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LA PRIMISSIMA VOLTA


di Soonia
12.01.2013    |    12.729    |    3 9.9
"Segretamente mi sentii comunque felice di essermi liberata, che alla fine poteva fare e dire quel che voleva e pensavo piena di orgoglio che comunque lui..."
LA PRIMISSIMA VOLTA
Fra tante cose che sono accadute nel corso della mia vita, di certo la prima volta con un ragazzo non è stata la più importante, né la più memorabile, eppure – chissà perché – ogni tanto ritorna alla memoria, qualche volta un’amicizia occasionale in rete mi chiede di raccontargliela e qualche volta si fantastica su cosa sarebbe cambiato, cosa sarebbe avvenuto se solo un particolare fosse stato diverso. Io ci provo a raccontarla, forse scrivendone scoprirò qualcosa di nuovo anch’io.
Eppure la prima volta è stata strana, per questo la chiamo “la primissima volta”, sia perché dopo ce ne sono state altre (spesso altre “prime volte”), sia perché non mi è più capitato in quel modo. E’ stata l’unica volta che l’ho fatto non da femminuccia, ma “in borghese”, così come mi trovavo al momento (… forse a pensarci ce n’è stata un’altra mezza volta così, ma è un’altra storia).
Avevo tredici anni e mezzo e c’era questo compagno di scuola, col quale spesso studiavo assieme e quasi ogni giorno uscivamo, andavo a casa sua o veniva lui da me. Andavamo d’accordo, non era il solito bulletto tutto scherzi, pacche, spintoni e doppi sensi; condividevamo gli stessi interessi per i passatempi dell’epoca (di certo non dirò quanto tempo è passato da allora!) e ogni tanto potevamo sinceramente confidarci ansie e paure. Aveva un fratello maggiore: il tipico quasi diciottenne con un accenno di peluria sul mento che chiamava barba, magro alto e spavaldo; un bel po’ spavaldo e saccente come tutti i ragazzi sanno essere a quell’età. Prendeva in giro sempre suo fratello perché era più piccolo e – di riflesso, quando c’ero – anche me come se la nostra età minore fosse una colpa e lui non fosse mai stato tredicenne. Si vantava continuamente delle sue conquiste femminili, diceva che suo fratello e io non eravamo in grado neanche di concepire quello che lui faceva con le ragazze e che forse non eravamo neanche interessati perché eravamo delle femminucce. Si chiamava Carlo e non ho mai capito perché, ma avevo una cotta per lui; anche se mi prendeva in giro e mi offendeva ogni volta che poteva.
Ebbene, era un pomeriggio di aprile, prima delle vacanze pasquali; citofonai a casa del mio compagno perché dovevamo studiare assieme e Carlo rispose aprendo il portone del palazzo. Davanti alla porta di casa sua trovai il portoncino accostato e lui, di spalle, che mi disse che il fratello non c’era, era uscito con i genitori e sarebbe tornato a tarda sera; mi disse anche di entrare e chiuse la porta alle mie spalle. Ogni volta che lo vedevo o ero in sua presenza io diventavo rossa e non mi veniva nulla da dire; ero ben cosciente di avere un debole per lui ma pensavo fosse solo ammirazione per la sua spavalderia e la sua prestanza. Intanto mi chiedevo: ma se è solo che ci faccio qui? con chi studio oggi?
Carlo era insolitamente gentile con me, mi fece accomodare in sala, parlava parlava non ricordo neanche io di cosa mentre era affaccendato con i suoi libri e le continue telefonate, mentre io mi chiedevo quale scusa mi sarei inventata per andar via. Quando gli dissi che dovevo andare, con meraviglia mi sentii rispondere che potevo approfittare del fatto che ero sola con lui per trascorrere un’oretta e “imparare” qualcosa … e io che mi ripetevo: lo fa per cortesia o per sfottermi?
Insomma non riuscii, anche perché in realtà non volevo, ad andar via e quando lui se ne rese conto cominciò a giocarci; iniziò a prendermi in giro, mi faceva vedere foto e firme sul suo diario, raccontava di ragazze, di quello che ci aveva fatto e di quello che avrebbe voluto fare con qualcun’altra, poi mi guardava negli occhi e mi diceva “… ma tu non puoi capire, siete delle femminucce tu e mio fratello”.
