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Il Mare Cupo e l'Hotel | Luna NERA


di Membro VIP di Annunci69.it CapitanX
06.03.2025    |    3    |    0 8.0
"Li vidi appena varcai la soglia..."
Il mare si era fatto cupo nel pomeriggio.
Il vento aveva gonfiato le onde, increspandole in un movimento inquieto, spingendo il cielo a chiudersi in un velo di nuvole basse e minacciose.
Non sarebbe stata una notte per navigare.

La Luna Nera rimase ancorata nel porto, le cime ben strette agli ormeggi, come se anche la barca sapesse che il mare, stanotte, non era un posto sicuro.

Il messaggio arrivò poco dopo, breve, diretto.
“Il mare è contro di noi, ma la serata può ancora regalarci qualcosa.
Ti aspettiamo al ristorante dell’hotel.” Non una semplice cena, non un rimedio a un piano saltato, ma un invito carico di intenzioni non dette.

L’hotel era uno di quelli che dominavano la scogliera, le luci morbide che si riflettevano sulle vetrate mentre il vento agitava le palme nel giardino sottostante.
Entrando nella hall, percepii subito l’atmosfera ovattata del luogo: il profumo discreto dell’aria condizionata, il rumore sommesso dei passi attutiti dalla moquette, il tintinnio dei bicchieri proveniente dal ristorante, un angolo elegante avvolto in un gioco di luci soffuse e dettagli dorati.

Li vidi appena varcai la soglia.
Un tavolo appartato, vicino alla vetrata che dava sul mare in tempesta. Lui sedeva con il corpo rilassato, una mano sul bicchiere di vino, il gomito appena poggiato sul tavolo. Indossava una camicia di lino bianca, aperta quanto bastava per rivelare il petto scolpito, il tessuto che si muoveva leggero a ogni suo respiro. Il sorriso sulle labbra era quello di un uomo che sapeva già come si sarebbe conclusa la serata.

Ma fu lei a catturare ogni mio pensiero.

Era bellezza fatta carne, una femminilità senza sforzo, consapevole, letale. Il vestito nero le aderiva addosso come un guanto, la seta che scivolava lungo il corpo seguendo ogni curva con una precisione innaturale.
Il tessuto si fermava a metà polpaccio, lasciando spazio allo spacco alto che si apriva a ogni movimento, rivelando la pelle liscia della coscia, la balza delle calze autoreggenti, nere, finemente ricamate.

Non c’era nulla di casuale.
Ogni dettaglio era una dichiarazione d’intenti: i capelli castano chiaro raccolti in una coda morbida, lasciando qualche ciocca sfuggire sulla nuca con studiata noncuranza; le labbra color rosso scuro, umide dopo ogni sorso di vino, il respiro leggermente più profondo del necessario, il petto che si sollevava in un ritmo misurato, invitante. Il seno, grande, pieno, contenuto solo dalla pressione del vestito, il tessuto teso a sottolineare le curve generose.
Sapeva di essere guardata.
E lo voleva.

Mi avvicinai, il rumore ovattato dei miei passi coperto dal suono discreto della sala. Lei sollevò lo sguardo mentre mi sedevo, un sorriso lento che non aveva bisogno di parole. Lui spinse il bicchiere di vino verso di me, un gesto rilassato, ma carico di sottintesi.

La cena si svolse con una lentezza esasperante, un gioco di sguardi, di tocchi sfiorati. Il calore della sua pelle contro la mia quando le nostre mani si incontravano per errore, la sensazione delle sue gambe che sfioravano le mie sotto il tavolo, il modo in cui si leccava le labbra dopo ogni sorso di vino, consapevole del peso di ogni gesto.

Poi si alzò, senza fretta.
Un movimento naturale, ma carico di intenzione. Lo spacco dell’abito si aprì mentre si sistemava i capelli, lasciando intravedere l’interno coscia, la calza nera che stringeva appena la pelle morbida.
— Torno subito.
Non era una richiesta, né un addio. Era un invito.
Aspettai qualche secondo, poi mi alzai.

