tradimenti
Mi scopo il suo migliore amico - parte 1
di esperienzanuova7375
03.06.2024 |
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"La scollatura a cuore era sensuale ma non esagerata, esattamente come piaceva a me..."
Sin dai tempi delle superiori sono stata una studentessa modello una di quelle ragazze intelligenti, una secchiona che non gode di tanta popolarità anche se di bello aspetto. Non conciliavo molto con i ragazzi in genere e la bella vita dedicandomi completamente allo studio, anche se all'epoca presi una bella cotta per Sean (si legge scion) il più figo della scuola e della mia classe, ma c’era un problema: per lui non esistevo. Ero considerata la preferita dei professori e questo lo irritava tanto, lo rendeva nervoso oltre al fatto che non gli davo la giusta attenzione come le altre gallinelle, anche se per lui provavo qualcosa di unico. Praticamente lo conosco dalla scuola materna, all'epoca ambivo ad essere la sua ragazza, ma non ci provai anche perchè aveva uno stile di vita diverso dal mio. Sean era un bad-boy e anche uno dei ragazzi più popolari tra le teen-agers. Era un solitario, uno che stava sempre sulle sue, un ragazzo di cui era impossibile ignorare i suoi occhi verdi, sfoggiava un’aria da duro sotto ai suoi capelli biondi. Frequentava e cercava di imitare pedissequamente il suo migliore amico (Roberto) ma l’indole di cattivo ragazzo lo tradiva. Gli separavano un paio di anni, erano come il sole e la luna, il bianco e il nero, il caldo e il freddo, praticamente agli antipodi anche se amici-fraterni con stili di vita differenti.Durante l’ultimo anno di liceo le sue speranze di promozione rischiavano di andare in fumo, i suoi voti erano pessimi, troppo bassi per andare avanti e la promozione era a serio rischio. Aveva bisogno di un aiuto per superare l'esame di fine anno e i professori lo obbligarono a farsi aiutare da una delle ragazze più brave della classe per migliorare i suoi risultati e gli consigliarono me. A malincuore accettò il consiglio e per ciò questo mi permise di diventare la sua tutor fino alla fine dell'anno scolastico. Questo auspicio della sorte lo accolsi di buon grado, fu un modo per fargli notare di più la mia bellezza e le mie qualità in modo tale da conquistare il suo cuore. Iniziammo il piano degli studi di recupero durante gli inizi del secondo quadrimestre a casa dei miei, ad uno di questi incontri indossavo ancora l’uniforme scolastica. La lezione proseguiva spedita e dopo una full-immersion, Sean volle prendersi dei minuti di pausa prima di ricominciare. Lo vidi fumare pensando fosse una sigaretta e, quando mi avvicinai cominciò a soffiarmi del fumo; per evitare di assorbire l'odore di nicotina arrotolai prontamente i miei capelli in una crocchia mettendo a nudo il mio viso e il mio collo, mentre l'odore che mi invase fu pungente e aromatico. Incominciai a tossire infastidita e gli chiesi cosa fosse: provò ad offrirmela asserendo che fosse una canna per poi proferire «questa merda mi rilassa». Quel suo modo di fare mi irritava, gli chiesi di smetterla di fumare quella roba senza stizzirlo, avevo paura che da un momento all'altro rientrassero i miei genitori trovassero Sean a fumare quella robaccia mettendo a serio rischio i nostri incontri post scolastici. Sicuramente mi avrebbero vietato di continuare a frequentarlo anche per scopi scolastici. E Sean mi piaceva tanto non potevo permettermi di tenerlo fuori dalla mia vita. Mi restavano solo due alternative: buttarmi nel casino con lui o cacciarlo di casa. La prima opzione era la più semplice da seguire ma non ebbi il coraggio, alla fine non feci né l’una che l’altra cosa. Aspettai che finisse la sua pausa sigaretta e l’ultima boccata la indirizzò verso di me soffiandomi sul viso, tentò di baciarmi dopo aver fatto scivolare il suo sguardo sulle mie cosce scoperte. A quel punto smisi di essere riflessiva per diventare bellicosa e, dopo che ingoiai il nodo che mi serrava la gola, trovai il coraggio di urlare: «fai proprio schifo.» Sollevò i suoi occhi verdi nella mia direzione e venni scossa da un brivido di paura. “Non avrei dovuto rispondere” mi dissi. Non avrei dovuto cogliere la provocazione. «Devi sempre parlare, vero? Mi stai sempre più sul cazzo santarellina.» mi rispose. Adirata replicai «che coglione che sei, levati di mezzo!» Provai a dargli uno spintone, le mie mani premettero con forza contro il suo petto, ma sembrava fatto di acciaio. Sean mi venne addosso e mi impedì di muovermi, indietreggiai fino a sbattere la schiena contro il muro. Lui allungò un braccio sopra la mia testa, poggiando una mano alle mie spalle. Non avevo via d’uscita. «Ti evito i particolari, santarellina, ma sappi che potrei fare un elenco dettagliato di come chiunque si divertirebbe con una come te.» «Prova a toccarmi e ti giuro che rimpiangerai i giorni gloriosi in cui potevi usare quella cosina che madre natura ti ha concesso di avere tra le gambe.» Le parole mi uscirono di getto mentre mi aspettavo una reazione rabbiosa «Cosina tra le gambe?» Sogghignò. «E con quale presunzione pensi che io voglia toccarti?» «Perché non mi lasci in pace? Ti diverte tanto vessarmi e non essermi amica?» «Fingerò che tu non esista. Non ti darò più fastidio.» Venni sopraffatta da una strana sensazione. Poteva risultare una minaccia, ma Sean sembrava sincero. Non mi stava toccando mi stava solo fissando, eppure ero immobilizzata. Chinò il capo e si avvicinò così tanto che vidi i suoi occhi farsi torbidi, quando si mescolarono ai miei. Il verde era sottile e le sue pupille grandi, dilatate era l’effetto della cannabis. Era sicuramente fatto. Il suo sguardo scivolò sulla gonna mentre la sua mano accarezzavano le mie gambe. Aveva mentito, mi stava toccando mentre un fremito percorse il mio corpo, avrei dovuto dirgli di smetterla, ma non ci riuscii. Non riuscii a parlare, ero pietrificata per l’umiliazione. Sentii il cuore pulsare così forte da martellarmi le orecchie. La gola era inaridita al punto da farmi male ogni volta che provavo a deglutire. «Non sei speciale», disse lapidario puntandomi gli occhi addosso in un modo che mi fece rabbrividire mentre si passò la lingua tra le labbra e mordersi il labbro inferiore. Una quantità indefinita di lacrime cominciò a riempirmi gli occhi mentre non mossi le palpebre per evitare di farle cadere. Sentii posare le sue labbra calde sulle mie dopo che pronunciò «prima che mi venga la malsana idea di sbatterti.» Decisi di reagire «non funziona così.» Fu l’unica cosa che riuscii a dire. «Ah no?» chiese facendo un passo indietro. Poi afferrò i suoi libri ed andò via di casa in maniera frettolosa. Fu’ l’ultima volta ebbi un contatto diretto con Sean.
