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L'inquilina del piano di sopra


di Drakar
27.05.2021    |    14.261    |    8 9.5
"” Quel sabato fu il primo di una lunga serie di sabati..."
Potrebbe essere un racconto di pura fantasia oppure no. decidete voi.

Risiedo da solo al 7° piano di un palazzo di 8 piani.
Uno dei vantaggi di risiedere al penultimo piano è quello di sapere a priori che se trovi qualcosa sul balcone o sui fili dove si stende il bucato sai già da dove provengono e chi sono gli autori.

Nel mio caso gli autori son una coppia con lui sui 70 anni e lei di una decina d’anni più giovane. Una donna che in gioventù doveva essere stata bella e avvenente a giudicare da come il tempo era stato generoso lei lasciandole, anche se arrotondate, le forme tipiche della femminilità.

Sovente ci si incrocia e non di rado si prende l’ascensore insieme. Con entrambi non mancano i saluti cordiali di buon vicinato e/o lo scambio di qualche battuta di circostanza, ma a lei riserbo, quando è possibile, uno sguardo particolare, una sorta di messaggio di interesse.

Lei le prime volte sembrava ignorarlo, successivamente mi diede l’idea di un turbamento e ultimamente, forse perché ormai abituata, recepivo i suoi quasi come un ricambio.

Decisi che non era il caso di andare oltre vista la situazione nel suo insieme, ma non avevo tenuto in considerazione il fatto che la vita ci riserva circostanze o occasioni che nemmeno immaginiamo.

Involontariamente avevo notato che lui il sabato mattina alle 9,00, sempre puntualissimo, usciva dal cortile con la sua bici per poi fare rientro verso le 12,00 e lei si dedicava alle faccende di casa tra cui stendere i panni. Nel fare questo diverse volte era successo che qualcosa cadesse giù e si fermasse sui fili stendibiancheria del mia balcone. Quando ciò accadeva verso le 10,00 sentivo suonare alla porta: era lei che scusandosi veniva a ritirarsi il capo caduto. Io, lo avevo già raccolto e senza farla nemmeno accomodare in casa glielo consegnavo.

Un sabato mattina rovinò sui fili un capo intimo, degli slip da donna. A quel punto decisi di giocare le mie carte.

Prima di proseguire faccio una doverosa presentazione.
Sono tutt’altro che giovane anzi, per la verità, sono un giovane di altri tempi, e sono un appassionato praticante del BDSM. Adoro dominare, sottomettere ma principalmente mi attrae la conquista, ossia portare l’altra persona a fare ciò che desidero io facendo in modo che sia lei a desiderarlo.
Pertanto, il giocare le mie carte sta a significare che avrei provato a coinvolgere Carla ( nome di fantasia della signora ) in un gioco di perversa dominazione / sottomissione. Un d/s per chi è addentro alla materia.

Quando alle 10,00 lei bussò io avevo già preparato il tutto.

Andai ad aprire la porta e lei scusandosi come sempre mi fece capire che era venuta a riprendersi il suo capo.

Io >>> Salve, venga pure dentro. Adesso lo prendo. Nel frattempo si accomodi, ho appena messo su un caffè, le posso offrire una tazza?

Lei >>> No grazie, non si disturbi devo finire dei lavori.

Io >>> ( Incurante della sua obiezione ) si accomodi intanto, la macchinetta ha quasi finito e non voglio lasciare che sgorga fuori il caffè e nemmeno voglio prenderlo freddo. Un paio di minuti non le sconvolgeranno di certo la certo la giornata.

Lei >>> ( accomodandosi ) e va bene, ma proprio perché è lei e non fa mai storie su quante cose faccio cadere sul suo balcone.

Il primo obiettivo, quello di trattenerla per qualche minuto, era andato in porto. Adesso dovevo cercare di prendere maggiore confidenza.

Entrai in cucina, versai il caffè in due tazzine e le portai a tavola dicendo “se non vuole affatto non la obbligherò di sicuro ma sarei contento che lei si sentisse a suo agio con me ” Marcai in modo particolare quest’ultima parte della frase.

Terminai dicendo: “mentre lei si serve lo zucchero o lascia da parte la tazzina io prendo il capo”. Uscii sul balcone, presi gli slip che avevo messo al sicuro su una sedia e rientrai.