Lui rimase al suo posto, sollevò appena il bicchiere, un cenno quasi impercettibile.
Non servivano parole. Sapeva esattamente dove stavo andando.

Il corridoio che portava ai bagni era avvolto nella quiete ovattata dell’hotel, con luci soffuse che gettavano riflessi dorati sul pavimento di marmo chiaro. Il profumo discreto dell’aria condizionata si mescolava a quello del legno delle porte lucide, mentre il suono ovattato del ristorante svaniva dietro di me.

La porta non era chiusa completamente.
Uno spiraglio appena percettibile, un varco lasciato per me.
Spinsi il legno con la lentezza necessaria, senza far rumore.

Lei era lì, davanti allo specchio, le mani poggiate sul lavabo in marmo, il viso abbassato, la schiena arcuata appena. Osservava il proprio riflesso con un’espressione imperscrutabile, come se stesse ancora giocando con se stessa, assaporando il potere che sapeva di avere.

Chiusi la porta dietro di me, senza fretta.

Sollevò lo sguardo allo specchio, incontrando il mio riflesso.
Un sorriso lento, appena accennato, come se sapesse già cosa sarebbe successo.
Mi avvicinai, il suono dei miei passi coperto dal rumore sommesso dell’acqua che scorreva dal rubinetto.
Quando fui abbastanza vicino, allungò una mano dietro di sé, lasciando che le sue dita sfiorassero il bordo della mia giacca, un tocco leggero, una trappola invisibile.

— Sei stato lento — sussurrò, senza voltarsi.

Le mie mani scivolarono lungo i suoi fianchi, il tessuto del vestito liscio sotto i polpastrelli. Seguivo il contorno della sua vita, lasciando che la mia presa si stringesse appena, come a saggiarne la resistenza.
Abbassò la testa, il respiro che si fece più lento, più profondo.

Lasciai che il desiderio maturasse, lasciando la mia bocca sospesa a pochi millimetri dalla sua pelle, il calore del mio respiro che sfiorava la sua nuca scoperta.
Quando finalmente posai le labbra sulla curva morbida del collo, la sentii trattenere il fiato.
Un bacio lento, deciso.

Un morso leggero, la lingua che sfiorava la pelle, assaporando il sapore del suo profumo.
Le sue dita si strinsero sulla mia coscia, l’unghia che tracciava un percorso invisibile sopra il tessuto dei pantaloni, un segnale chiaro, una richiesta silenziosa.

Scivolai ancora più vicino, le mie mani che esploravano la linea del suo corpo con movimenti precisi, studiati. Sentivo il battito accelerato sotto la pelle, il respiro che si spezzava in sospiri trattenuti.

Poi la mia mano scese, trovando l’orlo del vestito, scivolando sotto, risalendo lungo la coscia. Il pizzo delle calze sotto i polpastrelli, la consistenza sottile che stringeva la pelle con una dolce pressione.

— Dovremmo tornare al tavolo… — mormorò, ma la voce era un filo sottile, un suono che non credeva nemmeno lei.
Non risposi.
Lasciai che le mie dita scivolassero sotto la balza della calza, trovando la pelle calda, il punto esatto dove la seta lasciava spazio alla carne.

Un fremito attraversò il suo corpo, un brivido appena percettibile.
La mia bocca trovò il lobo dell’orecchio, i denti che strinsero con una delicatezza studiata.
— Torneremo…

La mia mano scivolò via, lasciandola con il fiato corto e le labbra ancora socchiuse.
Si voltò lentamente, il viso a un soffio dal mio, gli occhi scuri accesi da qualcosa che non poteva più nascondere.
— Non farti attendere troppo.

Poi aprì la porta, uscì senza guardarmi, con la stessa sicurezza con cui era entrata.
Io attesi qualche secondo, lasciando che il sangue riprendesse il suo ritmo normale.

