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Lui & Lei

Porto assegnato


di Steve_Bukowski
26.10.2024    |    126    |    2 9.0
"Un giorno sembra l’ultimo e l’altra è da impazzire, per citare un cantante noto..."
Ufficio spedizioni di una media ditta di provincia. Un giorno sembra l’ultimo e l’altra è da impazzire, per citare un cantante noto.
Quando c’è poco da fare do una mano in magazzino oppure, ancora meglio, mi sposto in officina, così riesco a buttare l’occhio all’ufficio commerciale, dove c’è la moglie del capo, sempre bella, sempre elegante, sempre profumata. Ed in quanto moglie del capo, sempre blindata. Spesso viene con minigonne allucinanti, sembra che abbia piacere ad avere gli occhi degli operai addosso, anche qualche operaia in realtà non disdegna di guardarle il culo quando cammina ancheggiando. Forse per invidia, che in un officina non puoi esporre tutta la tua femminilità, o forse per desiderio...
C’è anche un’altra impiegata, ma non le porta nemmeno le ciabatte. A livello di fantasia, probabilmente sono meglio le operaie nude che lei vestita. E poi c’è un impiegato, un ragazzo giovane e carino che lavora qui da poco, lineamenti femminili, mi sa che l’ho incontrato prima che venisse a lavorare qui, ma era sera, era buio, e lui non era esattamente in divisa da lavoro; diciamo che dalle gambe che presentava, poteva far concorrenza alla moglie del capo e solo i più attenti se ne sarebbero accorti... Ho l’impressione che si ricordi da come mi guarda, però siamo timidi entrambi, dovremmo scriverci per altre vie, se non avessi l’abitudine di cancellare le chat…

L’ambiente è il tipico da media ditta manifatturiera: esclusi gli impiegati, siamo dieci addetti, sette uomini e tre donne, i maschi sono tendenzialmente “datati” uno è prossimo alla pensione, gli altri cinque miei colleghi sono chi più grande, chi più giovane di me, tutti tenuti un po’ così, qualcuno fa palestra alternato a serate non stop in birreria, c’è chi è sposato, chi fidanzato più o meno blindato, e le uniche trasgressioni che si concedono sono il calcetto del mercoledì. Lavoro qui da anni, e non mi risultano scappatelle in spogliatoio, anche perché pure le dipendenti sono casalinghe frustrate mancate; una scopabile, anche perché ancora giovane e sotto gli anta, le altre due che invece maledicono il marito dalla mattina alla sera, ma se anche solo gli fai un mezzo complimento, neanche stanno a fingere di fare le timide o le pudiche, semplicemente ti ammazzano la libido dicendo che ormai la possono buttare ai piccioni in piazza.
Diciamo che quando sono al lavoro, lavoro e basta, al limite fantastico un po’ in pausa pranzo con le cameriere della mensa, oppure al venerdì, quando scatta l’ora dell’aperitivo, scruto l’orizzonte dei locali, e l’essere sessualmente virtuoso mi consente di raddoppiare le chanches di non andare in bianco. Certo, non fosse per una timidezza cronica, approccerei con maggiore disinvoltura, spesso e volentieri devo andare su siti di annunci, fare lunghe e infinite chat per poi a volte rimediare un gloryhole perché è meglio non vedere chi ti sta facendo il lavoro…