Pian piano mi resi conto che col passare dei minuti il discorso era sempre più monotematico: ragazze e sesso, sesso e ragazze, bravate con ragazze e sfottò per me; mano mano diventava sempre più audace e volgare e io mi sentivo sempre più rossa, impacciata e incapace di andarmene. Fu così che ci ritrovammo prima in camera sua, dove mi mostrò qualche rivista porno mentre ridacchiava di fianco a me che titubavo a guardare quelle foto; poi mi prese per un braccio e con qualche giornale porno sotto l’altro braccio mi fece sedere sul divano in sala. A pensarci oggi è evidente che si era eccitato per qualcosa che gli era balenato nella mente e forse aveva già deciso cosa sarebbe accaduto dopo.
Mi diceva “… ma dài, proprio non ti piacciono le donne … guarda questa che corpo …” e così via, si toccava la patta e ridacchiava. Poi di colpo mi disse “vediamo se sei eccitat… se no vuol dire che sei proprio dell’altra sponda”. Io cominciavo a sudare e mi chiedevo se per caso non avesse capito da tempo la mia vera natura e addirittura avesse anche intuito della mia cotta per lui. Non finì neanche di parlare che guardandomi fisso negli occhi mi disse “guarda ti faccio vedere io” e si tirò già la lampo dei jeans.
Non si limitò a sbottonarsi, quello che mi impressionò di più è che si tirò giù i pantaloni fin sotto le ginocchia e subito dopo anche gli slip. Io cercavo di non guardare, ma una forza quasi sovrannaturale indirizzava le mie pupille verso il suo pube mentre cercavo di voltarmi e fare l’indifferente. Oramai non avrei potuto fuggire da quella stanza, me ne rendevo conto e sapevo anche che la cosa normale era che anch’io facessi come lui, ma sapevo bene che non è una cosa nella mia natura.
Appena l’elastico dei suoi slip lo liberò, il suo sesso scattò fuori di netto già eretto, dritto come un tubo; aveva anche un po ‘ di peletti sopra che gli davano quel tipico aspetto invitante; non avevo esperienza ancora di dimensioni del sesso maschile e non sarei in grado di quantificare, ma mi sembrava grande, lungo, mi impressionava soprattutto vederlo così duro e dritto. Carlo mi fissava sorridendo e godendo del mio impaccio estremo; ero completamente rossa e sudavo vistosamente, non sapevo minimamente come comportarmi. Il mio istinto mi diceva di gettarmi sul suo sesso, lo desideravo, volevo compiacerlo, soddisfarlo, contemporaneamente però temevo che fosse l’estrema offesa che il bulletto voleva arrecarmi. Mi sentivo come se fossi ubriaca, estremamente indecisa e lui che continuava a dirmi di abbassare i pantaloni, di fargli vedere se fossi maschietto o femminuccia. Se l’era studiata bene: ovviamente non ne fui capace e appena lo comprese cominciò a toccarsi per provocarmi; mi invitava a guardarlo a osservare com’era un vero pene eccitato e dopo poco mi invitò a toccarlo.
Ero immobilizzata dalla tensione, volevo ma non potevo e quella cosa che avevo sempre sognato nelle notti tormentate dal desiderio di ragazzina mi capitava proprio col fratello del mio amico per il quale avevo una cotta. Ogni volta che incontravo il suo sguardo mi sentivo sciogliere e pensavo che sarei stata disposta a tutto anche per un solo momento di complicità, anche solo per sfiorarlo. Mi incoraggiava dicendo che non c’era niente di male, che potevo imparare qualcosa, che non potevo più tirarmi indietro e che non l’avrebbe detto a nessuno. Cercava di sminuire la cosa per convincermi, si capiva, ma io invece capivo anche che non sarei uscita intera da quella casa e che la mia vita sarebbe cambiata dopo quel pomeriggio. E così la mia natura guidò la mia mano sul suo sesso turgido; guardavo da un’altra parte e mentre cominciavo a carezzarlo sentivo i suoi occhi su di me e contemporaneamente quella sensazione indimenticabile del calore della pelle del suo pene sulle mie dita. Mi diceva “brava! vedi come sei brava e come lo sai fare … ti piace eh?” sentii la sua mano circondare la mia e costringermi ad afferrare il suo pene, a stringerlo mentre cominciava a sospirare di piacere. Mi piaceva sentire il suono del suo godimento mentre cominciava ad andare su e giù guidando la mia mano che lo masturbava stringendolo forte.