Chiusi il mio cuore. Credetti al pensiero che fosse il ragazzo sbagliato per me. La chiave la trovai in Roberto, un ragazzo mai visto prima di allora. Da un anno lavoravo in un bar estivo, per potermi permettere i miei studi universitari, mi avevano assunta solo dopo tre mesi di praticantato al “Red Rose”. Alessandro un mio coetaneo, era al mio fianco e insieme mantenevamo ben oliato il meccanismo del servizio. Angela e l’altra barista, Mina, servivano al banco sud, vicino all’ingresso. In sostanza era un chiosco, e loro facevano i salti di gioia quando dovevano sostituirci. Mi avvicinai al banco e Angela mi chiese «Allora? Cosa bevi?» Feci una smorfia «Uno spritz con Aperol per piacere.» Quando Angela mi servì il drink, trovai un tavolo libero e mi sedetti, stupita di essere stata fortunata. Nei fine settimana il locale era sempre zeppo e dopo le ventidue difficilmente c’era posto. Il Rose era talmente saturo di fumo che bastava semplicemente stare seduti lì per aspirare un intero pacchetto di sigarette, eppure era piacevole rilassarsi a un tavolo. Dopo una canzone che tutti volevano ballare il DJ ne mise una che non piaceva a nessuno, e decine di persone lasciarono la pista. Un ragazzo si avvicinò scambiandomi un’occhiata. Lo fissai socchiudendo le palpebre, era una vera bellezza con i capelli castani lunghi, la carnagione color bronzo sole e gli occhi celesti. Aveva un naso perfetto, né a patata né a punta, e una pelle degna della pubblicità di una crema idratante. «E’ il mio tavolo», affermò. Non lo considerai e indirizzai lo sguardo altrove pensando a quanto fosse stata una cattiva idea venire al “Red Rose” nel fine settimana col rischio di incontrare gente mal sana. Ero sola a quel tavolo e tale volevo rimanere. «Ordino un altro giro? Sai che una serata decolla sempre lentamente» proferì quel ragazzo a me sconosciuto. Prese il mio bicchiere semi vuoto e si diresse verso il banco, mentre non avevo intenzione di alzarmi, lo rividi affacciarsi con due bicchieri di spritz, senza dargli alcun permesso si sedette avanzando le pretese che quel tavolo era già occupato da lui. Mi offrì quella bevanda asserendo «Mi sembra di conoscerti.» Inarcai un sopracciglio. «Davvero? Vieni fin qui, ti siedi e non trovi di meglio da dire?» Sorrise «Sapevo che ci eravamo già incontrati. Non è così!» Mi voltai ad osservare le ragazze in pista: ridevano mentre per poco non facevano sesso davanti a tutti. Quando la canzone finì rividi dopo tanto tempo Sean che puntò dritto verso una bionda che poi palpeggiò, gli sorrise come un’idiota sperando che fosse venuto il suo turno. In quel momento lo sconosciuto scoppiò a ridere e disse «quello è il mio fratellino.» «Io non lo direi in giro», ribattei scuotendo la testa. «In realtà è il mio migliore amico. Credo che avete la stessa età.» «Non ho idea», risposi facendo finta di non conoscerlo. Continuò a ripetermi «Ci conosciamo già» alla stessa frequenza delle sue domande gli ripetevo «Non necessariamente». Sorrise di nuovo mentre mi chiese «Vuoi continuare a bere? Ho già ordinato un altro drink.» «Ti va di ballare?» «No» lo dissi con tono fermo. Un attimo dopo ci ripensai «Invece sì, mi è appena venuta voglia», pensando ad una piccola vendetta nei confronti di Sean; ballare con il suo migliore amico. Stranamente lo sconosciuto assunse un’aria ancora più affascinante, prese il bicchiere, lo avvicinò alle labbra e gettò indietro la testa. Poco dopo lo sbatté sul tavolo ammiccando «non preoccuparti, piccola. Ci penso io.» Si alzò, si avvicinò prendendomi per mano e mi accompagnò in pista. Iniziammo a ballare non volevo schivare avance di uomini, anzi mi sarei lasciata andare. Fino a quel momento mi sentivo viva e continuai a ballare con lui fino alle note di “Total Eclipse of the Heart di Bonnie Tyler”. Un pezzo lento che ci permise di essere a contatto; «ho tante cose da raccontarti» stava dicendo quando si sentì appoggiare la mano sulla spalla venendo interrotto dall’intrusione di Sean che proferì «Roberto, lascia stare non ne vale la pena» e si allontanò piuttosto irritato. Chiusi gli occhi e urlai nella mia mente frasi come se fossi fuori di me. Affannata guardai Roberto, che mi porse un altro drink affermando «Cosa voleva dire». Glissai ed andai in bagno piangendo.
Da quel giorno in poi incominciai a frequentare Roberto anche senza l’approvazione di Sean. Dimenticammo quella sua frase e continuammo la nostra conoscenza. Ci invitò ad un incontro di kick-boxing. Era un tipo cazzuto e praticava come sport le arti marziali. Ci riservò un posto privilegiato per la conquista di un titolo internazionale. Sean avanzò tra la folla e il chiasso divenne assordante, raggiunse il centro del cerchio mentre io restai senza fiato. Il suo avversario era diverso da tutti gli altri avversari che aveva combattuto, e non solo per via della stazza ma per l’aria truce, il suo sguardo era tanto analitico quanto folle. Prima ancora che l’incontro iniziasse, capii che Sean non aveva di fronte un semplice sfidante, ma un demone. Anche lui sembrò notare la differenza. Il suo solito sorriso furbo era svanito, sostituito da uno sguardo intenso. Al segnale il suo avversario attaccò. «Oddio.» Roberto si muoveva in sincronia con i movimenti di Sean, come se fosse una cosa sola. Aggrappata al suo braccio, mi contraevo a ogni colpo sferrato, sforzandomi di non chiudere gli occhi. Se il mio compagno cercava di immedesimarsi nel suo amico, io soffrivo. Inconsciamente ero ancora fissata per lui. Mentre il suo avversario non faceva movimenti inutili, era astuto e preciso. Al confronto, tutti gli altri incontri di Sean sembrarono una passeggiata. La forza bruta dei pugni metteva quasi in soggezione. Più l’incontro andava avanti più intenso si faceva l’incontro. Sean aveva bisogno di concentrazione, sicuramente ero io la causa della brutta prestazione. Ero ipnotizzata dalla scena che si stava svolgendo al centro del ring, Sean le stava prendendo ed era in netto svantaggio. Ad un certo punto dell’incontro durante la pausa tra un round e l’altro, stringendomi con più forza al braccio di Roberto incominciai ad urlare «forza Sean, metticela tutta, fallo fuori» mentre il mio compagno mi diede un colpetto affettuoso sulla mano. «Ti tengo io, Sara. Tu pensa solo a guardare l’incontro.» Le mie parole furono la sua iniezione di fiducia perché incominciò a cavarsela bene e sospirai quando l’avversario incominciò a sanguinare. Poi sferrò un pugno poderoso e mi guardò per un istante, riportando subito l’attenzione sull’avversario. Era agile, e si muoveva come se riuscisse a prevedere gli attacchi. Aveva studiato bene il suo avversario. Lo cinse con le braccia e lo fece cadere. Strillai «fagli il culo.» Guardai immediatamente Roberto portandomi la mano alla bocca. Quando il suo avversario si rialzò gli sferrò un calcio che gli fece sbattere la schiena e la testa; l’impatto fu devastante. Il vincitore si decretò Sean. Sobbalzai dal seggiolino urlando «Evvai.» Virtualmente entrai anch’io nel match.
