bdsm
Serva del mio Padrone - part 2 - Stefanie la salope
di StefanieSalope
12.04.2023 |
5.799 |
3
"Ma più ci pensavo e più mi eccitavo..."
Fin dai primi giorni, il Dott. Rodolfo si è dimostrato esattamente come il colloquio me lo aveva fatto immaginare. Era autoritario, sembrava sempre impartire ordini, ma allo stesso tempo era estremamente paziente e calmo quando mi spiegava cosa e come dovevo gestire il lavoro. Grazie ai suoi insegnamenti e al suo continuo sostegno, in poco tempo mi sentivo autonoma. Ogni giorno le pratiche mi sembravano più semplici e il tempo a mia disposizione era sempre di più. Il Dott. Rodolfo, che evidentemente se ne era accorto, cominciò a spiegarmi anche come gestire la parte un po’ più commerciale. Ogni giorno mi esaltavo sempre di più perché vedevo il Dott. Rodolfo soddisfatto di me. Era sempre autoritario, ma allo stesso tempo mi incitava, mi faceva i complimenti e mi dava soddisfazione, e ogni giorno ero sempre più dipendente dal suo fascino di maschio senza paura. Come promesso, dopo tre mesi, mi modificò il contratto assumendomi a tempo pieno con una base di 1500 € al mese, oltre agli straordinari e ai bonus per i contratti chiusi. Ricordo che quel giorno uscii dall’ufficio eccitatissima. Il Dott. Rodolfo era il primo uomo che mi trattava completamente con rispetto, pur nel suo essere autoritario e perentorio nel darmi disposizioni. Ma era anche estremamente sincero e protettivo. Ricordo che, pochi giorni dopo il cambio di contratto, un cliente chiamò inveendo contro di me per un errore che io non avevo commesso. Il Dott. Rodolfo, che era seduto al mio fianco in quel momento, aveva sentito tutto e, come una furia, prese in mano il telefono e, oltre a difendere il mio operato, intimò il cliente di non permettersi mai più di mancarmi di rispetto. Mentre lo ascoltavo sentivo vampe di calore impadronirsi di me, il mio uccello dimostrava la mia eccitazione, senza pudore. Stavo sudando e, per quanto non avessi un granché come arnese tra le gambe, la mia eccitazione era chiaramente visibile. Cercai di coprirmi con le mani ma ciò ebbe l’effetto di eccitarmi ancora di più. Sembrava dovesse scoppiarmi nelle mutande e sentivo che qualcosa stava uscendo. E se avessi eiaculato, come mi sarei giustificata? Gli avrei fatto schifo? Mi avrebbe licenziata? Ero in preda al panico ed all'eccitazione. Quando il Dottore chiuse la telefonata mi guardò alzandosi in piedi e, con il suo cipiglio, al cui confronto mio padre sembrava un bidello, mi disse che mai e poi mai dovevo lasciare che un cliente o un fornitore mi trattasse così. Quando ero al lavoro io rappresentavo lui e quindi di regolarmi e di togliermi la paura. Io lo ringraziai e gli promisi che l’avrei reso fiero di me. Lui mi rispose che lo era già.
Quelle parole mi mandarono al settimo cielo. Il dottore mi aveva difeso, mi aveva incitato e soprattutto era fiero di me. La mia eccitazione era ormai incontrollabile e corsi in bagno. Pensai alle parole di Ginevra e cominciai a masturbarmi, con furore, guardandomi allo specchio. Mi leccavo le labbra, mi toccavo i capezzoli, e poi mi succhiavo le dite, pensando fosse l’uccello del Dott. Rodolfo. Me le succhiavo e mi guardavo, vedendo una troia disposta a tutto per dare piacere. Quelle dita piene della mia saliva finirono nella mia rosellina e si muovevano provocandomi dolore che in un attimo si trasformò in piacere estremo. Il mio sperma schizzò incontrollato imbrattando lo specchio e il lavandino. Mi sentivo sempre più volgare e mi abbassai, per raccoglierlo tutto con la lingua. Lo leccavo e l’ingoiavo pensando, anzi sperando fosse quello del Dott. Rodolfo.
Finalmente mi calmai e mi ricomposi, riuscendo a terminare la giornata.
A casa raccontai tutto a Susanna che, mentre mi ascoltava, sorrideva compiaciuta. Mi disse che era il momento di capire che cosa ero veramente. Mi disse che dovevo accettare il fatto di essere una donna nel corpo di un uomo. Il mio primo pensiero fu di negare, ma mi rendevo conto che, in realtà, lo avevo sempre saputo, ma avevo nascosto anche a me stessa la realtà.
Mi disse che, per accettarmi fino in fondo, avrei dovuto cominciare, un passo alla volta, a liberare la donna che c’era in me. Mi obbligò ad indossare i suoi perizomi, soprattutto i più volgari. Poi mi fece aggiungere le calze autoreggenti ed infine mi faceva indossare una fascetta di cuoio che mi stringeva appena sotto i pettorali, stringendoli e, nel giro di poco tempo, portandoli continuamente, mi fecero spuntare un leggero rigonfiamento, simulando dei minuscoli seni.
