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Prime Esperienze

UNA STORIA DI M(e)


di Membro VIP di Annunci69.it uars
28.08.2017    |    3.162    |    0 7.6
"Poi la porto a casa promettendole genericamente di richiamarla in settimana, ma non lo faccio..."
UNA STORIA DI M(e)


Anni: 20 (classe 68'). Lavoro e studio.
Beh, lavoro 3 giorni alla settimana in discoteca. Di giorno consegno gli inviti in giro per conto di quelli della discoteca, e prima di iniziare la serata ne mollo pure qualcuno in sala. Inviti validi solo per le donne, ovvio, gli uomini pagano sempre. DJ? No. Quello lo diventerò in seguito. Ora sono un luciaro o light jay o tecnico luci, chiamalo come vuoi. Il DJ li ammazza con la musica e io li bastono con le luci.
Studio. Seee… A fatica inizio a 18 anni con ragioneria. Due anni in uno. Ci son troppe materie: passo a geometra.
Il mio segno zodiacale? Strano: Gemelli. Di cui uno lo conosco e l'altro no. L’altro è mio lato oscuro, che vien fuori di tanto in tanto a contatto con le ragazze, così che spesso mi sento ripetere ‘sta frase: "Oh, son mica masochista, io!"
Da giovane (da giovane… una mia amica riderebbe, adesso) forzo la cosa, ma col tempo spesso rinuncio a mostrare il mio lato animalesco. Non è sempre apprezzato, anche se incontro chi ne va matta, ma è una minoranza. Così a volte lascio perdere e quando sento la fatidica frase mi riallaccio i pantaloni. In fondo, mi dico, ti ho mica costretta a venire con me. Hai scelto tu, io ti ho detto le mie regole. Se non ti va, basta.
Ma non mi piace celare la mia natura, nemmeno io sono un masochista e so che alla lunga nasconderla alla persona con cui faccio all'amore potrebbe nuocermi. Certo non le dico che la voglio frustare, a volte la frusta non serve, basta la mente. O solo essere se stessi.

Lei. Lei è più grande di me. Ridiamo e scherziamo. La conosco in discoteca, la mia seconda casa. Ha avuto una relazione anzi di più, un matrimonio fallito. Io sono completamente diverso, e non ho mai avuto non dico un matrimonio ma neanche una storia seria.
Lei è sempre gentile con me. Aspetta che per me finisca la serata e poi parliamo, ridiamo. Quando mi invita a salire a casa sua (lei abita sola e anche in questo siamo diversi: io abito coi miei) le rispondo di no. Ma le dico scherzando che mi piace frustare le ragazze. L'avessi, poi, la frusta… non ho manco quella! Mi chiede se domino o se mi lascio dominare. Le rispondo che domino e anche li ridiamo, ma io di salire da lei non ne voglio sapere. In genere me la cavo protestando che son stanco e comunque fidanzato (non è vero), ma ormai è da un po' che ci frequentiamo e sostenere questa balla mi diviene sempre più difficile. Inoltre lei incalza sempre più. Alla fine accetto, ma l’avverto che farà come dico io. Cambia espressione. Non ha il tempo di replicare: è domenica sera e le comunico che ci vedremo venerdì. Poi me ne vado.
Venerdì arriva. Ci vediamo in disco, io in piedi a manovrare la mia consolle, lei che mi aspetta seduta pazientemente sul solito sgabello dietro a me. Aspetta. Paziente. Di tanto in tanto mi prende da bere. Alla fine della serata le dico che il giorno dopo sarò da lei ma che non la voglio vedere nel locale: mi aspetterà a casa. io arriverò a fine serata, verso le 4.30. E voglio trovarla con body nero, calze rosse autoreggenti e tacchi vertiginosi. Sembra incerta ora e le trema la voce. Mi innervosisce. Quasi urlando le intimo di scendere dalla macchina e di farsi trovare esattamente come le ho detto. Scende, ma a malapena saluta.
