Scambio di Coppia
Il Circolo Dickpic (parte 1)
di EtairosEuforos
03.11.2024 |
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"Rimasi paralizzata dalla vergogna..."
Un piede in bocca, un pene nel culo, una lingua sbarazzina e serpeggiante nella vagina, tre mani sulle tette e una capretta che mi lecca le estremità.Nei miei disordinati vent’anni forse questa è la situazione più originale in cui mi sia mai trovata, anche se devo dire che mi viene difficile fare una classifica.
Dalla mia adolescenza in su ho collezionato almeno cinque traditori seriali, due narcisisti patologici, uno stalker che adesso sta scontando la sua pena ai domiciliari, una decina di bellocci sciapi, tre storie importanti. Non le conto le storie occasionali perché dovrei? Non sono un pallottoliere e ho solo cinque dita per arto. Ho esplorato la mia sessualità e ne sono piuttosto soddisfatta. Ora il sesso è un campo dove mi so muovere molto bene. Almeno quanto la filologia romanza (30 e lode, che soddisfazione).
Mi rendo conto oggi di non ricordare esattamente le circostanze in cui ho conosciuto Alessio. Mi pareva che fosse a un’apericena a casa di Michi, il classico preludio a quella che doveva diventare un’eterna serata di bagordi e sconcezze (ergo limonare un paio di sconosciuti in stato semiconfusionale dopo aver seccato un paio di bottiglie di sangria sottomarca). Lei, però, mi ha recentemente detto che, no, Alessio quella sera non c’era. E che forse invece aveva partecipato a una serata due giorni dopo. Giura che in casa sua Ale non aveva mai messo piede. Anche perché non appena l’ha fatto l’ha selvaggiamente pecorizzata. Ma questa è un’altra storia. Andiamo con ordine.
Anzi no, non so se poi l’ordine serva davvero, in questa folle vicenda. Alla fine se la ripenso dall’inizio alla fine vedo solo una sequenza di genitali che entrano in altri genitali. Scopate, sveltine, orge, sesso softcore, hardcore, bdsm, interracial, threesome, foursome, Gangbang e un'altra dozzina di categorie su Pornhub. Oltre a questo cosa c’era? Con Alessio c’era un’intesa sessuale che non ho più provato con nessun altro nella vita. Eravamo talmente in sintonia che a volte mi sentivo come se fossi con la versione maschile di me stessa, con la stessa voglia di sperimentare, gli stessi gusti, la stessa assenza di limite. Una complicità e una formidabile voglia di giocare. C’era tanta attrazione fisica: era un bellissimo ragazzo con quei folti riccioloni chiari, quegli occhi verdi, l’accenno di addominali e una nerchia grossa come una bomboletta spray. C’era una punta di amicizia, un certo senso dell’umorismo… Cos’ altro? Oggi non lo so più.
Non credo di poter dire di essere mai stata davvero innamorata di lui. Con il disincanto di oggi credo di poter raggiungere questa conclusione con serenità. L’infatuazione iniziale, l’eccitazione di una storia che comincia, un’attrazione fisica che rasentava il magnetismo, sono stati i legami che ci hanno incollati all’inizio, quando, come ogni volta, sembrava una favola. Una favola con meno romanticismo del solito, ma molto più a luci rosse. E poi una dotazione simile non l’avevo mai provata prima e fu la cosa più dura da lasciare dopo, quando mi fui abituata.
Non ricordo più le circostanze esatte, ma l’incontro non lo dimenticherò mai. Se ne stava un po’ dimesso, in un angolo, con il suo drink in mano e quel sorrisino stronzetto che era il suo marchio di fabbrica. Ricordo anche che notai subito quel maglione sfatto, troppo lungo, e jeans che dovevano avere già qualche anno. Un abito quotidiano, insomma, non certo da sera, più da hangover all’università, tipo quando ti svegli cinque minuti prima della lezione. Forse era venuto direttamente dall’aula studio. Forse aveva fatto merda la sera prima. In ogni caso, come è giusto che sia, fu l’unico sguardo di cui lo degnai all’inizio. Ci incrociammo poco dopo al bancone dei drink. Indietreggiando, gli diedi una gomitata e lui indossò mezzo bicchiere di mojito.
