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L’AMORALE DELLA STORIA


di Foro_Romano
16.09.2020    |    14.486    |    18 9.4
"Domenico, come se ricordasse il quel momento l’oggetto del piacere, allungò la mano sul cazzo massiccio che, al tocco, cominciò a riprendere forma..."
Domenico è un ragazzo di provincia. Vive in un paesino di poche anime ma abbastanza vicino ad una grande città del nord, dove non era però mai stato. Solo pochi abitanti vanno in città per lavoro, di solito i figli dei contadini che hanno studiato. Lui si è fermato alla media e fa quello che ha sempre fatto: aiutare i nonni e la madre nella conduzione della loro fattoria. Non ha padre. O meglio, ce l’avrebbe ma i genitori si sono lasciati quando lui era piccolo e non l’ha più visto. Aveva appena due anni e gli rimane solo un vago ricordo del genitore. La madre si è risposata e gli ha dato una sorellina che ha pochi mesi. Il patrigno è proprietario della farmacia del paese e le loro condizioni economiche sono abbastanza buone.
La madre ha sempre parlato male del padre naturale, ma non ha mai detto chiaramente per quale motivo si erano lasciati. A Domenico è sempre sembrato che esagerasse e quella sua reticenza a dire come erano andate effettivamente le cose non gli andava giù. Voleva sapere la verità ma, tra la scuola prima e il lavoro nei campi poi, non aveva potuto cercarla.
Compiuti i venti anni, però, prese la decisione di andare a cercare il padre e sentire la sua versione dei fatti. Sapeva che viveva in città e, con la scusa di andarsi a cercare un lavoro, partì per l’incognito.
L’impatto con la metropoli fu traumatico. Quanta gente indaffarata, agitata, nervosa! Tutt’altra cosa con gli abitanti delle sue valli. Quanta luce, quanti negozi, quante vetrine, quanto traffico! Si sistemò in una camera ammobiliata in un appartamentino dove vivevano altri due ragazzi un po’ più grandi di lui. Fece subito amicizia e uno di loro gli trovò pure un lavoro: commesso in un negozio di alimentari.
Quando fu in confidenza, raccontò loro il vero motivo del suo trasferimento e quelli lo aiutarono anche in questo. Tra congetture e tentativi, finalmente riuscì a sapere il telefono del padre. A quel punto gli sorsero di nuovo dei dubbi: faceva bene o male a presentarsi a lui, a dirgli “Sono tuo figlio”? Sarebbe stato contento di incontrarlo o l’avrebbe allontanato in malo modo? In tal caso, la delusione sarebbe stata cocente e non sapeva se l’avrebbe sopportato.
Era tanto indeciso che il passo lo fece uno dei suoi coinquilini. Un pomeriggio, sul tardi, stavano parlandone e quello, senza pensarci due volte, prese il telefono e digitò il numero, mettendo il vivavoce.
“Buona sera. Parlo col signor Osvaldo? Ecco, io sono Alessandro. Non ci conosciamo. Sono amico di suo figlio Domenico”. Dall’altra parte, per un po’, il silenzio.
“Davvero! Domenico, dice? Mio figlio Domenico?”
“Si, proprio lui”.
“E’ successo qualcosa? Mi dica. Perché mi ha telefonato?”
“No, niente, tutto bene, solo… lui ha timore a parlarle”.
“Ma perché? Mi farebbe tanto piacere conoscerlo. Me lo può passare?”
“Eccolo”
“Pronto?... Papa?” Quella parola agitò l’animo di tutti e due.
“Domenico, sei proprio tu?”
“Si sono io”.
“Figlio mio, finalmente! Incontriamoci. Voglio conoscerti”.
“Per tutto questo tempo non mi hai più voluto vedere e adesso…”
“Non è vero! Per anni ho cercato di farlo ma tua madre non me lo ha mai permesso”.
“Perché. Perché non ha mai voluto?”
“Te lo spiegherò a voce quando ci vedremo”.
“Mi vuoi vedere?”
“Te l’ho detto. Ti prego, dammi la possibilità di spiegarti”.
Era proprio quello che voleva sentirsi dire. Così presero un appuntamento in un famoso bar in centro città per il giorno successivo. Ancora, però, non si sentiva sicuro. Era agitato. Così, l’amico si prestò di accompagnarlo per dargli coraggio.
