veramente dei bei capezzoli, e anche le sue reazioni erano piuttosto piacevoli,

Allora ripresi a mangiare. La schiava prese un pomodoro ciliegino e lo addentò, adorandone il sapore. Dopo qualche altro pomodoro, prese un’oliva. appoggiando l’estremità aperta alle labbra, succhiando per far uscire l’osso. la schiava arrossì leggermente quando le sue labbra emisero un rumore di risucchio molto forte, facendo sì che entrambi ci girammo a guardarla.

La schiava si scusò prontamente dicendo che non voleva essere così rumorosa. Ridacchiammo entrambi e le dissi che non c’era problema, ma dato che aveva bisogno di qualcosa da succhiare poteva prendere il cetriolo e succhiarlo come fosse il mio cazzo.

La schiava arrossì ancora di più e prese il cetriolo, portandolo alle labbra. Diede un leggero bacio all’estremità, poi fece scorrere la lingua intorno ad essa in lenti cerchi. Quando fu bagnato, ne spinse un po’ tra le labbra, facendo di nuovo il rumore di risucchio mentre lo tirava fuori. Non volendo alzare lo sguardo, sapendo che entrambi la stavamo guardando, si concentrò sul suo compito. Facendo finta che il cetriolo fosse il cazzo del suo padrone, cominciò a pomparlo più a fondo nella sua bocca. Quando cominciò a toccare la parte posteriore della gola, cercò di rilassarsi diede qualche altro colpo, spingendo più forte. Il cetriolo le aprì leggermente la gola, ebbe un conato di vomito, lo tirò fuori rapidamente e deglutì. Riprovò con lo stesso risultato, desiderando ardentemente di ingoiare l’ortaggio, ma rendendosi conto che l’estremità era molto più grande di un cazzo, questo le sarebbe stato impossibile.

Cambiò quindi tattica. Afferrando più saldamente il grosso cetriolo, iniziò a metterlo in bocca come stesse scopando con esso. Lo muoveva lentamente e sensualmente dentro e fuori, lasciando che vedessimo le sue labbra e la sua bocca tendersi a ogni colpo. Si sedette un po’ più dritta, facendo sì che le sue tette si spingessero in avanti e la catena dei capezzoli ondeggiasse mentre gemeva intorno al cetriolo. Mi avvicinai e cominciai a strattonare la catenina, trasmettendo altre sensazioni di formicolio alla sua figa. Più tiravo forte, più velocemente si scopava la bocca con il cetriolo. Tiravo abbastanza forte da far sì che i morsetti cominciassero a scivolare lungo i suoi capezzoli, più si avvicinavano all’apice, più facevano male. Cominciò a mugolare, ma continuò a scoparsi la bocca con forza, anche se le labbra cominciavano a farle male per la tensione così ampia. Diede un sussulto e un guaito di dolore quando le pinze si staccarono dalla fine dei suoi capezzoli.

Mi complimentai dicendo che era stata molto brava, ma ora doveva passare a Pietro il cetriolo e girarsi in modo che la sua figa fosse a sua disposizione, inoltre doveva aprire molto bene le gambe

Tolse il cetriolo dalla bocca per rispondere che mi avrebbe obbedito. Girandosi verso Pietro gli porse l’ortaggio, muovendo le dita in modo che potesse afferrare l’estremità secca. Si girò sul sedile sollevò la gamba sinistra sul cuscino in modo che toccasse lo schienale. Tenendo il piede destro sul pavimento, si appoggiò allo schienale, sostenendosi sui gomiti. La sua gonna era già stata sollevata dalle attenzioni di Marco; quindi, tutto ciò che doveva fare era muovere la gamba destra per essere sicura di essere il più aperta possibile.

Pietro si abbassò e cominciò a esplorare le sue labbra e le sue pieghe, mentre le sue guance diventavano di una leggera tonalità di rosa. Spostò le dita verso l’alto e le pizzicò il clitoride. Al suo gemito sommesso, lasciò la presa e lo colpì con forza, facendola sussultare e sobbalzare leggermente. Spostò il cetriolo con l’altra mano e la sentì spingere sulla sua figa. Pietro era implacabile, lo spinse più a fondo; non si trattava di spingerlo dentro e tirarlo fuori, ma piuttosto di usare la sua forza per fare il lavoro.

La schiava gemette con forza, il cetriolo era a metà strada quando le tirai le braccia per farla stendere sul cuscino. Mentre Pietro continuava a spingere con forza, riattaccai morsetti ai miei capezzoli doloranti. Gemeva per il dolore sulla figa e sui capezzoli, il suo corpo si contorceva mentre il respiro si faceva più veloce. Proprio quando pensò di non poter più trattenere il suo grido di dolore, il cetriolo colpì la parete posteriore della sua figa, incapace di andare oltre. Il suo petto si gonfiava mentre cercavo di controllare il respiro. La sua figa tesa le faceva male insieme ai capezzoli pizzicati, ma anche il suo clitoride pulsava all’impazzata, desiderando disperatamente che qualcuno lo toccasse.

Con suo dispiacere, tornammo a mangiare le nostre insalate.
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