bdsm
Heliopolis
di OMNIA
27.12.2021 |
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"Sono completamente nudo, spaventato, dolorante: in quel momento rientra dal mare una famiglia, lo capisco perché il figlio più piccolo ha in mano un..."
Cap Agde, 26 agosto 2010 Guardo l’orologio. Sono le sette e dieci, è il mio solito orario. Neanche in vacanza riesco a spostare l’ora del risveglio. Il tempo, il sonno: quando avrò trovato il modo di dominarli a mio piacimento non svelerò a nessuno il segreto.
Ma si, “alzati” mi dico mentalmente, immaginando di avere la voce anche un po’ rauca. In fondo oggi è il primo giorno dei cinque che mi sono concesso e, normalmente, il primo è il più faticoso e meno interessante di tutta la vacanza.
Devo esplorare il mini appartamento e le sue dotazioni, mettere qualcosa nel frigo, ma soprattutto capire velocemente come muovermi in un territorio tutto nuovo. Che noia, ma mi tocca. Però, questo posto un vantaggio ce l’ha: non mi devo vestire. Già, Le Cap d’Agde, non ci ero finito lì per caso. Una vacanza senza inibizioni, il naturismo mi mangia il cervello da sempre.
Apro la porta della mia camera, esco sul corridoio e la chiudo con due mandate di chiave. Giro lo sguardo a destra verso le scale e poi a sinistra. Sono nudo, solamente con le infradito, sicuramente incontrerò altri corpi nudi.
L’Heliopolis è di forma circolare, una specie di arena che si spezza in alcuni punti per lasciare il passaggio alle strade. Nell’edificio F, dove è situato il mio mini-appartamento con vista mare, il lungo corridoio interno è visibile solo fino a metà, poi la curva restringe la visuale sino a non poter vedere più niente. L’ambiente dell’intera palazzina è profumato da una essenza floreale che ti accoglie già dall’ingresso. Sebbene sia artificiale, gratifica le mie esigenze olfattive. Non è aggressiva, riconosco un leggero riflesso di mughetto misto ad erba salvia. È fresco, riesce a trasferirmi immagini di foglie che grondano di rugiada.
Decido di prendere la direzione verso le scale. Sono al terzo ed ultimo piano, senza ascensore. Vedo salire e venirmi incontro una coppia con i sacchetti della spesa, naturalmente sono nudi. Ci scambiamo un veloce Bonjour ma guardandoci in faccia e sorridendo. Scendo lentamente gli scalini notando il ciondolio del mio pene. Provo una sensazione piacevole, un brivido mi percorre lungo la schiena. Io ed il mio corpo, finalmente insieme, senza barriere.
Sono quasi arrivato al portone d’ingresso quando il silenzio ed il profumo di quel breve tratto di scale viene interrotto da un tonfo profondo. Mi blocco immediatamente su gli ultimi scalini. Non capisco da che parte arrivi. Potrebbe essere stata una porta che sbatte; nei corridoi soffia un discreto vento nonostante le vetrate siano sigillate. Poi un lamento, la voce è femminile. Non so cosa fare, e poi sono anche nudo.
Gradualmente il lamento diventa un nitido “aiuto”, in chiara lingua italiana, sebbene la voce sia strozzata e sofferente. Le pulsazioni mi aumentano, vado in affanno. La salivazione è praticamente ridotta allo stato di schiuma bianca e densa che si incolla tra lingua e palato.
Le situazioni di pericolo non le cerco mai, ma loro sanno sempre dove trovarmi. Appena giunto sul corridoio del primo piano accenno una corsa. Mi viene anche un po’ da sorridere: con il cazzo al vento a prestare soccorso. Dopo aver passato sei porte senza udire la fonte del lamento, arrivo all’appartamento sessantuno e mi fermo. Appoggio l’orecchio sul legno blu della porta e ne ho la certezza. “Aiutatemi per favore!”
Conto fino a tre, chiudo gli occhi, stringo forte la maniglia. Non riesco ad immaginare nulla di ciò che potrà presentarsi ai miei occhi. La porta fortunatamente non è chiusa a chiave.
L’arredamento è simile a quello del mio appartamento. Un fine anni settanta di legno chiaro misto a truciolare sintetico, spartano, essenziale, senza gusto. Riconosco il letto ad una piazza e mezzo. È a scomparsa nell’armadio centrale di fianco al cucinotto, esattamente come al terzo piano. Capisco immediatamente cosa è successo. Il meccanismo di discesa ha ceduto. “Chi è entrato? Aiuto, vi prego!”
