bdsm
Trasformazione totale: da dom a schiavo 11
di FeBOMo79
29.08.2024 |
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"Non era più il ragazzo impaurito che si nascondeva dietro agli altri..."
11Mentre restavo inginocchiato al centro della stanza, il silenzio era assordante. Il padrone si avvicinò lentamente, il rumore dei suoi passi che riecheggiava nell’aria densa di tensione. Ogni muscolo del mio corpo era teso, come se aspettassi un colpo che sapevo sarebbe arrivato, ma non sapevo quando o come.
Il padrone si fermò davanti a me, i suoi occhi penetranti che sembravano scavare dentro di me, leggendo ogni pensiero, ogni emozione. Ero un libro aperto per lui, un giocattolo nelle sue mani, e lo sapeva. Si chinò lentamente, il volto a pochi centimetri dal mio, il respiro caldo che sfiorava la mia pelle. “Alzati,” ordinò con un tono basso ma autoritario.
Con le gambe ancora tremanti, mi alzai, il corpo dolorante e la mente confusa. Sapevo che non era finita, che il padrone aveva in mente qualcosa di ancora più umiliante per me. Ero alla sua mercé, e l’unica cosa che potevo fare era obbedire.
Mi guidò verso uno specchio enorme che occupava quasi tutta la parete di fronte. Mi fermai a pochi passi da esso, costretto a guardarmi, a vedere la mia immagine riflessa. Il mio corpo nudo mostrava i segni della notte: i lividi, i graffi, il rossore delle frustate. Ma ciò che mi colpiva di più erano i miei occhi, privi della scintilla di un tempo, ora spenti e rassegnati.
Il padrone mi osservò attraverso il riflesso, un sorriso appena accennato sulle labbra. “Guarda ciò che sei diventato,” disse, la sua voce come un sussurro velenoso nelle mie orecchie. “Guarda come ti ho trasformato. Un tempo eri fiero, arrogante, credevi di essere al di sopra degli altri. Ora sei mio, completamente mio, e non c’è niente di te che non mi appartenga.”
Ogni parola era una pugnalata al cuore, ma non distolsi lo sguardo dal mio riflesso. Vedevo il dolore, la vergogna, ma anche una sorta di accettazione. Il padrone aveva ragione: non c’era più nulla di me che non fosse suo.
“E ora,” continuò, “sarai testimone del tuo stesso crollo. Quei ragazzi che un tempo erano in tuo potere, ora lo useranno contro di te. Sarai il loro giocattolo, il loro strumento di piacere, sotto la mia guida. E tu obbedirai, perché non hai altra scelta.”
Mentre il padrone parlava, i ragazzi si avvicinarono. C’era eccitazione nei loro occhi, solo eccitazione e desiderio sadico di vendetta. Il padrone si fece da parte, lasciando che fossero loro a prendere il controllo. Uno di loro, il più giovane, mi afferrò per i capelli, costringendomi a guardarlo negli occhi. “Ora vedrai cosa significa essere sottomesso,” disse, la sua voce carica di una crudeltà che non aveva mai mostrato prima.
Mi spinse giù, costringendomi a inginocchiarmi di nuovo. Non ci fu dolcezza, nessuna esitazione nei loro movimenti. Ogni tocco era brutale, ogni comando perentorio. Sentivo le loro mani su di me, esplorare ogni parte del mio corpo, usarmi come un oggetto, una marionetta nelle loro mani. Ero completamente alla loro mercé, e sapevo che il padrone osservava ogni momento, compiaciuto di ciò che aveva creato.
Mentre mi usavano, l’umiliazione si trasformava in un fuoco dentro di me, un misto di dolore, piacere e rassegnazione. Non c’era più resistenza, solo accettazione. Ogni sussurro di scherno, ogni risata che esplodeva alle mie spalle, mi faceva sprofondare sempre più nella mia nuova realtà.
Quando finalmente terminarono, mi lasciarono lì, inginocchiato e sfinito, il corpo segnato e l’anima distrutta. Il padrone si avvicinò di nuovo, guardandomi dall’alto. Mi prese per il mento, sollevandomi il viso per costringermi a guardarlo. “Questa è la tua vita ora,” disse, la sua voce piena di soddisfazione. “Ogni giorno sarà un promemoria del tuo fallimento, della tua caduta. E ogni giorno ti piegherai sempre di più al mio volere.”
Mi lasciò lì, con le parole che rimbombavano nella mia mente. La stanza si svuotò lentamente, lasciandomi solo con il mio riflesso nello specchio e la consapevolezza che non c’era più nulla di me che non fosse stato distrutto e ricostruito secondo i desideri del padrone.
Il padrone lasciò la stanza, ma il suo potere continuava a pesare su di me come un mantello invisibile. Ero lì, inginocchiato, nudo, e vulnerabile davanti ai ragazzi che un tempo avevo dominato. Il loro sguardo era carico di una nuova consapevolezza, una presa di potere che avevano appena scoperto e che stavano assaporando.
