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Storia di F.


di BorisBelli
11.01.2024    |    2.195    |    6 9.5
"Li sfiorai, prima uno e poi l'altro, che strizzai forte per vederle dischiudere le labbra..."
La porta della sua casa, al secondo piano di un piccolo palazzetto di Bassano del Grappa, era accostata come le avevo ordinato. La aprii e la guardai. La prima cosa che notai fu un sorriso che non le avevo mai notato prima: era il sorriso radioso e innocente di una bambina che capisce che sta per succedere qualcosa di magico, come se fosse appena arrivato Babbo Natale. In realtà era finalmente arrivato il suo Boris, vestito di blu, ma lei non poteva ancora vedermi.
F. non mi aveva ancora mai visto. Per mesi si era lasciata dominare dalla mia voce e dalle mie parole ma non aveva mai visto il mio volto e aveva accettato questo modo estremo di conoscerci attraverso l'essenza di noi stessi che prevedeva l'assenza del senso della vista. Volevo che mi conoscesse intimamente senza farsi fuorviare dal mio aspetto o da altre distrazioni.
Talvolta sbottava: "Tu mi fotti la testa, Boris. Nessuno mai mi ha ancora fottuta come mi fotti tu! Mi basta sentire la tua voce per iniziare a bagnarmi". In effetti sapeva mettersi molto bene in gioco, aveva capito in che modo i suoi sogni potevano incontrarsi con i miei e soprattutto che poteva fidarsi dell'ignoto che le proponevo.
Non ho mai amato le cose banali. Da ragazzo ero affascinato da figure di autori dissoluti e sensuali come Henry Miller o Charles Bukowsky e adoravo la potenza del mettersi in gioco con l'anima prima che col corpo. Una forza assoluta capace di esaltare la umana potenza dell'erotismo più che la perfezione dei corpi o le differenze di età.
Ora mi trovavo a confronto con una donna molto bella, devota e che aveva la metà dei miei anni.
Era in piedi davanti al tavolo, al centro della stanza, come le avevo ordinato al telefono. Era bendata e indossava una gonna, una camicetta, autoreggenti e scarpe col tacco.
Notai subito che la gonna era troppo corta. L'eccesso di zelo era un suo piccolo vizio che a volte mi inteneriva, spesso mi infastidiva. Un ordine deve essere eseguito alla lettera, non interpretato a meno che non venga espressamente richiesto; non le avevo ordinato di indossare una minigonna ma una gonna normale.
Forse però questa era una disubbidienza calcolata, per darmi il pretesto di punirla.
Comunque F. era lì, avevo davanti a me il corpo che avevo imparato a conoscere a distanza nelle lunghe chat in cui lei era diventata quasi immediatamente la mia schiava e aveva imparato a eseguire i miei ordini e subire le mie punizioni. Conoscevo molto di quel corpo, la sua vulva rosata, il suo seno - "All'Accademia di belle Arti di Padova è esposto un calco del mio seno, sai?" Mi diceva con sorridente civetteria.
Conoscevo il suo culo, che avevo più volte profanato a distanza in mille modi, ordinandole anche di indossare plug sempre più grossi, per un tempo sempre più lungo. Il culo di cui mi aveva promesso l'esclusiva assoluta e che un giorno fu causa di sue lacrime accorate e disperatissime perchè la sera precedente non era riuscita a negarlo al suo fidanzato.
Quel culo ora era davanti a me, e tendeva prepotente la sua corta gonna nera. In attesa.
Dopo aver chiuso con uno scatto la porta di ingresso mi fermai ad osservarla. Mi piaceva quel momento, vedevo il suo respiro crescere e il sorriso diventare incerto, la sua testa reclinarsi verso il basso. Deglutì. Ho sempre amato empatizzare con le emozioni delle persone con cui ho a che fare, quindi sentii anche io un piccolo tuffo al cuore.
Sentivo il mio battito di cacciatore unirsi a quello della mia preda.
Iniziai ad avvicinarmi molto lentamente continuando a cogliere il suo respiro. A voce bassa, accanto alle sue orecchie, sussurrai "Eccola finalmente, la mia dolce piccola cagna".
Sorrise e sussultò un pochino quando le misi una mano sulla schiena. La inarcò lievemente, le annusai il collo. Aveva indosso un profumo personalizzato progettato per lei da un profumiere famoso che per una strana coincidenza avevo conosciuto personalmente l'estate precedente in Toscana, e le donava parecchio. La rendeva allo stesso tempo femmina, elegante, unica. Dolce.