Passò qualche anno è il nostro sodalizio era sempre più forte. La relazione amorosa tra me e Roberto continuava ad andare a gonfie vele come la nostra relazione a tre, ovviamente parlo dell’amicizia con Sean. Anche se lui era una calamita per quasi tutte le donne tra i quindici e gli ottant’anni. Avevo assistito a tante sue bravate che aveva distrutto almeno una decina di relazioni ed era noto per adocchiare le ragazze scopabili a stento maggiorenni. La sua ultima fiamma era una figlia di un militare che aveva vissuto in nove città differenti per via del lavoro di suo padre. Anche se erano fatti l’uno per l’altra, il suo atteggiamento unita alla sua reputazione gli stava facendo barcollare la love story.
Nel giorno del nostro sesto anniversario di fidanzamento Roberto organizzò una cena presso il ristorante “X”, un locale lussuoso del barese da poco vincitore di una stella Michelin. Di tanto in tanto gradisco la frequentazione di questi locali. Roberto pur non essendo ricchissimo e soprattutto avido aprì il portafoglio per concederci una serata romantica. Eravamo seduti a tavola e per un po' ci sorridemmo felici per la serata, poi mi raddrizzai e consultai l’orologio ed era un po' tardi. Chiesi a Roberto: «come mai i camerieri non si fanno vivi?». Ignorò la mia osservazione e un attimo dopo prese il cellulare e si rivolse al suo interlocutore «datti una mossa, stiamo aspettando te.» «Scusami, a chi stiamo aspettando?» asserii per sapere chi fosse il nostro ospite. «Ho chiesto a Sean di far parte di noi perché ho una cosa importante da dirvi.» Abbassai lo sguardo non prendendola bene la notizia, incominciai quasi a deprimermi. In quel momento entrò una figura familiare che si dirigeva verso il nostro tavolo attraversando tutta la sala con la solita aria affascinante e sicura di sé, quasi fosse il padrone del locale. Roberto mi afferrò la mano stringendomela «andrà tutto bene, non preoccuparti.» Rassicurandomi immediatamente. Sean salutò prima Roberto con una stretta di mano e, poi me soffermandosi a guardandomi negli occhi per baciarmi in seguito sulle guance. Mi sussurrò in un orecchio «sei stupenda» mentre mi salutava. Si riferiva al mio trucco e al mio abito da sera.
La serata iniziò con un brindisi di Prosecco Doc per festeggiare la nostra amicizia e soprattutto il nostro amore. Poi proseguì con il susseguirsi delle pietanze mentre la serata scorreva all’insegna dei più vari argomenti di nostra conoscenza. Parlammo di lavoro, di hobby, di sport, di amori e tradimenti e così via, fino a quando Roberto zittì tutti; dopo aver sospirato mi guardò mentre sul suo volto gli comparve un sorriso di piacere. «Ti amo dannatamente.» Lo fissai a lungo, sorpresa e lusingata. Sdrammatizzai con un «Torno subito. Ti porto un bicchiere d’acqua e un’aspirina.» alludendo al fatto che non stesse bene, in tutti questi anni non proferì mai quella parola come se la tenesse nascosta per l’occasione. «Anche tu mi ami!» mi gridò dietro, scherzando solo in parte. Mi avvicinai, presi il suo volto fra le mani. Lo fissai a lungo negli occhi e sorrisi. «Anch’io ti amo.» Lui si illuminò e mi guardò negli occhi a sua volta prendendo un qualcosa dalla sua tasca per chiedermi: «Sara mi vuoi sposare?». Scossi il capo allungandolo per dargli un rapido bacio sulle labbra e pronunciargli «si.» In quella scena Sean era uno spettatore passivo diventando presto parte del progetto dato che Roberto aveva una proposta anche per lui: «amico mio, tu vuoi essere il nostro testimone?». Per la prima volta la presenza di Sean mi rese eccessivamente tesa, agitata e inquieta. Anche se abbozzai un sorriso di circostanza pensai a quanto potesse essere pericoloso prima o poi. Era un gran bel ragazzo, dovevo ammetterlo e questo poteva crearmi un certo problema, per qualche ragione mi sentivo minacciata da lui. Mi sarei dovuta comportare da donna, indossando la maschera dell’indulgenza, ostentare una certa maturità ma era assolutamente complicato seguire la razionalità quando la rabbia incominciò a dilagare dentro di me. Nutrivo grande attrazione per quel maledetto ragazzo, e in qualche modo ero consapevole che i suoi occhioni verdi, identici ai miei, avessero il potere di farmi cedere. Soprattutto quando all’istante mi osservò con sguardo languido.
Due anni dopo quella cena il nostro matrimonio si materializzò, divenni la signora “X” e Sean il nostro testimone di nozze. Passarono altri cinque anni di vita e l’unione del nostro matrimonio portò alla vita un’altra creatura. Nel 2006 nostra figlia aveva quattro anni, mio marito che è appassionato di calcio decise di andare a Berlino per vedere la finale di Coppa del Mondo. Organizzò il suo viaggio partendo qualche giorno prima della partita per visitare la città. Lo stesso venerdì approfittai della sua assenza per concedermi un giorno in discoteca. Contattai l’amica del cuore per organizzare la serata da singol. Decidemmo di vestirci un po’ osé ed io indossai un abito bianco che aderiva perfettamente alle mie forme delicate. La scollatura a cuore era sensuale ma non esagerata, esattamente come piaceva a me. Ero un’esteta alla ricerca del bello sofisticato e mai troppo ostentato. Decisi di lasciare i capelli sciolti oltre le spalle; truccai gli occhi con un filo di eyeliner, applicai un rossetto rosso ciliegia abbinando una piccola pochette ai miei stivali in pelle nera che superavano di poco le ginocchia.