Andavo a lavorare così e, ogni giorno, mi eccitavo senza ritegno ogni volta che il Dottore entrava in ufficio, facendomi trasalire. Temevo sempre che potesse capire cosa avevo sotto, e che notasse la mia eccitazione. Cominciai ad indossare sempre il plug, che cambiai con uno più consistente e, su suggerimento di Susanna, cominciai ad usare anche una gabbia per il mio uccello così, se mi eccitavo, non si sarebbe visto. In effetti funzionava, ma provocandomi dolore che si trasformava in ulteriore eccitazione.
Ogni giorno passavo sempre più tempo a guardarmi allo specchio con l’intimo femminile. Ammiravo il mio sederino che mi sembrava perfetto contornato da quei perizomi così succinti. Le calze, al solo contatto con la mia pelle mi eccitavano. Mi scoprivo stare in punta di piedi, simulando scarpe con il tacco. Sporgevo il culetto all’indietro, ammiccavo a me stessa, mi passavo la lingua sulle labbra, succhiavo il plug e poi me lo infilavo, ed ogni volta finivo per immaginarmi il Dottore che mi possedeva.
Un giorno, era un venerdì, avevo appuntamento dall’estetista con Susanna che mi aveva promesso che mi avrebbe portato a comprare delle scarpe con il tacco. Stavo per andare dal Dott. Rodolfo a chiedere di poter uscire mezz’oretta prima quando entrò in azienda una donna che mi ipnotizzò. Aveva circa l’età del dottore, poco più bassa di me ma grazie a delle meravigliose scarpe con dei tacchi altissimi, intonate con la camicia color turchese, mi sovrastava. Le sue forme erano perfette, il seno appariva dall’apertura della camicia, le gambe erano snelle, dritte, e quei jeans super aderenti le stavano perfettamente, senza mostrare un filo di grasso. Aveva dei capelli chiari, raccolti in una coda perfetta, ma soprattutto rimasi rapito dal suo volto meraviglioso. Gli occhi grandi e profondi, color del cielo, naso e zigomi perfetti, labbra carnose e dei denti bianchissimi che rendevano il suo sorriso abbagliante.
Quando entrò in ufficio, senza bussare, ero imbambolata. Riuscii solo ad alzarmi in piedi balbettando buongiorno. Lei mi salutò senza guardarmi e disse che non serviva annunciarmi ed entrò, sempre senza bussare, dentro l’ufficio del Dottore. Io fui subito presa dal panico e cercai di andarle dietro, ma sentii che si salutavano calorosamente e mi tranquillizzai. Non seppi resistere e mi misi ad origliare e spiare. Li ho visti abbracciarsi e baciarsi, ho visto lei mettere una mano impertinente tra le cosce del dottore e lui fare apprezzamenti volgari ed eccitati. Lei, mentre il dottore sedeva alla sua poltrona, si era seduta sulla scrivania a gambe spalancate, con i piedi sulla poltrona. Mi sentivo bruciare dalla vergogna perché stavo origliando, e dalla gelosia perché evidentemente quella donna poteva godere del Dott. Rodolfo, e dalla lussuria perché mi immaginavo preda di entrambi. Il mio uccello, stretto nella gabbia, mi provocava fitte terribili che aumentavano la mia eccitazione. Mi allontanai per qualche minuto, cercai di calmarmi il più possibile finché non trovai il coraggio di bussare. Prima di farlo provai a spiare ed a origliare. Mi sembrò di sentire il mio nome e raggelai. Istintivamente bussai attendendo risposta. Il dottore mi disse di entrare ed io, tutto d’un fiato, chiesi di poter andar via. Mi rispose di si, che avevo fatto abbastanza e di chiudere tutto perché sarebbero usciti dal retro, cosa che non era mai successa. La donna non si girò nemmeno ed io me ne andai. Il cuore mi stava scoppiando, perché dovevo chiudere tutto? Avrebbero fatto sesso? La mia curiosità e la mia eccitazione volevano che rimanessi a spiare, ma la mia ammirazione e devozione per il mio capo erano più grandi e corsi a casa dove mi masturbai con furia, infilandomi il fallo di gomma di Susanna fin quasi a gridare di dolore e ancora una volta ingoiai tutto il mio sperma ma, questa volta, oltre ad immaginare il Dottore, anche quella donna incredibilmente affascinante entrò nel mio sogno erotico.
La settimana seguente fu devastante. Il Capo era sempre gentilissimo, mi era fisicamente sempre vicino, mi sfiorava, mi sussurrava, mi incitava. Ogni volta che si avvicinava fremevo, stringevo il sedere per sentire il plug, ero costantemente eccitata e dovevo andare più volte al giorno in bagno dove, stando allo specchio, mi guardavo, con le mutandine da donna e le calze, e mi leccavo il plug, e lasciavo che il mio uccello soffrisse chiuso in quella gabbietta. Mi sembrava di offrire il mio dolore al mio capo.
