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Sonia - L’odore del sesso 1 (racconto)


di Membro VIP di Annunci69.it ToroRm2020
31.05.2021    |    6.489    |    0 9.9
"«Non ti sembro un po’ zoccola?» «Sei molto bella» disse Sonia con sincerità seguendola nella sua camera..."
Per chi già conosce i miei racconti, si tratta di uno sguardo sul passato della dolce segretaria di Laura Castelli, Sonia.


Quando Sonia entrò in classe quella mattina, Anita le sorrise e la guardò con attenzione. Come al solito la sua compagna era vestita come una YouTuber esperta di moda che seguiva da un po’.
Poteva permetterselo, in tutti i sensi.
Sotto il profumo CK One che portava sempre, Sonia avvertì un cambiamento nell’odore corporeo dell’amica, qualcosa che le fece alzare in volo uno stormo di farfalle nello stomaco.
Avvertiva lo sguardo interessato di Anita su di sé, una sorta di carezza leggera come tela di ragno che partiva dalle gambe e risaliva in alto verso i glutei evidenziati dai leggings aderenti.
«Stai bene, sai?» le disse. «Hai proprio un gran bel culo.»
Sonia inspirò profondamente, assaporando l’odore di Anita.

Sonia aveva sette anni quando si era resa conto di non essere come i suoi compagni.
«Non credo che la supplente verrà a scuola domani» aveva detto quel giorno alla sua compagna di banco, vedendola terrorizzata da quella signora dall’espressione arcigna che aveva sostituito la loro maestra, assente per malattia. Voleva molto bene a Moira e avrebbe fatto qualunque cosa pur di farla stare meglio.
«Dici?» aveva mormorato l’altra, dubbiosa, guardando di sottecchi verso la cattedra.
«Sa di metallo caldo con una punta di acido» aveva tentato di spiegarle, ottenendo in cambio un’espressione confusa.
Aveva sentito lo stesso odore nell’alito della vicina di casa e in quello del proprietario del negozio dove la mamma le comprava la merenda quando la accompagnava a scuola, poco tempo prima che entrambi avessero un attacco di cuore.
«Non lo senti?» le aveva chiesto, un po’ sorpresa.
La sua compagna aveva scosso più volte la testa, finendo per farsi riprendere dall’insegnante, e sul momento la cosa era finita lì. Incuriosita, però, a ricreazione aveva domandato la stessa cosa agli altri compagni, rendendosi conto di essere l’unica a percepire quel sentore di malattia.
Quando la supplente non si era presentata, il giorno successivo, la sua compagna le aveva rivolto un sorriso grato in cui si aprivano alcune finestrelle.

Ne aveva compiuti dodici da poco il giorno in cui la sua vita era cambiata drasticamente.
«Il signor Lauri dovrebbe farsi controllare» aveva confidato a sua madre. «Non sta bene.»
Il piatto che lei stava lavando le era scivolato dalle mani finendo di nuovo nell’acquaio. L’acqua schiumosa di Svelto al limone aveva bagnato il pavimento, saturando l’aria di un aroma chimico che imitava in modo approssimativo quello degli agrumi che sentiva ogni giorno passando accanto al fruttivendolo del Bangladesh del suo quartiere, che a sua volta sapeva di caldo e spezie esotiche.
«Che vuoi dire?» aveva chiesto lei, in un tono apparentemente neutro smentito dal violento cambiamento del suo odore corporeo.
Avrebbe voluto spiegarle che l’odore del loro vicino, che le sentiva addosso sempre più spesso, aveva una sfumatura di gomma bruciata molto preoccupante, la stessa del nonno l’anno prima che morisse di tumore al polmone, ma si era resa conto che non avrebbe capito e si era limitata a scuotere la testa.
«È un po’ che non lo vedo in giro» aveva ripreso sua madre, fissandola intensamente. Sapeva di mandorle amare, un odore che Sonia aveva imparato da tempo ad associare alle sue bugie, mescolato a quello più intenso che sentiva provenire dalla sua biancheria intima.
Più tardi aveva detto la stessa cosa a suo padre, dopo averlo abbracciato forte, e aveva sentito chiaramente montare la sua rabbia senza capirne la ragione. Quella sera tra i suoi era scoppiata una lite furibonda che Sonia aveva tentato di ignorare coprendosi le orecchie per non sentire gli insulti che si erano scambiati. Ne ricordava chiaramente uno, «Impotente», urlato a voce alta e stridula da sua madre, che aveva ferito moltissimo il suo adorato papà, il cui odore era passato dalla rabbia alla vergogna in pochi secondi.
Quella sera stessa sua madre se n’era andata e Sonia era diventata la donna di casa.
Lei non gli avrebbe mai fatto del male e si sarebbe presa cura di lui molto meglio di sua madre.