Durò solo un po’, mi lasciò la mano che cominciò a scorrere da sola lungo la sua asta dura e dritta e io mi girai a guardare quello che stavo facendogli; lui aveva appoggiato la testa indietro sullo schienale del divano con gli occhi chiusi e si godeva le sensazioni. Ero eccitata come non ero mai stata prima, temevo di non essere brava, di fargli male; con l’altra mano volevo carezzarlo, avrei voluto sentire il suo cazzo dappertutto, ma mi limitai ad abbassargli gli slip per farlo stare più comodo; mugolava come un grosso gattone e mi disse sussurrando: “vedi che avevo ragione? l’ho sempre saputo che sei una troietta, adesso non puoi più tirarti indietro sarà un nostro segreto, altrimenti tutti lo verranno a sapere”. Non avevo dubbi che l’avrebbe detto e comunque mi piaceva quella cosa, sentirmi la sua femmina, complice di un dolce segreto e costretta ad andare avanti fino alla fine; non desideravo null’altro nella vita in quel momento.
Non sapevo come sarebbe andata avanti la cosa, sono sempre stata passiva in tutto e ho sempre preferito assecondare i desideri del mio partner, sapere di essere costretta a farlo senza possibilità di scelta era una cosa che mi tranquillizzava molto. Così quando si alzò e mi disse di sbottonarmi lo feci senza neanche pensarci e mentre lo facevo lui mi girò di spalle e mi abbassò i jeans e le mutandine scoprendomi solo i glutei. Cominciò a palparli, si avvicinò col suo cazzo eretto e me lo appoggiò sulle natiche tenendomi stretta con le mani sul culo. Sentivo il suo desiderio e la sua eccitazione sul culetto che premeva, strusciava, avrei voluto che non finisse mai; mi allargava le chiappe e insinuava il suo cazzo liscio caldo e duro nel solco andando su e giù mentre mugolava. A un certo punto mi spinse con la mano sulla nuca da dietro facendomi chinare a novanta gradi mentre ero ancora in piedi davanti a lui e cercavo di mantenere il contatto dul mio sederino con il suo membro. Lo sentivo maschio, virile, eccitato, come avevo sempre desiderato sentire un uomo dietro di me; decisi che non mi sarebbe più importato di nulla, era una sensazione troppo forte e potente, non riuscivo a rinunciare.
Il suo membro percorreva in lungo il solco delle mie natiche dal basso verso l’alto, me le apriva con le mani e io potevo sentire la sua cappella umida proprio sul mio forellino e poi tutto il suo cazzo che scivolava lungo lungo fino ai coglioni nel solco del mio culo voglioso. Poi di colpo mi afferrò per i fianchi e mi guidò verso il divano, mi spinse verso lo schienale e mi ritrovai a pecorina con le ginocchia sulle sedute del suo sofa, un braccio appoggiato su un bracciolo e un altro sullo schienale, mi aprì potentemente le chiappe con le mani e puntò il suo cazzo contro il mio forellino innocente. Diede tante spinte nella speranza di deflorarmi a secco, io sentivo solo una forte pressione, come se mi volessero pugnalare con un coltello privo di punta, non era piacevole, ma mi eccitava da matti. Continuò per un bel po’ ottenendo solo un mio bruciore intenso, mi lamentavo, guaivo, mugolavo, lui sospirava ma niente di che. Alla fine mi disse di aspettare: c’era bisogno di un po’ di lubrificazione. Andò in bagno e tornò con un po’ di sapone, me lo spalmò piano piano sul forellino vergine e tutto intorno, poi si prese cura del suo arnese, cospargendolo di schiumetta, io mi voltai per vedere cosa stesse facendo e lo vidi mentre si prendeva cura del membro che tanto desideravo ricevere dentro di me.
Alla fine con una mano mi allargò la chiappa sinistra, mentre con l’altra puntava il suo cazzo eccitatissimo tenendolo dalla radice contro il mio buchetto; sentii per un attimo la sua mano sinistra spingermi la nuca contro il bracciolo del divano e poi un grosso pezzo di carne entrare lentamente ma potentemente e in modo molto deciso nel mio ano scivoloso. Mi aveva deflorata, almeno il primo anello del mio buchino piccino e vergine. Continuò a spingere come un ariete fino a penetrarmi per qualche centimetro; sentivo solo un grande bruciore, un pezzo di carne dura come il marmo che bussava e spingeva e una sensazione di allagamento e di viscido intorno al buco del culo, mentre la sua cappella oramai doveva essere completamente immersa dentro.
Per sverginarmi ci volle più di mezz’ora, dopo il sapone prese una crema di sua madre, non ho idea di cosa fosse, ma era viscida, mi sentivo completamente anestetizzata da tutti quei colpi, da quella pressione continua e soprattutto dal bruciore intenso, non sentii alcun piacere, ma solo l’intensa voglia di accoglierlo tutto dentro, di soddisfarlo e di renderlo felice. Solo dopo un tempo indeterminato, di cui ricordo ogni singola sensazione, mi accorsi di averlo dentro per un bel po’, il mio buchetto cominciava a rilassarsi e lo sentivo andare avanti e indietro con velocità variabile. Ricordo di aver pensato per un attimo che, nonostante il bruciore, non mi ero mai sentita così felice e completa in vita mia.