Il giorno dopo, con un po’ di ritardo, si stavano avvicinando al bar e l’amico compose ancora il numero di telefono. Un bel signore dell’età giusta (aveva 52 anni), seduto ad uno dei tavoli, rispose. Alto, fisico perfetto, specie in considerazione dell’età, due baffi che lo rendevano molto virile.
“Siamo arrivati” e gli si avvicinarono. Quello si alzò e li osservò attentamente. Sembrava disorientato. Non era chiaro se per la situazione od altro.
“Chi di voi è Domenico?”
“Io”, “Lui” risposero all’unisono.
“Figlio mio. Finalmente! Posso abbracciarti?”
“Papà” e si strinsero in un forte abbraccio.
“Lui è Alessandro: il mio amico che ti ha telefonato”.
“Ciao Alessandro. Grazie per quello che hai fatto” e gli strinse la mano.
“Ho fatto solo quello che andava fatto. Lui non si decideva mai!”
“Sediamoci. Ero indeciso tra i due perché so che hai 20 anni. Lui mi sembrava troppo grande e tu troppo piccolo. Ne dimostri 17 al massimo”.
Il ragazzo è arrossito ed ha abbassato la testa. “Beh, si. Tutti me lo dicono”.
“Raccontami. Che fai nella vita?”
Così Domenico ha descritto rapidamente quella che era stata la sua vita fino ad allora. Dalla sua infanzia fino al trasferimento in città ed al lavoro nel negozio. Poi fu la volta del padre. Era funzionario di banca, la stessa di quando stava con sua madre, ma aveva fatto carriera. Si era risposato l’anno prima e viveva una vita felice.
“Ecco, papà. Il motivo che mi ha spinto a cercarti è stato quello di voler sapere la verità sul perché vi siete lasciati con mamma”.
“Lei non te l’ha detto?”
“No ed è anche per questo che sono qui”.
“Adesso sono sereno e non ho vergogna a dirlo, anche se forse non è delicato in presenza di altri”. Si riferiva ad Alessandro, naturalmente.
“Non si preoccupi. Posso allontanarmi, se vuole” disse quello alzandosi.
“No, no, stai pure. Come ho detto, non me ne vergogno”. Prese le mani di Domenico tra le sue e, guardandolo negli occhi, confessò. “Tua madre mi scoprì mentre la tradivo”.
“Lo avevo pensato” disse Domenico.
“Non è solo questo. E’ che mi scoprì con un uomo” e lo fissò negli occhi per cercare di capire la sua reazione. Ci fu qualche attimo di imbarazzo da parte dei due ragazzi. “Questo non lo avevi pensato, vero?”
“No, effettivamente no”.
“Da quel momento – proseguì – ho capito la mia vera natura. Tua madre mi ha cacciato e, dopo di allora, ho solo avuto relazioni omosessuali fino a sposarmi, l’anno scorso, con un ragazzo col quale ho un ottimo rapporto e, ti confermo, oggi sono veramente felice. Oggi sei ricomparso tu e non posso chiedere di più dalla vita. Spero molto che mi accetterai così come sono”.
Non ebbe esitazione. “Certo, papà. Anch’io sono molto felice di averti ritrovato” e una lacrima gli scese lungo la guancia.
“Adesso non piangere. Non ce n’è motivo. Dovresti essere allegro”.
“Si, si, e lo sono” e si asciugò col dorso della mano.
“Dobbiamo festeggiare. Ti voglio presentare il mio compagno. Posso invitarti a cena domani? Naturalmente l’invito è esteso anche a te, Alessandro”.
“Ecco, è che io divido l’appartamento con lui e con un altro ragazzo…”
“Invito anche lui, ovviamente. Allora? Sei d’accordo?”
“Per me, si ma… Come la prenderà il tuo compagno?”
“Sono sicuro che ne sarà felice. Vedrai, è simpatico e cucina divinamente. E’ un ottimo cuoco”.

La sera, a casa, si parlava di quello che era successo con Ludovico, l’altro coinquilino.
“Finalmente ho conosciuto mio padre ed ho saputo il motivo della separazione con mia madre. Sono veramente contento”. Poi, sorridendo “E’ curioso…”
“Cosa?” fece Alessandro.