Il sabato sa che non voglio essere disturbato. Devo studiare, quindi non chiama per il solito appuntamento prima della disco. La sera in discoteca non c'è. Bene. Finito il lavoro mi pagano. Esco alle 4.15 ed ho una voglia matta di vederla, ma voglio farla aspettare, voglio farla soffrire così vagabondo in macchina fino alle 5 passate e solo allora mi decido.
Suono il campanello. Mi invita a salire, aspettandomi sulla porta. Noto subito che è impacciata. Entro chiedendo permesso, lei accenna un sorriso. Mi fa accomodare in salotto, le chiedo di farmi un caffè. Lo prende anche lei. Mi si piazza a fianco mentre la guardo, sorridendole. Finiamo di bere. La prendo per mano e le chiedo dov’è la stanza da letto. Mi ci accompagna. Non appena entrati chiudo la posta a chiave. E’ quasi l'alba. Le chiedo di chiudere la tapparella, voglio che filtri solo un po’ di luce. Già. Giusto il necessario per spiare i suoi timori, per vedere il suo corpo.
La faccio sedere sulla sedia, la giro verso di me. Le dico di star tranquilla, di smettere di tremare.
“Non ti farò del male… So cosa vuoi, lo leggo nei tuoi occhi…” Non capisco se la sua è solo agitazione o già paura. I suoi occhi seguono ogni mio movimento. Continua a tremare, immagino che il suo cuore batta a mille. Le accarezzo le caviglie, le cosce, poi mi fermo.
“Sei un bimba obbediente, ti sei conciata come volevo…” sussurro riprendendo a massaggiarle le cosce. Mi fermo per imporle di togliersi il body, tenendo addosso solo calze, scarpe e reggiseno.
“Voglio vederti come una puttana…” E’ impacciatissima, non so se è proprio paura o solo agitazione. Le ordino di alzarsi. Comprendo il suo stato d'animo, mi piace, così la bacio sul collo, la bagno di saliva ascoltando il mio stesso respiro che si fa affannoso. Le sussurro all’orecchio che voglio godere di lei, puttana, che sarà la mia troia.
Ora è in piedi di fronte a me. La giro, la spingo con forza contro la parete, la incappuccio col body.
Sono quasi un animale mentre le strappo il reggiseno, mentre le mordo i capezzoli. Non può vedere quello che sto facendo, può solo “sentirmi”. E io voglio che mi senta, che senta la stretta dei miei denti. Urla che le faccio male e io affondo i denti ancora di più. Anch’io sento. Sento i suoi capezzoli indurirmisi in bocca e sento il suo dolore, che è il mio piacere.
Mi fermo, le tolgo il body, la rigiro verso di me. La scruto sorridendole ancora, e forse lei intuito qualcosa adesso, perché muove le mani verso i miei pantaloni. Gliele afferrò e le porto proprio sulla patta. Poi la spingo giù fino a farla inginocchiare.
“Fammi sentire come me lo succhi, dai…” e lei prende timidamente a leccarmi il cazzo. Le accarezzo il culo. Strano contrasto le mie mani fredde contro i suoi glutei caldissimi. Improvvisamente prendo a sculacciarla, incitandola volgarmente.
“Ingoialo tutto, troia… Sì, così… Ma non ti sborrerò in bocca, non ancora. Prima voglio infilartelo nella fica, lo so che è bollente la tua fica…” Ha un moto di ribellione. Cerca di divincolarsi ma non glielo permetto. Le ricaccio il cazzo in bocca, ma dopo solo qualche minuto lo levo. Sto per venire.
La strattono per farla rialzare, ma la vedo intontita, priva di forze. La rimetto in piedi, barcolla, sembra che le giri la testa. Appena su le ficco un dito nella fica che è rovente, bagnata. Le prendo il clitoride fra due dita e glielo stimolo con vigore. Lo sento gonfiarsi e se possibile mi eccito ancora di più. Ma anche lei si eccita. Le ravano il dito dentro senza pietà, poi lo tolgo di scatto, la spingo contro la parete con la faccia al muro, e la schiaccio col mio corpo.