Continuava a spingere e a pistonarmi da dietro da un bel pezzo mentre mi diceva di avermi sfondata e che mi aveva fatta diventare la sua troia. Devo ammettere che, per la sua età, non era poi tanto inesperiente, o forse era solo molto infoiato. Poi di colpo emise un rantolo acuto, lo sentii da dietro inarcare la schiena ed entrare più profondamente, il suo cazzo pulsava, ma non per i colpi di reni che mi dava da dietro, stava finalmente venendo dentro di me. Lo spinse ancora più in fondo, io mi sentivo come se il mio buchetto si fosse completamente sciolto al sole, la sua eiaculazione non doveva essere ancora quella di un uomo maturo, ma comunque fra il bruciore, il dolore e la completa anestesia anale che sentivo non potevo distinguere il suo sperma dai lubrificanti che mi aveva messo e dal sangue che – come mi accorsi dopo – stavo perdendo.
Non lo sentii neanche uscire, ero solo combattuta fra l’orgoglio di averlo fatto godere e la nostalgia che il suo impeto e la sua passione fossero terminati. Balzò giù dal divano e corse in bagno a sciacquarsi il pene, quando ritornò io ero sempre nella stessa posizione, solo un po’ più accasciata sul divano e lui mi guardava con un sorriso beffardo tenendosi il sesso in mano e menandoselo un po’, tutto orgoglioso di avermi inculata. Mi sentivo oramai partita per la via senza ritorno della perdizione, quella via che sentivo mia naturalmente e che non avevo il coraggio di confessare a me stessa di volere più di ogni altra cosa al mondo. Ero stata sua e lui aveva goduto dentro di me.
In un sussulto di strana gentilezza mi disse che se volevo potevo andare in bagno a ripulirmi; lo feci dopo qualche minuto di estasi e solo lì ebbi il coraggio di toccarmi il mio ex forellino stretto e vergine che era completamente impastato e insensibile, completamente slabbrato, tumido, dolorante e … spalancato. Con un dito constatai di aver perso sangue che era misto a umori di varia natura e mi sciacquai con abbondante acqua fresca. Tornando da lui mi accorsi che camminavo sculettando, pensai che le movenze del mio culetto dovevano essere oscene, lo trovai seduto sempre sul divano con il cazzo in mano mentre se lo menava e se lo guardava compiaciuto. Cominciò a prendermi in giro, ma non mi dispiaceva, diceva che poteva dire a tutti le cose che facevo e come ero brava a prenderlo. Segretamente mi sentii comunque felice di essermi liberata, che alla fine poteva fare e dire quel che voleva e pensavo piena di orgoglio che comunque lui aveva goduto di me, mi aveva desiderata, mi aveva scopata con impeto e passione e io l’avevo fatto venire.
Mi fece sedere accanto a lui e quando il mio sederino toccò la seduta del divano sentii fitte inequivocabili che provenivano dal mio forellino violato e ancora caldo del suo sesso, intanto mi mostrava il suo membro ancora erettissimo e mi accusava di averglielo fatto diventare tutto rosso e viola in alcune zone. Poi, mentre ancora parlava e mi prendeva in giro per le mie doti femminili mi ordinò di girarmi e di mostrargli il frutto del suo lavoro. Io oramai ero in sua completa balìa, mi misi a quattro zampe sul divano di fronte a lui e mi lasciai aprire le chiappe. Mi osservava e ridacchiava, mi diceva che mi aveva sfondata completamente e che non sarei più stata la stessa … ma tanto che mi importava? Ero stata sua, anche per soli quaranta o cinquanta minuti e ne era valsa la pena.
Lo conoscevo abbastanza e sapevo che le sue erano più che altro pose, non era un ragazzo cattivo, anzi un po’ mi piaceva pure essere sfottuta da chi aveva avuto il mio fiore, ripeteva che ero completamente aperta, che se ne sarebbero accorti tutti, che dovevo andare dal medico e cose del genere per mettermi paura, poi d’un tratto disse “anzi adesso è meglio completare l’opera, così magari ti faccio anche venire e non te lo scordi più” e con un balzo salì con una gamba sul divano tenendo l’altra per terra e puntandomi di nuovo la cappella sull’ano ancora dolorante.
