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Prime Esperienze

Epici peperoni


di Lapennaeilcalamaio
26.09.2020    |    7.578    |    31 9.5
"Il gusto di quei peperoni era davvero squisito, più ne mangiavo più ne volevo..."
EPICI PEPERONI

Erano quasi le sei, un fresco pomeriggio di fine agosto. La giornata di sole era pressoché giunta al termine, ma la sua luce ambrata entrava ancora dalle finestre dello spropositato salone da ricevimenti dei miei suoceri (pomposi megalomani). Io e mio marito Lorenzo aspettavamo l’arrivo di quel videomaker , Raffaele, che avrebbe montato il filmato della nostra ultima performance teatrale. Un lavoro immane. Nell’attesa, io mi chiedevo se il povero malcapitato fosse già consapevole di stare per imbarcarsi in un’impresa davvero titanica: molti preziosi minuti del girato mostravano nauseanti sequenze di inquadrature sbagliate e fuoco mancato, piene di dettagli che in scena facciamo di tutto per nascondere, spiattellati in bella vista dalla telecamera, o meglio, dalla totale mancanza di esperienza e buon gusto del cameraman che ci aveva filmati…un certo Andrea.
Poco importava, comunque, perché mio marito mi aveva assicurato che questo Raffaele era un vero mago del montaggio, che aveva lavorato per importanti programmi televisivi e che quindi avremmo sicuramente tirato fuori del buon materiale dal girato, sufficiente per un trailer che rendesse giustizia alla nostra pièce. Avevano frequentato le scuole superiori assieme, Raffaele e Lorenzo; anni di molte canne, molte seghe e molti capelli (quelli ancora mio marito li ha, tutti); di fatti l’atmosfera dell’attesa era permeata di una certa familiarità, sapevo che non era un perfetto sconosciuto quello che stavamo per accogliere. Lorenzo aveva preparato birra al sale e mandorle tostate: se bisogna lavorare, tanto vale farlo in modo piacevole , giusto? Ecco una delle cose che amo di più in mio marito: la sua ineguagliabile bravura nel mettere le persone a proprio agio, e nel trasformare tediosi impegni lavorativi in distesi incontri conviviali.
Raffaele, salendo le scale, si fece precedere da un fischiettio intonato; un motivetto che ora non ricordo, ma, udendolo, ricordo di aver pensato “che cazzo...ma quanti anni hai, tredici? Un cazzo di scout..”. Non appena entrato, notai subito che era un uomo di bell’aspetto: splendido volto, il torso si rivelava atletico sotto la maglietta oversize, le gambe leggermente divergenti nella parte inferiore, la carnagione gradevolmente scurita dal sole. Gli occhi magnetici, incorniciati dalle folte ciglia scure, sembravano rivendicare antichi debiti di sangue. Feroci.

Uno sguardo distratto lo avrebbe giudicato un tipo casual, vestito in modo comodo e non particolarmente ricercato. Poi, però, la serie di accessori e strumenti che estrasse dallo zaino ( una marca di raffinata cancelleria), mi suggerì che quello che avevo davanti era un puzzle assemblato in tutti i modi fuorché a casaccio. Casual chic. Raffaele era una bella cosa, e come tutte le belle cose amava circondarsi di cose altrettanto belle.