Qualche ora dopo, ci addentrammo nella festa; l’odore di alcol e fumo mi investì subito facendomi tossire. Mi guardai attorno e notai alcuni ragazzi seduti sui divani intenti a bere, mentre gli altri ballavano già mezzi ubriachi o fatti. «Tutto okay?» Barbara si accorse del mio momentaneo stato di smarrimento e la rassicurai con un sorriso. Non era il tipo di situazione nella quale amavo trovarmi, ma per una sera avrei fatto un’eccezione. Ci accostammo ad un tavolo in cui servivano alcolici di ogni genere e un ragazzo alto e palestrato con due profondi occhi azzurri si avvicinò a noi, spalancando le braccia in segno di accoglienza. «Ehi, Barbara» si rivolse alla mia amica stringendogli la mano mentre io rimasi in disparte ad osservarlo. «Ciao, Francesco» ribatté Barbara e capii subito che quello era il proprietario di quell'immensa villa a tre piani, ma dal modo in cui iniziò a fissarmi capii anche fosse un idiota dal quale stare alla larga. «Wow e quest’angelo chi è?» Puntò i suoi occhi nei miei e mi sorrise ammaliante, come se fosse sufficiente quel poco per farmi cadere ai suoi piedi. Indossava una canotta con il logo di una squadra di Basket a me ignota, e dei jeans stretti che evidenziavano le gambe spesse, frutto di un allenamento maniacale che aveva ridotto il suo corpo ad un cumulo di muscoli e ormoni. «Lei è Sara» Barbara sembrava non essersi accorto del suo amico che mi stava letteralmente spogliando con gli occhi, io invece volevo sparire per sottrarmi al suo sguardo insistente. «Mmh…incantato» Mi fissò malizioso e si morse il labbro per enfatizzare le sue intenzioni, poi afferrò la mia mano e si esibì in un baciamano galante «Se poi hai voglia facciamo un giro angelo...che ne pensi?» Propose diretto e fin troppo sicuro di sé dando per scontato che fossi una delle tante galline del suo pollaio. Non mi colpivano i tipi come lui, percepivo subito cosa avessero per la testa e riuscivo sempre ad aggirarli, salvando me stessa. «Mi dispiace, potrai farlo con qualcun'altra» Mi allontanai da quel teatrino messo in scena da un energumeno senza cervello e presi da bere soltanto per attenuare la tensione che sentivo scorrere nelle vene. Posai il bicchiere vuoto su un tavolo ed iniziai a camminare senza una meta ben precisa, non sapevo neanch'io dove fossi diretta, cercavo semplicemente l'uscita per prendere una boccata d'aria fresca, ma la folla di ragazzi scatenati mi sballottava con facilità da una parte all’altra facendomi spesso perdere l'equilibrio sulle scarpe che indossavo, poco congeniali alla mia fuga improvvisa. «Sarei disposto ad indicarti qualsiasi via di fuga se solo mi concedessi un breve ballo». Ebbi l'impressione di aver già sentito quella voce, bassa, profonda, baritonale, l'unica che descriveva strani brividi sulle mie braccia. Mi voltai a cercarlo ma non vidi nessuno, se non corpi sconosciuti e chiome fluttuanti. “Avevo anche le allucinazioni”? Scossi la testa e ripresi a camminare, frastornata dalla musica troppo alta, ma qualcuno afferrò il mio polso e prima che reagissi con uno schiaffo in pieno viso, incontrai i suoi occhi come fari luminosi in quello spazio ristretto. La sensazione di sollievo che avvertii nel petto fu così forte da farmi sussultare. «Ah sei tu, colui che crede nella spirale della distruzione» Lo sbeffeggiai e non mi opposi quando avvinghiò il braccio attorno al mio punto vita per avvicinare i nostri corpi. Emanava sempre lo stesso profumo di muschio e tabacco, un'essenza capace di incenerirmi il cervello e stordire la mia ragione. Indossava una camicia monocromo blu abbinata ad un paio di jeans del medesimo colore. Era bellissimo e mi concentrai sul modo in cui si incurvavano le sue labbra. Perché eravamo così vicini? «Cos'altro è distruttivo Signor Putin?» Mi morsi il labbro per non ridergli in faccia e lui dovette notarlo, perché inarcò un sopracciglio con fare accorto. «L'amore» Lo disse con così tanta fermezza da spegnere il mio sorriso. L'amore poteva essere distruttivo? E fino a che punto avrebbe avuto un tale potere su un essere umano? «Hai paura dell'amore?» Non erano discorsi attinenti ad una situazione come quella ma eravamo chiusi nella nostra sfera di vetro e a nessuno dei due sembrava importare di chi avessimo attorno. «No, ho paura della dipendenza che crea l'amore» Spostò il suo sguardo sulle mie labbra ed io guardai le sue, carnose e rosee. Scoprii di adorare la loro forma. Era sbagliato essere così vicini, ma d'altronde stavamo solo parlando e dovetti concentrarmi per mantenere la nostra confidenza su un piano meramente verbale. «E in che modo riesci a proteggere te stesso da una dipendenza simile?» Fu allora che mi voltò bruscamente, lasciando scontrare la mia schiena al suo torace, smisi di respirare e sentii il cuore risalire in gola. Erano sensazioni del tutto nuove per me e per questo ne avevo paura. Il mio corpo sembrava essere stato disegnato per modellarsi al suo. La mia mente cancellò la vita precedente, cancellò Roberto, cancellò mia figlia e cancellò anche i sensi di colpa che cercavano di riemergere dal fondo di quella che era la consapevolezza di un enorme errore. Girai appena il viso e incrociai il suo sguardo attendendo una risposta che arrivò presto. «Semplicemente, non amando...» Le sue labbra si posarono sul mio collo e lo marchiarono con un lieve bacio, le mani vagarono lungo i fianchi fino alle cosce, le strinse inglobandomi contro di sé, mi sentivo in trappola e mi girava la testa mentre le sue parole si incidevano nella mia memoria. «Impara a proteggere anche te stessa, Leonessa» Chiusi gli occhi e sentii le gambe deboli, temevo di cadere da un momento all'altro ma quando percepii il vuoto dietro di me e una sensazione di freddo lungo la schiena, mi voltai per assorbire la sua improvvisa assenza. Sean era andato via, sparito, dissolto nel nulla, come un’illusione ottica. Mi aveva definita una leonessa? Non ne fui certa e non capii neanche il motivo della scelta di quel nomignolo. Mi toccai la curva del collo come se avessi vissuto un sogno, poi mi ridestai e ripresi a camminare per cercarlo. Proprio così stavo cercando Sean. Era stupido da parte mia correre dietro uno come lui, uno come Sean, ero sposata, non avrei neanche dovuto avvicinarmi ad un altro ragazzo che non fosse Roberto, lo sapevo, lo sapevo bene, ma l'istinto cercava di sconfiggere la ragione ad ogni costo. Spintonai chiunque intralciasse il mio cammino, era strano il modo in cui la mia originaria fuga si fosse trasformata in una disperata ricerca. Ricerca di cosa? Non lo sapevo neanch'io. Tuttavia mi fermai di colpo, quando notai la sua chioma scombinata e le sue mani sul corpo di un'altra. Quell'altra era una ragazzina in calore. Stavano ballando ad una distanza ravvicinata, la ragazza gli sussurrava qualcosa all'orecchio e lui sorrideva, toccandole lentamente la schiena, poi i fianchi e i glutei. Rimasi immobile a fissarli, non mi aspettavo di vedere nulla di diverso. Ciò che davvero mi sconvolse fu l'angoscia che incombeva dentro di me. Si trattava di una sensazione del tutto immotivata e irrazionale, soprattutto impossibile da provare verso una persona che era stato il mio testimone di nozze nonché il migliore amico di mio marito. Impossibile. Sean smise di sorriderle quando i suoi occhi puntarono i miei. Si accorse della mia presenza, aveva smesso di sorridere, certo, ma non aveva smesso di toccare quella ragazza né aveva tentato di allontanarla. “Perché mai avrebbe dovuto farlo”? “E perché mai pretendevo che lo facesse”? Era tutto irragionevole. Passai una mano tra i capelli per cercare di riappropriarmi del mio autocontrollo e fu in quell'attimo che lui corrugò la fronte gettandomi addosso la sua totale attenzione. Stava sicuramente pensando a cosa diavolo stessi facendo impalata lì e aveva ragione, era insensato nonché stupido. Lo guardai e non sapevo neanch'io cosa stessi cercando di comunicargli, poi scossi la testa e scappai via. "Non amando". “Non amando si combatte contro la tentazione”. “Non amando si evita di cedere all'errore”. “Non amando si evita di diventare dipendenti”. Avrei dovuto rammentarlo a me stessa ogniqualvolta Sean mi fosse stato vicino. Era quella la domanda che si materializzava dinanzi a me, ancor prima che i miei occhi incontrassero l’alba. Sapevo di aver esagerato con l'alcool, anche se non era mia abitudine bere.