Prima di porgerli li tenni in mano per qualche secondo in più del dovuto, Volevo che nella sua testa lei immaginasse che in quel momento io potessi pensare a che parte del corpo era dedicato quell’indumento.
Praticamente volevo indurle un senso di disagio simile a come quando ci sente nudi davanti ad un estraneo ma nel contempo volevo che questo disagio le procurasse un turbamento erotico.

Glieli porsi dicendo: “sono molto femminili, lei ha buon gusto”

Lei li prese e alzandosi dalla sedia disse: “adesso devo proprio andare, grazie per il caffè e mi scusi ancora per il disturbo”.

Mi alzai anch’io rispondendole. “venga l’accompagno”

Mentre ci incamminavamo verso la porta diedi il mio affondo a tutta la manovra: la fermai e le dissi: “la prossima volta mi piacerebbe vederteli addosso”

Lei fece per parlare ma io la fermai aggiungendo: “il sabato i miei due vicini di pianerottolo non ci sono mai, tuo marito esce alle 9,00 e rientra alle 12,00, tu devi solo scendere a piedi un piano di scale perciò nessuno potrà accorgersi di nulla, porta con te un asciugamano in modo da avere sempre una scusa nel caso di imprevisti.”

Lei mi guardava incredula incapace di ribattere ed io non volevo dargliene modo, volevo che il tarlo del peccato appena seminato nella sua mente lavorasse indisturbato.
Tagliai corto dicendole: “adesso vai, a sabato prossimo”.

Non sapevo che fine avrebbe fatto quel seme appena seminato, molto probabilmente sarebbe essiccato nei meandri della sua fedeltà, della sua coscienza, del suo pudore oppure, forse avrebbe toccato le corde della sua libidine, della sua femminilità. Non rimaneva che aspettare.

Durante i primi giorni della settimana incrociai diverse volte Carla e suo marito e tutto sembrava regolare, anzi no, i suo sguardi erano più freddi e distaccati, e le sue battute meno cordiali del solito.
Decisi di non arrovellarmi il cervello e di vedere cosa sarebbe successo sabato.
Ma il mercoledì la incrociai da solo: mentre aspettavo l’ascensore lei usciva.

Mi guardò e mi disse: “sabato anche mi viene giù tutto il bucato aspetto mio marito e mando lui a prenderlo”
La guardai e risposi: “va bene, come vuoi tu, vorrà dire che andrò a farmi un giro per i mercati”

Lei girò le spalle e andò via.

Pazienza dissi tra me e me, ci ho provato ed è andata male. Aggiungiamo anche questo a tutti gli No che mi sono preso.

Ma non era finita li. Venerdì sera al rientro dal lavoro noto una busta bianca nella mia buca. La prendo e la apro, dentro c’era un biglietto con sopra scritto: ”non andare via domani”

Rilessi più volte quelle poche righe scritte in stampatello e senza nessuna firma. Non ce n’era bisogno di firme, solo una persona poteva dirmi di non andare via. Quella che sarebbe scesa alle 10,00 per prendere o con la scusa di prendere un capo di abbigliamento caduto dal piano di sopra.

Non sapevo cosa pensare ed ancor meno sapevo se sarebbe veramente venuta.
La mente umana è molto strana ed imprevedibile, poteva succedere di tutto. Per fortuna in questo caso il tutto era rappresentato da sole due alternative e da li a 16 ore avrei scoperto quale delle due si sarebbe verificata.

Il sabato mattina feci le stesse identiche cose che facevo tutti gli altri sabati compresa quella di fumarmi una sigaretta sul balcone alle 9,00 per vedere il marito di Carla che prende la sua bici e si avvia pedalando verso il parco poco distante.

Erano le 9,45 quando senti il campanello suonare. Alzandomi per andare ad aprire mentalmente mi dissi: “ma chi rompe le scatole proprio adesso? Due minuti e lo liquidi subito”
Spiai dallo spioncino e vidi che era Carla.

Confesso che non me l’aspettavo che venisse in anticipo anche se solo di 15 minuto.
Reputai entrambe le cose ( che aveva accettato l’invito ed era venuta in anticipo ) un buon segno. Ed infatti lo era.

