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La fornaia


di -andreami-
26.07.2024    |    7.522    |    4 9.4
"Poi abbassa lentamente la mano con la lattina..."
Ebbene sì, dopo dodici anni lavoro sempre nel solito paese della bassa. Quello dove c’è il bar di Luisa per intenderci, un tabaccaio, una parrucchiera, un’edicola e un panificio. Gli ultimi due aperti solo la mattina. Uno di tutto insomma. Un paese dove in inverno c’è poca gente e in estate anche meno. Il paese dove Luisa mi deliziava dopo il lavoro. Ma che ora non frequento più. Ho messo su famiglia. Mi sono abituato a portare il pranzo da casa. Quando esco dal lavoro vado dritto a casa. Mi aspettano.
Ma il maiale mantovano che è in me si è solo impigrito. Non se ne è mai andato.
Hai fatto mente locale? Ora ti ricordi chi sono? Bene.
Da un paio d’anni, quando riesco ad arrivare un po’ in anticipo o in palese ritardo, mi fermo al panificio per comprare una brioche o un bombolone. Corro, vado in bici, nuoto, me lo posso permettere.
Oggi è uno di quei giorni. Ho portato i miei pargoli al centro estivo e ho fatto un po’ tardi. Posso fermarmi per i miei acquisti.
Parcheggio di fronte alla vetrina del panificio. Dentro scorgo la sagoma della fornaia. Ci conosciamo da un paio d’anni, professionalmente, e non ho idea di come si chiami. Forse Maria. Mi pare di avere colto il nome durante una conversazione con un’altra cliente. Ma non ne sono sicuro. Per lei io sono “il ragazzo che corre in pausa pranzo e che si può permettere le brioche”. Il ragazzo! Un paio d’anni di chiacchiere vuote, sguardi, tanti sguardi e sfioramenti di mani al momento di pagare. Tutto qui. Sono diventato bravo. Te l’ho detto. Sì, fantasie su di lei tante, ma appunto solo fantasie.
Fa già caldo nonostante non siano ancora le nove. Sarà una giornata impegnativa, sotto questo punto di vista.
Entro. Il locale però è vuoto. Sparita. Davanti a me il lungo bancone di plexiglass con il reparto dolci a sinistra e il salato a destra. Di fianco alla porta una scansia con farine, pasta, biscotti, latte, marmellate di varie marche, anche light. Ma chi mangia la marmellata light? Sulla parete in fondo un frigorifero propone diverse bevande fresche. Tempo pochi secondi e la porta che dà sul laboratorio si apre. Eccola. È la fornaia. Una bella donna sui cinquantacinque anni, forse di più. Abbronzata. Occhi azzurri. Capelli biondi, con qualche filo bianco, raccolti sotto la cuffietta d’ordinanza. Qualche piccola ruga intorno agli occhi e alla bocca. Quel tocco che a me fa impazzire, in una donna. Tette? Una terza, credo. Indossa il solito grembiule senza maniche, color nocciola con il logo del negozio. Da cui spuntano pantaloni di una leggera stoffa estiva a fiori.
“Ciao”
“Buongiorno”
“Cosa ti do, oggi?”
“Mmm, vediamo… brioche al cioccolato ce ne sono ancora?”
“Certo”
“Ok, allora una di quelle e un bombolone alla crema, grazie”
Mentre prepara il sacchettino estraggo il portafoglio.
“Ma vai a correre in pausa pranzo anche con questo caldo?” domanda.
“No, quest’anno ho deciso che sto calmo. Sarà la saggezza dettata dall’età che avanza”
“Ecco, bravo, non scherzare con il caldo”
Le famose chiacchiere vuote.
“Ecco il resto”
Allungo la mano per prendere le monetine e come tutte le volte noto la fede nuziale tenuta ferma da un altro anello. Eh sì, da qualche parte c’è un signor fornaio. Uomo fortunato. Credo.
“Grazie, buon giornata”
“Anche a te”
 