La settimana seguente, invece, ero quasi sempre sola in ufficio tranne pochissime volte durante le quali il mio Capo era freddo, distaccato, e si rivolgeva a me solo per impartirmi ordini. Io non capivo cosa fosse cambiato. Aveva capito che non ero un uomo ma neppure una donna? La mia continua eccitazione mi aveva fatto commettere errori? Non capivo, ma cercai comunque di impegnarmi il più possibile per essere impeccabile. Il Venerdì arrivò un messaggio sul mio telefono personale. Era il Dottor Rodolfo che mi convocava per la mattina seguente, alle 10:00, per comunicazioni urgenti.
Io ero preoccupatissima perché mai mi aveva fatto andare al lavoro il sabato? Diceva che il riposo era fondamentale per rendere al meglio. Cos’era cambiato allora? Cosa avevo combinato? Dove avevo sbagliato? Forse aveva veramente scoperto la mia diversità? In qualche modo era venuto a conoscenza di quella sera a Bologna? La mia mente vagava disperata, senza capire, cercava una spiegazione, ma alla fine arrivavo sempre allo stesso epilogo: domani verrò licenziata.
La mattina arrivai verso le 9:30. C’era l’auto del dottore ed una 500 cabrio che avevo riconosciuto essere della donna che due settimane prima aveva fatto visita al Dottore. Forse era lei la causa del mio sicuro licenziamento? Era lei che aveva capito come ero? Ero sempre più smarrita tra le mie paure.
Alle 10:00 entrai in ufficio e il Dottore mi accolse con freddezza. Provai a chiedere se era successo qualcosa ma non mi degnò neppure di uno sguardo, dicendomi solo di entrare nel suo ufficio. Quella donna, meravigliosa e sensuale era li, seduta sulla poltrona del mio Capo, con i piedi incrociati sulla scrivania come fosse casa sua. Ma chi era? Perché il Dottore le concedeva tanta libertà? Sembrava un demone tentatore, elegantissima e maliziosa. Appena mi vide si alzò e non riuscii a non guardarle tra le gambe che aveva aperto volutamente, ne sono certa. Mi venne incontro, mi baciò sulle guance e mi disse qualcosa ma sentivo solo un ronzio. Forse stavo svenendo, non lo so, ma non capivo nulla di quello che succedeva attorno a me. Mi destai solo quando la voce del mio Capo, arrivando da lontano, mi diceva che dalla prossima settimana Stefania, così si chiamava quella donna a cui avrei voluto rubare tutta la femminilità, avrebbe lavorato con me, come mia subordinata, e che in più avrei ricevuto un aumento.
Non riuscivo a parlare, l’emozione mi travolse e cominciai a piangere. Confessai i miei timori e Stefania mi consolò, schernendo il dottore. Ricordo solo che mi disse di andare a casa a prepararmi che sarebbe passata a prendermi per andare a festeggiare.
Tornai in me solo quando uscii dall’ufficio. Rimasi immobile per un attimo, senza neppure il coraggio di respirare, cercando di capire se tutto era un sogno o realtà. Era tutto vero! Non solo non mi aveva licenziata, ma mi stava dando un promozione ed in più avrei avuto Stefania tutto il tempo con me così avrei potuto imparare da lei la femminilità. Passai dalla disperazione più nera alla gioia più grande e andai fuori saltellando come un bimba.
Circa alle 12:00 Stefania passò a prendermi davanti casa. Io ero super eccitata e ancora non sapevo che quello era solo l’inizio della mia trasformazione. I miei sogni più nascosti stavano per avverarsi e io neppure lo sapevo.
Mi portò in un ristorante elegantissimo sui colli, fuori città. Tutti la trattavano come una regina, ossequiosi e ammirati, e visto la sua bellezza e la sua eleganza, che le davano un aurea di inarrivabilità, non mi stupiva più di tanto. Mi raccontò molte cose su di se, ma soprattutto sul rapporto con il mio Capo. In pratica erano amanti da sempre e, secondo le sue parole, non poteva farne a meno perché mai nessuno era riuscito a darle il piacere e il godimento che il mio Capo le dava. Più parlava e più mi eccitavo. Le guardavo la bocca e la immaginavo sul membro del mio capo; le guardavo i seni nella scollatura della camicia ed immaginavo i baci che ricevevano dal Dottore; le guardavo le gambe e immaginavo il sapore che poteva avere il suo sesso.
Sentivo di dover andare in bagno e fu la stessa Stefania ad accompagnarmi. Quello era un bagno riservato a chi mangiava nella saletta privata. Quando entrammo lei chiuse la porta. Io rimasi sorpresa e la mia eccitazione era alle stelle. Avrei voluto implorarla di insegnarmi ad essere donna come lei. Volevo stendermi a baciarle i piedi e farle da zerbino. Volevo mi insegnasse come essere donna, ma non potevo, non dovevo dimenticare il lavoro, il mio adorato Dottore che mi stava regalando indipendenza e sicurezza.