“Ecco… Voglio confessarvi una cosa… Curiosamente anche io mi sento in un certo modo attratto dagli uomini ma non ne sono sicuro. Pensate che sia un fatto genetico?”
I due ragazzi rimasero sorpresi. Fu Ludovico a parlare.
“Dici davvero?”
“Si, davvero. Vi fa così schifo?”
“No, tutt’altro. Non ci sembrava proprio”.
“A questo punto – interviene Alessandro – dobbiamo dirti che anche noi lo siamo. Noi ci amiamo”.
“Nooo. Non lo avrei mai pensato!”
“Ma, ci sembra di aver capito che tu non hai mai avuto occasione…”
“No, non l’ho mai fatto… con nessuno”.
Un’occhiata all’amico e “Vuoi farlo con noi?”
“No, scusate ma… non me la sento… non siete il mio tipo”.
“E quale sarebbe il tuo tipo?”
“Credo di sentirmi attratto dagli uomini maturi, più grandi”.
“Come tuo padre? Ti piace tuo padre?”
“Ad essere sincero, non ci avevo pensato. Però, adesso che me lo dite, forse si. Cioè, con uno come lui, non lui, no, con lui non ci penso proprio. E’ mio padre!”
“In effetti tuo padre è proprio un bel tipo – disse Alessandro – quasi quasi…”
“Quasi quasi cosà?” fa Ludovico dandogli uno schiaffetto.
“Scemo. Scherzavo” gli risponde ridendo.
“Comunque, se vuoi sapere come si fa, stasera puoi guardarci mentre facciamo l’amore. Poi, se vuoi partecipare… A te la scelta”.
“Si, si, davvero. Se vuoi…”
Infatti, quella sera, fu spettatore alla performance dei due amici. Vide Alessandro baciare lingua in bocca Ludovico, vide questo fargli un bocchino per poi farsi scopare prima lentamente, con amore, e poi sempre più forsennatamente, quasi con ferocia fino all’inevitabile sborrata nel culo, venendo contemporaneamente sulle lenzuola. Domenico non intervenne, ma non poté evitare, a quello spettacolo, di tirarsi una ricca sega. Si sentì finalmente libero dal peso del suo segreto e, forse, aveva preso la sua decisione.

La sera dopo, arrivarono puntualmente a casa di Osvaldo e del suo compagno Gaetano. Era giovane ed aveva pochi anni più di Domenico, che ne rimase quasi scioccato. Portarono delle bottiglie di buon vino. Furono accolti allegramente e si trovarono subito a loro agio. Oltre a loro, era ospite anche Rocco, un amico del padre. Un tipo tarchiato e robusto, anche lui oltre i 50, calvo in cima e con un’aureola di capelli attorno, brizzolati sulle tempie, e molto peloso. Era divorziato da molto tempo e senza figli. Indossava una camicia bianca con le maniche rimboccate fino al gomito e si potevano ammirare le braccia completamente coperte di pelo nero fino al polso.
La coppia giovane raccontò come si erano conosciuti nel negozio dove uno dei due lavorava ed i padroni di casa di come si erano incontrati in palestra. Per i primi era stato un colpo di fulmine, mentre gli altri due ci avevano messo un po’ di tempo.
“Mi sembrava impossibile che un bel ragazzo come lui mi guardasse continuamente. Pensavo fosse una mia fantasia”, disse Osvaldo.
“Anche a me sembrava strano”, aggiunse Gaetano. “Fino ad allora non avevo mai preso in considerazione di innamorarmi di un uomo così grande. Eppure lui mi attizzava tantissimo. Non sapete che muscoli che ha! Poi vi faccio vedere le foto”.
“Insomma… guarda oggi e guarda domani, un giorno ci siamo avvicinati nello spogliatoio ed abbiamo fatto amicizia. Siamo usciti qualche sera a cena e, alla fine, mi ha portato a letto, lo sporcaccione”.
“Ah si? Guarda che il letto era il tuo. Sei tu che mi ci hai portato, piccolo maialino”. Risero e si baciarono teneramente sulle labbra.
Come preannunciato la cena fu abbondante e squisita. Domenico sedeva vicino a Rocco e questa vicinanza lo eccitava. Quell’uomo maturo gli piaceva un sacco.