«Cazzo scusa» mi uscì d’istinto, prima ancora di capire chi fosse
«Nessun problema, mi sta d’incanto»
«Andiamo di là, gli diamo una sciacquata così…»
«Ma no, figurati metto poi a lavare tutto. Tranquilla, nessun problema. Poi tanto dopo passo a casa».
Con i miei cronici sensi di colpa sarei andata avanti tutta la sera a mortificarmi. Rimasi paralizzata dalla vergogna. Così ci pensò lui a sbloccarmi.
«Sei stata carina a preoccuparti, ecco un abbraccione»
E mi avvolse con quel disgustoso maglione fradicio di liquore.
Ebbi uno scatto orripilato, poi ci trovammo a ridere a lungo l’una tra le braccia dell’altro. Il mio sesto senso sentì qualcosa muoversi là sotto. Secondo me avrebbe voluto anche lui versarmi addosso qualcosa di appiccicoso. Non avevo ancora deciso se glielo avrei lasciato fare.
Trascorremmo insieme tutta la sera, anche dopo ci trovammo in un locale della zona. Verso l’una eravamo alticci tutti e due. Io decisi che ne avevo abbastanza, feci per andarmene. Lui mi accompagnò e sotto casa mia scattò un bacio rovente. Mi strinse a sé con forza e sentii come se la coda di un dragone si stesse muovendo. Lo guardai stupito.
«Sì, sono molto contento di averti conosciuto» fu la sua risposta a una domanda che non avevo mai posto.
Ora, non ho problemi ad ammetterlo, ero decisamente arrapata. Sarà stato il ciclo disordinato, ma da qualche giorno ero proprio su di giri. Non vedevo l’ora di divertirmi un po’ e la circostanza che molto probabilmente non avrei mai più rivisto quel ragazzo in vita mia mi fece perdere ogni freno inibitore. Per otto, roventi, lunghissime ore chiavammo con una ferocia inaudita. Infilai la lingua in ogni angolo esterno del corpo (e forse esplorai anche qualche centimetro dell’interno). Assaggiai ogni suo sapore, ogni suo odore. Bevvi avidamente il suo grasso sperma caldo quando mi esplose in faccia dopo uno dei pompini più impegnativi che avessi mai affrontato. Impazzii quando mi afferrò alla gola, mi baciò profondamente e poi lasciò stillare due perle di saliva nella mia bocca. Ero completamente in suo potere quando finalmente, mi penetrò con un colpo di reni. Fu uno shock, Quando sentii quel grosso, morbido, caldo cilindro divaricarmi la vulva capii come doveva sentirsi una bottiglia di champagne quando viene tappata.
Faticai ad abituarmi a quella misura. La prima reazione istintiva fu guaire di dolore e tentare di sottrarmi, ma era impossibile con tutto quel peso sopra. Mi sentii liquefare, colare intorno a quel caldo, durissimo pezzo di carne bollente, guizzante, che mi affondò dentro i visceri senza alcuna pietà, stazionando poi qualche secondo immobile, come per darmi il tempo di afferrarlo, di abituarmi.
«Tutto bene?» mi sussurrò all’orecchio con un ghigno.
Io avevo le dita dei piedi talmente contratte che rischiai di rompermele.
«Sì… più o meno».
Poi iniziò lentamente a muoversi. Ed ogni affondo era una fitta di piacere quasi insopportabile. Non riuscivo a respirare, avevo come il diaframma bloccato. Ogni volta che espiravo mi scappava un gemito forte e secco. Mi sarei preoccupata di cosa avrebbero potuto pensare i vicini, se ne fossi stata in grado. Aumentò il ritmo, ed ebbi un orgasmo che mi scosse fino alla punta dei capelli. Lui non si fermò, anzi mi sollevò una gamba, si mise il mio alluce in bocca, mentre continuava a muovere il bacino avanti e indietro. Io ormai sentivo solo un lago rovente scivolarmi dalle labbra completamente spalancate ad inghiottire quel gigantesco fallo. Per la seconda volta avvertii arrivare lo tsunami dell’orgasmo e pensavo che mi avrebbe sommerso, che mi avrebbe spaccato il cuore in due. Dopo, ero quasi incosciente, non ero in grado di formulare un pensiero. Ero puro corpo, solo un mix di sensazioni fisiche che mi monopolizzavano il cervello. Come gli animali ero consapevole solo del qui e ora. Venni una terza volta e mi abbandonai definitivamente. Poi lui estrasse il cazzo con un grugnito ed eruttò tutt’intorno un torrenziale schizzo di seme che mi atterrò sul ventre, sul capezzolo, sulla spalla. Crollò a terra, ansimante.