«Oggi pomeriggio vieni da me a studiare» disse Anita, alla fine delle lezioni. Il punto interrogativo alla fine della frase, se pur c’era, risultò a Sonia del tutto inavvertibile, cosa che le causò un immediato languore al basso ventre.
«Va bene» rispose, senza pensarci un attimo, «a che ora?»
«Quando vuoi, tanto i miei non ci sono. Saremo sole.»
Il tono era neutro, ma il profumo che accompagnò le parole non lo era affatto. Qualunque cosa Anita avesse intenzione di fare, aveva poco a che fare con lo studio.
Quando le aprì la porta, alle quattro di quel pomeriggio, Sonia non fu affatto sorpresa di trovarla in mutandine e reggiseno.
«Così sono più comoda» spiegò ridacchiando. «Ti piace il mio perizoma?» chiese poi, mostrandole i glutei sodi divisi da un filo sottile. «Mia madre non vuole che lo metta, dice che sembro una troia.»
«A me piace» rispose.
«Non ti sembro un po’ zoccola?»
«Sei molto bella» disse Sonia con sincerità seguendola nella sua camera. «Ti sta benissimo.»
Anita accese lo stereo e si sedette sul letto a gambe incrociate. Attraverso la stoffa bianca sottile delle mutandine Sonia le intravedeva il sesso, completamente rasato.
«Mi si vede la passera?» le chiese d’un tratto Anita, probabilmente intuendo la direzione del suo sguardo. «Quando l’ho preso non mi ero accorta che fosse così trasparente.»
Sonia deglutì.
«Un po’ si vede» ammise. «Ma è comunque elegante.»
Per tutta risposta Anita si sedette sul bordo del letto e spalancò le cosce, guardandoci in mezzo con aria dubbiosa.
«Solo un po’? Non sembro un troione da battaglia come mia madre?»
«No, mi piace molto.»
Sonia avvertiva sempre più intensamente il profumo del sesso della ragazza, che le faceva girare la testa. Si sentiva morbida come creta pronta per essere plasmata. Non poté fare a meno di notare che il cavallo del perizoma era leggermente umido, cosa che l’odore delle secrezioni vaginali di lei le aveva fatto capire già da un po’.
Inspirò profondamente, mentre sotto si bagnava tutta.
«Da lì certo che non lo vedi» obiettò Anita. «Devi guardare più da vicino.»
Sonia obbedì, portandosi a meno di mezzo metro, praticamente tra le cosce aperte di lei.
«Più vicino. E inginocchiati» le chiese a quel punto con voce tesa. Era un ordine, lo percepì chiaramente, per cui eseguì senza discutere.
Ora la sua faccia era a venti centimetri dal tassello umido del perizoma bianco, attraverso cui vedeva il rigonfio delle piccole labbra.
«È bagnata?» si informò Anita.
«Un po’ sì.»
«Si vede la fregna?»
La volgarità della frase le diede una fitta in mezzo alle cosce.
«Non molto.»
«Se mi bagno bene secondo me si vede tutta.»
Con disinvoltura scostò il perizoma e cominciò a masturbarsi.
«Tu te li fai i ditalini?» le chiese, mentre con le dita sottili si strofinava delicatamente il clitoride.
«Sì» rispose, deglutendo saliva.
«Io mi sfregno dalla mattina alla sera» rise Anita, «ho sempre voglia.» Sonia lo sapeva già, perché spesso le aveva sentito sulle mani l’odore del sesso dopo che era stata in bagno.
«Tu come te li fai?» chiese ancora.
«Come te» mormorò, ipnotizzata dal movimento ritmico delle dita e dal profumo inebriante della vulva.
«Voglio provare con una mano diversa dalla mia» affermò Anita. Non vorrei, o mi piacerebbe. Voglio, disse. Era un ordine, e agli ordini bisognava sottomettersi senza discutere.
Fece scivolare la mano sul sesso aperto e umido della compagna, che tolse la sua lasciandole campo libero. Non aveva mai toccato un’altra donna, anche se l’aveva immaginato spesso, e la sensazione che provò le mozzò il respiro. E non fu l’unica a cui accadde, a giudicare dal gemito che sfuggì ad Anita mentre la accarezzava. Guidata dal profumo di sesso, che si faceva tanto più intenso quanto più Anita godeva, Sonia trovò il ritmo perfetto, facendo scivolare indice e medio su e giù lungo la fessura, ormai gocciolante di umori.