La donna era sdraiata sul pavimento dal lato del letto verso la finestra, in posizione prona, le braccia distese all’indietro sulla schiena, il lato destro del viso appoggiato sulla ceramica, le gambe nascoste dalla struttura del letto. Mi avvicino, appoggio le mani per terra, poi le ginocchia. Riesco ad incrociare il suo sguardo. Il colore verde con riflessi quasi azzurri dei suoi occhi è penetrante, non ha le pupille dilatate come succede a chi è spaventato, la vedo abbastanza serena.
“Dove sente male?”
“Le gambe, sotto al letto”
La percezione che ho dello spazio nell’appartamento, inizialmente molto familiare poiché simile al mio, comincia invece a presentare delle diversità abbastanza evidenti sulle pareti, intorno al letto, sul tavolo vicino al cucinotto.
Catene di diverse dimensioni e lunghezze scorrevano dentro ad anelli di acciaio cementate nella muratura. Quattro nel muro di fronte al letto, di cui due ad altezza caviglie e due a circa un metro e settanta; mentre sul soffitto, quasi vicino all’apertura del letto-armadio, due anelli di diametro più grosso erano infilati da una catena di maglia più sottile i cui estremi finivano direttamente sotto il letto, da entrambe i lati. Sul tavolo, oltre agli avanzi di una colazione molto scarna, ben allineate ci sono un numero consistente di manette, un pacchetto di sigarette ed un portacenere con diversi mozziconi spenti a metà. L’idea di alzare il letto e trovarmi di fronte ad un corpo ustionato da bruciature di sigaretta mi asciuga definitivamente la bocca, impedendomi l’emissione di versi o parole. “Provo ad alzare lentamente il letto, mi dica se devo fermarmi”.
La donna sembra molto a suo agio dal mio modo di affrontare questa strana situazione. Il suo viso mostra alcune rughe abbastanza marcate sulla fronte, anche su gli spigoli della bocca. Rughe di espressione ma piacevoli da guardare, il naturale decadimento di un donna bella e curata. I capelli nero corvino sono indubbiamente tinti; le due mollettine sopra le orecchie le sostengono i ciuffi, donandole una aria sbarazzina nonostante l’età. L’età appunto. È difficile azzardare una cifra quando una donna è sensuale. I miei meccanismi di percezione visiva non mi aiutano, non riesco a stabilire quanti anni possa avere: più di cinquanta, meno, non mi importa, sono qui per aiutarla, forse.
“Fai lentamente per favore, sono legata un po’ dappertutto”.
“Non si preoccupi, mi dica lei cosa devo fare”.
Spontaneamente le sto dando del lei, anche se la situazione non è delle più normali e richiede una certa emergenza, non riesco ad essere diretto nella comunicazione. Lei è più spontanea, continua a darmi del tu e mostra sempre più naturalezza e disinvoltura verso ciò che sta accadendo. “Alzalo fino a quando riesci a sganciare il moschettone principale agganciato all’anello che unisce le catene”.
Eseguo al dettaglio le sue indicazioni, sgancio il moschettone che si trovava appoggiato sulla sua schiena mentre lei mi guardava facendo una notevole torsione del collo, con quegli occhi dal colore penetrante e seducente. “Bene, ora puoi tirare su il letto definitivamente”.
La donna giace ancora sdraiata come quando sono entrato nella camera. Adesso posso vederle i glutei, le gambe, la schiena su cui appoggia le braccia ritorte all’indietro e legate dai bracciali delle manette. È abbronzata in maniera uniforme, un colore simile ai vasi di terra cotta quando si impregnano d’acqua. Il culo ha una forma armoniosa, abbastanza sodo ma leggermente avvizzito all’altezza dell’attaccatura con i quadricipiti delle gambe. “Devi aprire le manette, la chiave la mette di solito sul tavolino”.
Beh, non c’è dubbio che da sola non potesse legarsi in quel modo, ora si tratta di capire chi e dove sia andato il master responsabile delle azioni che vedo. Il pensiero che qualcuno possa entrare improvvisamente e cogliermi in flagranza mentre libero la signora mi mette agitazione, dalla fronte e dalle ascelle cominciano a stillarmi gocce di sudore. Non fa caldo, si tratta di ansia allo stato puro.