Il giorno dopo stavo male, massaggiai le tempie, avevo un forte mal di testa e contro ogni buon senso la mia mente deviata aveva voglia di rivederlo. Fui ben presto accontentata. Poco dopo averlo pensato ricevo sul mio telefono una chiamata…il numero era sconosciuto. Decisi di rispondere ugualmente nonostante non apparve il nominativo. «Buongiorno leonessa», disse in maniera cordiale. Era Sean che mi stava chiamando con un numero a me estraneo, lo fece approfittando dell’assenza di Roberto per via della trasferta a Berlino per invitarmi a cena la sera della finale. Era una buona occasione per essere invisibili, lo fece apposta mentre tutti erano concentrati sulla partita. «Buongiorno a te distruttore del mondo e dell’amore» mormorai. «Volevo invitarti a casa per cena!» «Devi…devi starmi lontano Sean» replicai mentre lo sentii abbozzare un sorriso che presagiva le mie cattive intenzioni. «Ci vediamo domani a casa mia alle 20:30, Leonessa» riattaccò senza darmi la possibilità di continuare a fingere di non volerlo vedere.
Appena riattaccò sorrisi a causa di quegli assurdi pensieri, doveva essere solo uno dei miei tanti desideri sessuali, niente di più, ma quel visetto dannato avrebbe potuto fottermi in modo irreparabile, per questo decisi di limitarmi alla cena. Mi sarei divertita, senza compromettere i sentimenti. Con Roberto stavo vivendo un tipo di amore diverso che non avrei mai voluto proiettare su nessun altro. Il mio problema maggiore però era proprio quello di non saper gestire gli impulsi, il proibito mi attirava come la luce attira una falena.
Posi fine a tutte quelle elucubrazioni mentali e decisi di raggiungerlo, così indossai il più bel completino intimo per non farmi trovare impreparata. Mi avvolsi in un tailleur rigorosamente bianco con una prorompente scollatura, tra il vedo e non vedo, invece i miei capelli ramati erano raccolti in un’acconciatura elegante. Continuavo a fissare la mia immagine riflessa nello specchio mentre sistemavo i capelli raccolti. Non avevo fatto altro che ripensare al bacio sul collo e le mani sul fianco, come se volesse dire “sei mia”. Non avevo mai provato delle sensazioni simili…così totalizzanti, devastanti, coinvolgenti, sensazioni uniche, che sapevo la gente provasse solo una volta nella vita. Sentivo il presagio del tradimento, se avessi tradito Roberto avrei tradito me stessa, la Sara che non avrebbe mai pensato ad un altro ragazzo, che non avrebbe mai deluso il proprio marito, che non avrebbe mai ceduto a nessuna tentazione. La consapevolezza di quello che eventualmente avrei fatto si fece spazio dentro di me in modo doloroso e opprimente. Cosa mi stava succedendo? Sapevo che Sean aveva un potere incontrollabile su di me, ma continuavo a non capire il motivo della mia totale incapacità di resistergli.
Arrivai sotto casa sua, il cuore sussultava nel petto e quasi mi impediva di respirare. “Come mi sarei dovuta comportare”? Cercai di gestire il mio panico e feci dei lunghi respiri. Mi aprì il portone di casa accogliendomi con «Ehi piccola, come stai?» Una merda, ma non potevo dirglielo. Sentire la sua voce non faceva altro che aumentare i miei sensi di colpa. Sentivo le lacrime minacciose di cadere giù e non potevo allarmare Sean e sembrare così sciocca. Dopotutto ero io a volerlo, mi ero auspicata quel tipo di incontro e serata. Mi passò tutto nel momento in cui intravidi un angolo romantico preparato per noi. La luce era abbassata e le candele riflettevano una luce fioca ed erano state sistemante con cura su un tavolo. C’erano i bicchieri da spumante con una bottiglia di MUMM. Mi accolse nella sua casa baciandomi delicatamente sulle guance. «Vieni, andiamo in salotto.» Cercai di parlargli della partita per distrarlo, ma niente sembrava capace di distrarlo dai suoi pensieri. Eravamo seduti sul divano in attesa che il cibo fosse pronto mentre sorseggiavamo in maniera agitata lo Champagne. Per interrompere il silenzio assordante che si era creato cercò di attenuarlo con della musica rilassante, tipiche da massaggio.