Ufficio spedizioni dicevo. Ci sono giornate che sono viavai da manicomio, altre che sono di una noia mortale. Gli autisti per lo più sono stranieri, alcuni indiani dai tratti anche carini ma con l’igiene che lascia un po’ a desiderare… certi autisti nostrani non sono da meno, alcuni ostentano tatuaggi, altri fumano come turchi, qualcuno ha un bel fisico palestrato ma un viso inguardabile, altri sono tozzi, pelati e scorbutici. I più divertenti sono veneti che quando gli offro il caffè, chiedono sempre se possono averlo corretto grappa… e io ho solo il caffè.
E poi c’è un’eccezione che è un’autista donna, piccoletta, dal fisico indecifrabile specie in inverno perché gira sempre con una felpa di pile che non ti fa capire dove finisce la felpa e dove inizia il seno, mentre d’estate ha sempre delle magliette tipo football americano che non lasciano intuire nulla. Intuisci che ha le cosce grosse dai pantaloni, che sono da lavoro e quindi non attillati, ma comunque ti fanno vedere i vertici delle anche. In viso è carina, i capelli perennemente raccolti in una coda di cavallo, taciturna, arriva, carica, firma le bolle e riparte. E si vede di rado.
Insomma, sul lavoro niente distrazioni, e se penso che la ma ex mi faceva delle storie perché avevo colleghe femmine…bah!
Poi però capita QUEL giorno che ti ribalta un po’ tutto. Solita giornata di frenesia spedizioniera fino a che non rimane l’ultimo carico, col corriere che è in ritardo, e nemmeno chiama. Normalmente se danno un colpo di telefono ho lo scrupolo di aspettare, anche per rispetto di chi si sobbarca migliaia di chilometri per rispettare le scadenze… però doveva arrivare il primo pomeriggio e ormai siamo in chiusura. Essendo uno dei fiduciari del capo, dico che mi trattengo un po’ oltre l’orario di chiusura perché aspetto il corriere, almeno un quarto d’ora, poi se non si farà vivo chiuderò io. Nel frattempo do un colpo di ramazza, guardo che i colleghi abbiano lasciato pulito e spengo buona parte delle luci. Nel farlo noto che è rimasta accesa la luce nel ufficio commerciale il che è strano, mi dico, il capo e sua moglie sono andati via e gli impiegati sono sempre i primi a timbrare in uscita… faccio per salire ma sento arrivare un furgone. E’ il corriere ritardatario, ragion per cui torno sui miei passi, la luce in ufficio la spengo dopo.
Con mia grande sorpresa è la ragazza che si vede raramente. E’ un po’ provata a questo giro e subito si giustifica «Ciao, scusa se sono arrivata ora ma ho beccato un’incidente e poi oggi pomeriggio la strada per arrivare qui è trafficatissima. Mi si è scaricato il cellulare, non mi va il caricabatterie sul furgone, un disastro, non sono riuscita a chiamare».
Istintivamente le chiedo che modello di telefono ha e, frugando nei cassetti, trovo un caricabatterie compatibile col suo smartphone «Ma no, non ti preoccupare» mi dice «già sei in chiusura non ti voglio far perdere tempo».
«Una mezz’ora per una ricarica decente non la nego a nessuno, a casa ho solo due gatte che mi aspettano e che al limite brontoleranno perché servo tardi i croccantini. E poi così anche tu puoi avvertire i tuoi referenti al lavoro o i tuoi famigliari...»
«I referenti se ne sbattono, glie l’avevo detto di cambiare il caricabatterie da macchina, ma mi dovrò arrangiare io, e poi il furgone ormai lo riporto domani che non succede nulla, ma li avrei avvisati una volta arrivata a casa con un messaggio, tanto si fidano. A casa non ho nessuno pure io, per cui...» Chiuse la frase con un velo di malinconia, come se dietro a quel “non ho nessuno pure io” si nascondesse una solitudine difficile da tenere a bada.
Quell’affermazione fece calare il silenzio «tempo che carichiamo, e un po’ si carica anche lui» insistetti, e così attaccò il telefono al cavo. Effettivamente ne avremmo avuto per un buon quarto d’ora tra sistemare i pacchi e le firme di rito, per cui si convinse che ne valeva la pena.
Il carico procede per lo più in silenzio, la ragazza è forzuta, anche se mi dà l’idea che sia più robusta che non palestrata, tende molto al voler fare da sola e io tendo troppo a trattarla come se il suo non fosse un lavoro da donne. Ad un certo punto sbotta «Guarda che il lavoro lo so fare eh! Non ho bisogno che m’insegni, sono donna ma non sono stupida!» sono spiazzato, ma le rispondo cortese «guarda, sono molto scrupoloso anche coi miei colleghi maschi, anche perché sono il responsabile della sicurezza (è vero, lo sono), ti chiedo scusa, è che ti vedo minuta e d’istinto mi viene di proteggerti». “Proteggerti?!?” penso. Che cavolo sto dicendo? Non è mia sorella, e non siamo in mezzo a una sparatoria. Però vedo che la parola protezione ha, su di lei, un effetto strano, quasi calmante. «No scusa, è che è stata una giornataccia, e di solito ho a che fare con gente che solo perché son donna mi tratta di merda...». Si interrompe, strozzando il pianto, ha gli occhi lucidi, sale sul furgone e sistema l’ultimo pacco. Poi chiude e viene a banco a firmare le bolle. «Vuoi un bicchiere d’acqua? Un caffè anche se è pomeriggio tardi?» Fa un cenno di sì con la testa e dice che l’acqua va bene. Vado nell’area ristoro e prendo anche i cleenex perché ce n’è bisogno. Arrivo e glie li porgo, ne approfitta e si scusa.
«Vai tranquilla, le giornate così succedono. Se hai bisogno di parlare un attimo sono qua, magari ti rilassi e fai il viaggio con più serenità». Non ho idea di come si chiami, di dove sia, di dove debba arrivare, ma vorrei invitarla a fare l’aperitivo con me, anche se non è venerdì.