Mi chiusi in uno dei due gabinetti, liberai il mio uccello dalla gabbietta per urinare e pulirlo con una salvietta e, il più rapidamente possibile, uscii. Lei era li, davanti allo specchio che si ripassava il rossetto. La gonna era alzata e potevo ammirare le sue autoreggenti nere, il reggicalze, il perizoma di pizzo rosso fuoco, il suo sedere rotondo e perfetto. Rimasi immobile, ammirata.
Lei mi chiese se mi piaceva guardarla. Sentivo le lacrime uscire e scendere sulle guance. Il mio uccello pulsava nella gabbia, sentivo il suo sguardo entrarmi nell’anima e le dissi che avrei dato tutto per essere come lei ed per eccitare gli uomini come riusciva a fare lei. Ero senza nessuna difesa, emotivamente a nudo, senza protezioni, senza maschere, eccitata, spaventata, ma convinta fosse la cosa giusta. Cominciò a toccarmi, a chiedermi se mi eccitavo pensando al Dottore; mi slacciò i pantaloni e abbassandoli vide che ero senza intimo. Non so come ma già sapeva che indossavo il plug. Lo tolse, mi dava della cagnetta in calore, della puttanella, e mi disse di leccare il plug come se fosse il cazzo del … Padrone. Si! Padrone! Era giusto, volevo che lui fosse il mio padrone, volevo essere sua, in ogni modo, in ogni caso, bastava che lui fosse contento di me, che fosse fiero. Volevo solo essere sua con la mente e con il corpo.
Stefania, che in quel momento chiamavo Signora, come in un delirio di sottomissione, cominciò a penetrare la mia rosellina, prima lentamente, poi sempre più forte, con sempre più dita. Credo sia arrivata a infilarmi tutta la mano. Quella penetrazione, quella situazione, e il mio viso stravolto dalla lussuria riflesso dallo specchio, mi procurarono un’eiaculazione, pur avendo la gabbia sul mio uccello. Non fu copiosa ma così intensa che sentivo la gambe cedere. Mi sentii spingere verso il basso e la mano della Signora portò il mio viso verso il suo sesso. Era umida e profumatissima. Cominciai a leccarla, a succhiarle il clitoride, a cercare di entrare con la lingua in quel frutto gustoso. Chiamandomi cagna ed offendendomi in modi che mi eccitavano sempre più mi disse di usare il mio plug perché ero incapace. Un brivido di delusione scosse il mio corpo. Possibile fossi così incapace? Perché non sapevo dare piacere a quella dea, a quella musa? Mi strappai con rabbia il plug, per punire la mia incapacità. Lo leccai e lo usai per fare ciò che lei mi ordinava, le entrai nella rosellina mentre leccavo le sue grandi labbra, il suo clitoride. La sentivo gemere finché non mi prese la testa spingendola con forza e un mare di umori inondarono il mio viso. Le avevo donato un orgasmo! Ero felice ed orgogliosa e quando mi ordinò di leccare i suoi umori come se fossero “la sborra del tuo padrone”, la mia lingua si mosse vorace, veloce e volgare lungo le sue cosce.
Mi ritrovai da sola davanti a quello specchio, con gli umori della Signora sul viso. Mi guardavo e vedevo una persona nuova che voleva esaudire i suoi sogni. Sentivo che quella donna era il mio Virgilio, la mia guida in quel turbinio di perdizione che, di li a poco, si sarebbe materializzato, liberando la donna che era in me.
Tornai al tavolo ancora sconvolta ma con una nuova consapevolezza. Nella saletta c’era il proprietario che, con la scusa di spostare la sedia, mi strizzò il sedere con vorace veemenza. Cercai l’approvazione della Signora e lo lasciai fare. I suoi commenti volgari, i suoi apprezzamenti fuori luogo, mi eccitarono.
Ero nuovamente nuda e, come un angelo tentatore, la Signora cominciò a chiedere tutto su di me. Io dissi ogni cosa e le raccontai di aver avuto esperienze gay, di convivere con una prostituta, di essere attratta dal mio padrone e che avrei fatto qualunque cosa per essere sua.
Mi fece promettere che avrei eseguito tutti i suoi ordini e, solo così, avrebbe potuto esaudire il mio desiderio.
Quello che poi capii essere un addestramento a tutti gli effetti, per rendermi una docile cagnetta sottomessa e a totale disposizione del mio padrone, cominciò immediatamente.
Mi fece tornare al bagno, dandomi ordini con l’auricolare. Non capivo come ma sembrava mi vedesse. Quando entrai trovai il proprietario seminudo e con il membro in mano. La signora mi ordinò di togliere la camicia e di inginocchiarmi. Ebbi un attimo di esitazione mentre quell’uomo grasso e viscido mi toccava, violava la mia bocca con la lingua, toccava la mia intimità. Io subivo in silenzio, come mi aveva ordinato la Signora. Riuscii a togliere la camicia e ad inginocchiarmi. Mi ordinò di non toccarlo con le mani e di tirare fuori la lingua mentre quel vecchio poteva fare ciò che voleva. Mi ritrovai il suo membro, grosso, peloso e dalla strana forma in gola. Spingeva, si muoveva sempre di più e diventava sempre grosso. Mi prendeva la testa e muoveva il bacino come se fosse dentro una vagina. Ma era la mia bocca e, quel sentirmi usata, senza opposizione, mi eccitava e mi faceva sentire in pace.