Prese posto alla mia sinistra, alla mia destra sedeva mio marito. Capii che un disinvolto clima di confidenza si era presto stabilito quando accavallammo tutti le gambe, con scioltezza .Lavorando gomito a gomito, chini sui rispettivi pc, io fingevo indifferenza mentre sbirciavo: la mia solita indole da osservatrice. Percorrevo le linee delle sue mani ed i volumi delle braccia, coperte d’inchiostro: immagini, lettere, simboli..un viaggio tatuato sulla pelle, più di uno probabilmente. Seguendo le evoluzioni di quei disegni andavo sempre a scontrarmi contro la manica della t-shirt: frustrante, avrei voluto vedere dove andavano a finire. Non per morbosità, solo per la pura curiosità di leggerlo: pensavo “Che storia racconti? Chi è il tuo pubblico?”. Avrei voluto chiedere “Cosa significa quell’ancora?” , ma ero certa che avrei fatto la figura della sempliciotta. E poi non bisognerebbe mai fare una domanda del genere ad un uomo come quello; si rischia di dare avvio al classico teatrino del “finto tipo riservato”, in cui (in sequenza) :lui si finge disinteressato e glissa sul discorso con una frase del tipo “…si…beh..una cosa di anni fa..bla bla bla”, tu resti a bocca asciutta, conscia di averlo compiaciuto nel suo narcisismo, e con la spiacevole sensazione di aver vinto il ruolo della tonta di turno. Fritto e rifritto.
Mi concentravo sul lavoro, annotavo, commentavo, tutto molto proficuo. Il lavoro procedeva bene, Raffaele sapeva davvero il fatto suo professionalmente parlando: scena dopo scena, il trailer prendeva forma; le sue osservazioni e suggerimenti denotavano un gusto strutturato dall’esperienza. Brillante, veloce, attento: tu cominci le frasi e lui le finisce, quelle cose che ti fanno capire quando ti trovi davanti qualcuno che sa quello che fa.
Era bello vedere lui e Raffaele ritrovarsi dopo gli anni del liceo, sembravano due cari buoni amici. Inoltre Raffaele, dal mio punto di vista, aveva un grande punto a suo favore rispetto alla maggior parte degli amici di Lorenzo che avevo conosciuto: mi guardava negli occhi. Sfortunatamente, una delle tipologie di maschio più diffuse (purtroppo anche fra i nostri amici) è quella che , nelle conversazioni, risponde alle mogli rivolgendosi ai mariti, nel disperato tentativo di apparire sicuri e non interessati sessualmente alla femmina in questione; peccato non capiscano che il più delle volte, in particolare quando la femmina suddetta sono io, questo loro inutile sforzo si risolva in un patetico risultato: sento che te la stai facendo sotto. Quella del rapporto fra i sessi è un’evoluzione che procede a scatti, accompagnati da persistenti scricchiolii. Lui invece non aveva bisogno di spericolarsi in testosteroniche acrobazie: bravo Raffaele.
La magia di mio marito ancora un volta si era compiuta, e così l’atmosfera di quei momenti di lavoro era del tutto facile, e aulente. Io e Lorenzo, poche ore prima, avevamo fatto l’amore sul tavolo della cucina; lui mi aveva interrotto mentre preparavo dei peperoni da infornare (ne avevo contato qualcuno in più, nel caso Raffaele si fermasse da noi per cena); mettendosi alle mie spalle, aveva iniziato ad accarezzarmi la schiena, poi i fianchi, la pancia..intuire che si stava eccitando dentro i pantaloni schiacciati contro il mio culo mi aveva fatto subito sperare che mi prendesse con urgenza. Invece, aveva in programma prima di farmi godere con la sua lingua, distesa sul tavolo; poi avevamo scopato senza fretta, su una sedia, io seduta su di lui dandogli le spalle. Mio marito sapeva come farmi godere, a me piaceva molto il sesso con lui. Con le natiche ancora coperte del suo piacere caldo, infornai i peperoni e andai a farmi una doccia. Alla presenza di Raffaele, sentivo che l’odore di quel buon sesso persisteva su qualche lembo remoto della mia pelle, misto allo smielato gelsomino della crema con cui mi ero coccolata dopo la doccia. Sopra il profumo di sesso, sentivo nel naso l’alito del nostro ospite, che emanava una morbida nota alcolica, merito dell’ottima birra che sorseggiavamo; anche il lieve odore acre delle sue ascelle si confondeva con quello del corpo di mio marito: il sudore maschile è qualcosa che mi ha sempre fatto sentire immensamente bene, fin dai tempi in cui ero bambina. A volte mi accoccolavo tra le lenzuola di mio fratello, intrise di un aroma di sonno e di corpo, che io adoravo.