“Sono libero ma mi piacerebbe trovare un ragazzo da amare come un figlio”, aveva dichiarato.
“Sii sincero. Altro che come un figlio. Dì piuttosto che cerchi un ragazzo da sfondare. Con la minchia che ti ritrovi!”, aveva aggiunto Domenico.
Alessandro intervenne con uno sguardo malizioso. “Chissà che tra loro…” accennando a Rocco e Domenico. Ludovico gli allentò una gomitata.
In effetti, per tutta la sera i due, sotto il tavolo, si erano toccati. Prima sfiorati come per errore e poi, pian piano, vedendo l’accondiscendenza da parte dell’altro, sempre più con maggior decisione. Il ragazzo, a quelle ultime affermazioni, come per accertarsene, si era spinto fino a toccare la patta dell’uomo, che trovò incredibilmente piena e già piuttosto gonfia e questo lo aveva fatto rabbrividire di desiderio.
Alla fine della cena, si trasferirono in salotto per continuare i discorsi ed i racconti che si facevano sempre più piccanti ed eccitanti. Ormai era chiaro a tutti che tra i due c’era dell’attrazione.
Ad un certo punto, Alessandro e Ludovico decisero che era ora di andar via. “Beh, si è fatto tardi, noi ce ne andiamo ma tu, Domenico, perché non rimani a dormire qui da tuo padre, così domani avrete modo di conoscervi meglio… Sempre che lui voglia…”
“Ma certo”, fece subito Osvaldo. “Qui c’è una bella camera per gli ospiti già pronta. Rimani, figlio mio, mi farà molto piacere. E perché non rimani anche tu, Rocco, così ti eviti di guidare fino a casa tua fuori città. Di notte, al buio, con quello che ti sei bevuto, potrebbe essere pericoloso. Però…”, aggiunse in tono malizioso, “c’è solo un letto matrimoniale che dovrete condividere”.
“Se me lo proponi tu, amico mio, non posso che accettare ben volentieri e spero che anche Domenico sia d’accordo”. Il ragazzo si fece rosso e annuì con un sorriso. Lo avevano messo in mezzo e a lui non dispiaceva affatto l’idea di perdere la verginità con quel bell’uomo maturo.

Appena furono soli in camera, Osvaldo lo strinse a sé. “Sei contento di stare con me questa notte? Sai che significa questo? Hai capito quello che faremo. Quello che è tutta la sera che voglio farti? Sei convinto?”
“Si, lo voglio anche io” e si appoggiò con la guancia sul petto dell’uomo, alla sua altezza. Alzò poi gli occhi a guardarlo, le labbra si toccarono, si dischiusero, le lingue si intrecciarono, mentre le grandi mani gli scendeva lungo la schiena fino ad afferragli i glutei. Ebbe un brivido per tutto il corpo: era il suo primo bacio ed era la prima volta che si sentiva desiderato fisicamente da un maschio. Gli piaceva e si sarebbe dato completamente a lui senza remore.
Si staccarono senza parlare ed ognuno cominciò a spogliarsi lentamente senza perdersi di vista un secondo, godendosi l’immagine dell’altro sempre più scoperto, fino a che furono completamente nudi. A quel punto, Domenico fu fatto sedere sulla sponda del letto e Rocco, davanti a lui, si chinò a baciarlo teneramente, prima di parargli in faccia la sua maestosa erezione.
“E’ veramente grosso! Non so se potrò…”
“Vedrai che ce la farai, se lo desideri veramente. Certamente, all’inizio proverai dolore ma farò piano e passerà presto. Intanto però comincia a prenderci confidenza leccandolo e succhiandolo. Fammi vedere che puoi fare con questa tua bellissima boccuccia”.
Il ragazzo, inebriato dall’odore virile di quel membro rigido, tirò fuori la lingua e ce lo appoggiò sopra, lambendolo con le sue soffici labbra. Poi gli venne naturale aprire più che poteva la bocca a prendere tutta la cappella e vorticarci intorno la lingua.
“Ummm” gemette l’uomo inspirando aria tra i denti. Domenico, con la bocca piena, alzò gli occhi e si scambiarono gli sguardi, cominciando ad introdursi dentro lentamente sempre più cazzo finché, a metà lunghezza, gli arrivò alla gola. Si sentì soffocare e sentì salirgli un conato. Strizzò gli occhi.
