La Prima volta con una coppia

Arrivai davanti alla porta di quella casa a schiera, immersa nella tranquillità della provincia. Il mio cuore batteva forte, la mente confusa da una miriade di pensieri contrastanti. Era la prima volta che mi trovavo in una situazione del genere, eppure sentivo che qualcosa dentro di me mi spingeva a proseguire. Mi chiamo G., ho 42 anni e un fisico robusto, che in qualche modo mi dava sicurezza, ma quella sera non bastava a calmarmi.

Dopo qualche istante di esitazione, suonai il campanello. La porta si aprì con naturalezza. D., un uomo di 35 anni, dal fisico normale e i tatuaggi che raccontavano storie silenziose, mi sorrise come se fossi già parte del suo mondo. Non disse nulla, ma mi guardò con quella serenità che solo chi ha piena consapevolezza di sé possiede. La sua presenza era rassicurante, ma anche magnetica, e senza indugi mi invitò ad entrare.

Dentro, l’atmosfera era calda, rilassata, con l’odore di vino rosso che riempiva delicatamente l'aria. Ci sedemmo al tavolo, senza fretta, aprendo una bottiglia di vino, come se fosse il primo passo di un rituale che non aveva bisogno di parole. Le chiacchiere iniziarono in modo leggero, ma c’era qualcosa di non detto che aleggiava nell’aria, qualcosa che legava i nostri sguardi in un silenzioso accordo.

Poi arrivò lei.

C., una donna di 34 anni, con un fisico curvato che non aveva bisogno di essere ostentato, si presentò nella stanza. I suoi capelli, lunghi e con riflessi viola, catturavano la luce come un miraggio, e il suo sguardo, carico di mistero, sembrava attraversarmi. Indossava una vestaglia nera trasparente che scivolava sul suo corpo con grazia, svelando solo la parte che voleva mostrarsi. Un tatuaggio di una farfalla sull'inguine parlava di un'anima libera, e il piercing alla lingua aggiungeva un tocco di audacia.

Si avvicinò a me senza parole, con quel passo che sembrava non voler mai finire, fino a fermarsi proprio davanti a me. Mi guardò intensamente, come se volesse scrutare ogni angolo nascosto del mio essere, e poi, senza esitazioni, mi baciò. Il suo bacio era un invito, una promessa che non aveva bisogno di essere verbalizzata. Era dolce, ma allo stesso tempo carico di una passione sottile che mi fece sussultare.

Nel frattempo, D. non ci distoglieva lo sguardo, ma non sembrava invadente. C’era una calma in lui, come se tutto quello che stava accadendo fosse naturale, parte di un flusso che non si doveva forzare. E io, con il cuore che accelerava, non facevo altro che seguire quel flusso, abbandonandomi a quello che stavo vivendo.

Il vino scorreva liberamente, e con ogni sorso, la tensione cresceva. Le mani iniziarono a muoversi più liberamente, senza più la rigidità dei primi momenti. Gesti che sembravano casuali, ma che in realtà erano segnali chiari, mosse studiate in un gioco sottile di sguardi e carezze. Ogni movimento, ogni tocco sembrava promettere di svelare qualcosa di più, di accendere una scintilla che non avrebbe più potuto essere spenta.

C. finì il vino nel suo calice con un sorso deciso, e poi si alzò. Senza dire nulla, si tolse la vestaglia con una fluidità che lasciava senza fiato, svelando il suo corpo con una sensualità senza sforzo. Si abbassò sotto il tavolo, e io, quasi ipnotizzato, mi avvicinai, in un movimento che sembrava non dipendere più dalla mia volontà. Le mani di C. esploravano con delicatezza, ma con fermezza, mentre il suo corpo si muoveva in un ritmo che mi invitava a seguirlo.

D. si avvicinò, ma non c’era più bisogno di parole. Il suo sguardo era intenso, ma privo di fretta. Ci capivamo senza bisogno di dire nulla. Mi lanciò un oggetto, e senza pensarci troppo, lo afferrai. Un piccolo gesto, ma che sapevo segnava un passaggio. La tensione tra noi tre si faceva più palpabile, come se il nostro respiro fosse ormai sincronizzato in un unico battito.

I corpi si svelavano lentamente, con una calma che non faceva che intensificare ogni sensazione. C. si spostò, e ci trasferimmo sul divano. Il calore dei corpi, il ritmo dei nostri movimenti, la sensazione di essere vicini senza mai perdere la consapevolezza che stavamo vivendo qualcosa che non si sarebbe mai più ripetuto. Era come un sogno, ma era vero, e in quel momento, niente mi sembrava più reale.

C. si avvicinò di nuovo, le mani che scivolavano sulla mia pelle, e D. non smetteva di osservare, il suo sguardo pieno di una curiosità che mi dava forza. Ogni gesto sembrava orchestrato da un'intesa silenziosa, e il piacere che cresceva tra di noi era un'onda che ci travolgeva, senza fretta, ma con una determinazione che non poteva essere ignorata.

Alla fine, quando la situazione si placò e il respiro tornò più regolare, non ci furono parole. Non ce n’era bisogno. Quel momento, quella serata, erano diventati parte di qualcosa di più grande, qualcosa che avremmo portato con noi, ognuno nel proprio modo.

Mi alzai e mi diressi verso la finestra. Il silenzio della notte sembrava avvolgerci, e fuori, l’aria fresca mi fece sentire vivo. Accesi una sigaretta, il fumo che si alzava nell’aria sembrava dissolversi insieme a quella sensazione di essere stato parte di un’esperienza unica, qualcosa che sarebbe rimasto con me, come il ricordo di una prima volta che non si dimentica mai.