L’unica nota davvero stonata in quella bella sinfonia pomeridiana di profumi era l’odore pungente di una composizione di fiori, vecchia di settimane, che stava marcendo sul tavolo in tutto il suo decadente splendore; mia suocera l’aveva dimenticata lì chissà quando, decisa a conservare la graziosa scatola con nastro di velluto rosa che la conteneva. La morte di quel tripudio di fiori esalava un tanfo nauseabondo, come ebbi modo di verificare più tardi annusandoli da vicino; ma mentre Raffaele era lì lo sentivo solo in sottofondo , come quel fastidioso acufene che qualche anno fa si è insidiato nel mio orecchio sinistro, privandomi per sempre del privilegio del silenzio.
Selezionammo molte delle scene che avrebbero composto il trailer, discutemmo sulle musiche da utilizzare, visionammo insieme alcuni dei precedenti lavori di Raffaele. Mentre parlavamo, notai che mio marito ci aveva fugacemente scattato una foto, aveva ritratto me e Raffaele, con nonchalance . Pensai che più tardi l’avrebbe pubblicata su uno dei nostri profili social, per farci un po’ di pubblicità, per raccontare il nostro lavoro..magari far sapere ai nostri followers del nostro nuovo progetto. Non gli diedi importanza. Trascorsero così all’incirca due ore.
Ad un tratto Raffaele alzò gli occhi dal pc e disse : “Qualcuno sta cucinando zucchine ripiene…no, aspetta, sono peperoni! A giudicare dall’odore..”. Io non sentivo alcun odore di peperoni. Pensai “beh infondo sono quasi le venti. Quando uomo avere fame – uomo sentire odori di cucina.”; neanche avevo finito di formulare questo pensiero quando un inquietante lampo di genio mi fece balzare sulla sedia, pronunciando un aristocraticissimo “cazzo!!!”. Realizzai nello stesso momento che l’odore dei peperoni proveniva dalla mia cucina. Ero io quella che li stava cuocendo, o meglio, ero la sciagurata che li aveva completamente abbandonati al loro destino nell’inferno rovente del forno a gas. Ma dove avevo la testa? Raffaele e Lorenzo ridacchiavano tra loro per la buffa situazione e io mi precipitai in cucina: i peperoni erano salvi, alcuni di loro appena appena bruciacchiati ai bordi , ma del tutto commestibili.
Dopo averli tirati fuori dal forno e coperti per proteggerli dalle mosche, tornai nel salotto dove Raffaele e Lorenzo sorridevano divertiti; ridemmo tutti e tre insieme per l’accaduto, io ironizzai un po’ sulle mie scarse doti di massaia per sdrammatizzare (mi vergognavo terribilmente), e continuammo a parlare. Mentre la conversazione proseguiva, mi accorsi che mi stavo sempre più distaccando dal contesto, ero distratta. Combattevo inutilmente contro un’ineluttabile deriva del pensiero. Mi stavo lasciando appigliare da una sensazione incalzante: sentivo crescere in me una profonda gratitudine nei confronti di Raffaele, per aver salvato quei peperoni. Mi vergognavo per la mia sbadataggine e parallelamente saliva in me il desiderio di sdebitarmi con quell’olfatto prodigioso che aveva garantito la nostra cena.
Pensavo “grazie Raffaele..ti sono così grata che…che…”, che cosa si può fare per sdebitarsi con qualcuno verso il quale ci si sente profondamente grati?
“Grazie Raffaele..ti sono così grata che..”: si può ricambiare con un dono, un favore…qualcosa che siamo particolarmente bravi a fare?
Quell’uomo mi sembrava un autentico eroe, in quel frangente; il suo prodigioso olfatto, me lo sarei ricordato per anni quell’epico salvataggio dei peperoni?
Continuavo a pensare “..ti sono così grata che…che…..”, ma avevo quasi paura di finire la frase, mentalmente.
Mi sorprendevo ad insistere “ti sono così grata che………. ti farei un pompino.”.
