Lui & Lei
E. un ricordo
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12.02.2025 |
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"Sorride e anche il suo sorriso è meno formale..."
Si chiamava E., anzi si chiama E. ma non è più con me. Lo è stata per pochi mesi, ricordo bene ogni secondo.Novembre del 2017, pomeriggio di luci artificiali, esco dal mio studio, sento la voce della mia capa nella penombra del corridoio, chiama il mio nome, mi giro, non è da sola, c’è una ragazza alta, più alta di me, indossa un vestito scuro, pantaloni e giacca, camicia bianca, le due mi guardano sorridenti. Senti G. ti presento E. ha appena finito un master Post-lauream, starà con noi per uno stage di alcuni mesi, pensavo di affidarla a te, è interessata ad alcuni progetti che qui stai seguendo tu, le puoi spiegare un attimo come lavori poi lei inizierà lunedì prossimo. Porgo la mano il più accogliente possibile, piacere G., Piacere E.. Sorride con aria compita della neolaureata che sa il fatto suo.
La mia espressione non sarà stata certo delle più felici, uno stagista vuol dire più lavoro, oltre al tuo devi seguire il suo, vuol dire avere qualcuno che ficcanasa nelle tue cose, vuol dire avere sempre tra i piedi qualcuno che potrebbe essere il massimo della simpatia ma anche no e te lo devi sopportare comunque in qualsiasi caso.
Rientro nel mio ufficio, la capa se ne va, E. mi segue, mi da del lei, le do del lei, 21 anni di differenza si sentono.
Il suo profumo riempie la stanza, saprò più avanti essere uno Chanel molto costoso. La vedo bene alla luce dei neon della stanza: è alta, sarà un metro e ottanta, ha i capelli castani ondulati raccolti in una coda rigorosa che scivola sotto le spalle, gli occhi nocciola, un viso tondo con un trucco leggero, l’ espressione contratta, austera. Si parla di lavoro, si parla della sua tesi, si parla di quello di cui mi occupo, si parla della sua tessera della biblioteca universitaria che è ancora valida. Sessualmente non mi prende, non è il mio tipo, troppo alta forse?
Ci salutiamo dandoci appuntamento al lunedì successivo. Sono inquieto, la ragazza la sa lunga e questo mi provoca ansia. Non è antipatica, meno male.
Lunedì. E. è già lì quando arrivo, meno formale della prima volta, jeans e maglione grigio, capelli sciolti, ondulati, lunghi. Sorride e anche il suo sorriso è meno formale. Passiamo dal lei al tu. L’accompagno nei reparti, le indico alcuni pazienti di cui potrebbe occuparsi. Qualche paziente più vecchia e impicciona mi chiede. “è sua moglie?” risposta “no, ma potrebbe essere mia figlia” E. ride imbarazzata.
Passano giorni e settimane in cui lavoriamo insieme, passiamo ore nel mio studio insieme, facciamo pausa caffè insieme. Ci conosciamo, E. è fidanzata, ha un passato da pallavolista ma non è lo sport la sua passione, le piace divertirsi, esce con le amiche e gli amici, fa le ore piccole. Un mondo che non mi appartiene più.
E. è in gamba e passare il tempo a vedere pazienti, fare relazioni, leggere articoli non è un peso con lei.
Arriva Natale 2017, ci vediamo meno, io con chi so io e lei in viaggio con il suo ragazzo.
Gennaio 2018, l’attività riprende a pieno regime, c’è un momento di pausa un giorno, mi siedo vicino ad un’anziana paziente, scherziamo, non me ne accorgo ma E. mi scatta una foto con il suo cellulare, mi sorride: “guarda come siete venuti bene”, “beh, me la devi mandare” “ti do il mio numero”, non ci eravamo scambiati ancora il numero di telefono. Da quel momento oltre alla foto, ogni giorno, E. iniziò a scrivermi messaggi, su come erano andate le cose in mia assenza, chiedeva opinioni su determinate questioni, poi sempre più confidenziale: pettegolezzi sui colleghi, commenti ironici, il tutto condito da varie faccine e adesivi. 21 anni di differenza si notavano nel modo di gestire la comunicazione social.