Quando tornai al tavolo, lei era già seduta, le mani giunte sul bordo del bicchiere, le labbra curve in un sorriso enigmatico.
Lui la osservava con un sorriso compiaciuto, rilassato, come se avesse già visto la scena mille volte.

Sollevò il bicchiere verso di me, un brindisi muto.
— Andiamo di sopra.

Non servivano altre parole.
Era tempo di reclamare ciò che ormai era inevitabile.

L’ascensore si mosse silenzioso lungo i piani, le luci soffuse che illuminavano le superfici in acciaio riflettevano i nostri volti senza mai rivelare troppo. Lei era tra di noi, il suo corpo ancora vibrante, il respiro più lento, controllato, ma il fuoco non si era spento.
Lo sapevo io, lo sapeva lui.
Soprattutto, lo sapeva lei.

La suite era ampia, con una vetrata che si affacciava sulla costa, la luce della città lontana che si rifletteva sulla superficie ancora agitata del mare.
Le tende leggere si muovevano appena sotto la carezza del vento notturno che entrava dalla finestra socchiusa.Lei si tolse le scarpe con movimenti misurati, lasciando che il vestito seguisse il suo corpo mentre camminava verso il bagno. L’abito di seta ondeggiava su di lei come un velo che ancora la proteggeva dalla resa totale.Si fermò accanto al mobile bar, prese una bottiglia di champagne immersa nel ghiaccio e versò tre bicchieri con la precisione di chi sa che il rituale ha il suo peso.Io la osservavo.
Lui la osservava.
Lei lo sapeva.

Dopo aver bevuto un sorso, prese il suo bicchiere e si allontanò lentamente, lasciando scivolare le dita lungo il bordo della coppa prima di entrare nel bagno.
La porta rimase socchiusa.

Una scelta, un invito, un segnale preciso.Io e lui restammo immobili per un attimo, il bicchiere ancora tra le dita, lo sguardo rivolto verso quella fessura che ci permetteva di intravedere il riflesso di lei nello specchio.Si muoveva con la consapevolezza di chi sa di essere osservata.

Le mani che accarezzavano il proprio collo, scivolando sulle spalle nude, un fremito quasi impercettibile mentre sfilava l’abito con lentezza esasperante.

La seta scivolò lungo i suoi fianchi, rivelando la pelle ambrata, il pizzo nero delle calze che ancora avvolgeva le gambe, strette in una carezza sottile.
Io sorseggiai il mio champagne, lasciando che il freddo delle bollicine contrastasse con il calore che si diffondeva nel mio corpo.

Lui fece lo stesso, ma con un sorriso rilassato, complice.Lei si voltò appena, lo sguardo che ci invitava ad avvicinarci.Il pizzo delle calze si arrotolò lungo la coscia, le sue mani che lo scivolavano via con gesti lenti, il movimento misurato di chi sa che ogni secondo di attesa aumenta il desiderio.

Il seno, grande, perfetto, si rivelò nudo, la pelle tesa sotto la luce soffusa, i capezzoli che si indurivano appena sotto l’aria più fresca della stanza.Lui bevve un sorso di champagne. Io posai il bicchiere.
Era tempo di raggiungerla.

Mi mossi per primo, il suono ovattato dei miei passi coperto solo dal sussurro della brezza che entrava dalla finestra.
Lui mi seguì, senza fretta, senza esitazioni.

La porta del bagno si aprì completamente quando entrammo, e lei ci guardò, il corpo già pronto, il respiro appena accelerato.

Si lasciò andare contro il bordo del lavabo, il sorriso che si curvava sulle sue labbra mentre le sue mani ci accoglievano entrambi.

Il mare fuori continuava a fremere sotto il cielo notturno, le onde che si infrangevano contro la scogliera come un’eco del desiderio che finalmente si consumava.

Nella suite, il tempo cessò di esistere.
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