Sbam! Ecco, l’ho pensato.
Si, in quel momento trovavo molto opportuno ricompensare Raffaele con un pompino davvero ben fatto. Mi tuffai senza ritegno in una spirale di fotogrammi patinati come le scene di una telenovela. Avrei fatto del mio meglio. Avrei sbottonato i suoi pantaloni, avrei trovato il suo cazzo con le mani, lo avrei accarezzato dolcemente per farlo indurire e poi glielo avrei tirato fuori. Avevo voglia di vederlo, mi chiedevo se un uomo così bello avrebbe avuto un cazzo altrettanto bello, mi sforzavo di immaginarlo, specialmente eretto. Una volta, quando io e mio marito eravamo ancora amanti, gli dissi che avevo un vero talento per indovinare l’aspetto del cazzo di un uomo solo guardando i suoi pollici. Era vero, non mi ero mai smentita: tutti i membri degli uomini che avevo avuto erano sempre esattamente come avevo previsto. Tranne uno, quello di Roberto, che mi prese del tutto alla sprovvista: lui aveva dita sottili, delicate al punto da sembrare trasparenti, del tutto estranee al lavoro fisico. Il suo pene (incredibile) era tozzo, rosaceo, storto e fastidiosamente ingombrante; così tanto che non riuscii mai a farmelo entrare dentro. Infatti la relazione con il suo proprietario durò ben poco: che avrei potuto farmene di un cazzo così grosso se non riuscivo neanche a farmi scopare? Quello di mio marito invece era stato una confortante conferma: solido e ben tornito, come suggerivano le sue mani; grosso ma elegante, mai sovrabbondante. Sia eretto che a riposo, Lorenzo aveva un cazzo davvero molto bello, a me era sempre piaciuto succhiarlo e baciarlo; senza dubbio aveva avuto un ruolo decisivo nella mia propensione ad accettare la sua proposta di matrimonio, ero sicura che un cazzo come quello non mi avrebbe mai stancato.
Assorta in queste divagazioni, non smettevo di fantasticare sul membro di Raffaele, scrutando i suoi pollici alla ricerca di qualche indizio. La sua voce, assieme a quella di mio marito, erano un lontano sostrato sonoro. Ormai, non avevo idea di cosa stessero parlando. Ero persa nel mio segretissimo e piccante inciso immaginario. Era come vedere un film, nella mia mente si susseguivano frammenti di quell’eccitante intermezzo: la mia bocca abbracciava il cazzo di Raffaele, ormai completamente duro, la lingua lambiva la cappella che era bagnata della mia saliva ma anche del suo squisito piacere. Con le labbra lo baciavo, dalla base alla punta e poi dalla punta alla base, con immensa gratitudine. Con le mani accarezzavo il suo petto e, più delicatamente, le sue palle. Scendevo a leccarle, le prendevo in bocca, per tornare poi verso l’alto, sul cazzo, a cercare le sue gocce di salata rugiada: non credo che avrei dovuto attendere molto perché godesse dentro me.
“Grazie Raffaele, spero che questo pompino possa ripagare la tua prontezza che ha salvato i miei peperoni da un crudele destino….”
E continuavo a succhiare.
“Grazie Raffaele, questi peperoni significano moltissimo per me….”
E continuavo a succhiare.
“ Grazie, grazie, eroico Raffaele ……”
Hey hey hey! Ma quanta gratitudine! Cosa diavolo stavo facendo? Non stavo forse eccedendo un tantino di zelo nel tentativo di ricambiare il favore del salvataggio della cena?