Sto bene con lei, lavoro volentieri quando c’è.
Pizza con gli amici: parlo di questa nuova collaboratrice temporanea, “ti si illuminano gli occhi quando ne parli…” Sarà vero? E’ simpatica, E’ carina, ma è giovane, è alta, è decisamente fuori “target”. Non sono mai stato attratto da quelle più alte di me. Certo che ha un bel culo…, chissà come scopa col suo fidanzato… Cominciano ad affollarsi nella mente una serie di fantasie.
Mi capitava spesso quell’anno di pranzare al volo in qualche bar, perché mi muovevo tra un paio di sedi: la mattina una, il pomeriggio l’altra. Un trancio dei pizza, un bicchiere d’acqua e via. Quando poi il pomeriggio prendevo servizio nella sede dove c’era E. era diventato un rito prendere il caffè insieme. Un giorno di questi, davanti al distributore automatico, E. inizia a percularmi divertita sostenendo che il bar dove pranzo è pessimo e si chiede come faccia a mangiare li. Sorpreso cerco di giustificarmi, “è in strada”, “sono veloci, sai che non ho molto tempo” “e poi non è così male”. Aggiungo una battuta: “se vuoi puoi venirci anche tu, pranziamo insieme”, lei mi spiazza “si, questo volevo”. Rimango interdetto, non commento, le propongo un giorno della settimana successiva, accetta. passo il pomeriggio a rimuginare: “cosa intendeva? non può essere che sia attratta da me, le sto simpatico e vorrà farsi due chiacchiere a pranzo, niente di più”. Le fantasie si fanno più vivide. Vedo nella mia mente il suo corpo alto e snello, i seni piccoli, il culo tondo e sodo, le gambe lunghe, le onde dei capelli color miele, il suo profumo, il suo sorriso. La sera stessa mi sego pensando a lei.
Il giorno pattuito E. mi ricorda il pranzo assieme, “allora ci tiene veramente, non se l’è scordato”
la mattina lavoriamo insieme, poi ci avviamo verso il bar, ognuno con la sua auto, io poi sarei andato al lavoro nell’altra sede, lei a casa. Siamo davanti a due tranci di pizza, lei maglione scuro a collo lato i capelli crespi e lunghi le cadono sulle spalle gli occhi nocciola brillano mentre mi guarda e sorride, mi toglie un suo capello dalla mia spalla, “non lo avevo visto chissà come ci è finito”, “lei è gelosa?” mi chiede ammiccante, “per niente” rispondo mentendo. Ho fretta, pago, ci avviamo verso le auto, lei rimane un attimo immobile e mi guarda, ho la scusa del lavoro, la ringrazio, salgo in auto, sorride, parto, lei sale nella sua macchina. Raggiungo l’altra sede, ho un turbinio di pensieri in testa, chissà cosa vuole? Mi sto facendo fantasie e basta? come posso interessarle io con tutti i giovani della sua età che si può scopare e probabilmente si sarà scopata? prendo il telefono, cerco il suo contatto “E’ stato bello pranzare con te, dovremo farlo più spesso”, “non passa un minuto e risponde “si bello ma la prossima volta mi piacerebbe fare un aperitivo una sera, punto a farti ubriacare!”, “sai che ubriaco potrei essere pericoloso” “non mi sforzo di nascondere che non mi dispiacerebbe che tu fossi pericoloso con me..” Le fantasie diventano realtà, trasalisco, il cuore mi batte forte. “Già domani sarò pericoloso con te” “ho voglia di toccare le tue gambe”. “Mi fa piacere… so che c’ho messo del mio..” “sai che io non sono solo..” “nemmeno io sono sola” “ma sai ultimamente quando sono con lui….penso a te”.
