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PRANOTERAPIA 6 (l’appartamento)
di Rosagiorg
08.07.2024 |
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«E dite che c’è la possibilità di portare a casa qualcosa?» chiese il baffo..."
Il ménage cittadino, nell’appartamento messo a disposizione dal baffo, si protrasse per molti mesi con i più vari intrecci ed anche alla zia e allo stesso baffo, essendo ormai noi una specie di famiglia allargata, era concesso di frequentare chiunque senza la reciproca presenza. Gli appuntamenti si moltiplicarono con gli unici due tabù su cui tutti concordavano: non era ammessa la presenza contemporanea di zii e nipote e non era concesso di invitare o fare parola con nessuno al di fuori dalla nostra cerchia.Io, ovviamente, ero il più richiesto e desiderato, non c’era intreccio che non richiedesse la mia presenza o meglio, la presenza delle mie mani. Certo, per me, il piacere rischiava di trasformarsi in un lavoro, poi la mia giovane età mi spingeva a cercare nuove avventure: non potevo passare i migliori anni con delle, pur piacenti, signore di una certa età. Così, spesso e volentieri, accampavo scuse ed improvvisi impegni per disertare i sempre più frequenti appuntamenti.
Le signore, fra una messa ed un rosario, pareva non avessero altro da fare nella vita se non il sesso. Avevo aperto un vaso di Pandora, e temevo che, prima o poi scoppiasse il bubbone diffondendo il contagio a tutta la piccola comunità parrocchiale.
Le cose andavano decisamente meglio con la mia amica e con la coppia coetanea di baristi. Fra noi si era stabilito un feeling, che ci faceva stare bene insieme sia come due normali coppie, sia come libertini che sfruttavano tutte le combinazioni che un quartetto affiatato poteva sperimentare. L’appartamento era il luogo deputato ai nostri giochi più perversi ma, come coppie normali, potevamo, al contrario delle beghine, farci vedere tranquillamente in giro per il paese senza destare il minimo scandalo o suscitare alcun pettegolezzo.
Per le quattro signore ed il baffo la situazione era molto più delicata; già un occhio attento poteva notare dall’aspetto, dalla spigliatezza, dalla prossemica, che qualcosa in loro era cambiato, non potevano tradirsi proprio ora che avevano scoperto (o riscoperto) la felicità. Si affidarono allora all’esperienza precedente: una maggiore assiduità ai servizi ecclesiastici, l’abbigliamento ed il make up da vecchie vedove. Poi, per giustificare le frequenti uscite fuori porta, da sole o in compagnia, escogitarono la scusa di una famiglia in città bisognosa di aiuto. Le si vedeva così partire con enormi borsoni carichi, in teoria, di mezzi di sostentamento, in pratica pieni di guepiere, vibratori, lubrificanti e tutta l’oggettistica utile al sostentamento di pomeriggi di gran sesso.
Il loro già grande affiatamento, trovava il suo apice quando l’energia delle mie mani portava il piacere ad un passo dall’orgasmo collettivo, mantenendo un tempo sospeso in un’eccitazione al limite del parossismo.
Noi giovani capivamo benissimo che, oltre alle mie mani, le signore erano stimolate dalla gaiezza dei nostri anni, così, sia per ricambiare il favore della bella location organizzata dal baffo, sia perché dalla loro esperienza c’era sempre qualcosa di nuovo da imparare e da sperimentare, ci prestavamo insieme o alternativamente a passare qualche bel pomeriggio fra il letto e i divani dell’appartamento.
Le mie preferenze, oltre che per i coetanei, erano rivolte in special modo, forse per quel fisico adolescenziale che la faceva sentire più vicina a noi, alla rossa, che inoltre non lesinava di offrirsi nel suo splendore, indifferentemente a maschi o femmine con lavori di bocca da lasciare senza fiato ed anche quando accoglieva in altri pertugi non aveva eguali. Per chissà quale combinazione di impegni raramente, quando c’era lei, potevano essere presenti gli zii, così che il gioco era aperto anche alla mia amica, che si rivelava, di giorno in giorno, più spigliata ed ardita sia nel dare, sia nel ricevere piacere.
Che fossero i sodi seni della mia amica, le enormi tette della più anziana delle signore, il tondo culo della bruna, le coppe di Champagne della rossa, i membri degli altri maschi o qualsiasi altra parte dei corpi coinvolti, quando le mie dita sfioravano questo ben di dio, la temperatura saliva come su un altoforno ed il piacere si diffondeva dalle membra ai cervelli in un corto circuito sensoriale senza eguali. Le grida ed i sospiri si confondevano con lo sciabordio degli umori che colavano da ogni dove. Per fortuna l’appartamento confinava con locali vuoti ed era ben isolato, altrimenti potevamo aspettarci qualche denuncia per schiamazzi.