Mi avvicino al tavolino, le manette appoggiate e ben allineate sono quattro; due foderate di velluto nero all’interno dei bracciali, come quelle ai polsi della donna, mentre le altre due sono senza tessuto. Oltre ad essere accuratamente disposte, ognuna ha le chiavi inserite nella propria serratura. Questa maniacale precisione per gli oggetti fetish contrasta con gli avanzi della colazione ed il portacenere quasi pieno, l’odore intenso e acre dei mozziconi mi infastidisce. Trovo la chiave, anch’essa appoggiata non casualmente.
“Oh finalmente… grazie italiano!”. Brava a sdrammatizzare, penso, in una situazione a dir poco imbarazzante. Certo che in quella posizione, con le braccia legate dietro la schiena, quando le ho aperto le manette deve aver veramente provato un senso di liberazione. Con fatica distende le braccia in avanti rimanendo in posizione di allungamento per un paio di minuti.
Le guardo meglio la schiena abbronzata e leggermente spellata all’altezza delle spalle. La scapola sinistra, dove spicca il tatuaggio di una pantera nera con due occhi gialli fiammanti, è contornata dai segni evidenti di diversi morsi. I glutei e la parte più esterna dell’interno cosce presentano graffi di varia intensità, ma non sembrano profondi. Questa veloce ispezione del suo corpo produce in me un effetto inaspettato, brividi diffusi e tensione all’intestino. Immagino la situazione erotica consumata in questa camera. Di elementi per dar spazio alle mie fantasie sessuali c’è ne sono in abbondanza. Sento che potrei avere un’erezione, faccio un grosso respiro e riprendo il controllo delle mie funzioni.
Forse l’erezione l’ho evitata perché non ho ancora potuto verificare se la parte frontale del suo corpo sia rovinata da bruciature di sigaretta. L’idea terrificante di vedere un corpo straziato dalla foga libidica di un master impazzito, appurare la perversione autolesionista di una bella donna che si lascia distruggere in quel modo, riesce ad annichilire ogni velleità del mio pene. Finalmente la vedo portare i palmi delle mani sul pavimento a fianco delle spalle, puntare le ginocchia e alzarsi lentamente.
Vorrei aiutarla, ma lei non si gira, neanche a guardarmi. Per la prima volta da quando sono entrato in quella stanza percepisco un sottile imbarazzo della donna. Le sono dietro a circa mezzo metro. Adesso che è in piedi il suo fisico è meno voluttuoso di quando era sdraiata; sarà alta almeno un metro e settantacinque, però ha un corpo armonioso e imponente che attira la mia libido. Con una grazia stravolgente si gira verso di me e, dirigendosi verso il letto armadio, mi chiede di aiutarla a ritirarlo giù. Non è un letto di torture come immaginavo, solo qualche catena dorata di cui sentivo il tintinnio anche quando era sdraiata per terra.
Si sdraia sul letto emettendo il classico verso di quando si prova piacere nella distensione muscolare. Mi siedo all’angolo del letto cercando il suo sguardo per evitare di dover verificare la mia ipotesi maligna di eventuali ustioni. Mi accenna un sorriso, i suoi denti sono grandi e risplendono con la luce che entra dalla vetrata del terrazzino. Le labbra, senza alcuna traccia di rossetto, mostrano il loro colore naturale: un rosa pallido. L’orlo del labbro superiore sembra formare una sinusoide perfetta, mentre quello inferiore è più lucido e bombato ai lati, leggermente schiacciato nella parte centrale. Rispondo al sorriso accennando un “Va meglio?” “Grazie caro, sei stato prezioso”. Mentre lei porta il suo sguardo su il sistema di ganci e pulegge attaccate al soffitto, ne approfitto per guardarla, anzi da vero soccorritore direi per ispezionarla. Non vedo bruciature, ma una complessità di metalli tra seno, ventre e vagina.
Il seno è rifatto, di una giusta misura, direi una terza. È fatto bene, non ci sono cicatrici. I capezzoli, della grandezza di una moneta da due euro, sono turgidi e perforati rispettivamente da piercing dalla forma ad anello in oro bianco. Altri due piercing di eguale forma e dimensione li ha rispettivamente sull’ombelico e sul clitoride. Un vero e proprio percorso creato per una catena a maglia sottilissima che infila tutti e quattro gli anelli, chiusa ai due lembi con un piccolo lucchetto che viene a trovarsi appena sopra la vagina. I muscoli addominali sono tonici, soprattutto quelli laterali, un rilasciamento della pelle è visibile solo nella parte centrale della pancia.