Sto tremando, ha bisogno di calmarmi prima di uscire dalla stanza e incontrare gente. La realtà ha preso una piega che nemmeno nella fantasia mi ero creato, E. mi ha appena fatto capire chiaramente che vuole fare sesso con me, che gli piaccio. Mi manda alcune foto di se, niente di che, le sue unghie appena fatte, lei in spiaggia, in costume, “qui ero più magra di adesso” sembra quasi essere preoccupata per come la vedo. Ora la vedo bellissima, il suo quasi metro e ottanta non conta più, sto pensando a domani, cosa succederà quando saremo viso a viso? Sono nervoso, so che sto rischiando anche. Il professionista cinquantenne che se la fa con la collaboratrice o con la studentessa vent’anni più giovane: non avrei mai pensato di caderci dentro, tanto più con una donna tanto diversa dai miei standard, alta, appariscente, estroversa, io sono sempre stato con le classiche “ragazze della porta accanto”.
Il domani arriva, è l’8 febbraio 2018, la mattina mi trovo nell’altra sede, ci scambiamo solo un paio di saluti via messaggio, non particolarmente caldi, c’è imbarazzo, tensione e lo sento. Mangio di fretta e con poca voglia, il momento si sta avvicinando. Arrivo, entro, corridoio senza finestre, semioscurità, esce E. della stanza delle fotocopiatrici, mi dice solo ciao, ci guardiamo intensamente, mi dice con voce calma “vieni a prendere il caffè?”, tutto deve sembrare come sempre non dobbiamo destare sospetti ai colleghi nelle altre stanze. Di fronte al caffè, lo sguardo e l’espressione del volto parlano di cose che le parole non dicono, a voce parliamo del programma di oggi, del collega che sta male, non scherziamo, non ridiamo, sorridiamo, c’è la tensione dell’attesa.
Torniamo in silenzio nello studio, silenzio nel corridoio, silenzio nelle stanze vicine, la luce del pomeriggio invernale che filtra dalle finestre velate da tende bianche. chiudiamo la porta dietro di noi. Siamo soli, ci guardiamo negli occhi, E. è la più rapida a percorrere lo spazio tra il mio viso e il suo, le nostre bocche si avvicinano, le lingue si toccano, le mie mani sul corpo di lei fasciato da un vestito verde scuro. Quel corpo che era stato accanto a me per mesi, quel corpo che avevo ammirato, quel corpo che mi aveva ispirato un piacere solitario, ora era tra le mie mani, caldo, sinuoso, profumato. La mia bocca cercava la pelle del suo collo e delle le guance; il mio viso si sorprendeva dei capelli morbidi e naturalmente ondulati. Le mie mani vagavano lungo i fianchi, la schiena, le gambe così sode e lunghe, fino a risalire sotto il vestito di lana per incontrare la pelle liscia del suo culo e la stoffa delle sue mutandine. Appoggio le dita sul suo sesso, è caldo. Scosto le mutandine ed entro in un mondo liscio, umido, i suoi umori scivolano lungo le mie dita, il pollice è solleticato dal suo pelo rasato che insiste pungente. Sospiri e rumore di baci, cerco dentro la leggera scollatura il contatto con il suo seno, piccolo, sodo, sento i capezzoli duri e dritti. Lei geme si ritrae e poi riavvicina la sua bocca alla mia, scompaio nella nuvola dei suoi capelli. Non andiamo oltre, non possiamo li, non ne abbiamo il coraggio ancora, il pomeriggio passa tra giri nei reparti, valutazioni di qualche paziente, ritorni nello studio e riprese feroci di baci, lingue che si incrociano mani che esplorano, lei più controllata io mi addentro di più per il suo e mio piacere.
Ci salutiamo alle 18.00 col cuore che batte, io ho ambulatorio lei va a casa. Poi qualcun altro ci aspetta entrambi.