«Da quel giorno che mi hai vista sul divano, con le gambe aperte e quel fallo finto ben piantato dentro me,» mi blandì la zia «la mia vita è cambiata.»
«Non vorrai dire che è colpa mia?»
«Voglio dire che è merito tuo!»
«Non incensarmi troppo,» mi difesi «che poi succede che mi adagio sugli allori e non rendo più.»
«Ecco si,» si intromise la bruna «potremmo fare un letto di alloro per glorificare l’eroe che ci ha fatto riscoprire il piacere.»
«Si proprio come un cefalo,» risi «lesso su un letto di spezie, ma puzzo così tanto?»
«Ma no, era solo un esempio, una metafora.» si giustificò la bruna.
«Neanche con il mio povero marito…» tentò di riaprire lo scrigno dei ricordi la vedova.
«Lascia stare,» la fermò la rossa «carpe diem, cogli l’attimo.»
«Avete ragione,» riportai il discorso sui giusti binari io «diamoci dentro, che ogni lasciata è persa.»
Le cose parevano filare al meglio per tutti ma, si sa, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. La sera del Giovedì Santo, dopo la Missa in Cena Domini, ci eravamo dati appuntamento con il quartetto delle beghine al nostro segreto rifugio; io e il baffo le attendevamo già lancia in resta, pronti a far loro sperimentare una versione alternativa della lavanda dei piedi. Il nostro livello di empietà e blasfemia aveva raggiunto livelli inimmaginabili ed eravamo giunti ad escogitare addirittura di passare dalla passione di Cristo alla nostra passione carnale, cose da finire bruciati sul rogo.
Proprio mentre bruciavamo di piacere, divampò l’incendio.
Ora dobbiamo fare un passo indietro per capire il periodo storico: erano gli anni del terrorismo, dell’anonima sequestri, dei covi. Fu così che un solerte vicino, insospettito dallo strano giro di persone che frequentava in varie combinazioni ad orari impensabili, questo appartamento sempre con le tapparelle chiuse, chiamò le forze dell’ordine.
Eravamo un groviglio di corpi nudi ed eccitati, quando un enorme colpo, come un’esplosione ci fece saltare sul lettone, neanche il tempo di capire cosa stesse succedendo che ci trovammo circondati da un nugolo di poliziotti con giubbotti antiproiettile, passamontagna e mitra in mano.
Il Venerdì Santo i giornali titolavano a caratteri cubitali: COVO O CASA D’APPUNTAMENTI? Le forze dell’ordine, in un’operazione antiterrorismo scovano un appartamento del sesso.
E poi un florilegio di articoli ricchi di particolari, le foto di noi coperti alla bell’e meglio, con i visi travisati ma riconoscibilissimi, mentre venivamo caricati nei cellulari, unico dato positivo, ma non sufficiente a celare la nostra identità, non erano pubblicati i nomi per esteso ma solo le iniziali ed il paese di provenienza.
Avemmo un bel da fare per spiegare al magistrato di turno, che nel frattempo, grazie agli appostamenti, aveva rintracciato anche gli elementi mancanti, le nostre buone ragioni: che non eravamo ne terroristi, ne puttane e gigolò.
Comunque eravamo sputtanati: le beghine per il loro ruolo, io perché andavo con le vecchie, la barista e il fidanzato più o meno per le stesse ragioni, la mia amica per il rapporto di parentela con uno degli indagati.
Non fu riscontrato alcun reato e la vicenda giudiziaria si risolse abbastanza in fretta, restava da risolvere lo sputtanamento paesano, che era dilagato ormai a livello provinciale. Non avevamo più nulla da nascondere, così decidemmo di riunirci tutti noi e gli avvocati a casa della vedova, per decidere la strategia da adottare.
«Bisogna prendere il toro per le corna.» esordì la padrona di casa.
«Giusto,» confermò la rossa «non dobbiamo farci sopraffare da questa incresciosa situazione.»
«Potremmo girarla a nostro favore,» disse la barista «mettere su un business.»
I discorsi furono interrotti dallo squillo del campanello, erano gli avvocati. Lui un quarantenne moro e palestrato, lei una bionda, capelli lisci alta e con un seno a punta su cui caddero gli occhi di tutti i presenti.
Dopo i convenevoli di rito l’avvocato prese la parola: «La situazione, pare essersi risolta nel migliore dei modi, ma non per questo ci dobbiamo arrendere qui.»
«Cosa intende dire?» lo interruppi.
«Voglio dire che ci sono gli estremi per una querela.»
«In che senso?» lo interrogò la zia.
«E’ stata lesa la vostra dignità e la vostra privacy, mettendo in piazza e sulla stampa, le vostre foto e i vostri nomi, in un’improvvida e insensata operazione di polizia.»
