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Lui & Lei

Be my wet dream punto com


di signoredistinto
03.07.2021    |    135    |    1 9.2
"Quando lei si accostò a lui, capirono che il loro copione aveva ampi margini di miglioramento..."
Be my wet dream

Si erano conosciuti su bemywetdream, la piattaforma di condivisione social di sogni e fantasie erotiche. Funzionava un po’ come l’antica bang with friends. Tu inserivi il tuo sogno e il ruolo e tipo di partner desiderato per quella fantasia. E quando un altro utente inseriva sogno e ruolo combaciante si accendeva la luce rossa e i due erano invitati a incontrarsi.

Il teatro era piccolo, ma pulito e accogliente. Era completamente deserto (fatte salve le microcamere di bmwd.com). Poltrone rosse, tende di velluto, palco in legno. Lui entrò e accese le luci del palco.

Il pianoforte era al suo posto. Su quello non avevano risparmiato: nero, mezzacoda, lucido, splendente.
Lo smoking invece gli stava un po’ stretto e salendo i tre scalini per raggiungere il pianoforte, sentì una fitta. Di nuovo quei fottuti pantaloni stretti.

Guardò lo strumento, silenzioso, chiuso. Ci girò attorno senza sfiorarlo. Lo aprì sollevando il pesante coperchio. Si chinò ad ammirare l’interno. La tensione delle corde. La tensione dei pantaloni stretti.
L’uomo percorse con un dito tutto il perimetro del pianoforte, accarezzandolo con dolcezza. Quindi si sedette davanti alla tastiera. E iniziò a suonare.

Lei lo stava osservando da qualche minuto, da dietro le quinte. Aveva voluto vedere da vicino i suoi gesti, il suo rapporto con il piano, capire il perché di quelle loro fantasie così combacianti. Quando la musica iniziò, come da copione lei si rassettò il vestito e andò al suo posto.

Dal fondo della platea iniziò a camminare lentamente verso il proscenio. Lui continuava a suonare senza alzare lo sguardo. Il segnale che lei era in sala, per lui fu solo il rumore dei suoi tacchi. E il suo profumo.

Le mani di lui sui tasti. Una danza lieve, senza sforzo, senza enfasi. Una musica improvvisata che raccontava quel momento, quell’attesa. I tacchi di lei in avvicinamento, negli spazi tra un accordo e l’altro.
Lentamente anche lei salì sul palco e si sistemò alle sue spalle. Senza dire una parola posò una mano sulla fronte dell’uomo e poi discese lentamente fino al mento, sfiorandogli il viso. Il suo volto era caldo. La musica fluiva serena. Intrigata dal gioco, lei provò con due mani a coprirgli gli occhi. Lui sorrise e suonò quel buio. Lei apprezzò. Non la vedeva, non diceva nulla. Ma lo sentiva: dal tocco delle dita sui suoi occhi, dal suo profumo.
Poco dopo le fu molto riconoscente quando lei lo liberò del papillon. Anche quello era fottutamente stretto.

Quando lei si accostò a lui, capirono che il loro copione aveva ampi margini di miglioramento. D’altra parte, la prima volta che si realizza una fantasia, è possibile che essa preveda imprevedibili imprevisti.
Non fu semplicissimo per lei salire sul pianoforte, senza che lui cessasse di suonare. Salire proprio lì intendo, lì dove avevano previsto: al posto del leggio.
Seduta sul pianoforte, lei ora stava esattamente di fronte a lui. I tacchi ben conficcati nelle cosce di lui. La gonna leggermente sollevata. La collana che ricadeva sul seno. Il suo profumo dappertutto.

Ora lui non poteva non guardarla. Senza smettere di suonare si agganciò allo sguardo di lei, nero come il pianoforte, nero come il vestito, nero come lo smoking.
Nero come le mutandine che lei aveva sfilato prima di salire sul pianoforte e che ora stavano sulla tastiera, laggiù a sinistra.

Continuava a fissarla negli occhi. Nemmeno quel movimento lentissimo con cui lei schiuse un poco le gambe lo distolse dal suo sguardo.
Fu lei che dovette ricordargli che cosa esattamente doveva suonare, quale fosse il suo unico spartito per quella sera. Gli posò la mano sul capo e dolcemente lo attirò a sé. La gonna sollevata, le gambe dischiuse di lei, i tacchi sempre al loro posto, sulle gambe di lui.

Lui si accostò a lei con lentezza e curiosità. Cercava di mantenere un filo tra quel che suonava e quel che faceva e qual che pensava. Scoprì che il ritmo di ¾ era perfetto. Un grande classico, il valzer. Lento ma preciso. Anche a lei piaceva. Le piaceva molto. Non la vedeva ma si capiva. Da come respirava. Da come spingeva la testa di lui contro il proprio grembo.
Qualche minuto dopo, con la bossa nova fu più complesso mantenere delle idee melodiche e ritmiche all’altezza di quel che stava accadendo. Lo spartito che lui aveva davanti agli occhi era molto chiaro. La parola crescendo era scritta ovunque. Come se non bastasse anche lei la sottolineò. Sì con un dito, segnando proprio la parte da eseguire. Lui imitò, seguì le indicazioni.

La donna si sdraiò sul pianoforte. Le sue mani giocavano con la collana, sul seno nudo. Il viso del pianista era immerso tra le sue cosce. Ne usciva una musica ormai qua e là spezzata, che si mescolava al respiro e alla voce di lei.

I tacchi di lei sulle cosce. I pantaloni sempre più stretti. La musica che non smette.
E il paradiso in bocca.
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