“Voglio fare l’amore con te” ce lo scriviamo, ce lo diciamo, ci organizziamo. Passano un paio di settimane, di baci rubati in ascensore, di toccamenti dentro lo studio, di messaggi, cuoricini, foto osé, ma l’occasione non si crea. Propizia fu una cena tra colleghi, il 22 febbraio, c’andammo insieme. Come d’accordo lei mi aspetta nel parcheggio del poliambulatorio dove vedo pazienti privatamente. Sono le 20.00, lei è bellissima, tiratissima, gonna corta e calze nere, che accarezzo lungo tutto il viaggio in macchina, fino al locale dove ci attendono una decina di colleghi per festeggiare un pensionamento. Nessuno sospetta nulla di noi due, sono abituati a vederci insieme al lavoro e poi arriviamo dalla stessa zona. Ci diamo un contegno, fingiamo indifferenza e sediamo distanti, gli occhi si incrociano, il desiderio saltella irriverente tra le chiacchiere e i bicchieri di vino.
E’ ora di congedarsi dai colleghi, fra poco sarà mia, la vedrò nuda, chissà che biancheria intima indossa stasera. Saliamo in macchina dopo aver salutato. La direzione non è quella di casa, ci infiliamo tra le colline tra Conegliano e Vittorio Veneto, c’è la luna piena, ci infiliamo in una stradina, siamo circondati da vigneti, con attenzione entro in un campo tra i filari di viti e una siepe. è circa mezzanotte di un giovedì sera di fine inverno e non c’è nessuno in giro. ci guardiamo, ci baciamo tanto, lei inizia spogliarsi, mi tolgo le scarpe, il maglione la camicia, E. scivola nel sedile posteriore con le sue lunghe gambe, la seguo, le sono accanto, ha una sottoveste nera e il chiarore della luna per contrasto rende splendida la sua pelle, sento il contatto con il suo corpo finalmente a mia completa disposizione, i suo capelli ondulati sciolti le cingono le spalle e mi accarezzano il viso mentre la bacio tutta, si toglie la sottoveste e subito dopo il reggi, ha davanti il suo seno piccolo i suoi capezzoli in bocca, il caldo della sua pelle, il sentore di rose della sua crema corpo, il suo chanel che il calore del suo corpo esalta. Le tolgo le mutandine, tolgo le mie. Una sorpresa: la mia mente è come se fosse spettatrice, osserva la alla scena in corso, si chiede se è vera o se è un sogno, ricorda E. quando entrò per la prima volta nella mia stanza, si chiede come abbiamo fatto a finire qui nudi tra i vigneti. Risultato: lui non si alza. Mi concentro con la bocca sulla sua fichetta rasata, lui non si alza. Desisto, E. ci rimane male, pensa che in realtà a me non interessi, che non sia convinto, si sente rifiutata, si arrabbia, discutiamo, mi scuso. La riporto alla macchina. Vado a dormire con la convinzione che la storia sia finita prima di nascere, da una parte sono amareggiato, dall’altra mi sento sollevato. Sto per prendere sonno e noto il baglio dello smartphone che lampeggia di messaggi: è lei che si scusa, si è calmata, mi scuso io, ci diamo appuntamento per il giorno successivo al lavoro.
Passano alcuni giorni di baci, di mani che toccano, di erezioni che ritornano e di mestruazioni che arrivano. Non ci fidiamo ad andare oltre quando siamo soli, il luogo è affollato e il rumore di qualcuno che bussa alla porta è sempre in agguato.