«E dite che c’è la possibilità di portare a casa qualcosa?» chiese il baffo.
«Le nuove normative sulla stampa,» intervenne l’avvocata «pur considerandole io illiberali, ritengo ci diano spazio per recuperare una bella cifretta.»
La voce della bionda trasmetteva un brivido di sensualità, tutti pendevamo dalle sue labbra.
«Innanzitutto,» continuò «dobbiamo capire bene e approfonditamente come stanno le cose. Per tirarvi fuori dalle indagini è stato sufficiente stare sul vago, mentre ora, parlando di soldi, ci servono tutti i particolari, anche i più insignificanti.»
«E da dove cominciamo?» mi chiesi ad alta voce.
«Semplice,» rispose la mia amica «dalle tue mani.»
Bastò questo a dare la stura al fiume dei ricordi, dal primo tocco adolescenziale all’ultima orgia interrotta dall’intervento delle forze dell’ordine. Man mano che questo romanzo erotico e pornografico veniva spiattellato, con continue interruzioni dei vari protagonisti per aggiungere particolari, l’eccitazione nel consesso si fece sempre più palpabile e si notava che anche gli avvocati non erano indifferenti: i capezzoli della bionda sembravano voler bucare la camicetta e un grosso rigonfiamento si notava sulla patta del moro.
«E’ inutile che ci giriamo tanto intorno,» intervenne il barista «vale più la pratica che la grammatica.» E non esitò ad aprire la camicia ed a togliersi i pantaloni.
Fu come la freccia infuocata che, all’inizio della famosa partita a scacchi, innesca i fuochi d’artificio al castello di Marostica.
La partita era iniziata, le mie mani si posarono sulle tette a punta e, come d’incanto, caddero tutti i vestiti e i tabù. Gli avvocati, a buon diritto, bramavano sperimentare il potere delle mie mani ed io non mi feci certo pregare, mentre un groviglio di corpi ed un coro di sospiri occupavano ogni angolo dell’ampio salone.
I parenti, risolsero il problema collocandosi agli estremi opposti del locale, mentre tutti gli altri facevano la spola fra i vari assembramenti che si formavano.
Le mie attenzioni si concentrarono in particolar modo sui nuovi venuti: l’attrazione era reciproca. Devo dire che gli avvocati se la cavavano con i cavilli del codice, ma anche molto bene con il sesso; erano una coppia nella vita ma molto particolare. Fra una scopata, un pompino, una doppia e l’altra ci rivelarono di essere frequentatori abituali di locali per scambisti che, in quel periodo, stavano prendendo piede, promovendo una nuova filosofia di vita.
Per noi, pur viziosi, ma provinciali e ristretti nella nostra piccola cerchia, quindi non avvezzi a questa apertura a trecentosessanta gradi, fu una specie di illuminazione.
Quando sollevai le mani scatenando l’orgasmo collettivo, la decisione era presa! Se avessimo vinto la causa avremmo investito tutto nell’apertura di un locale libertino.
Le settimane e i mesi successivi li spendemmo nel girare per locali notturni, saune e giardini in Italia e mezza Europa, per farci un’idea su come investire al meglio i soldi che, da come parevano mettersi le cose, pare proprio sarebbero arrivati.
Nel frattempo in paese la situazione si rivelò meno tragica del previsto: ci avevano chiuso le porte della chiesa ma sottobanco era un continuo venire a cercarci da parte anche delle persone più insospettabili. Erano più affollati i nostri confessionali che quelli della chiesa e, sorpresa, come in una canzone di De André, persino il parroco che non disprezza…
La sentenza a nostro favore ci portò ad incassare una bella cifra e funse da volano pubblicitario per la nostra nuova impresa. Gli avvocati, ormai membri a tutti gli effetti del club, si occuparono di tutte le questioni burocratiche, la vedova mise a disposizione la sua enorme magione, il baffo e il barista con il loro senso pratico gestirono il cantiere, la zia, coadiuvata dalle sue amiche, nella sala sotto casa sua aprì un fornitissimo ed elegantissimo sexy shop, mentre la mia amica e la barista si prepararono a gestire il locale con spa, area bar e intrattenimento, giardino con piscina.
Ed io? Mi preparai frequentando svariati corsi per ogni tipo di massaggio, in modo di essere pronto a dare relax e piacere ai molti, auspicati, frequentatori del nostro locale.
Erano ormai passati due anni dalla Settimana Santa che ci fece balzare agli onori delle cronache, tutto era ormai pronto. La Quaresima era finita ed a Pasquetta, in un tripudio di glamour e di sesso, inaugurammo l’impresa che avrebbe cambiato per sempre l’opaca vita del nostro paesello di provincia, trasformandolo nella patria del sesso e della trasgressione.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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