Con l'altra mano le toccai il ventre e risalii lentamante verso il seno. Slacciai i bottoni della camicia, la aprii e attraverso il reggiseno indovinai i suoi capezzoli, già molto duri. Li sfiorai, prima uno e poi l'altro, che strizzai forte per vederle dischiudere le labbra. Gliele sfiorai con due dita e lei approfittò per baciarle e avvolgerle con la bocca intera. Con l'altra mano feci una leggera pressione sulla sua schiena e lei ubbidiente si piegò sul tavolo.
Si piegò docilmente, in modo solennemente rassegnato come se aspettasse da tutta la vita di fare quel gesto in quel momento.
Le alzai la gonna accarezzandole il culo e la appoggiai sulla schiena. Ora il suo spettacolare culo era in mio potere, contenuto poco dalle mutandine di raso nere. Iniziai a toccarlo, ne sentivo la consistenza soda e saggiavo i limiti degli elastici degli slip. Mi divertii a immaginare la sua vulva accarezzando il tessuto che la conteneva. "Sentiamo la fichetta della mia cagna personale" le sussurrai mentre facevo scorrere le mie dita per tutta la lunghezza delle sue labbra fino al punto in cui sentivo che si apriva il piccolo buco del suo culetto.
Il tessuto dei sui slip non faceva nulla per nascondere lo stato in cui si trovava F., anzi se possibile lo esaltava, così se in alcuni punti le dita scorrevano facilmente, in altri punti decisamente bagnati si bloccavano, come se fossero invitate a indugiare.
Le abbassai lentamente le mutandine fino alle ginocchia, scoprendo definitivamente il culo e la vulva. Tenendole le gonna sollevata le assestai un forte colpo con la mano. La pelle si fece dapprima bianca, poi ritornò del colore normale. Sentii la sua voce ansimare, il tono alto leggermente infantile della voce che avevo sentito tante volte per telefono e nei video che mi mandava.
"Non va bene così, cagnetta. Cosa fai quando il Padrone ti punisce?" "Ringrazio, Grazie padrone" la sentii dire sicura. "Bene, ma non basta" le sussurrai "Conta!" "Si Padrone, Uno! Grazie Padrone" si affrettò a dire.
Così continuai alternando colpi normali a colpi, a sorpresa, più forti. Ogni tanto mi piaceva frugarla per sentire lo stato della sua figa e lei puntualmente si muoveva andando incontro alle mie dita, cercando un affondo che non sempre le accordavo. O a volte accordavo al suo culo, facendola gridare.
Quando mi sembrò pronta, presi il frustino da equitazione e glielo feci leccare bene. Poi iniziai a frustarla. Ora il suo culo era sempre più rosso e la sua voce cambiava di tono diventando sempre più eccitata ed eccitante. "Tren-totto ... Gra.zie Padrone". Potevo modulare la sua voce con l'intensità dei miei colpi. A volte era un sussurro. Piu spesso un grido.
Il suo corpo si inarcava ad ogni colpo e io immaginavo lo stato della sua mente. Era nel sogno perfetto, sculacciata e frustata nella sua casa da uno sconosciuto che non aveva mai visto ma che conosceva ormai molto più a fondo di tante altre persone della sua vita. Un sogno perfetto e concreto. Arrivai a cinquanta. Le fotografai il culo, ormai quasi irriconoscibile, violaceo e bollente, col cellulare.
Decisi che era il momento di passare ad altro. In tutto questo il mio cazzo non era certo rimasto insensibile e comunque avevo voglia di consolarla. Iniziai ad accarezzarle la schiena, le slacciai il reggiseno e decisi di spogliarla completamente. Le baciai il collo e le spalle mentre stringevo i suoi seni. Le accarezzai il volto, le sollevai il mento e la baciai. La sua lingua frullava in cerca della mia e le sue labbra si impadronivano della mia bocca. Mi scostai dopo un lunghissimo momento.
La feci inginocchiare davanti a me, a dieci centimetri dalla mia patta. Era il momento che aspettava, forse, come aspettavo io di avere finalmente a che fare con il suo culo. Presi le sue mani e le portai sulla cinghia. Iniziò a sbottonarmi e quando intuì che il mio cazzo era esploso fuori dai pantaloni fece per avventarsi, ma io mi scostai, per aumentare la tensione.
Le misi due dita in bocca, gliela aprii e ci infilai il mio arnese. Lei spinse, cacciandoselo fino in gola e tenendocelo per lunghi momenti. Riemerse per respirare e iniziò a leccarlo delicatamente lungo l'asta.
Mi piaceva giocare con la sua impossibilità di vedere ciò che faceva e vedevo che questo la eccitava molto.