Dopo poco mi sentii strattonare dai capelli. Il proprietario credo volesse schizzare sul mio volto o in bocca, ma io avevo ordine di farlo godere sul lavandino. Lo girai e lo masturbai finché alcuni schizzi poco vigorosi e giallognoli uscirono. La Signora ordinò che il proprietario se ne andasse. Sentirgli dire, mentre usciva, che avevo un futuro da bocchinara mi fece sentire bene, finché il timore di essere scoperta dal Dottore mi terrorizzò. La Signora mi spiegò che lei stessa avrebbe detto tutto al mio padrone, e che lui ne sarebbe stato orgoglioso. Decisi di non pensare, di ascoltare ed eseguire. Non avevo scelta, e non ne volevo altre.
Tornammo in città e mi portò da un’estetista che non conoscevo. Anche lei era una bellissima donna e capii facilmente che tra lei e la Signora il rapporto era molto al di la dell'amicizia, visto il bacio appassionato e le palpate che si scambiarono. Sentii dire alla Signora che da quel momento in poi sarei andata ogni giorno e mi avrebbero fatto diventare la pelle liscia e morbida ma, soprattutto mi avrebbero insegnato come truccarmi. Ero su una nuvola di eccitazione e felicità; temevo di sognare ed invece era tutto vero.
Mi tolsero ogni singolo pelo che imbrattava il mio corpo, mi sistemarono mani e piedi e la pelle del viso. Fu doloroso e faticoso, ma nulla mi disturbava perché quel dolore, quello sforzo, era necessario e per questo eccitante.
Era quasi sera quando uscimmo dal salone della Signora Eleonora. In auto, mentre andavamo verso il centro, confidai alla Signora che mi piaceva sentire la mia pelle così liscia. Mi eccitavo a toccarla e, senza rendermene conto, cominciai per la prima volta a pensarmi e a parlare di me al femminile. La signora mi chiamava Vittoria, ma a me non piaceva. Mi volevo liberare di tutto il mio passato e, con non poca difficoltà, trovai il coraggio di chiedere alla Signora di avere un nuovo nome, che mi piaceva il suo, Stefania, ma che non osavo tanto. Lei, dimostrandomi benevolenza e grande intelligenza mi disse: Stefanie La Salope, questo sarà il tuo nome.
Solo alla sera, una volta a casa, scoprii che Salope significava sgualdrina, puttana! Stefanie la Puttana! Continuavo a ripeterlo, e più lo facevo e più lo sentivo mio. Si, volevo essere la sgualdrina del mio padrone. Volevo che il Dottor Rodolfo mi usasse come una puttana, quando e come voleva, ed ero disposta a tutto.
Quando arrivammo in centro, in un negozio di intimo, mi fecero entrare in un stanza nel retro bottega. Era un’esposizione di articoli di intimo veramente sensuali, a tratti volgari, ma eccitanti.
La Signora, con l’aiuto della commessa e di una trans di nome Lucilla mi fecero provare di tutto, e di tutto mi fu dato da portare a casa. Ma la parte più importante fu quando Lucilla, che era incredibilmente bella e femminile, e per questo la invidiavo, con un membro enorme come mai avevo visto prima, divenne padrona di me come ordinato dalla mia signora. Mi fece inginocchiare, cominciò a colpirmi le guance con quella proboscide lunga e dura finché non mi ordinò di aprire la bocca e tirare fuori la lingua, perché la Signora voleva che fossi pronta a prendere il sesso del mio padrone. Io erro eccitata e pronta a tutto. Sentivo quell'enorme pezzo di carme entrare tra le mie labbra. Era troppo grande, non ci riuscivo finché Lucilla mi strinse il naso. Non potevo più respirare e istintivamente aprii ancora di più la bocca permettendo a Lucilla di entrare più in profondità. I conati producevano saliva che colava sul mio mento. Un piccolo spostamento della testa rese la mia bocca e la mia gola un tutt’uno. Quell’incredibile cazzo entrava e usciva, mi sentivo la gola bruciare, la mandibola esplodere, ma era per il mio sogno, era per il mio padrone e non volevo fermarmi.
Sentirmi usata in quel modo mi eccitava, mi esaltava, mi faceva sentire giusta per la prima volta. Mi sforzavo di ingoiare tutto quell’enorme membro, volevo dare piacere, volevo imparare ed essere perfetta per il mio Dottore. Sentivo Lucilla dire che ero brava, che il mio padrone sarebbe stato soddisfatto e mi impegnai ancora di più.