La voce sguaiata di qualcuno che gridava nel vicolo sotto casa mi fece bruscamente precipitare da quel limbo di fluidi corporei in cui indugiavo fluttuante. Mi parve di esserci rimasta per ore ma in realtà erano passati pochi minuti, come potei constatare dall’orologio del pc. Le venti e quindici minuti, era tempo che Raffaele ci salutasse. Il lavoro che dovevamo fare insieme era compiuto, gli accordi su come proseguire presi (cioè, li aveva stretti con Lorenzo, mentre io mi intrattenevo in quell’astratta masturbazione). Cosa avevano stabilito? Quando ci saremmo rivisti? Quando ci avrebbe consegnato il trailer montato? Ancora una volta, poco importava: la mia premura, in quel frangente, era salutare Raffaele senza tradire le mie fantasie. Ero terrorizzata al pensiero di averle visualizzate così bene che lui potesse addirittura leggerle, descritte con dovizia di particolari, come sottotitoli scorrevoli proprio al centro della mia fronte. Dovevo anche cercare di ignorare la l’umore caldo umido che avevo tra le cosce e che aveva inzuppato le mie mutandine. Non potevo crederci: mi ero bagnata per lui, per un pompino pieno di gratitudine.
A cena, dopo aver privato i peperoni della buccia, io e Lorenzo li mangiammo di gusto; lui chiacchierava : “Sono soddisfatto del lavoro di oggi pomeriggio, abbiamo fatto bene a ingaggiare Raffaele, sono sicuro che farà un buon lavoro”. Io sorridevo, annuivo, mangiavo d’appetito. “Bella idea quella delle frasi che scandiscono le scene..d’effetto, mi piace. Fa più..cinematografico.”, diceva lui, e io mi trovavo d’accordo. Tuttavia, non ero del tutto presente nella conversazione. Il gusto di quei peperoni era davvero squisito, più ne mangiavo più ne volevo. Con stupore sperimentai che la loro consistenza nella mia bocca, forse complice l’esperienza eccitante delle fantasie su Raffaele, aveva qualcosa di potentemente erotico; mi stuzzicava, stimolava i miei sensi, accelerava il flusso del sangue, dilatava lo spirito e il corpo. In pratica, un siero della verità.
Senza cura, interruppi uno dei commenti di Lorenzo; le parole mi uscivano dalla bocca senza che io potessi avere su di esse il minimo controllo.
“Prima, in salotto.. Raffaele ha sentito l’odore dei peperoni...”. Pausa. Dove sto andando a parare?
Riprendo: “Io invece…per fortuna se n’è accorto lui! Altrimenti…”. Pausa. Cristo, davvero lo vuoi dire?
Riprendo: “Avrei tanto voluto succhiarglielo.”.
Sbam! Ecco, l’ho detto.
Non contenta, aggiungo: “Così, per ringraziarlo.”

La forchetta di Lorenzo, per un momento, rimase sospesa a mezz’aria sul tragitto verso la bocca; poi la posò con calma sul piatto. Il suo sguardo si fece d’un tratto severo, non capivo se era un’espressione di rimprovero oppure…sembrava quasi…immobile? Oh Cristo. Poi quello sguardo si fece più profondo; non avevo mai immaginato che il verde dei suoi occhi, simile a sicure acque cristalline, potesse contenere un tale abisso: un abisso sconfinato di bruciante desiderio.
Ora mi guardava con desiderio forte, vivo, così concreto che aveva impregnato la stanza intorno a noi più del fetore dei fiori in decomposizione (che erano adesso sul tavolo della cucina, e ammorbavano l’aria). Si sforzò di mantenere la voce uguale alla sua voce di sempre, ma quando parlò io mi accorsi subito che era, quasi impercettibilmente, un tantino stridula. Tradiva impazienza, si dava coraggio per farsi più ardita. “Sai, mi eccita il pensiero di te che ti bagni mentre un cazzo ti riempie la bocca… perché è così, vero? Ti sei bagnata mentre lo pensavi tra le tue labbra”.
“Si”, risposi.
Male? ….Malissimo? Avevo sbagliato ad ammetterlo? Potevo forse dirgli che , oltre tutto, dopo che Raffaele ci aveva lasciato e avevo mangiato quei peperoni, continuavo a plasmare nella mente visioni della sua mano tra le mie cosce, della mia fica che si apriva languida per lui, delle labbra di mio marito sul seno mentre quelle di un altro uomo mi baciano tra le cosce? Si, erano anche insieme, loro due, nelle mie fantasie.