La cena era pronta, prima di incominciare a degustarla mi accompagna verso la mensa tenendomi per mano e non si trattenne dal complimentarsi di quanto fossi bella ai suoi occhi, per il mio abito e di come mi stesse addosso. Gli sfuggì l'occhiata languida che lanciò alle mie gambe. Ci piacevamo, ma forse entrambi non avevano il coraggio di confessare il proprio interesse. Ad un certo punto mi accinge dai fianchi con veemenza per improvvisare un ballo di coppia sulle note di Celine Dion - My Heart Will Go On. «Sara, stai bene?» Mi parve di sentire la voce di Roberto accanto a me. Mi toccò la spalla e mi fissò particolarmente preoccupata. Io ero frastornata, stordita e sofferente. Le pietanze erano fantasiose e di buona degustazione come il vino, dopo aver perso il conto dei bicchieri ingurgitati, l’alcool stava prendendo il sopravvento su di noi. Sean incominciò a parlarmi di noi due di quanto appartenessimo a due mondi differenti “lui all’Inferno ed io al Paradiso”. In quell’istante pensai a quanto fosse stato meraviglioso andare all’inferno con lui. Si concesse la licenza di attribuirmi come “non fossi solo il suo limite. Ero di più. Ero il suo oltre. Con me era fuori da sé stesso, senza di me era se stesso. Solo il suo cuore conosceva la verità, perché sarei stata quella da cui sarebbe dovuta fuggire. Ma starmi lontano era diventato ormai impossibile. Aveva fatto di tutto per starmi lontano, ma quando si ama davvero non c’è scelta”. Furono parole impegnative e struggenti per lui e per me. E mentre pensavo ai suoi lemmi, sentii la sua mano grande e calda accarezzarmi la guancia. Avrei voluto sottrarmi a quel gesto, avrei voluto provare disgusto, avrei voluto considerarlo indesiderato e invece riaccese in me quelle sensazioni, le stesse che avevo imparato a riconoscere. «Sei molto bella, sai?» Sembrava lo stesse sussurrando più a sé stesso che a me. Gli guardai le labbra e mi chiesi cosa avrei provato se le avessi assaporate. Quelle labbra erano capaci di stordire la mente di una donna e di donare il piacere che promettevano. «Anche tu» apparve la cosa più giusta del mondo, in quel momento, essere lì, insieme, ad esprimere i nostri pensieri. “Perché doveva essere tutto sbagliato”? “Perché dovevo essere attratta da una persona così distante dal mio mondo”? Eravamo solo due giovani ragazzi che stavano imparando a scoprirsi, contro ogni regola e ragione plausibile. «Perché hai bevuto?» Mi accarezzò con il pollice il labbro inferiore e io le schiusi a corto di fiato, assorbendo la ruvidezza del suo polpastrello. «E tu perché hai bevuto?» Gli girai la stessa domanda e lui sorrise, apparendo quasi…dolce. «Sai cosa diceva Bukowski?» Disse all'improvviso, senza smettere di accarezzarmi. Scossi la testa e lui seguitò «Se succede qualcosa di brutto si beve per dimenticare; se succede qualcosa di bello si beve per festeggiare; e se non succede niente si beve per far succedere qualcosa» Mi circondò il busto con un braccio e unì i nostri corpi. Imbarazzata abbassai lo sguardo sul suo petto, non mi aiutò affatto a scacciare via quella sensazione negativa che avvertivo dentro. Le sue nocche continuavano a toccarmi la guancia, lentamente sollevai gli occhi per allacciarli ai suoi e ci lessi dentro tutto il desiderio che stava provando. Mi chiedevo cosa invece stesse leggendo lui nei miei, ma chiusi la realtà fuori da tutto quando le sue labbra mi sfiorarono per la seconda volta. Non riuscii a ragionare lucidamente, il mio cervello si spense completamente. Sentii solo il calore del suo corpo contro il mio, la mia pelle esposta ai suoi baci, il cuore che palpitava troppo velocemente, le nostre lingue che si inseguivano con fervore. Sapevano di alcool, tabacco, peccato, errore, ma anche di sogni, sicurezza, esperienza, conoscenza. I suoi occhi lucidi annegarono nei miei. Un mix di dolore e piacere pervase il mio corpo trasportandomi in un'altra dimensione. Sentii gli occhi pizzicare e gli zigomi umidi, stavo piangendo forse? Non riuscivo a rendermene conto perché subito dopo le mie unghie graffiarono la sua schiena mentre il mio corpo si riempiva di brividi e sensazioni mai provate prima di allora. Mi sentivo unita a lui, completa, concatenata ad un ragazzo problematico di cui ancora sapevo poco. Eravamo solo occhi dentro occhi, corpi bollenti, menti spente e annebbiate, irrazionalità e istinto. Passione ed errore. Realtà e sogno...
Mi concessi una riflessione momentanea: “si dice che nella vita sia necessario compiere le scelte giuste ma che non sempre si abbia la capacità di riconoscerle. Chi stabilisce quale sia la cosa giusta o sbagliata? Davvero ciò che è giusto ci rende felici? Mi distesi comodamente sul letto mentre i nostri occhi rimasero agganciati per un’infinità di tempo fino a quando non decisi di parlare. Raccolsi tutto il coraggio di cui necessitavo in quel momento. «Non saprei dire se la sicurezza che ostenti faccia parte del tuo essere soltanto stronzo o se sia uno strano modo per risultare simpatico agli occhi delle donne» Era tutta lì la differenza tra me e lui. Nel mio atteggiamento insicuro da gazzella esposta alle fauci di un leone pericoloso e nel suo atteggiamento strafottente da maschio irraggiungibile e indifferente al pensiero degli altri esseri umani. Sollevò un angolo delle labbra e abbozzò un’espressione dilettata. Cosa ci trovasse di divertente nel mio intervento non lo sapevo proprio, tuttavia mantenni la guardia alta. Dovevo reagire, controllare l’attrazione malsana che mi calamitava verso di lui e dimostrargli che non ero così debole come pensava. «La risposta corretta sarebbe che non sono qui né per cercare di amarti né per cercare di comprenderti» lo mormorai. Era quel tipo di uomo che amava manipolare senza essere manipolato, amava usare le donne come bamboline di pezza senza esporsi mai più del dovuto. Voleva possedere, predominare, incombere e schiacciare gli altri. «Non sono quel tipo di donna…» Non volevo sottoporlo alla mia volontà, non volevo cambiarlo o giudicarlo, volevo solo capirlo. Avevo mentito nel dirgli che non ero lì per comprenderlo, avevo invece detto la verità nel dirgli che non ero lì per amarlo. Amore era un sentimento che non associavo a lui o alla nostra assurda situazione. Ero una donna romantica in fondo, ma anche abbastanza sveglia da capire che l’amore avesse bisogno non solo dell’attrazione fisica e dell’appagamento sessuale, ma anche di tanti altri elementi che mancavano. Mi stava studiando adesso, analizzando come se fossi un composto chimico pericoloso. Con una mano mi accarezzai il solco del seno, facendo scorrere le dita lentamente verso il basso. Cercai comunque di mostrarmi audace e sicura di me. Sean seguiva il mio gesto scendendo con le sue iridi fino al bordo della mia gonna, lì dove la sua mano si era appena fermata. Sentii le guance ardere, ma sperai di non essere arrossita o il mio piano sarebbe fallito miseramente. Non avevo mai cercato di sedurre un uomo e non ero neanche certa di esserne capace, quello fu solo un tentativo. Quando fu così vicino a tal punto da indurmi a reclinare il collo all’indietro per guardarlo, mi agguantò come una bestia dai fianchi e mi spinse su di sé, inducendo i nostri corpi a scontrarsi. Emisi un verso di sorpresa e una scossa di puro piacere mi attraversò tutta. Lui mi sorrise e con le dita percorse il bordo anteriore della mia gonna, giungendo fino ai bottoni. Mi fu subito chiaro il suo intento. «Ti concedo già il mio corpo…» Sussurrò con lascivia come se quello bastasse a soddisfarmi. «Quello lo concedi a tutte» Lo spintonai malamente dall’addome, l’unico punto in cui le mie mani riuscissero a toccarlo. Era molto più alto di me e non lo spostai neanche di un