«Cazzo, che bello» mormorò Anita. «Fai dei ditalini meravigliosi. Lo dirò a tutte.»
Per “tutte” Anita intendeva le fighette della classe, sempre eleganti, perfettamente truccate e molto provocanti, che Sonia immaginò di dover servire singolarmente e in gruppo. Il solo pensiero le provocò una colata tra le cosce.
L’orgasmo della compagna arrivò velocemente, preannunciato da un profumo caldo e umido di giungla tropicale.
Ma non era ancora finita. La tigre non era affatto sazia.
«Sdraiati sul letto» le ordinò, lasciando da parte ogni tipo di cortesia. Ormai aveva capito che Sonia aveva la vocazione della schiava e che poteva fare di lei ciò che voleva.
Docilmente, Sonia si stese di schiena sul letto lasciato libero dalla ragazza. Dopo aver sfilato il perizoma, con un movimento agile acquisito in molti anni di danza, Anita si sedette sulla sua faccia.
«Ti piace il sapore della mia fregna, cagnetta?»
Sonia annuì debolmente, la bocca premuta contro il sesso rovente e fradicio di Anita.
«Ne ero certa. Ora lecca, cagna.»
Sonia obbedì, passando la lingua sul clitoride eretto e tra le piccole labbra, ormai incapace di ragionare lucidamente per via del profumo afrodisiaco che le saturava le narici. Si sentiva davvero una cagna, tutta lingua e istinto, determinata a servire al meglio la sua padrona.
«Leccami anche il culo, schiava» ordinò Anita, sollevandosi un po’ per darle modo di arrivare all’ano con la bocca. «Dovrei filmarti mentre mi slingui, altrimenti non mi crederanno quando dirò loro quanto sei cagna.»
«Tutto quello che vuoi, padrona» rispose, mentre un orgasmo tremendo le scuoteva il corpo senza che si fosse anche solo sfiorata. Era stato un godimento puramente cerebrale.
«Incredibile, la cagna è venuta senza neanche toccarsi» fu il commento divertito di Anita, che sottolineò la frase strofinandole la fica contro la bocca spalancata. «Le ragazze andranno pazze per te, vedrai, leccherai tante di quelle fregne da avere l’alito al profumo di Chilly.»
Sonia non smise un attimo di usare la lingua, portando Anita al secondo orgasmo consecutivo.
Solo dopo aver goduto altre due volte l’amica si rivestì, indossando una comoda tuta da casa in pile leggero.
«Studieremo spesso insieme, io e te» le disse baciandola sulle labbra, qualche minuto prima che sua madre tornasse a casa dalla palestra.
Era una bella donna sulla quarantina con una quinta abbondante di seno, che grazie alle battute di Anita Sonia sapeva essere opera di un chirurgo plastico.
«Quella maleducata di mia figlia ti ha offerto qualcosa da bere?» le domandò con un sorriso. «Tende a essere un po’ prepotente, a volte.»
«Le ho fatto bere del succo biologico» rispose l’interessata con un risolino soddisfatto. «Le è piaciuto da matti.»
«Sì, signora» aggiunse Sonia, per confermare l’affermazione di Anita. «Tutto a posto.»
La donna aveva lo stesso odore di sua figlia, ma più intenso e maturo. Sonia ebbe la tentazione di inginocchiarsi di fronte a lei e offrirsi come schiava. La sua sensualità era prorompente. Un giorno che era in vena di confidenze, Anita le aveva raccontato che la madre aveva una relazione con un personal trainer venticinquenne, cosa che l’intenso odore di sperma nel suo alito le confermò senza ombra di dubbio. Un sottile cambiamento nel suo odore le fece capire che neanche lei era rimasta indifferente. Il successivo gioco di sguardi, da padrona a sottomessa, confermò quello che Sonia aveva capito fin dal primo momento.
Aveva la certezza che prima o poi avrebbe servito anche quella donna. Sarebbe stata una schiava docile e ubbidiente.


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