Il siero della verità dei peperoni stava ancora perpetrando il suo effetto e così mi confessai, e mentre parlavo le fantasie prendevano forma definita: adesso c’ero io fra due uomini, due cari buoni amici, con le mani impegnate a soddisfarli entrambi, a segarli con grande gioia. Quanta bellezza, in quei tre corpi nel pieno delle loro età migliori. Ero io che sentivo Raffaele prendermi da dietro mentre succhiavo il cazzo di mio marito, che mi guardava compiaciuto, orgoglioso di quel gran pezzo di troia della moglie. Noi tre: vicini, eterni, lussuriosi. Ero sempre io, quella che stava per bruciare i peperoni, ed ora invece gemeva gongolante sotto i baci di quattro labbra, le carezze di quattro mani, le spinte di due cazzi ed il vagabondare sulla pelle di venti dita. Io mi sentivo letteralmente divisa a metà: un emisfero in colpa, l’altro felice di compiacere Raffaele.
Si, lui sembrava davvero molto interessato ai miei racconti, affascinato direi. Il suo sguardo non mi faceva sentire affatto in dovere di vergognarmi. Era rapito, ammirato. Il puro verde splendore dei suoi occhi si confondeva con il marrone feroce di quelli di Raffaele, e io desideravo sentirmeli tutti addosso. Volevo sentirmi percorsa palmo a palmo con avidità, adorata.
Lui riprende a parlare: “Tu mi fai impazzire..io ti amo da impazzire..sei la donna più bella del mondo. Io ti voglio da impazzire”. Sentirgli pronunciare quelle parole mi riempì il cuore di gioia; i miei sensi si calmarono e terminammo la cena in silenzio, scambiandoci occhiate complici e sorrisi maliziosi. I peperoni erano finiti, l’effetto del loro siero svanito, avevo fatto pace con tutto. Quella sera non facemmo l’amore. Lorenzo non aveva fatto mistero di essere molto eccitato, era impossibile non scorgere la sua erezione sotto il pigiama. Lo avevo accarezzato con tenerezza da sopra i pantaloni, poi avevamo lasciato cadere la cosa, con tacito assenso reciproco. Guardammo un film e poi ci addormentammo tra le braccia l’uno dell’altra. Tutto molto naturale, tutto in armonia. La mia paura di aver sbagliato a condividere con lui le mie fantasie era infondata, anzi: avevo la sensazione che se lo aspettasse, che sapesse già tutto quello che era successo nella mia mente.
Chiusi tutti questi pensieri in un fascicolo sigillato con su scritto “For your eyes only”, come nell’omonimo film in cui Roger Moore interpreta 007.
Dopo qualche ora di sonno, mi svegliai di colpo con una gran sete. Sentivo riproporsi i peperoni. Nonostante li avessi privati quasi del tutto della buccia, eccoli che si ripresentavano in accidentali piccoli ruttini :“Puff”. Peperoni, peperoni, peperoni…..nome botanico “capsicum annuum”. Sono bacche colorate; un insieme di fibre, vitamine, oli essenziali e buccia indigesta. Per lo più acqua e grassi. Chi avrebbe potuto immaginare che avrebbero scritto per me una delle fantasie erotiche più memorabili della mia vita?
Guardai il cellulare, erano le cinque passate; troppo presto per alzarsi e troppo tardi per provare a riprendere sonno. Notai una notifica sull’app di un social network: era un messaggio, era di mio marito. Risaliva a qualche ora prima, ad occhi e croce me lo aveva inviato mentre ero in bagno a prepararmi per la notte. C’erano due foto: quella di me e Raffaele che aveva scattato quel pomeriggio, e una che mostrava il suo membro, eretto. Sotto la prima c’era scritto “qui è quando facevi la voce da gattina in calore che lo fa diventare di marmo”, sotto la seconda “tu lo faresti diventare duro a chiunque desideri”.

FINE


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