Uno di loro, il più giovane e il più timido tra quelli che avevo sottomesso in passato, si avvicinò a me. I suoi occhi erano incerti, ma anche curiosi. Non era più il ragazzo impaurito che si nascondeva dietro agli altri. Ora, aveva la possibilità di vendicarsi, di affermare il suo dominio su di me. Mi fissò per un lungo momento, poi allungò una mano tremante per sfiorarmi il viso, quasi con delicatezza.
Il suo tocco era esitante, ma in qualche modo, sentivo in esso un misto di compassione e desiderio di affermazione. I suoi occhi erano mischiati a una curiosità oscura. Era come se volesse comprendere cosa mi avesse portato a questo punto, cosa avesse distrutto l’uomo che un tempo lo aveva controllato con tanto rigore.
“Cosa si prova a essere qui, sotto di noi?” mi chiese, la sua voce flebile ma intrisa di una nuova sicurezza. Non risposi immediatamente, cercando di capire cosa desiderasse da me. Voleva vedermi umiliato? Sì, sicuramente. Ma c'era anche altro, qualcosa di più profondo.
“È difficile,” sussurrai, le parole che mi uscivano come un soffio. “Ma ora so qual è il mio posto.”
La sua mano si fermò sul mio viso, e nei suoi occhi vidi un barlume di comprensione. La stessa dinamica di potere che mi aveva reso padrone di lui ora si stava ribaltando, e lui stava scoprendo il piacere del controllo, del potere su di me. Il suo viso si avvicinò al mio, e sentii il suo respiro caldo sulla mia pelle. Per un attimo, il tempo sembrò fermarsi, e in quel breve istante, entrambi capimmo cosa stava realmente accadendo.
Ma la calma fu presto interrotta quando un altro ragazzo si fece avanti, più sicuro di sé e più deciso. Mi afferrò per i capelli e mi tirò indietro la testa, forzandomi a guardarlo. “Non parlargli come se fosse ancora qualcuno,” disse al più giovane, con un tono duro. “È solo un giocattolo adesso. Il padrone lo ha ridotto a questo, e noi dobbiamo solo usarlo come ci è stato ordinato.”
Le sue parole erano come lame affilate che penetravano in profondità, ma sapevo che non c'era nulla che potessi fare per evitarle. Il suo sguardo era freddo e distaccato, e sentivo che il mio ruolo era chiaro: essere usato, umiliato, e infine gettato via quando non servivo più.
Mi costrinse a sdraiarmi sul pavimento, il corpo schiacciato contro il freddo dei mattoni. Gli altri ragazzi si avvicinarono, formando un cerchio intorno a me, osservandomi con un misto di curiosità, eccitazione e crudeltà. In quel momento, capii che non c’era più via di ritorno. Ogni speranza di riscatto, di poter tornare a essere quello che ero, si era dissolta.
Il più deciso tra loro iniziò a impartire ordini agli altri, coordinando ogni movimento, ogni azione. Mi fecero piegare in posizioni umilianti, costringendomi a esibire il mio corpo in modi che non avevo mai immaginato. Ogni tocco, ogni ordine era un colpo al mio orgoglio, un passo verso l’annullamento totale.
Mentre il loro gioco crudele continuava, sentivo crescere dentro di me una sorta di strano distacco. La mia mente si staccava dal corpo, osservando tutto da lontano, come se non fosse veramente reale. Era l’unico modo per sopravvivere a quella tortura psicologica, a quella discesa nell’abisso dell’umiliazione.
Quando infine terminarono, lasciandomi lì, nudo e abbandonato sul pavimento, sentii una sensazione di vuoto assoluto. Mi avevano usato fino in fondo, e il padrone aveva ottenuto esattamente ciò che voleva: mi aveva distrutto davanti a coloro che un tempo avevo dominato, facendomi provare il gusto amaro della sottomissione totale.
Restai lì, senza la forza di muovermi, il corpo dolorante e la mente annebbiata. Il padrone tornò nella stanza, i suoi passi sicuri e decisi che riecheggiavano sul pavimento. Si fermò davanti a me, guardandomi con una soddisfazione glaciale.
“Hai imparato la tua lezione, finalmente,” disse con voce bassa e velenosa. “Ora sai che il tuo posto è qui, ai miei piedi, e che la tua vita non ti appartiene più. Sei mio, e lo sarai fino a quando deciderò di usarti. Ricordatelo sempre.”
Con quelle parole, il padrone si allontanò, lasciandomi lì, completamente devastato. Non c'era più nulla dentro di me se non un’eco lontana di ciò che ero stato. E in quel vuoto, capii che avevo trovato la mia nuova realtà: quella di essere niente, di essere solo uno strumento nelle mani di chi aveva il vero potere.
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