C’ è un altro progetto che sto seguendo nell’altra struttura, dove lei non lavora, gliene parlo è molto interessata, ho dei progetti e degli articoli nel mio ufficio di la. Decide di seguirmi un pomeriggio per dare un occhiata al materiale, pranziamo nel solito bar. Mi segue in macchina perché poi andrà casa. Raggiungiamo la struttura. E’ una vecchia struttura, al piano terra ambulatori, al secondo e terzo degenze, al terzo gli studi dei professionisti. Andiamo direttamente nel mio studio al terzo piano. E’ un venerdì pomeriggio e sono solo, non ci sono colleghi nelle altre stanze, un lungo corridoio, grigio, vuoto e semibuio al cui lato sinistro si intervallano le porte di accesso ai vari studi, a destra un paio di bagni e nessuna finestra, inserisco la chiave nella porta del mio studio, due giri ed entriamo. la stanza è bianca, due finestre che danno sulla città sottostante, due vecchie scrivanie, una mia e una per la collega che il venerdì pomeriggio se ne sta a casa.
Estraggo dall’armadio le copie di due vecchi progetti di ricerca e gliele porgo, si siede sulla scrivania della collega e le sfoglia con attenzione, le commenta, I suoi lunghi capelli scivolano sulle sue spalle ad ogni movimento della sua testa, alcune ciocche scendono fino a toccare le pagine stampate che sta sfogliando, con un movimento naturale, inconsapevole, le scosta e le riporta in ordine dietro le spalle. E’ un movimento molto femminile che mi solletica. Mi porto dietro di lei, sollevo la massa di capelli castani, la bacio sul collo, sulle guance, ha un tremito, solleva la testa dai fogli e la reclina all’indietro, lungo bacio sulla bocca. La mani solleticano il seno, scivolano lungo i suoi fianchi, i baci si fanno frenetici, mi perdo col viso tra i suoi capelli. Si alza, si siede sulla scrivania. Abbiamo voglia l’uno dell’altra, si toglie la maglia, la camicetta, il lento spogliarello è accompagnato dal rumore dei baci, dal fruscio delle mani lungo il suo corpo, dai sospiri di entrambi. E’ davanti a me, seduta sulla scrivania, mutandine e reggiseno neri, la sua pelle bianca e liscia, la cascata di capelli castani e ondulati come una criniera le incornicia il viso, due nei mi fanno l’occhiolino poco distanti dall’ombelico col quale formano un malizioso sistema solare al centro della sua pancia piatta. Esploro con la lingua quegli astri, illuminati da piercing proprio sull’ombelico. E. si appoggia sulle braccia e si china all’indietro, salgo a baciarle il petto, cerco a tentoni il gancio del reggiseno, uno scatto e rivedo i suoi bei seni; non riempiono la mano ma sono sodi, caldi, sembra di tuffarsi tra cespugli di rose, ma senza spine. I capezzoli ritti come torri non si scostano ai tocchi ripetuti in punta di lingua. Si toglie le mutandine. E. è completamente nuda, di nuovo, davanti a me. Questa volta apro la patta e libero un cazzo nel pieno del suo vigore. E. geme. Mi aspetto che abbia voglia di avvicinare la sua bocca invece si guarda intorno, con uno slancio afferra il suo cappotto, depositato in precedenza su un tavolino portariviste. Stende il suo cappotto grigio per terra e ci si stende sopra. Ho capito. Mi spoglio completamente e freneticamente. Sono sopra E. ho voglia di lei, tanta, lei di me. Riprende la trama dei baci. Sento il suo corpo, lungo, liscio, caldo, il profumo dei suoi capelli mentre il mio viso affonda nel suo collo. Le lunghe gambe mi accolgono scostandosi un pò, voglio penetrarla. La punta del mio cazzo incontra il caldo umido della grandi labbra, spingo e scivolo in un paradiso languido, caldo, che mi avvolge. Gemiti, miei, suoi. “Mi piace il tuo profumo”, “si, è per te”. I nostri corpi si muovono ritmici uno verso l’altra. Non mi sfiora nemo l’idea che qualcuno possa entrare in stanza o bussare. Voglio solo possederla e la sto possedendo. E’ bellissima mentre mi prende sopra di sé cingendomi con le braccia. Sento un’onda di energia che sta partendo alla base del mio cazzo, sto per venire, non vorrei ma sento che non c’è altra possibilità. Tre o quattro colpi di reni decisi dentro di lei, il cazzo enorme e rigido è in preda all’onda calda che investe il mio corpo. Esco appena in tempo per guardare i fiotti bianchi che inondano l’ombelico, i nei e il piercing. Troppo, si forma un lago che tracima e un rivolo scende lungo il suo fianco a macchiarle il cappotto grigio.