Ho voglia di incularla ora. Le appoggio il cazzo contro il culo ma lei mi sfugge, si gira, mi grida che le sto facendo male, che non vuole. La tranquillizzo, le accarezzo il viso, le parlo a voce bassa ammettendo che mi sono forse lasciato andare ma che quando ho visto il suo splendido culo non ho resistito, non ho potuto trattenermi.
“Ma anche quello prima o poi mi apparterrà, sarò io a prenderlo per primo…” Si sente rassicurata, nonostante tutto. E’ un attimo: prendo la chiave, apro la porta, la afferro per un braccio e la trascino in salotto, per sbatterla sul divano di pelle. So che quella pelle le si attaccherà al corpo nudo, alle natiche, alla schiena. Le darà un senso di disagio.
E’ distesa ed io mi distendo sopra di lei. Mi implora con un filo di voce di infilarle la lingua in bocca. Vuole baciarmi. Allargo le ginocchia spalancandole le gambe e glielo schiaffo dentro fino alle palle. Pompo velocemente.
“Lo senti? Lo senti tutto? Lo so che stai godendo, troia, lo sento dai battiti del tuo cuore, dal tuo respiro affannoso… Dai, godi, godi troia… sei la mia troia…” Ma lei non risponde in alcun modo, solo continua a gemere.
“Ora voglio venire, venirti dentro, hai capito? Hai capito puttana?” Spingo ancora, rantolo un ultimo ruggito ansante e poi mi abbandono sopra di lei. Il tempo di prendere fiato. Non ho voglia di parlarle. Mi rivesto velocemente buttando là un generico: “Ci vediamo in discoteca.” Non replica, non parla, non mi saluta.

La domenica sera ci si rivede. Quando le chiedo come sta mi risponde che ha ancora il mio odore addosso. Rido. Mi chiede della mia ragazza, perchè non viene mai in discoteca. Per la millesima volta le ripeto che abita a Torino, dove studio. Beh, studio per modo di dire. Faccio l'ultimo anno alle serali, ma il venerdì, che lavoro, esco mezz'ora prima per arrivare in tempo per la serata. Penso alla mia ragazza immaginaria. E poi a lei. con cui ho solo voglia di giocare, di divertirmi, voglia di sfrenatezza d’un gioco fatto di ansie e attese. Le sue. E questo gioco finirà se lei non rispetta le regole.
Ora inizia a conoscermi meglio. Durante la serata non parliamo molto. Poi la porto a casa promettendole genericamente di richiamarla in settimana, ma non lo faccio. Me la ritrovo il venerdì in discoteca, incazzata nera. Mi chiede di andare da lei appena finito col lavoro ma le rispondo che se lo sogni. Ci rivedremo di nuovo sabato o domenica, ora non ho alcuna voglia di toccarla o di stare con lei.
Passano giorni prima che la chiami, ma alla fine lo faccio. Non abbiamo più un rapporto bellissimo, se poi l’abbiamo mai avuto, non so nemmeno come definirlo. Il fatto è che non sa dirmi no e cede immediatamente ai miei desideri. Perfino troppo facile.
In casa rimedio degli spilli e del nastro isolante. Venerdì sera li porterò con me. Non so se le piacerà ma voglio che abbia paura, voglio leggere la sofferenza dai suoi occhi sbarrati, voglio eccitarmi per gli spasmi della sua carne, per i suoi singhiozzi. Nel locale, durante la serata, non rispondo alle sue continue domande. La esaspero con un silenzio in cui però continuo a baciarla.
Arriva il momento. Casa sua. Saliamo e siamo subito in camera da letto. Le chiedo ridendo se ha delle corde, è titubante. Alla fine rimedio solo dello spago ma basta per legarla a croce sul letto. Opero senza fretta, con sicurezza, senza mai smettere di fissarla negli occhi. Anche lei mi fissa.
“Hai una faccia che non mi piace affatto” dice preoccupata, mentre le mie mani abili serrano un nodo dopo l’altro. Sorrido appena.
“Devi fidarti. E continuare ad essere obbediente. Sei la cosa più preziosa che ho.” E’ vero. Relativamente a quel momento.