“Ssssiiii… cosììì… bravo. Continua. Prendine più che puoi”.
Il giovane lo tirò fuori un attimo per ammirarlo e prenderne meglio le misure. Era bagnato di saliva, come le sue labbra. Lo reinserì spingendoselo più in fondo e iniziò a pomparlo e ad avvolgerci la lingua attorno ogni volta che poteva. Sempre più veloce, ingozzandosi per prenderne sempre qualche pezzetto in più ad ogni affondo. La saliva aumentava e gli colava fuori. Le lacrime gli scendevano copiose. Ma lui non si fermava, anzi ci metteva sempre più foga per il piacere che provava in quel suo primo pompino, per la soddisfazione di dare piacere a quel meraviglioso esemplare di maschio.
“Cazzzzooo. Ti piace eh… ti piace proprio. Sei un pompinaro nato. No… nooo… aspetta… aspetta” e lo allontanò. “Così vengo subito! Aspetta. Mettiamoci comodi sul letto”. Ci salì sopra e si sistemò al centro, gambe larghe e cazzo in resta. Era uno spettacolo a vederlo. Fisico perfetto, muscoloso naturalmente, coperto di pelo castano più intenso sul petto e sul pube. Pelo che copriva abbondantemente anche le gambe, le braccia e fino sul dorso delle mani.
“Mettiti qui, tra le gambe, tira fuori la lingua e leccami il cazzo e le palle”.
Domenico obbedì prontamente. Non desiderava altro anche lui. Mise il musino tra le cosce e prese a lappare con avidità la grossa sacca pelosa e odorosa dei coglioni, per poi salire a piena lingua lungo il tronco, reimboccare la cappella, succhiarla e leccarla, tornare alle palle e rifare più volte tutto il percorso, insalivando tutto abbondantemente. L’uomo gemeva, aveva degli scatti di piacere, lo incitava con epiteti sempre più pesanti che, stranamente, lo inorgoglivano.
“Siii, bravo. Ahhh… cazzo… cazzo… sei un fenomeno, piccola troia. Putttt… Ahhh, siii, siii succhia lurido succhiacazzi… Succhiahhh”.
Ben presto non riuscì più a resistere. Afferrò la testa del giovane bloccandola sulla sua cappella e, con un lungo grugnito animalesco, gli scaricò in bocca una quantità enorme di sborra che fu prontamente ingoiata dal ragazzino affamato.
Solo dopo, quando l’ebbe svuotato e ripulito per bene fino all’ultima goccia Domenico, con la testa poggiata sull’inguine dell’uomo a rimirare da vicino il membro afflosciato sull’ampia coscia pelosa, si chiese perché lo aveva bevuto. Gli avrebbe dovuto fare schifo e, invece, tutt’altro. Si sentiva invece come rinato a nuova vita.
Rimasero così, fermi in quella posizione, a godersi quel momento di riposo in cui sembrava loro di essere come svuotati, senza peso, leggeri nell’aria, quell’aria che odorava di sesso e di sborra fresca. Il ragazzo non era venuto ma come se l’avesse fatto. Nel momento che l’uomo gli era esploso in bocca era come se gli fosse contemporaneamente esploso il cervello e avesse goduto anche lui. In effetti ancora godeva di quel sapore nuovo che sentiva in bocca: l’essenza più intima del maschio. L’uomo gli accarezzava la testa, gli scompigliava i capelli. Fu lui a rompere il silenzio.
“Sei stato fantastico. Non sembrava che era la prima volta per te”.
Domenico alzò la testa a guardarlo, serio. “No, ti assicuro che è stata la prima volta”.
“Ma si, si, ci credo. Ho capito che ti ha spinto la voglia di farlo che avevi dentro. Vieni qui”. Il giovane strisciò sul letto e posò la testa sulla spalla dell’uomo, aderendo a lui e respirandone l’odore carico di testosterone dell’ascella. Quello gli avvolse il forte braccio attorno stringendolo a sé. La piccola mano si muoveva sul petto di Rocco, giocherellando col pelo brizzolato.
“Anche tu sei stato fantastico. Mi rendo conto adesso che sei l’uomo che ho sempre desiderato per la mia prima volta”.