Quando quel cazzo gigantesco uscì dalla mia bocca per sborrare mi sentivo sfondata ma felice. Mi girai verso la Signora che era sul divanetto, con le sue gambe perfette spalancate e la sua vagina rosa ed invitante davanti a me. Mi ordinò di darle piacere e io, cercando di essere il più femminile possibile mi avvicinai e tornai a gustarla. Non avevo mai provato quelle sensazioni mentre leccavo una vagina. Da ragazza mi impegnavo per dare loro piacere, per farmi vedere uomo, mentre adesso mi sentivo una donna che dava piacere ad un’altra donna e la lussuria stava diventando l’aria che mi serviva per respirare.
Sentivo Lucilla chiedere di potermi penetrare e un brivido percorse il mio corpo. Con quell’asta mi avrebbe sfondata, ma la Signora disse che la mia rosellina era riservata al mio Padrone. Sentii comunque entrare un dito nel mio culetto e il piacere aumentare. Lucilla mi ordinò di masturbare in ogni dove la mia Signora ed io ubbidii, prima con un dito, poi due, sia nella vagina che nella rosellina. Quando l’ho sentita godere di nuovo ero felice e soddisfatta. Per la seconda volta avevo avuto un orgasmo senza toccarmi e, per la prima volta, mi sentivo veramente donna e puttana.
Mentre andavo nel bagno per prendere degli stracci con cui pulire il pavimento, ho sentito Lucilla, che era anche lei una prostituta trans come Ginevra, ma decisamente più bella e femminile, dire alla Signora che potevo essere una miniera d’oro. Quindi mi riteneva all’altezza per fare la prostituta? Ma io non volevo. Ma più ci pensavo e più mi eccitavo. Essere pagata per dare piacere? Se il dottore me lo avesse chiesto? Non avrei esitato anzi, ne sarei stata orgogliosa.
Quando uscimmo da quel luogo, intriso di lussuria e perdizione, era buio. Io ero stanchissima ed emotivamente provata per la incredibile quantità di emozioni provate fino a quel momento. Finalmente stavo capendo chi ero. Ero una donna, mi sentivo donna e volevo essere una donna che, sottomessa al suo uomo, al suo padrone, gli regalasse piacere, devozione ed obbedienza. In un pomeriggio quella donna meravigliosa aveva liberato il mio vero IO da tutte le paure, i tabù, le insicurezze sotto cui ero sepolta.
Mentre mi accompagnava mi spiegò che non dovevo per nessuna ragione al mondo masturbarmi e godere. Solo lei poteva darmi il permesso. Voleva che fossi pronta per il giorno in cui il Dottore mi avrebbe vista come Stefanie la Salope. Mi spiegò anche che, fino ad allora, non potevo ingoiare sperma diverso da quello del Dottor Rodolfo perché era la massima dimostrazione di sottomissione e di possesso.
Io fantasticavo sul momento in cui il Dottore mi avrebbe dato il suo nettare, in cui mi avrebbe accettata come sua sottomessa, come sua proprietà, come sua schiava. Mi resi conto che, dopotutto, lo ero già, praticamente dal giorno in cui mi aveva assunta. Volevo essere sua ed avrei fatto qualunque cosa.
Una volta a casa, anche se distrutta fisicamente, avevo un compito da svolgere, e non volevo deludere la Signora. Il giorno dopo sarei dovuta andare a casa sua per incontrare un parrucchiere che, fin’ora, avevo solo sentito nominare. Era Rolando, probabilmente il più famoso, esclusivo, e costoso della città, e lui sarebbe andato dalla Signora appositamente per me. La mia ammirazione e devozione continuava a salire e per la prima volta mi sentivo fortunata. Avevo un lavoro ben pagato che mi piaceva e sapevo fare bene, un datore di lavoro per cui mi sarei buttata nel fuoco, una Signora che stava tirando fuori la donna che era in me e che, soprattutto, stava esaudendo il mio sogno più grande: diventare con tutto il mio corpo e tutta la mia mente del mio adorato Dottore, del mio capo, del mio Padrone.
Presi le scarpe che la Signora mi aveva comprato. Erano nere, chiuse in punta e con un tacco di 15 centimetri, finissimo, a spillo e di metallo color argento. Solo a guardarle mi venivano le vertigini ma la Signora mi aveva ordinato di esercitarmi. Mi aveva detto che dovevo portarle continuamente mentre ero in casa, per fare tutto. Dovevo arrivare a saperle usare come un paio di ciabatte.
Appena indossate stavo per cadere. Non so quante volte ho rischiato di slogarmi una caviglia, ma dovevo imparare. Inoltre, ogni volta che mi guardavo allo specchio, mi eccitavo. Il mio sederino, su quei trampoli, stava all’indietro, era eccitante e sensuale. Volevo vedermi con tutto ciò che mi era stato preso. Il corsetto mi toglieva il fiato, ma rendeva la mia figura perfettamente femminile. Con le calze, il reggicalze, il perizoma e quelle magnifiche scarpe, mi guardavo e non mi riconoscevo. Vedevo una donna alta, con un bellissimo culetto, della gambe affusolate e la vita stretta. Mi sentivo femmina, mi sentivo una puttana. Chissà Alberto, vedendomi così, cosa direbbe? Mi immaginai sul bordo di una strada, in attesa di qualcuno che volesse pagarmi per i miei servigi. Ero eccitata, mi sentivo volgare, mi sentivo troia.