In cucina cerco disperatamente un tovagliolo che finalmente trovo. Appena tornato in camera glielo ficco in bocca prima ancora che possa protestare in qualche modo, poi col nastro isolante lo blocco per bene in modo che non lo possa sputare. Pochi, lievi gemiti di protesta filtrano appena dalla stoffa e dalla plastica. Delizioso.
Le mostro gli spilli facendoglieli sfilare davanti agli occhi. Li segue ipnotizzata. Ne impugno uno e con quello le sfioro la pelle, partendo dalla caviglia. Si agita, ora che i miei movimenti sono fuori dal suo campo visivo, ma non sono ancora pericoloso. Certo lei non lo sa. Per ora voglio solo che tremi sentendo il contatto, quindi le intimo di stare ferma ma lei solleva la testa al massimo, vuole vedere. Sorrido, continuando a percorrerle il corpo con la punta dello spillo. Risalgo lungo le gambe, mi inoltro fra le cosce, navigo attorno alla fica, arrivo ad un capezzolo, passo all’altro e ridiscendo fino all’altra caviglia.
La paura le si legge in viso, ora, tanto che spuntano le prime lacrime. Lentamente torno su, ma lei nemmeno guarda, concentrata com’è sulla traccia sottile dello spillo. Accelero, glielo punto sul capezzolo e premo, ma non penetro nemmeno la pelle. So che non lo sopporterebbe, che la deluderei. Si è fidata di me. Per ora basta.
Poso lo spillo e le libero la bocca. Piange, singhiozza ma non si muove, limitandosi ad osservare mentre la slego. Mi siedo sul letto, la sollevo, la stringo a me, la bacio. Divento apparentemente rassicurante ma intanto le lecco le lacrime, convinto che possano avere molti sapori diversi. Per un po’ il suo è un pianto disperato, ma poi si calma, mi guarda e scoppia a ridere. Mi prende in contropiede. Ora è lei che mi abbraccia e mi bacia mentre io sto ad osservare questo nuovo comportamento e i movimenti che le detta.
Sembra godere di una libertà ritrovata, conquistata quasi attraverso la paura del dolore, fino alla gioia dello scampato pericolo. Mi mormora all’orecchio di non farlo mai più, confessandomi però che le è piaciuto.
“Ma ho avuto davvero paura, sai… Era tanto che non piangevo in questo modo…” Ci addormentiamo velocemente. Domani è sabato ma ho deciso che non andrò scuola. Alle serali si fanno 5 giorni la settimana di sera, più la mattina del sabato. Una fatica. Ma stavolta lei è più importante e non ci vado.
Al risveglio ingolliamo due brioches e un paio di caffè, ma quando sta per chiudersi alle spalle la porta del bagno, ci trova il mio piede a bloccarla. Protesta, mi invita ad andarmene perché ha bisogno della sua intimità. Si siede sul water ma io mi piazzo davanti a lei.
“Voglio vederti pisciare” mitigo con un sorriso, ma proprio non ce la fa.
“Smettila, dai, non sto giocando…” abbozza imbarazzata.
“Nemmeno io, e oggi non ti lascerò da sola nemmeno un attimo.” Dopo un tempo incalcolabile piscia. Mentre è sotto la doccia le chiedo se ha in casa un paio di candele. Mi chiede stupita a cosa mi servono. Le rispondo che la illumineranno mentre si lava. Mi lascia fare. Finita la doccia sono io che l’asciugo. Le passo la lingua su tutto il corpo. La sento fremere sotto di me, ancor più mentre le sussurro all’orecchio che sta diventando la mia schiava, schiava del mio desiderio, dei miei orari, dei miei balzi d’umore.
“Lo sai” continuo “che non hai il coraggio di dirmi di no…” Non ha la forza di replicare. Di certo il mio non è amore. Solo piacere di possederla, di essere il padrone della sua mente e del suo corpo. Forse sto solo diventando l’incarnazione delle sue perversioni.