Aprii la porta salutandola con un sorriso cordiale e le dissi: “ vieni accomodati “
Per sciogliere la tensione aggiunsi: “questa volta il caffè lo devo ancora preparare per cui dovrai sorbirti la mia compagnia un po’ più a lungo”

Sedendosi Carla ribatté: “se non lo preparavi tu te l’avrei chiesto io”.

Volendo saggiare il terreno risposi: “la prossima volta sarai tu a prepararlo”.
La frase è imperativa, è praticamente un ordine. Volendo avrei potuto attenuarne il contenuto sostituendo “sarai” con “proverai” ma ci tenevo che le giungesse chiaro il messaggio che chi conduceva il gioco ero io.
Però usai un tono morbido, confidenziale, rassicurante. Volevo che percepisse la sensazione di sentirsi guidata in un contesto dove poteva sentirsi a suo agio.

Ed infatti centrai l’obiettivo perché la sua risposta fu: ”se lo vuoi lo preparerò”.

Adesso veniva la parte più delicata, non dovevo sbagliare nulla. Una sola mossa errata ed avrei compromesso tutto. Lei era li, sicuramente aveva indosso gli slip che le avevo detto mi sarebbe piaciuto vederle addosso. Dovevo fare in modo che lei sentisse il desiderio di mostrarsi a me e contemporaneamente dovevo prendere in mano la situazione senza calcare troppo la mano.

Non potevo certo ordinarle di alzarsi la gonna e farmi vedere come gli stavano slip. Certe cose si possono fare solo quando vi è una negoziazione preliminare al contesto in modo tale che i ruoli con i relativi confini e limiti siano già noti ed accettati da entrambi.
Qui invece dovevo recitare a soggetto su un palcoscenico senza luci cercando di non sbattere il muso.

Mentre finivamo di bere il caffè e parlavamo del più e del meno scelsi la strada percorrere.

Mi rivolsi a lei dicendole: “in cucina, nel frigo, c’è una bottiglia d’acqua me la prenderesti per cortesia?
Lei mi guardò e mentre si alzava mi rispose: ”Si, te la vado a prendere”

Tornò dalla cucina con bottiglia d’acqua che posò sul tavole e mentre stava per sedersi nuovamente la bloccai dicendole: “non sederti, voglio che resti in piedi, voglio guardarti. È la prima volta, dopo tanto tempo, che posso farlo come desidero, voglio gustarmi la tua presenza qui, solo per me”

Lei si fermò e timidamente mi si mise davanti. Volevo farla sentire desiderata, ma volevo anche provasse una sensazione di turbamento mista ad eccitazione.

La osservai in silenzio per circa una 30 ina di secondi senza dire nulla. Chi ha vissuto situazioni come quelle di Carla sa benissimo quanto possono essere lunghi ed interminabili 30 secondi.
Sa benissimo come il proprio essere venga pervaso da un turbinio di sensazioni non ultime quelle tendono a rompere i fremi inibitori per poter dare finalmente sfogo alle proprie pulsioni.

Ruppi il silenzio dicendole: “ sei bella Carla. Hai fatto quello che ti ho chiesto?”

Lei mi guardò e con un filo di voce rispose: “si l’ho fatto”. E aggiunse. “non riesco a spiegarmi cosa mi sia successo ma è da sabato scorso che sono sconvolta, c’è una parte di me che tenta di opporsi a tutto questo ma c’è un’altra parte che invece non desidera altro.

Non mi feci scappare un’occasione così ghiotta per prendere ancora più saldamente in mano la situazione e prontamente aggiunsi: “e quando ci pensi la cosa ti procura piacere, vero?”

L’aggiunta del sostantivo “vero” ha un duplice effetto: quello di dare valore e conferma alla sua frase quello di portare alla luce la sua libidine, ossia il piacere che sta provando nell’assecondare le mie richieste

Difatti la sua risposta, pressoché scontata ( diversamente si sarebbe contraddetta ) fu: “si mi piace”

“Bene” risposi io, “allora adesso sai cosa devi fare”

A quelle parole lei ebbe un attimo di esitazione, dovevo prenderla per mano e portarla dove lei desiderava essere portata. Mi alzai dalla sedia e le andai vicino, le presi il viso tra le mani e la bacia sulle labbra. Un bacio morbido non passionale, non era ancora il momento per quello.
Adesso era il momento del suo abbandono alle mie voglie. Mi trovavo davanti una donna combattuta tra la sua femminilità unita alla voglia di lasciarsi guidare ( parlare di sottomissione è ancora prematuro in questa fase e a queste condizioni ) e le sue remore, le sue paure.