Rocco gli passò un dito sul naso, con affetto. “Ma ancora non hai avuto la tua prima volta, mio piccolo maialino. Ma adesso mi riprendo e ti farò vedere”.
Domenico, come se ricordasse il quel momento l’oggetto del piacere, allungò la mano sul cazzo massiccio che, al tocco, cominciò a riprendere forma. “Ah si? Che cosa pensi di fare?”, disse in tono vezzoso.
“Ti sverginerò il buchino. Anche lui ha bisogno di godere”.
“E se io non fossi d’accordo? E’ troppo grosso. Ho paura”, disse senza troppa convinzione.
“In quel caso, io te lo sverginerò lo stesso. E’ tutta la sera che mi stuzzichi. Ti prenderò con la forza e ti scoperò comunque senza tanti complimenti. Mi piaci troppo”.
“E se, invece, io fossi d’accordo?”
“In quel casi ti sfonderò, ti spanerò il culo, ti farò sentire la mia minchia fino nello stomaco, ti sbatterò come una puttana di bordello, per ore, fino a spararti dentro almeno un litro di sborra che ti uscirà pure dalle orecchie. Ti inseminerò così tanto che, giuro, ti metterò incinta”.
“Beh, se questo è il programma, penso che sceglierò questa seconda possibilità”.
“Ottima scelta, ragazzo e, se il servizio mi soddisferà, ti nominerò mia femmina personale”.
A fare questi discorsi, il cazzo era diventato di marmo. Domenico ci si avventò sopra con la bocca aperta giusto per bagnarlo di saliva un po’. L’uomo gli si sdraiò sopra e gli strusciò il suo attrezzo addosso, giusto per far notare la differenza di grandezza. Poi gli alzò le gambe e puntò la cappella all’ingresso dell’orifizio palpitante di desiderio.
Il ragazzino gli si concesse completamente allacciandolo a sé con le gambe. Chiuse gli occhi preparandosi allo sforzo di resistere al dolore ma, non appena la mazza cominciò a farsi largo, dovette sbarrarli. All’inizio si morse le labbra per non gridare ma, quando quella raggiunse lentamente il fondo, gli uscì un forte lamento più di approvazione che di sofferenza.
Da quel momento cominciò una monta feroce, senza sosta per lunghissimo tempo. Di dolore ne provò poco, tanta era la voglia, e la strada fu aperta facilmente, irrorata presto dagli umori rettali. Fu preso in ogni posizione possibile, tra i suoi forti gemiti ed i volgari epiteti che il maschio gli sussurrava all’orecchio. Sentirsi chiamare troia, puttana, zoccola, lurida mignotta, frocio rottinculo da quello splendido maschio eccitato gli dava un piacere immenso, oltre a quello procuratogli dalla mazza dura che lo fotteva come un martello pneumatico.
Quella notte l’uomo (tanto era eccitato) gli venne dentro tre volte mentre lui perse presto il conto degli orgasmi raggiunti, proprio come una femmina in calore.

La mattina dopo il padre, durante la colazione, gli disse: “Questa notte non ci avete fatto dormire dal rumore che facevate, ma eravate così eccitanti che anche io non ho dato tregua a Gaetano, vero amore?”
“Sta’ zitto, scemo”, rispose quello vergognoso.
“Beh, mi sembra che avete trovato un’intesa tra voi. Pensate di convolare presto a nozze? Noi possiamo farvi da testimoni”.
“No – disse Gaetano – tu, in qualità di padre, dovrai accompagnare la sposa all’altare”.
“Già, basta che non ti vesti di bianco perché, da quello che ho sentito stanotte, tanto puro non sei”.
Si misero tutti a ridere e i due neo-amanti si scambiarono un bacio.

La morale della favola non è “Tale padre, tale figlio”, dati i gusti opposti, ma “Godetevi la vostra sessualità, qualunque essa sia, anche se il vostro amante ha l’età di vostro padre”. Secondo voi questo è amore o amorale?

(Il presente racconto, essendo di carattere erotico, ha il solo scopo di eccitare i nostri istinti animali ma non per questo va preso alla lettera. Le stesse cose si possono fare con le dovute precauzioni. Non fate mai sesso senza preservativo: non rovinatevi la vita ma godetevela il più possibile. Buona sega a tutti).
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