Sono quasi certo che se le chiedessi di farsi fare dal primo ragazzo che passa per strada lo farebbe, solo per farmi piacere. Senza rendersene conto sta entrando poco per volta nel vortice d’una completa sottomissione mentale al sottoscritto.
“Rimettiti quelle scarpa col tacco a spillo, da puttana.” Obbedisce e le va a prendere. Quando torna in bagno le sfilo l’accappatoio e dopo averlo messo per terra mi ci stendo sopra.
“Succhiamelo.” Impongo imperativo. So che le piace e lo sa pure fare bene. Me la piazzo sopra in modo che mentre ce l’ha in bocca la sua fica sia a portata della mia lingua e delle mie mani, così mentre lei è presa dal mio cazzo afferro una delle candele spente e gliela infilo bruscamente nel culo.
“Ahhh!” urla, e quasi mi morde il cazzo. Scatta in piedi e mi ricopre di insulti.
“Bastardo! Non mi piace così, non farlo mai più! Non te lo permetterò mai!” Non reagisco, rimango perfettamente calmo ma la mia mano raggiunge l’interno morbido delle sue cosce, che massaggio finché non la vedo rilassarsi.
“Continua…” Le piace. Mi alzo, la porto in salotto e la lego al divano. Resta là mentre vado a bere e a mangiarmi un’altra brioche in cucina. Quando torno resta silenziosa. Le passo una mano sulla fica e la trovo asciutta. Mi eccita l’idea di penetrarla così, mentre non prova piacere, così la slego e me piazzo in posizione più comoda. Mi incuneo fra le sue gambe ed è stupendo sentire che il mio cazzo incontra resistenza nell’entrare. Ma si bagna in fretta ed io continuo a sbatterla senza ritegno. Finché sento che sto quasi per venire. Esco. Le lecco il collo mentre le masturbo il clitoride.
E’ lei a girarsi, ad offrirmi il culo. L’afferro per i capelli se l’avviso che ora la sculaccerò. Comincio con la mano ma dopo un po’ prendo la cinghia dei pantaloni.
“Ferma. Immobile. Non ti sognare di muoverti troia.” La mia eccitazione sale vertiginosamente. Non ho molte remore e poi penso che se me lo ha offerto lei, quel culo, un motivo ce l’avrà. La colpisco, lei manda ritmati gemiti. Passo la mano sul culo arrossato, per sentirne il calore. Sono infoiato. La volto quasi con violenza. Voglio venire assieme a lei. Entro con delicatezza ma in breve la sbatto con foga, entrando e uscendo sempre più velocemente, finché le vengo dentro.

L’ora di pranzo è passata, rimane la cena e la mia fame è tanta. Mi faccio una doccia che lei rifiuta: dice di volersi tenere addosso il mio odore.
“Quando fai l’amore con la tua ragazza, anche lei fa così?” Il mio “no” è seccato.
“A me piace. A me piace sentirmi addosso il tuo odore, il tuo sperma…”
Più tardi usciamo: prima cena e dopo disco. Finito col lavoro torniamo da lei
“Domani mattina andiamo in montagna” le comunico, e lei non fiata. La sveglia al mattino detta i tempi. Alle 8.30 le dico di sbrigarsi, di vestirsi in fretta che partiamo, ma nel frattempo ho cambiato idea. Anziché in montagna la porterò al mare, ma non glielo dico affatto. Poi in macchina mi chiede dove stiamo andando, ha visto che la strada non è quella giusta. Ride quando le rispondo che si va al mare.
“Sei davvero strano… Ma fai sempre così?” Rido pure io, ma le rispondo freddamente.
“Se vuoi scendere puoi farlo quando vuoi.” Il suo “no” è secco quasi quanto il mio di prima. Durante il viaggio le chiedo perché lo fa, perché accetta tutto ciò che le faccio o le faccio fare. Si rabbuia.
“Perché… Perché ogni volta, fino all’ultimo, non so cosa mi aspetta, quali fantasie hai su di me in quel momento. E tu? Quanto tempo passi a pensarmi, a pensare a ciò che mi farai?”
