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Giacomino - Capitolo 4, l'avvocato


di Caster83
11.01.2018    |    14.010    |    12 9.7
"Scambiammo chiacchiere di circostanza, mi chiese quando sarebbe iniziata la scuola e io chiesi come andassero le cose a casa mentre prendevo la caffettiera..."
Aprii gli occhi, mi svegliai sudato, la luce del sole di settembre entrava dalla finestra e mi colpiva in pieno, sentivo il calore sul mio corpo nudo e sul mio pene, che spavaldamente eretto svettava; istintivamente lo afferrai e cominciai a masturbarmi pensando agli avvenimenti dei giorni precedenti, a come venivo posseduto, ai corpi, i cazzi che mi entravano dentro, le immagini dei ricordi che sfumavano in sogno nel torpore del dormiveglia.
Venni bruscamente riportato alla realtà dal suono del citofono. Decisi di ignorarlo e di reimmergermi nelle mie fantasie, avrebbero aperto i miei genitori o mio fratello.
Il citofono suonò una seconda volta distraendomi e svegliandomi definitivamente.
-Maa! Paaa! Vitooo! Potete andare voi!? Chiesi urlando.
Nessuna risposta, guardai la sveglia, erano le dieci, i miei erano già a lavoro e mio fratello doveva già essere uscito. Mi alzai frastornato e in fretta mi infilai i pantaloncini di cotone correndo a rispondere.
-Chi è?
-Sono Enzo, c'è tuo padre?
-No, è già in ufficio.
-Senti devo lasciargli le delle carte ma non faccio in tempo a passare da lui in paese, devo andare in tribunale tra non molto, posso lasciarle a te?
Enzo era l'avvocato di papà ed era una delle tante persone di casa da noi. Amici dai tempi dell'università, era stato testimone di nozze dei miei e le nostre famiglie si frequentavano assiduamente; io e Vito eravamo praticamente cresciuti coi suoi figli come compagni di giochi.
Aprii il cancello ed entrò con la macchina nel vialetto. Arrivò alla porta e lo feci accomodare.
-Scusa, ti ho svegliato?
Evidentemente avevo ancora la faccia stravolta dal sonno e coi segni del cuscino.
-Si ma non ti preoccupare, devo farmi un caffè, lo vuoi?
Accettò; feci strada e ci dirigemmo verso la cucina. La molla di quel maledetto pantaloncino era completamente slabbrata, ogni quattro passi dovevo alzarmeli perchè mi scivolavamo lungo i fianchi e non essendoci sotto le mutande a frenarli, mi sarebbero scivolati alle caviglie.
Scambiammo chiacchiere di circostanza, mi chiese quando sarebbe iniziata la scuola e io chiesi come andassero le cose a casa mentre prendevo la caffettiera.
Si era fatto crescere la barba, era folta e rossiccia, stranamente più chiara dei capelli castani. Nonostante avesse la pancetta, celata sotto il gilet del completo a tre pezzi da ufficio, a 45 anni era un bell'uomo, un metro e ottanta e massiccio: era un assiduo vogatore ed uno dei pochi che effettivamente praticavano canottaggio al circolo che frequentava coi miei; si vedeva che i muscoli delle braccia gli tiravano la giacca, il completo probabilmente gli stava stretto e si stava aggiustando il pacco in continuazione. Indugiai per un attimo su quest'ultimo particolare e mi voltai per riempire la macchinetta.
-Ti dispiace se lo faccio un po' più lento? La mattina mi piace prenderlo lungo.
-Va bene, mi adatto, lo prenderemo come piace a te. Mi rispose con un sorriso di sbieco.
Il barattolo del caffè era vuoto. Aprii lo stipo di fronte a me e allungai il braccio per prenderne un pacco nuovo ma, appena fui teso in punta di piedi i calzoncini mi scivolarono ai piedi, lasciandomi completamente nudo. Nel tentativo vano di afferrare i pantaloncini feci cedere il pacco del caffè.
Enzo fece una risata e raccolse il caffè mentre io mi piegai imbarazzato per rivestirmi.
-Certo che stai crescendo proprio bene!