«Posso usare il bagno?» mi chiede. L’accompagno in quello delle donne, dopo di che aspetto, facendo respiri profondi per trovare il coraggio di chiederle di “uscire” in quella circostanza un po’ da scappati di casa. Come al solito la voce mi si strozza in gola, mi chiede se può riprendere il cellulare, così riparte, torno al banco spedizioni, le chiedo se la percentuale di ricarica può andare e lei mi dice che è sufficiente.
Glie lo passo e lei nel prenderlo mi sfiora il pollice della mano, accarezzandolo. L’aria si fa tesa, ci guardiamo negli occhi, nel mentre il suo telefono è contemporaneamente nelle mani di entrambi, il mio pollice accarezza il suo, più piccolo ed è come se le nostre mani si stessero cercando… anzi no si cercano proprio, e in un lampo lasciamo andare i nostri istinti e ci baciamo, prima timidamente, poi con le lingue che si cercano e infine lei si attacca al mio collo, sono il doppio di lei, inizialmente sto chino e poi l’afferro per le gambe lei si avvinghia su di me e me le stringe in vita.
L’appoggio sul bancone e iniziamo a spogliarci. Continuiamo a baciarci nel mentre le levo la maglietta (è tarda primavera) e finalmente vedo com’è fatta: è piccolina ma ha il fisico tonico indossa un reggiseno sportivo che le fa un gran bel petto. Mi sbottona i pantaloni e comincia a lavorarmelo a mano, è un po’ che non lo faccio, ho paura di resistere poco.
E’ il suo turno le sfilo i pantaloni e le mutande, e poi mi abbasso sulla sua virtù con l’intento di leccargliela, ma in quella mi prende per i capelli e mi fa «non mi faccio i bidet in viaggio, fai due sputi e infilalo». Non me lo faccio dire due volte anche se, porca miseria, mi si asciuga la salivazione. Sono un po’ titubante perché di solito faccio coperto, le chiedo se posso guardare in spogliatoio se ho un profilattico ma è tutta un fuoco e vuole essere penetrata subito «prendo la pillola, non ti preoccupare». Le tolgo le scarpe e i pantaloni dalle caviglie per stare più comodo, mi sputo anche sul cazzo e infilo. Si è bagnata nel frattempo, e scivola che è un piacere. Si aggrappa al mio collo mentre stantuffo, mi guarda appassionata e mi bacia, si lascia andare dicendomi di scoparla più forte.
Mi fermo perché ho il fiatone, accidenti all’astinenza, mi inveisce «perché ti fermi?!» al che la giro e la prendo da dietro, in modo da vedere il suo culo. Siamo in piedi entrambi, lei a pecora sul banco, con tutte le penne rovesciate e i fogli per aria, mi aggrappo al suo seno e la cavalco per bene «più forte!» mi dice, e allora accelero «dai vieni con me!» e andiamo avanti a colpi d’ariete fino a quando le vengo dentro con una potenza che non ricordavo, unita al suo grido che per fortuna il capannone era vuoto a quell’ora.
E’ stesa a 90 sul bancone, con le braccia distese e il seno schiacciato sulle bolle d’accompagnamento. Sfilo il cazzo ed esce la sborra dalla sua fica che finisce sul pavimento.
«Pensa che ti volevo invitare a bere una cosa» le dico con ancora il fiatone
«Abbiamo fatto prima così, non trovi?» mi risponde tirandosi su e appoggiandosi sui gomiti.
«Vuoi un altro bicchiere d’acqua?» le chiedo.
«Si grazie».
Mi rimetto in ordine quanto basta per andare nella sala ristoro e prenderle da bere, ma nel mentre che ritorno, lei si è già rivestita, ha preso il suo cellulare, è salita sul furgone e se n’è uscita…
Ci resto male, probabilmente è una di quelle persone che non vuole attaccarsi, chissà… anche perché viene qui di rado, chissà quando la rivedrò.
Per un attimo mi chiedo se ho sognato, ma no, i pacchi sono stati caricati, i documenti presi e il banco delle spedizioni è da mettere in ordine.
Non so ho usato o se sono stato usato, questo mancato saluto mi ha lasciato l’amaro in bocca anche se mi sono divertito… Ma è stato tutto coì veloce che… boh, non so.
Bevo l’acqua che avevo preparato per lei, brindando comunque a una delle scopate più sorprendenti della mia vita.
Mi sovviene che dovevo andare a spegnere le luci dell’ufficio commerciale ma mi accorgo che sono spente. Comincio a pensare di avere le allucinazioni, ad ogni modo penso che sia meglio, così mi evito una rampa di scale e posso chiudere finalmente tutto e andare a casa, tutto sommato soddisfatto, col solo rammarico di non sapere nemmeno il suo nome.
Il cielo va sull’imbrunire, c’è ancora luce ma si allungano le ombre. Inserisco l’antifurto ed esco, arrivo al parcheggio dove è rimasta la mia e un’altra auto… al che sono perplesso, devo chiudere il cancello, chi è che ha lasciato la macchina in cortile? Spero non ne abbia bisogno, non ho i numeri di tutti e non voglio né aspettare che torni, né lasciare aperto che se no il capo si infuria…
Mi avvicino e si apre la portiera, dentro c’è una persona, lo riconosco è Filippo l’impiegato nuovo, scende però… ha i capelli neri e lunghi, mentre fino a un’ora e mezzo fa li aveva corti. Scende dall’auto con un tacco 12 o simili, e delle gambe splendide avvolte nei collant, una minigonna e una camicetta che lascia intravedere l’intimo… può decisamente fare concorrenza alla moglie del capo.
Neanche gli parlo da che son sorpreso e mi fa
«Ciao Matteo… ti ricordi di me? Non è che ti è rimasto qualcosa dopo quella bella cavalcata che hai fatto di là con la camionista?...»

continua...
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