“Non moltissimo. Sono così di natura. Non ti penso più di quanto non pensi alla mia ragazza.” So che è un colpo basso. Ora guarda fuori, davanti a sé. Parla a voce bassa.
“A volte vorrei dirti di no, ma non ci riesco… Quando sono sola sono certa che non ti permetterò più nulla. Me lo dico e me lo ripeto. Ma quando poi ti ho davanti… proprio non ce la faccio.” Continua a confessarsi. Dice di sentirsi sola, piena di rogne che maschera bene. Sta bene con me perché a modo mio la riempio di attenzioni, perché osservo ciò che fa. Mi sente vicino anche quando non ci sono. Mi chiede perchè non ho alcun problema, mentre lei ne è piena.
“Anch’io ne ho, di problemi. Me ne capitano tutti i giorni. Non so se tu ne hai più o meno di me, so solo che i problemi sono fatti per essere risolti. Certo, pure io ho i miei momento brutti, ma credo che sia importante come si affrontano le continue prove quotidiane, più che le rare catastrofi. E poi comunque ognuno di noi reagisce alle prove in modo diverso, a seconda del carattere, dello stato d’animo, della situazione del momento…” Mi piace che mi ascolti.
“Senza contare che ciascuno percepisce i problemi a modo suo: ciò che per me è solo un sassolino nella scarpa, per te può essere una montagna insormontabile. E poi dipende anche da chi hai al fianco. E’ più facile se uno ti accetta per ciò che sei e per come vivi le cose, senza giudicarti.”
Le chiedo se si sente depressa, mi risponde che è impossibile non esserlo, come un matrimonio come il suo alle spalle. Ora sono io a voler sapere di più. Dalle sue parole capisco che ha sofferto molto e che le sculacciate o le cinghiate di adesso forse costituiscono per lei una specie di liberazione, un dolore diverso da quello a cui era abituata.
“Siamo due opposti” conclude “io pessimista, tu ottimista.” A pensarci ora mi dico che se l’ottimista di fronte al dolore cercherà di minimizzare e sopportare in attesa che passi, mentre il pessimista gli presterà talmente tanta attenzione da peggioralo sempre più. Una cosa è certa: nessuno è immune dal dolore interiore, profondo. Ne sono preda sia il depresso che l’allegro, anche se certamente un carattere timoroso e fragile percepirà di certo con maggiore intensità una stessa situazione, rispetto a chi è forte e sereno. Mi perdo per un po’ nelle mie elucubrazioni. Faccio raffronti e considerazioni varie, in silenzio, mentre continuo a guidare.
Poi torno al presente, a lei. La cosa che più mi ha colpito di lei è la sensibilità. A mio avviso dovrebbe essere questa la via attraverso cui può riscattarsi e alla fine stare bene. A dire il vero se si è troppo sensibili aumentano ansie, dubbi, timori, a volte fino a diventare veri incubi. Queste persone sono invase dai sensi di colpa, che altro non sono alla fin fine che un masochismo mentale. Il quale spesso è destinato a diventare anche fisico. Come in lei.

Ci perdemmo di vista dopo quattro mesi, ma lasciandoci alle spalle una bella esperienza, piena di giochi e regole, piena del divertimento di entrambi.
Oggi? Oggi sono un geometra diplomato. Il DJ l’ho fatto per 8 anni, poi ho iniziato a lavorare, non però come geometra. Assomiglio più ad un ragioniere. Diciamo che sono un amministrativo.
Il mio nemico n° 1 è il parrucchiere. Sarà perché porto i capelli lunghi.
La mia normalità? Forse sapere di essere un animale dotato di istinto, ragione e un po' di sana pazzia. Alla fine, al di là delle mie stranezze o presunte tali, non so cosa significhi essere normali. Magari solo essere esseri umani, pieni di pregi e difetti d’ogni tipo non so se sono normale o solo un po' strano. Forse sono solo un essere umano con pregi e difetti.
E questo è solo un momento di ricordi e riflessioni, forse personali e poco interessanti per chi li leggerà, ma sono miei.
Sono di M(e).
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