Aggiunsi il plug e cominciai a girare per casa con quei tacchi. Ad ogni passo ero sempre più sicura e, ogni tanto, provavo a sculettare come una sgualdrina. Domani la Signora sarà fiera di me, mi ripetevo, finché non mi addormentai, con ancora le scarpe ed il resto addosso.
La mattina andai a casa della Signora. Era una villa talmente bella ed elegante che, quando entrai, rimasi tramortita e quasi non sentii le parole del ragazzo che mi aprì la porta. Era mulatto, con accento caraibico ed un fisico scolpito, oltre ad un bel sorriso ed un viso molto simpatico.
Finalmente arrivò la Signora, con una vestaglietta in seta ed un paio di zoccoletti rossi. Anche così era meravigliosamente femminile ed elegante. Mi ordinò subito di togliere la tuta sotto cui avevo lasciato tutto l’intimo da donna. Mi fece mettere le scarpe e camminare verso di lei. Sentirmi dire che ero stata brava mi riempì di orgoglio e, quando mi disse di prendere il mio premio, fui felice di poterle dare piacere con la mia bocca.
Dopo troppo poco tempo, perché avrei voluto sentirla godere, mi portarono in una stanza della villa attrezzata quasi come un salone da parrucchiera. C’era la poltrona girevole, un enorme specchio, ed anche un poltrona per il lavaggio.
Sentivo la Signora discutere con il Sig. Rolando di cosa farmi ed io non osavo parlare. Tutte le decisioni prese dalla signora per me erano giuste. Rodrigo, il ragazzo che mia aveva aperto la porta, era l’aiutante di Rolando e cominciò a lavarmi i capelli lasciandomi in piedi, sui tacchi, piegata a novanta con la testa nel lavandino, invece di sedermi sulla poltrona. Ci misi poco a capire perché e la cosa mi eccitò tantissimo. Mi stava guardando, voleva possedermi. Per la prima volta un uomo mi guardava come una donna, con la voglia di farmi sua.
Sentii la Signora dire che dovevano prepararmi e ci misi un po' a capire cosa stava per succedere. Rolando mi appoggiò una mano sul sederino e poi, con delicatezza, mi sfiorò tra le gambe, giocando con le mie pallette, dure e piene per l’eccitazione.
Mi chiese se mi rendevo conto di quanto fossi fortunata e avrei voluto gridare la mia gioia e la mia gratitudine, ma mi limitai ad annuire. Da quel momento fu un crescendo di penetrazione. Prima sentii un dito poi subito due poi … non so quanti; percepivo la mia rosellina dilatarsi finché Rodrigo non mi sussurrò all’orecchio di spingere con il culetto, così sarebbe stato meno doloroso. Non sapevo con cosa, ma capii che stavo per essere penetrata. Qualcosa di umido venne appoggiato alla mia rosellina. Io spingevo con l’ano e mi allargavo le chiappette il più possibile. Quel fallo di gomma cominciò ad entrare e all’inizio il dolore fu devastante. Mi sembrava di essermi spaccata, morsi l’asciugamano che mi avvolgeva la testa per non gridare. Quel dolore, però, mi eccitava, mi dava piacere; sentivo le mie viscere accogliere quel coso enorme e il dolore mi dava sempre più godimento, lo volevo sempre più dentro di me e sentire le voci di chi mi guardava darmi della cagnetta in calore, della lurida cagna, della sgualdrina, mi regalavano immensa soddisfazione.
Il massimo del piacere lo provai quando la Signora mi disse di andare da lei. Cercai di alzarmi ma la testa mi girava. Mi inginocchiai e andai a quattro zampe, proprio come una cagna ubbidiente, verso la mia Signora. Percepivo ancora quel membro di gomma enorme nel mio sederino, e mi sentivo veramente una puttana. Cominciai a masturbare la signora, a leccarla in ogni punto del suo sesso. Presi le sue gambe e le sollevai per poter leccare la sua rosellina profumatissima; la penetravo e la leccavo e mentre facevo questo Rodrigo mi sodomizzava senza pietà con quel membro di gomma. Anche la mia Signora stava godendo e quando inarcò la schiena, inondandomi la bocca e il viso del suo nettare dolce, mi sentivo soddisfatta e mi lasciai andare ad un orgasmo dirompente. Capii subito di aver sbagliato, non avevo ricevuto il permesso ed ero pronta a ricevere la mia punizione.