La mattinata in ufficio passa lenta. Tra una telefonata e l’altra. Una riunione e diverse ore al computer. Mi accorgo di non aver portato nulla per pranzo. Spero non sia un indizio di demenza senile, non a cinquant’anni perlomeno. Soluzioni. Macchinette in sala ristoro? Naaaa. Il bar di Luisa? Chiuso per ferie.
Magari faccio in tempo a passare al forno prima che chiuda. Un pezzo di focaccia e via.
Arrivo al parcheggio davanti al forno. L’aria è sempre più calda e afosa. La fornaia sta abbassando le veneziane. Sta chiudendo?
“Ferma” le faccio mentre scendo dalla macchina.
Mi guarda attraverso la porta spalancata.
“Faccio in tempo a chiederti un pezzo di focaccia o di pizza o quel che c’è?” chiedo avvicinandomi.
“Per questa volta” sorride e mi fa cenno di entrare tenendomi la porta aperta.
Entro. Chiude la porta a chiave e abbassa la veneziana.
“Sarebbe già ora di chiusura, se passa il vigile mi dà la multa se trova aperto”
Guardo il bancone di plexiglass. È tristemente vuoto.
“Non fare quella faccia. Vieni sul retro che vediamo cosa è rimasto”
La seguo attraverso la porta di servizio.
Su dei tavoloni d’acciaio ci sono vassoi con qualche pezzo di pizza e di focaccia. Sono salvo.
“Se vuoi puoi mangiare qui, mentre finisco di pulire il negozio” indicandomi uno sgabellino vicino al tavolo con su le pizze.
“Non vuoi pesare quello che scelgo, così poi te lo pago?”
“Ho già chiuso la cassa. Oggi offro io” e con la scopa in mano sparisce attraverso la porta.
“Grazie. Vedrò di sdebitarmi” le urlo da una stanza all’altra.
La vedo spazzare il pavimento della parte pubblica del negozio. Seguo i movimenti delle sue anche, mentre addento un pezzo di pizza margherita. Poi sparisce dalla mia vista a causa della forma a “L” del locale. Sento che parla piano al cellullare. Mi giro verso il tavolo davanti a me. Meglio dedicarsi alla pizza. Anche se mi accorgo di essere già piacevolmente eccitato. E i pantaloni leggeri che indosso non aiutano a nascondere la cosa. Con una mano mi sistemo il pisello, che ingrossandosi verso il basso mi dà fastidio.
Mentre finisco l’ultimo boccone, con la coda dell’occhio, mi accorgo della sagoma della fornaia sulla porta.
“Hai sete?” mi chiede.
Mi giro verso di lei. La guardo. In una mano la scopa e nell’altra una bibita in lattina.
“Volentieri” le rispondo. Ma lei non si muove. Continuo a guardarla. C’è qualcosa di diverso in lei, ma non capisco cosa. Appoggia la scopa alla parete. Poi abbassa lentamente la mano con la lattina. Seguo il movimento. Avvicina la lattina al bordo del grembiule.
Sono. Un. Pirla.
Non indossa più i pantaloni!
Alzo lo sguardo. Mi sorride. Mi si avvicina piano. I piedi nudi sul pavimento liscio del laboratorio.
“Guarda che mi sono accorta come mi squadri, quando vieni in negozio”
“Ah sì?”
“Eh sì”
Io resto fermo. Seduto sullo sgabello. Interdetto.
Lei in piedi davanti a me. Le gambe nude. Belle gambe nude. Le guardo. Guardo lei. Riguardo le gambe.
“Che belle gambe” mi viene fuori istintivamente.
Si mette a cavalcioni su di me. Appoggia la lattina sul tavolo. Alza un po’ il grembiule. Il suo pube coperto dalla leggera stoffa gialla di mutandine semi trasparenti all’altezza del mio viso. Più o meno. Non è depilata. Curata direi.
Si abbassa. Si siede sulle mie gambe.
Le sue braccia intorno alle mie spalle. Le mie mani sui suoi fianchi morbidi.
“Sbaglio o sei eccitato?”
Annuisco.
“Ti va di giocare?” mi chiede.
Annuisco.
Questa cosa non me l’aspettavo proprio.
Sento il calore della sua fica attraverso la poca stoffa che la divide dal mio uccello.
Il suo viso si avvicina al mio. Ci baciamo. Le lingue curiose.
Intanto lei inizia a strusciarsi lentamente avanti e indietro. Le mutandine contro la patta dei miei pantaloni. La sua fica eccitata contro il mio cazzo ormai turgido. Continua a muoversi sempre più veloce. Il bacio è appassionato, voglioso. Spinge il bacino contro il mio uccello. Se continua così mi vengo nelle mutande. Lunghi minuti di strusciamento. Finché stacca la bocca dalla mia. La tiene a pochi centimetri dalla mia. Aperta. Il suo respiro si fa affannoso. Mi accorgo che anche io respiro con il suo ritmo. Come per incitarla. Il suo pube si muove a ritmo veloce e costante contro il mio cazzo ormai durissimo.
“Fammi sentire come godi” le sussurro.
Le nostre bocche sempre a pochi centimetri di distanza.
Pochi colpi ancora. Il respiro sempre più veloce e affannoso. Viene. Gode. Si morde le labbra. Continua a strusciarsi avanti e indietro. Continua a godere. Mugugna e nel frattempo rallenta. Piano. Si ferma. La testa un po’ reclinata all’indietro.
Guardo verso il basso. I pantaloni bagnati dei suoi umori. Se fosse durato ancora un po’ sarei venuto sicuramente anche io.
Respira veloce. Raddrizza il collo. Deglutisce. Mi guarda. Prende la mia testa tra le mani. Mi dà un bacio casto sulle labbra.
“Grazie” sussurra.
“P-prego” mi esce.
Mi guarda fisso negli occhi.
“Ti è piaciuto?” chiede.
“Molto” fa una voce maschile alle mie spalle.
 
 
FINE…
 
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PS. Se non l'hai ancora fatto, vai a leggere i racconti "C'è una signora al bar", "Luisa" e "Carla". Tutti della saga "il paese nella bassa" :)
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