Io pensavo fra me “e chi se lo potrebbe scordare?” rimasi in ginocchio a pecorina, questa volta comoda, con le braccia sul bracciolo del divano, il culetto completamente inarcato a sua completa disposizione e abbassai la testa. Voleva cavalcarmi!
Questa volta non c’era bisogno di lubrificanti, ero ancora abbastanza umida; Carlo si limitò a darsi una leccata sulle dita e a umettarsi la cappella e il suo cazzo lentamente si infilò nel mio culo voglioso che non voleva altro che lui, lentamente, lo potevo sentire scivolare inesorabilmente dentro di me mentre emetteva profondi sospiri di pura goduria. Mi sembrò del tutto naturale sentirmi allargare lo sfintere per accoglierlo. Faceva ancora male, ma questa volta riuscivo a sentirlo e a godere della sua eccitazione. Inarcai ancora di più la schiena alzando il sedere per lasciarlo entrare più comodamente e lui cominciò a cavalcarmi lentamente e cercando di andare sempre più in profondità; questa volta me la stavo godendo come una pazza; più fitte di dolore sentivo, più capivo che mi stavo aprendo e più godevo e adoravo quella sensazione,
Mi cavalcò lentamente per almeno un quarto d’ora, credo; ogni tanto variava la velocità, mi chiedeva se mi piaceva, se me la stavo godendo, se ne volessi ancora di più … ma chi poteva rispondere? mi sentivo in estasi. D’improvviso cominciai a sentire una potentissima eccitazione risalire dal basso ventre pian pianino fino al cervello, mi sentivo fremere; conoscevo quella sensazione, avevo già scoperto che l’adeguato stimolo del buchetto mi provocava dei potenti orgasmi anali, di tipo femminile. Infatti le sensazioni aumentarono lentamente fino all’apice, come una marea: ansimavo, sudavo sculettavo, poi – si sa – un po’ si perde la coscienza. Mentre godevo lo sentivo spingere con colpi secchi, sfilava quasi completamente il cazzo e lo infilava violentemente di nuovo tutto dentro dandomi dei poderosi colpi di mincbia accompagnati da rantoli e urla smorzate.
Sentivo un intenso formicolio al cervello mentre, dopo lunghissimi minuti il mio orgasmo progressivamente diminuiva. Sollevai la testa lasciando che continuasse a pomparmi, l’importante per me era il suo godimento, non il mio. Durò altri venti minuti, credo: sentivo solo la piacevolissima sensazione del suo cazzo durissimo e dritto come un fuso piantato dentro il mio canale che scivolava ormai senza più ostacoli a suo piacimento; cominciavo anche a sentire il suo scroto che lambiva il mio perineo quando affondava un po’ di più. Poi inarcò la schiena e me lo spinse fino in fondo per tre o quattro volte con colpi ancor più decisi, mentre i suoi gemiti si facevano più forti. Questa volta lo sentii distintamente eiaculare, anche se non potevo sentire il suo sperma schizzarmi dentro, non credo che ne avesse ancora.
Non dimenticherò mai che, a conferma delle mie sensazioni sul suo carattere di fondo, rimase dentro di me fermo col cazzo ancora eccitato per quasi un minuto dopo aver goduto: mi fece sentire al settimo cielo; poi uscì lentamente, quasi con nostalgia e appena tiratolo fuori si chinò e mi diede un furtivo bacio di apprezzamento e uno schiaffetto sul culetto. Da quel giorno sono cambiata; credo proprio per quegli ultimi istanti.
Mi rivestii in un batter d’occhio e andai via, lui non parlava. Mi salutò con la mano e non mi accompagnò neanche alla porta, tornando a casa camminavo su una nuvola, o meglio sculettavo su una nuvola! Dovetti dire che non mi sentivo bene, mi girava la testa e stranezze del genere. Ero sicura che ognuno si sarebbe accorto di quel che mi era successo, ma per fortuna non ci furono conseguenze.
Lo rifacemmo dopo una decina di giorni, ricordo che era la domenica di Pasqua, lui mi chiamò al telefono e disse di andare a casa sua perché era solo. Ovviamente non me lo feci ripetere e dopo dieci minuti bussavo alla sua porta. Fu l’esatta replica della prima esperienza, ma senza la fatica e i dolori della deflorazione, solo la parte bella e sexy. Dopo quella volta non lo vidi più; trascorsero due mesi e - un giorno di giugno - seppi che Carlo era partito per trasferirsi in un’altra città con la sua famiglia. Ogni tanto mi sorprendo a pensare se si ricorda di me, cosa ricorda e lo ringrazio per avermi fatto scoprire tutto.
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