Ancora piegato alzai lo sguardo. Mi stava di fronte e si teneva il pacco, la mano che evidenziava il pene completamente eretto che in orizzontale gonfiava la stoffa dei pantaloni proprio all'altezza della mia faccia. Mi rialzai, ancora nudo, eccitato da quello che vedevo e col pisello oramai duro.
Mi passò il pollice sul capezzolo per poi accarezzarmi il petto e girare con la mano sulla spalla e scendendo lungo la schiena per arrivare a palparmi il sedere.
-Si, sei diventato decisamente un bell'ometto.
Mi spinse a se e mi mise la lingua in bocca, cominciando a baciarmi voracemente. Mi stringevo a lui mentre le sue mani esploravano il mio corpo, le sue dita scorrevano lungo il solco delle mie natiche e andavano a infilarsi curiose nel mio buchetto mentre lui si piegava per prendere a mordicchiarmi i capezzoli facendomi emettere urletti di piacere.
Si abbassò e me lo prese in bocca cominciando a succhiarmelo con furia, stavo per venire quando si staccò e si poggiò contro il bancone.
-No no, troppo presto, c'è ancora tanto da fare.
Si slacciò i pantaloni e se li calò con le mutande a mezza coscia, rivelando un grosso pene venoso e turgido dalla cappella violacea, che puntava verso l'alto. Se questa visione non fosse stata abbastanza a farmi eccitare, vederlo col completo da ufficio aperto e la sua carnalità svelata sotto quello strato elegante, con la punta del cazzo che toccava il primo bottone in basso del gilet, mi fece impazzire.
Mi inginocchiai e mi avventai con la bocca su quel palo di carne, affamato di cazzo e lavorandomelo con gusto mentre con una mano gli accarezzavo le palle e l'altra la facevo scorrere sotto i suoi vestiti, esplorando la pancia e i pettorali pelosi. Le sue mani affondate nei miei ricci mi accarezzavano la testa.
Mi staccò da se, lo guardai, un filo di bava univa il mio labbro inferiore alla sua cappella.
-Cavolo ti piace proprio ma ora basta, appoggiati contro il tavolo e apri le gambe.
Feci come aveva detto; si abbassò dietro di me e tenendomi saldamente aperte le chiappe con le mani, affondò la faccia nel mio sedere. Sentii il suo naso scorrermi nel solco e poi all'improvviso ebbi una scossa di piacere quando la sua lingua cominciò ad esplorare il mio buchetto, facendomi gemere. La sua barba mi pizzicava i testicoli ed ero in estasi, perso in questa nuova sensazione.
Si alzò, puntata la cappella sul buco, fece scivolare il suo pene dentro di me e, presomi per i fianchi, cominciò a sbattermi con colpi decisi e violenti che facevano spostare il tavolo.
Dopo qualche minuto si staccò, mi fece voltare e sedere sul tavolo, mi fece stendere e alzate le mie gambe, se le poggiò sulle spalle e prese a scoparmi in quella posizione, una mano che mi teneva saldamente per una spalla e l'altra che mi masturbava.
Ci guardavamo negli occhi, il suo volto stravolto da un godimento animalesco, il suo bacino che ondeggiava contro di me ed io completamente abbandonato in estasi. Non ci volle molto e raggiunsi l'orgasmo gemendo sguaiatamente e cominciando a schizzare fiotti di sperma che mi arrivarono sul mento e sul torace mentre il mio corpo era scosso da spasmi di piacere. Pochi altri colpi assestati con foga e anche lui venne rumorosamente riempiendomi.
Mi tirò su prendendomi per la nuca e ci scambiammo un lungo bacio.
Si pulì in fretta con i tovaglioli di carta del portatovaglioli e si ricompose. Non si accorse di avere un po' del mio sperma nella barba e sulla cravatta.
-Perdonami ma ora devo proprio scappare a lavoro, mi sa che il caffè me lo fai un'altra volta, la colazione che mi hai offerto è stata comunque bella sostanziosa! Mi hai fatto godere un sacco, sei meglio di quanto Giorgio aveva detto!
Prima che potessi rispondere qualcosa era già uscito; non aveva lasciato nessun foglio per mio padre.
Mi ridistesi sul tavolo, con le gambe penzoloni e rimasi un po' immobile così, stordito dal piacere, coperto del mio seme e con il suo che mi colava dal sedere.
La giornata era cominciata meglio di quanto sperassi.
---> continua
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