La Signora, dopo aver sputato nella mia rosellina che in quel momento doveva essere aperta e dilatata, mi ha nuovamente penetrata, ma con forza, quasi rabbia. Non riuscii a non urlare, ma allo stesso tempo provavo piacere. Mi prese per i capelli e mentre inveiva per la mia disubbidienza, mi sputò in bocca. Io avevo le lacrime ma di piacere, gioia e dolore contemporaneamente. Ero completamente preda della lussuria. Improvvisamente sentii un sferzata sul mio sederino. In un attimo sono tornata a quel giorno in cui mio padre mi vergò con la sua cintura. La mia eccitazione cresceva sempre di più, e quei colpi, quelle scudisciate che si abbattevano violente sul mio corpo, alimentavano quella sensazione di piacere nel dolore.
Quando mi chiesero se ne volevo ancora, avrei voluto dire di si, che mio padre me le dava più forte, che stavo godendo, ma mi limitai a dire che avrei accettato tutte le decisioni della mia Signora.
Da quel momento la mia memoria è un po’ offuscata, probabilmente il piacere di quell’umiliazione, di quel dolore e di quella sottomissione, mi portarono lontano con la mente.
Ricordo di essere tornata completamente in me quando sentii dire alla Signora che Rolando e Rodrigo si meritavano un premio e, quel premio ero io, il mio corpo. Disse anche che avevo il permesso di godere. Ero incredula e felice.
Mi ritrovai coricata a pancia in su con il membro di Rodrigo che mi riempiva la bocca con furia. All’inizio mi sembrava di soffocare ma pensando a come mi aveva usata Lucilla, trovai la giusta posizione per permettere a quel sesso scuro e duro come il marmo di entrare fino in gola. Le mie caviglie erano strette tra le mani i Rodrigo e il mio sesso e la mia rosellina erano completamente esposti. Rolando mi stava nuovamente penetrando con quel fallo di gomma enorme e nero ed allo stesso tempo mi faceva un pompino. Avrei voluto vedermi mentre ero bloccata in quella morsa di sesso selvaggio e lussurioso.
Improvvisamente sia Rolando che Rodrigo si allontanarono da me e Rolando cominciò ad ingoiare tutto quel gran pene con una semplicità che invidiavo. Lo aveva preso per i fianchi e lo muoveva dentro la sua bocca, come per farsi scopare. In poco tempo Rodrigo eiaculò urlando ma Rolando non lasciò uscire neppure una goccia.
In pochi attimi mi ritrovai da sola, coricata con quel coso dentro di me. Rolando e Rodrigo se ne andarono praticamente subito, senza degnarmi di uno sguardo. Il mio uccello era ancora duro quando la signora si è avvicinata ed ha ricominciato a penetrarmi con il dildo e mi ha dato il permesso di masturbarmi.
La mia mano si muoveva veloce mentre avevo il ventre pieno di quel pene gigante e le mani della Signora che mi stringevano le palline. Ero in estasi, pensavo al Dottore, a quando avrei potuto donargli piacere con il mio corpo, a che sapore avrebbe avuto il suo sperma. Godevo come una cagna e finalmente potei raggiungere l’orgasmo, urlando, ululando il mio piacere. Gli schizzi mi inondarono e li raccolsi per ingoiarli. Mi sentivo veramente donna. In quel momento era nata definitivamente Stefanie la Salope e Vittorio era una maschera da portare per il resto del mondo. Ero serena. Sapevo che dovevo aspettare che il mio padrone mi scegliesse come sua schiava e io lo avrei servito in ogni modo, senza pensare e senza preoccuparmi. Volevo e dovevo essere sua.
Per tutta la settimana seguente di giorno lavoravo come una matta anzi, come una schiava. La Signora, che in ufficio mi permetteva di darle del TU e di chiamarla Stefy, era incredibilmente brava, come se lo avesse sempre fatto. Ogni giorno, finito in ufficio, andavo dalla signora Eleonora che con me era sempre gentile. Mi insegnò lei in persona l’arte del trucco e, quando l’ultimo giorno mi mostrò di essere nuda sotto al camice dicendomi che anche lei si meritava un premio, io mi dedicai a lei, con la mia bocca, con le mie mani e anche con il mio uccello. Adesso che mi sentivo donna completamente, riuscivo a godere nell’usarlo per dare piacere. Avevo già provato con Susanna a cui, per la prima volta, non avevo raccontato tutto, ma solo che la Signora mi stava insegnando ad essere donna, e lo feci anche con la Signora Eleonora. Provai con entrambe vero piacere anche se non raggiunsi l’orgasmo perché non ne avevo il permesso.
Il venerdì sera, era tardi, la Signora mi mandò un messaggio su Telegram. Mi indicò cosa indossare, compreso uno dei vari vestiti che mi aveva donato, e mi ordinò di uscire di casa, l’indomani mattina, già da donna. Precisamente mi scrisse: Esci come sei, da donna, da sgualdrina, da Stefanie la Salope, non nasconderti dietro Vittorio e alle 9:30 devi essere fuori da casa mia finché non arriverò per farti entrare.
Quell’ordine, quelle parole, mi diedero un pace totale, completa, con me stessa e con il mondo. Ero pronta per il mio padrone.
Disclaimer! Tutti i diritti riservati all'autore del racconto - Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell'autore.
Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.