centimetro, fu lui a compiere qualche passo indietro, probabilmente irritato dalla mia reazione. Il suo sguardò si incupì e l’espressione del viso mutò improvvisamente. «Cosa cazzo vuoi allora?» Urlò infastidito ma anche confuso. Mi chiedevo perché cadesse così facilmente in un vortice di smarrimento totale, bastava pigiare i tasti sbagliati per far sì che la sua parte negativa uscisse fuori «Rispondi!» Mi aggredì ancora ed io sussultai, indietreggiando. Per quanto non volessi dimostrarmi debole ero pur sempre una donna dinanzi ad un uomo alto e imponente che avrebbe potuto farmi qualsiasi cosa. «Parlarti. Le persone parlano Sean. Si confrontano, si conoscono, si capiscono. Qualcuno di loro arriva anche ad amarsi…ma il dialogo…il dialogo non è fatto solo di sesso» Alzai la voce anch’io e lui mi guardò. Volevo liberarlo dalla gabbia in cui lui stesso si era rinchiuso. «Vattene!» Mi cacciò via, ma io scossi la testa, chiudendo la porta alle mie spalle. «Calmati…» Cambiai atteggiamento, cercai di essere più indulgente e pacata. Il suo respiro tornò ad essere regolare e mi permisi di avanzare a passo incerto sentendo i suoi occhi guardinghi su di me e mi sedetti sul bordo del suo letto posando le mani sulle mie cosce. Era paradossale la capacità che aveva di mettere a nudo il suo corpo ma non la sua anima, per paura, per proteggere le sue debolezze, per schermarsi dal mondo usando solo il suo corpo. Sarei entrata dentro il suo caos in punta di piedi, con rispetto, e gli avrei mostrato che l’essere umano sapeva essere anche buono e amorevole. Mi afferrò per un braccio costringendomi a sollevarmi. Sussultai quando si piegò per allineare i nostri sguardi. Potevo affogare in quegli occhi, ci si perdeva dentro. Cercò di baciarmi, ma voltai il viso. Il suo respiro caldo sfiorava la mia guancia. Avevo voglia di baciarlo anch’io, ma volevo che accettasse davvero le mie condizioni. Non volevo darmi per vinta, ma il braccio bloccato nella sua presa iniziò a tremare, così come tutto il mio corpo. Non sapevo se fosse causato dall’eccitazione di averlo così vicino o dal timore della sua imprevedibilità. Il suo torace, solleticava il desiderio di toccarlo, di passare le dita e la lingua in tutte quelle sporgenze muscolari. Strattonai il braccio dalla sua presa e mi allontanai da lui, volevo fuggire da quello che diventavo quando mi toccava e da quello che pensavo quando mi era così vicino. Volevo fuggire perché in fondo avevo paura di me stessa e di quello che provavo. Sean però mi riacciuffò prima ancora che raggiungessi la porta. Mi afferrò per i fianchi e mi strinse a sé con forza, con un possesso tale da farmi capire che ero in trappola e che non mi avrebbe liberata senza prima prendersi ciò che voleva. «Adesso tocca a me prendermi qualcosa di te» Sussurrò al mio orecchio, sentendo il torace premere contro di me e la sua protuberanza pungere sulla base della schiena. Non seppi dire se fosse già eccitato, ma quello che sentivo era un’erezione massiccia e imponente. Avrebbe dovuto abbassarsi per strusciarsi tra i glutei e quel pensiero mi fece arrossire. Rilassai le spalle e lasciai che facesse tutto quello che voleva. «Mi prenderò tutto…» Con una mano spostò i miei capelli ad un lato, parlandomi in modo lento e sensuale. Non avevo esperienza in fatto di uomini, ma ero certa che Sean sapesse come far capitolare una donna, come annientarla con il suo fascino enigmatico e ribelle. Si piegò appena e sentii la sua erezione premere proprio dove l’avevo immaginata. Virile, poderosa, spessa... Sussultai, ma le sue mani scivolarono sui miei fianchi per tenermi ferma. «Ti piace sentirmi…vero?» Mi accarezzò lo stomaco con le dita, nonostante indossassi il talleur, sentivo una scia di fuoco bollente scorrere proprio lì dove la sua mano mi toccava. Scese giù, lentamente ed io socchiusi gli occhi, cercando di respirare. «Non capisco di cosa parli» Mentii e lui emise un suono gutturale, simile ad una risata maschile ma silenziosa. La sua mano scivolò ancora più in basso fino a raggiungere i bottoni, l’altra invece rimase stretta sul mio fianco. «Ora te lo mostro, leonessa…» Liberò le due asole e infilò la mano al di sotto, sfregando delicatamente la mia intimità protetta dal cotone delle mutandine. Trattenni il respiro e sentii piano piano il tessuto inumidirsi fino ad aderire completamente alle grandi labbra allietate dal suo tocco esperto. A quante concedeva un piacere simile? «Sean…» Afferrai il suo polso nell’intenzione di fermarlo, ma quando trovò il giusto ritmo con il quale concedermi piacere fui incapace di tornare al punto di partenza. Ero bagnata, decisamente, e da gran bastardo lo aveva capito, perché muoveva l’indice dal basso verso l’alto proprio per accentuare quanto fossi pronta ad accoglierlo «Ricorda una cosa Sara…non sono le donne a fottere me, sono io a fottere loro». Continuò il suo gioco di seduzione, sfilando la mano e infilandola ancora tra le mie gambe, questa volta sotto le mutandine. Sussultai quando avvertii i polpastrelli freddi a contatto diretto con la mia intimità. Stavo letteralmente andando a fuoco e smisi perfino di respirare quando Sean raccolse i miei umori per bagnare il clitoride e iniziare a stuzzicarlo con coercizione in modo lento e soffice, come se le sue mani fossero nate per farlo. Riusciva a stimolare più zone del mio corpo, mi leccava il collo, muoveva piano il bacino contro i miei glutei e tutto si accendeva dentro di me. «Lasciati andare…» Mordicchiò il lobo dell’orecchio ed io abbandonai la testa sulla sua spalla, mi sentivo protetta in quel momento, le sue braccia virili erano l’unico posto in cui volevo essere. La delicatezza con cui mi stava toccando era sconvolgente nonostante trasparisse dai suoi modi una certa padronanza e sicurezza rigorosamente maschili. Inarcai la schiena ed emisi un gemito quando con il medio scivolò dentro di me, lo piegò ad uncino e lo mosse in circolo, urtandolo contro le mie pareti, mentre il mio bacino seguiva i suoi stessi movimenti. Lo sfilò troppo presto facendomi mugolare infastidita e riprese a scorrerlo dal basso verso l’alto sulla vulva, in un gioco di lussuria e tortura infinita. Mi morsi il labbro perché lo volevo dentro di me, ma lui continuava a giocare spudoratamente senza mai soddisfarmi sul serio. Muoveva il dito sul clitoride, poi sulla vulva alternandolo in senso verticale e circolare mentre io fremevo dal desiderio. Sentii le ginocchia flettersi e allungai un braccio sulla sua nuca, stringendogli, tra le dita, i capelli ribelli. Sean era spalmato dietro di me, con la mano destra tra le mie gambe e la sinistra chiusa a coppa sul mio seno. Non stavamo giocando ad armi pari e lui si stava divertendo a stimolarmi rallentando la mia corsa verso l’orgasmo. Allora iniziai a strusciare i glutei contro la sua erezione sentendolo irrigidirsi dietro di me. «Mi stai provocando, leonessa?» Sorrise nell’incavo del mio collo ed io seguitai ad ondeggiare piano il bacino su di lui. «Esattamente come stai facendo tu» Riuscii a dire a corto di fiato. Sarei morta se avesse continuato a torturarmi in quel modo. Muoveva le dita sapendo bene quali punti toccare, aveva trovato il ritmo che faceva godere maggiormente il mio corpo come se lo conoscesse da una vita intera. «Non ho ancora iniziato, in verità» Sussurrò con un tono volutamente flautato. Era come una guerra, uno scontro all’ultimo sangue. Mi baciò il collo, lo succhiò poi lo leccò per lenire quel lembo di pelle. Strinsi gli occhi e cercai di controllare i gemiti che mi stavano squassando il petto. Continuai a muovere il sedere su di lui, per farlo cedere, per proclamare la sua sconfitta, ma Sean era determinato a vincere, a dominare, a sopraffarmi.