I mesi successivi sarà argomento di risate, tra me e lei, quel cappotto finito il pulitura a secco il giorno seguente.
E. ed io avevamo fatto l’amore o avevamo fatto sesso o avevamo scopato, non saprei quale alternativa scegliere ma l’avevamo fatto. E’ stata la prima di tante volte: in macchina, a casa mia in pausa pranzo, in albergo a Milano in occasione di due convegni. Le era piaciuto tanto quando sveglio alle tre di notte, mentre lei era in pieno sonno, l’ho tratta a me prendendola per un braccio per poi abbassarle le mutandine e leccarla freneticamente.
Le piaceva molto farmi godere con la bocca e ingoiare fino all’ultima goccia. A giugno eravamo cosi confidenti che lo facevamo nel nostro studio, senza più preoccuparci che qualcuno bussasse: io seduto sulla sedia, lei sopra di me o in piedi contro il muro.
A giugno accade che E. comincia a volere di più, vederci di più, fare l’amore di più e meglio, lascia il suo ragazzo… confusione, 21 anni di differenza, desiderio, dubbio, casini, non so che fare, sale tensione tra di noi.
Il 9 luglio andiamo ad un convegno poco distante da dove lavoriamo. Un collega poco più giovane di me e sempre molto più vecchio di lei la nota, le strizza l’occhio, i giorni successivi la contatta su un social, lei risponde. La invita ad un aperitivo, lei mi racconta tutto, “sei libera, non mi devi rendere conto”. All’aperitivo segue una cena a casa di lui. Scopano. Se la cosa si fermasse li mi potrebbe anche andare bene. Non si ferma li, iniziano una relazione. Sto malissimo.
Lei non vuole troncare con me, ma ritiene che quella frequentazione le possa essere utile…, le dico di lasciar perdere la nostra di relazione, non posso darle quello che può darle l’altro. Accetta.
Mi chiede di prestarle dei libri che ho a casa mia, mi segue in pausa pranzo per venire a prenderli. Sono distrutto, le do i libri, beviamo una birra insieme, non la tocco. E’ il 20 luglio 2018. E. nel mio salotto si alza in piedi, appoggia il bicchiere sul tavolo, mi guarda, abbassa le spalline del vestitino estivo che indossa, rimane davanti a me in mutandine e reggiseno, erano colorati ma non ricordo più quale colore. Continua a guardarmi, credo di aver avuto un espressione inebetita. Si gira e inizia a salire le scale, vedo il suo bel culo che dondola mentre sale, ho un’erezione. La seguo. La trovo in camera stesa di traverso al letto matrimoniale con un’espressione fintamente indifferente. sono su di lei, brucio di voglia. La tempesto di baci, mi alzo per toglierle le mutandine, si toglie il reggi, prima che sia di nuovo su di lei me lo prende in bocca. E’ grosso, dritto. Si stende, la penetro, geme, urla, “chissà che i vicini non siano in casa” penso. Vengo tantissimo. Sarà l’ultima volta con lei.
Lo stage si chiuderà di li a poco, se ne andrà piangendo e con un braccialetto Pandora dono dei colleghi. Starà per altri 6 anni con quel collega, che mollerà in modo tempestoso nell’estate del 2024 mettendosi con un ragazzo della sua età.
Abbiamo continuato in quei 6 anni a sentirci per messaggio e a vederci di sfuggita per lavoro, ora lei è una collega a tutti gli effetti. Ogni tanto ci raccontavamo la voglia l’uno dell’altra. Chissà se lo rifaremo, forse meglio di no, ma forse chissà….
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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