Ora che la situazione è sotto controllo, non più governata dalla mia tensione e dal mio imbarazzo, riesco ad avere pensieri positivi, necessari per poter anche instaurare un dialogo.
“Io sono Danilo, piacere”. “Emily”
Ci stringiamo la mano in modo formale, la sua è caldissima e setosa al tatto. Non glie la restituisco subito perché mi prendo la licenza di guardarla per alcuni secondi. Dita lunghissime, unghia curate e smaltate, una fede in oro rosso sul dito medio e un anello d’argento lavorato sul pollice. Alzo lo sguardo e incrocio i suoi occhi di smeraldo. Non resisto più, parte un’erezione dirompente nel giro di pochi secondi, lei punta lo sguardo sul mio pene duro come il cemento. Mi sorride, mi siedo al suo fianco, ci baciamo.
Tiene tra le sue mani curate il mio cazzo e lo masturba con delicatezza mista a passione, usa la bocca e la lingua solo per umettare con piccoli colpi. Mi guarda fisso negli occhi, sa bene che questa mossa procura al maschio un orgasmo quasi immediato. Ma non ha fatto i conti con i miei ritardi prostatici. Le tocco i seni sodi e artificiali, sono leggermente più freddi della temperatura del resto del corpo ma la cosa mi eccita. Il tintinnio delle catene infilate negli anelli incastonati nella sua carne è sempre più fragoroso, Emily si agita ed ansima, la mia mano fruga vorticosamente nella sua figa. Entro deciso dentro, lei è distesa supina con le mani sulle ginocchia e le gambe raccolte al seno. Sferro i primi due colpi decisi per poi mantenere un ritmo più lento ma deciso. Sento il freddo della catena sulla pancia, i miei pochi peli pubici sfregano sul piercing del clitoride.
Improvvisamente sento aprirsi la porta del bagno. Cazzo da quanto tempo sono in questa stanza? Non più di un quarto d’ora, ma che potesse esserci qualcuno in bagno non l’avevo proprio calcolato. Sento una pompata cardiaca devastante, ho pochi istanti per realizzare cosa stia avvenendo: cerco di guardarla, chiederle cosa stia succedendo. provo ad uscire dalla sua vagina, a girarmi e guardare la persona dietro di me.
Vedo un corpo di uomo dalla pelle scura, troppo scura per essere solo abbronzato. Non posso vedere il suo viso per capire se si tratti di un nero, indossa una maschera antigas militare, in lattice di gomma bianca dove è possibile vedere solo gli occhi riparati da due dischi di vetro, senza Il tubo con il filtro per i gas. Sarà alto almeno 1.90, fisico statuario, piercing sui capezzoli, pene non eretto di dimensioni chi non saprei dire. Nella mano destra tiene salda una frusta di pelle nera con eleganti pattern di intreccio, ornata con strass d'argento sull'impugnatura, con lunghe frange al termine.
Il colpo che parte dal suo braccio è secco e deciso, lo schiocco riverbera in tutta la stanza. Il primo punto di contatto sul mio corpo è sulla parte alta della natica destra, poi risale obliquamente la schiena sul lato sinistro sino ad avvolgermi la spalla con le frange.
Il dolore che provo è simile alla bruciatura provocata da un ferro bollente, intuisco che stia caricando il secondo colpo, cado dal letto dimenandomi e mi ritrovo per terra vicino alle sue gambe. La frusta è lunga almeno un metro e mezzo, sono più rapido io nel cercare di rialzarmi che lui a ricalibrare il colpo. Mi trovo davanti alla faccia il suo polpaccio sinistro, come un animale ferito mi avvento sulla carne con un morso. Stringo le mascelle con la forza della paura, da sotto la maschera sento uscire lamenti smorzati dalla guaina che avvolge la sua faccia. Esco in qualche modo da quella camera.
La schiena brucia mentre corro forsennatamente per il corridoio. Non mi giro a guardare se il “mostro” mi stia seguendo, il cuore mi batte così forte che, arrivato al portone, mi fermo e riprendo un po’ di respiro. Sono completamente nudo, spaventato, dolorante: in quel momento rientra dal mare una famiglia, lo capisco perché il figlio più piccolo ha in mano un secchiello più altri giochi da spiaggia. Mi guardano e salutano: le cose normali mi piacciono di più….forse.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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