Le misi le mani sui fianchi e le dissi: “lascia che faccia io”.

Lentamente iniziai ad alzarle la gonna, ormai le sue resistenze stavano pian piano cedendo. Mentre alzavo la gonna iniziai ad accarezzarle le cosce. Usavo sia i polpastrelli in modo molto delicato che le unghia in modo da procurale dei brividi. Prestavo la massima attenzione ad ogni suo sospiro / o respiro per capire che tipo di reazione procuravano in lei i due diversi stimoli e su quale potevo più affidamento per ottenere una risposta dal suo corpo che mi aiutasse ad abbattere le barriere ancora rimaste in piedi.

Finalmente la gonna era tutta su. Lei era senza calze, non posso dire che aveva il fisico di una ventenne ma sicuramente era ancora una donna piacente con la carne soda e palpitante di desiderio.

La feci stendere a pancia in giù sul tavolo in modo che il suo sedere fosse prono, presi gli slip ed iniziai a tirarglieli in modo che le solcassero l’incavo della vagina. Volevo sentirla gemere, e così fu. Ormai il suo non era più un respiro regolare ma un ansimare di piacere.

Adesso volevo andare oltre, non mi bastava più quello che avevo ottenuto, volevo altro. E me lo presi. Un po’ per volta ma me lo presi.
Ad un certo punto le diedi una sculacciata su una natica. La sentii gemere, mi fermai pochi secondi e poi un’altra. Mi fermai qualche secondo in più e poi un’altra sculacciata, questa volta leggermente più forte.
Mi avvicinai al suo orecchio e le sussurrai: “lo so che fa un po’ male ma so anche che ti procura quel calore piacevole che ti arriva fino alla tua fica. Non temere nulla, lasciati andare” La sua risposta fu un monosillabico: “si”.

Dopo un paio di minuti di quello che viene chiamato spanking erotico ripresi di nuovo ad accarezzarla intrufolando la mia mano dentro i suoi slip, volevo sincerarmi della situazione. La sua figa era un lago di umori, non mi fu affatto difficile metterci tre dita dentro e scoparla in quel modo.
Mentre facevo questo presi la sua mano e me la portai sulla patta dei pantaloni.
Era ancora tutto dentro, le sue mani subito dopo andarono alla cerniera, si girò verso di me e mi disse: “mettimelo dentro non ce la faccio più, ho voglia di essere scopata”

“Togliti gli slip” fu la mi risposta. E mentre dicevo questo mi sbottonai la cerniera e tirai fuori il mio arnese.
Appena lei si tolse gli slip le ordinai di inginocchiarsi davanti a me. Volevo sentire la sua bocca.
Si inginocchio e prese a succhiarlo in modo divino. Adoro vedere gli sforzi che fanno per prenderlo tutto fino in fondo, vedere gli occhi che lacrimano dallo sforzo, riprendere fiato dopo che la loro gola è stata profanata e sono state senza respirare per qualche secondo. E lei mi offri tutto questo.

Adesso toccava a me. La feci stendere sul tavolo con la schiena, posizionai due sedie in modo che potesse appoggiare bene i piedi e mi diressi con il mio viso sulla sua vagina.
Era un lago di umori bollenti, torturavo dolcemente il suo clitoride tra i miei denti mentre con la lingua la penetravo fin dove arrivavo. Lei ansimava e godeva ad un certo punto la sentii quasi implorarmi: “ ti prego scopami, buttami dentro il tuo cazzo e ficcamelo tutto fino in fondo. sto impazzendo dalla voglia di sentirmi piena.”

Quel sabato fu il primo di una lunga serie di sabati.
E’ stata per circa due anni la mia schiava ed io il suo amante / padrone.
Adesso è finita, tutto finisce prima o poi, però ho un bellissimo ricordo di quegli indumenti che continuano ancora a cadere dal balcone del piano di sopra.






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