«Se continui così, ti scoperò su quella porta.» Mormorò minaccioso, respirando in maniera accelerata. Infilò anche l’altra mano dentro di me e mentre con la destra mi stuzzicava il clitoride, con la sinistra affondò due dita nel mio ingresso facendomi ansimare. Ero cedevole, mi sentivo liquefatta e stordita. Mi toccava con studiato controllo e meticolosa attenzione. Sapeva quello che stava facendo e sapeva anche come farlo. Mi abbandonai sul suo corpo marmoreo e assorbii quel piacere che soltanto lui riusciva a concedermi. Nessuno mi aveva mai toccata prima d’allora e la consapevolezza che lui fosse stato il primo anche in quello, accresceva quella sensazione di appartenenza che avvertivo già da tempo. Il suo respiro solleticava il mio collo, ma io volevo di più. Volevo baciarlo. Voltai il capo verso di lui e incastrai i nostri occhi. Era troppo alto, da sola non avrei mai raggiunto le sue labbra. Lo guardai con un calore così intenso da fargli leggere i miei desideri. Lui sembrò rifletterci qualche istante poi lo capì e lo fece. Mi issai in punta di piedi mentre Sean scontrò le sue labbra con le mie. Mi baciò e fu…magnifico. Piegò la testa per approfondirlo e quando la sua lingua toccò la mia, un calore assurdo divampò fino ai capezzoli. Lo assaporai con un bisogno e una fame assurda e lui ricambiò con la stessa intensità. Eravamo entrambi affamati. Bisognosi di quel contatto. Un uragano di sensazioni, un tornado di emozioni mi indusse a premere la schiena contro di lui e a spingere il bacino contro la sua mano. Le slittate calde della sua lingua seguivano la ritmicità delle sue dita. Iniziai a respirare sulla sua bocca, i nostri odori si fusero, gli concessi di varcare qualsiasi limite, di prendersi anche questo di me. Tremai e le guance avvamparono. Sean non smise di baciarmi come se anche lui non potesse più farne a meno. Non avrei permesso a nessun altro uomo di toccarmi in quel modo. Mi sentivo sua. Più lo baciavo e più le sue dita mi possedevano come se volessero raggiungere il cuore, allargai le cosce e mi strusciai sulla sua mano sentendo il polso sfiorare il monte di Venere ad ogni colpo. Lui sorrise inorgoglito e mi succhiò le labbra fino a farmi male. Venni. Venni sulla sua mano e sulle sue labbra. Venni in un lungo orgasmo. Venni forse una, due o tre volte. Lentamente e in modo devastante. Mi voltai verso di lui e mi allontanai dal suo corpo. Avevo bisogno di tornare alla mia lucidità così appoggiai la schiena sulla porta, sfinita ma appagata. Scostai due ciocche di capelli dalla fronte e lo guardai incuriosita, Sean avvicinò le dita alla sua bocca e le succhiò senza smettere di fissarmi. Sembrava gli piacesse il mio sapore. Arrossii, ma al tempo stesso lo considerai così attraente e libidinoso da togliere il fiato. Sentivo l’odore della mia femminilità…era dolce e pungente, e quella manifestazione maschile non fece altro che lusingarmi. «Quanto sarebbe bello assaggiarti direttamente dalla tua fica…» Appoggiò una mano al lato della mia testa, l’avambraccio si contrasse e mi sovrastò in tutto il suo metro e novanta sondando il mio viso con una scintilla di divertimento mista a lussuria che illuminò le sue iridi mielate. Sentii il sangue fluire nelle guance… perché doveva essere sempre così diretto? «Sei romantico come pochi, a quanto pare!» Ed era anche bellissimo come pochi, o meglio come nessuno. «Ti sbagli. Sono un romantico vero…» Mi corresse ed entrambi sorridemmo. Sì, sorridemmo, raggiungendo una complicità tutta nuova o perlomeno così credevo…
Mi dimenticai di essere figlia, mi dimenticai di essere mamma e mi dimenticai di essere moglie, mi accorsi solo nel momento in cui tra le strade c’era un trambusto di macchine e rumori pervenire da ogni dove. L’Italia era campione del mondo ed io del tradimento o semplicemente campionesse delle troie. Mi ricordai che da qualche parte lasciai il mio telefono con il silenzioso inserito e quando ne rientrai nuovamente in possesso vidi decine di chiamate provenire da mio marito. “Che stupida sono stata”! pensai. Con questo mio modo superficiale avrei dato da pensare a mio marito. Lo chiamai immediatamente per non farlo preoccupare e soprattutto dubitare per le mie mancate risposte. «Amore, scusami ma avevo il silenzioso e non sentivo le chiamate che mi arrivavano.» «Ho capito, ma mi stavi facendo preoccupare dato che in Italia ci sarà sicuramente casino. Ho chiamato tua mamma è mi ha detto che non sei a casa.» Fu la sua risposta. «Si ho lasciato Ester (nostra figlia) a casa sua e sono da Barbara a vedere la partita con i suoi amici.». Con quella telefonata lo rassicurai e tornai da Sean. Avevo voglia di lui.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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