Le consentii di giocare ancora un po' con il mio cazzo, tenendola per i capelli e movendole la testa al mio ritmo, imponendole affondi sempre più lunghi, fermandomi di tanto in tanto ordinandole di succhiarlo e leccarlo; poi allontanai la sua faccia.
Andai verso la mia borsa e tirai fuori il collare che avevo comprato per lei. Era un collare sottile di pelle, discreto ma inequivocabile. Glielo misi e lo legai a una corda. Le ordinai di mettere la mani per terra e tenendo la corda con la mano sinistra le faci fare due giri del tavolo, fermandomi di tanto in tanto per saggiare i suoi progressi nella marcia bendata al guinzaglio. Quando vidi che i primi rudimenti erano stati assimilati, decisi di riportarla al tavolo e la feci nuovamente piegare riversa, con la faccia in giù.
Le legai i polsi al punto di giunzione del lato più corto del tavolo, le caviglie alla base delle gambe dal lato opposto e mi allontanai per osservarla. Di nuovo era totalmente offerta ai miei desideri, il volto verso di me non poteva vedermi ma era pronto ad accogliermi con la bocca, il seno schiacciato sul tavolo freddo, disponibile.
E il suo culo e la sua vulva rosa completamente indifesi, offerti alla mia vista e a ogni mio capriccio. Le avevo lasciato le calze autoreggenti e le scarpe col tacco, sapevo che ne era orgogliosa. Inoltre grazie ai tacchi la sua figa e il suo culo erano posizionati più in alto, esattamente all'altezza del mio cazzo.
Mi avvicinai dietro di lei, e cominciai a toccarle la figa. Accarezzai bene la sua superficie, guardai i filamenti chiari che rimanevano attaccati alle mie dita ogni volta che le allontanavo. Era fradicia. Sentivo il suo odore di femmina mischiarsi al profumo personalizzato del noto profumiere e per un momento mi sembrava che l'odore avesse una voce. E che questa voce cantasse.
Era alla mia totale mercè, giocavo con le dita accarezzando e penetrando le sue labbra rosate e glabre e contemporaneamente tentavo il buchetto del suo culo. La sentivo rilassarsi sempre più, abbandonarsi a quel gioco che poteva anche non finire mai.
Dopo essermelo incappucciato decisi di puntare il mio cazzo contro la sua fichetta. Spinsi dolcemente, ma sembrava volerlo ingoiare come lei prima aveva fatto con la sua bocca. Iniziai a spingere ritmicamente, la voce di F. seguiva il mio ritmo e aveva dei toni sempre più alti. Si mise a gridare "Fottimi Boris, fotti la tua zoccola" addolcendo la "z" alla buffa maniera veneta e le tappai la bocca, consentendole così solo di mugolare. Quando la sentii rilassarsi dopo essere di nuovo esplosa decisi che ora era venuto il momento di effettuare un nuovo cambio.
Estrassi il mio cazzo dalla sua fighetta e le dissi piano "Adesso il tuo Padrone ti incula per bene".
Il suo buchetto era lì, sembrava non aspettare altro. Mi guardava implorandomi, quasi. Iniziai a spingere il mio cazzo, con una pressione costante. Il suo culo era perfettamente sintonizzato sulla la mia spinta perche si apriva gradualmente, naturalmente, con una costanza inaspettata. Pensai al burro e alla facilità in cui un coltello lo penetra.
Alla fine il mio cazzo era circondato da elastica morbidezza e per un attimo pensai a un incastro perfetto.
"Hai proprio un bel cazzo ergonomico, Boris" mi disse più tardi F.
Entrai nel suo culo fino in fondo, mi sembrava di entrare in lei nel modo più completo, giusto e inevitabile che potesse essere possibile. La sentivo inerme e attiva, era già pronta per godere di me come io stavo facendo con lei, godeva di essere alla mia mercè e nello stesso tempo godeva del fatto che i suoi desideri e i miei coincidevano. Aveva voglia di essere sbattuta come una vera troia tanto quanto io avevo voglia di sbatterla. Come se fosse l'ultima scopata del mondo intero.
E la scopai così, selvaggiamente e dolcemente finche non venne il momento di esplodere. Tirai fuori il mio cazzo, tolsi il condom e lasciai che il mio seme profanasse le sue spalle candide e i suoi capelli. Dopodiché mi avvicinai alla sua faccia e le feci pulire la mia cappella con la lingua, cosa che fece con gioia.
Le accarezzai il volto, la baciai sentendo un nuovo tipo di sapore dalle sue labbra: era il sapore della sua bocca mescolato al sapore del mio seme.

In tutta questa storia avevo un piccolo dubbio che scostavo ogni volta che mi si ripresentava e che col passare del tempo però tendeva a ingrandirsi: prima o poi sarebbe arrivato il momento di rivelarmi a F.
Non potevo certo pretendere che sarebbe stata sempre bendata in mia presenza, e non sapevo cosa sarebbe successo nel momento in cui nel nostro mondo di fantasia si sarebbe affacciata con prepotenza la realtà.
In poche parole io sapevo tutto di lei e di fatto conoscevo ogni centimetro del suo corpo. Lei invece non aveva ancora nemmeno visto come era fatto il cazzo che la aveva appena posseduta in ogni modo possibile. E, se il non vedere la forma del mio cazzo poteva anche essere un dettaglio trascurabile, non era di certo trascurabile il non conoscere ancora il mio volto.
Dovevo prima o poi affrontare la sua reazione alla vista concreta di me come una persona reale, con un corpo e una faccia anche se questo comprendeva il rischio di distruggere completamente la magia che avevamo creato fino a quel momento.

Decisi che il momento era arrivato e, baciandola, le slacciai la benda. Mi guardò, un po' confusa e per un lungo, lunghissimo attimo, quasi sovrappensiero. Poi mi buttò le braccia al collo e mi baciò nuovamente, intensamente. Ricominciai a toccarla e in un attimo mi sentii di nuovo eccitato, quasi più di prima.
Mi rincappucciai, la girai sul tavolo questa volta con il volto verso di me e la penetrai nuovamente, con foga. Il mio cazzo era in lei, la prendevo con forza, toccandola, baciandola e riempiendola ovunque mentre le sue gambe si avvinghiavano impazzite attorno a me. Il dubbio era superato e questa volta venimmo insieme.

Quando finimmo parlammo a lungo di noi e delle nostre vite, toccando aspetti anche molto intimi. Mi disse che era molto sorpresa di trovarmi, nella realtà, più interessante di come mi immaginava nella sua fantasia. Di tanto in tanto si inginocchiava davanti a me e prendeva in bocca il mio cazzo, spompinandolo avidamente.

Andammo a cena in un piccolo, delizioso ristorante, dove insistette per pagare lei il conto. Mi sembrava una cosa molto inusuale, ma dopo averci pensato un attimo glielo lasciai fare. In fondo era una donna forte e dominante nella vita e ho sempre apprezzato e amato le donne forti e non passive.
Quella sera a letto dopo aver a lungo chiacchierato, riso e giocato, mi guardò seria: "La piccola schiava ha una richiesta per il suo Padrone: potrebbe essere nuovamente inculata?" E così senza tanti preamboli le alzai le gambe su di me e la inculai nuovamente con lenta decisione, mentre lei mi baciava appassionatamente. Ci addormentammo abbracciati.

Il distacco il giorno successivo fu piuttosto melanconico, il cielo era grigio e lei prima di lasciarmi partire volle portarmi in giro con la piccola macchina sportiva che guidava con estrema spericolatezza.

A fine mattinata ripartii per incontrare, a Verona, il direttore di una galleria con cui stavo organizzando una mostra. Per tutto il pomeriggio continuai a sentirmi addosso, con gioia, il profumo personalizzato di F. mischiato al suo odore di femmina e a pensare alla straordinaria sensazione del mio cazzo che si faceva strada nel suo culetto morbido come il burro.

Arrivò finalmente il momento dell'incontro col direttore. Parlammo di diversi dettagli, lui conosceva bene i miei lavori ma a un certo punto mi chiese di mostrargli un allestimento di un'altra mostra di cui gli avevo parlato.
Immediatamente tirai fuori il mio cellulare e aprii i-photo. Troppo tardi mi accorsi che non avevo eclissato la foto del culo in fiamme di F. che ora troneggiava in prima posizione, prepotente davanti a noi.
Superai con un sorriso il mio imbarazzo e passai oltre dicendogli che si trattava di un mio progetto sulla umana potenza dell'erotismo di cui gli avrei parlato, forse, più in là.
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