Rimasi lì immobile, sentendomi addosso tutto lo sporco del mondo. La vagina era ancora semiaperta, pulsante, grondante umori, saliva, seme.
***
«Non riesco più a svegliarmi stamattina».
«Io non riesco a stare seduta».
«DAAAAI».
Alice ridacchiò, arrossendo appena, guardandosi intorno con circospezione. Il bar era ancora poco frequentato, cominciava ad entrare qualche terzetto di studenti che si distribuivano tra i tavoli.
«Pensavo che avresti aspettato stasera per il resoconto dettagliato».
«Beh intanto ti dovevo pur comunicare il motivo per cui oggi non mi farò sei ore di lezione in aula magna».
«Ci avete dato così secco?».
«Beh lui non è il principe di Galles. Poi è un po’ oversize, come dire…».
«Ah! Abbiamo fatto bingo».
«Ci siamo divertiti, ma non credo che lo rivedrò più. Anche perché non mi sembrava così interessante come tipo. Sì, un belloccio…»
«Belloccio con il cazzo lungo».
«Nemmeno troppo lungo. Sicuramente con il cazzo grosso».
«Ah, precisazione interessante».
«E tu? Con Manuel».
«Chiudo. Mi sono rotta i coglioni. È noioso. Carino, gentile però pensa solo al calcio, alla discoteca e alla chiesa. E a letto non ci sa per niente fare. Qualcosa ha, non è malmesso come Massimo, però veramente, un inabile. L’altro giorno è stato tre quarti d’ora a leccarmi il bordo della figa perché cercava la clitoride».
«Va beh ma aiutalo a trovarla».
«Quello dovrebbe andare ad anatomia 1, altro che. No, no, c’è di meglio in giro, lascia perdere».
Cara, dolce Alice. La conoscevo dalle Elementari e non era cambiata di una virgola. Con lei mi sentivo al sicuro con una sorella. Eppure eravamo così diverse. Io chiara, bionda di capelli e con gli occhi azzurri, lei, capelli neri, occhi marroni inquadrati da una montatura rettangolare scura. La mia bianchissima carnagione spiccava ancora di più davanti alla sua tinta olivastra, retaggio di qualche antenato meridionale. E poi io avevo il classico seno da coppa di champagne, mentre lei aveva due seni prorompenti e curve pronunciatissime. Io ero sempre stata più anarchica, più attratta da ragazzi ribelli e trasgressivi, cosa che mi aveva procurato una bella dose di guai. Lei, sempre in cerca del principe azzurro, ogni volta impalmava lo studioso, il bravo ragazzo, il noioso rampollo di buona famiglia. Ed era esigentissima e pignola.
Il telefono sul tavolo iniziò a vibrare, ci misi qualche secondo a capire che era il mio.
«Oddio».
«Brutte notizie?»
«Non saprei…. È lui. Ma come ha fatto a….»
«Dai! Intraprendente il ragazzo».
«Un po’ da stalker eh… Non era esattamente quello che avevo in mente».
«Che dice?»
«L’unica cosa riferibile in pubblico è che vorrebbe rivedermi questa sera».
«Dai! Hai fatto colpo».
«Se lo rivedo stasera domani avrò bisogno di una sedia a rotelle. Ho bisogno di un giorno per riprendermi. Oggi non se ne parla».
Naturalmente quella sera stessa ero a casa sua, per altre nove ore di sesso rovente, sfrenato, assolutamente disinibito.
Nei giorni successivi abbiamo scopato su ogni singolo mobile di casa sua, credo che non abbiamo trascurato nulla. Dimenticai l’università, mia madre dopo due giorni mi telefonò per sapere se ero ancora a questo mondo perché non avevo dato più segni di vita. Per tre o quattro giorni i miei vestiti non seppi più dove fossero. Giravamo nudi, tra una copula e l’altra, uscendo dalla camera solo per prendere qualche genere di conforto, birra e un po’ di cibo. Non aveva coinquilini e quel bilocale era tutto a sua disposizione, con un cassettone pieno zeppo di sex toys. Quel posto era la cosa più vicina a un luna park che avessi mai frequentato.
Dopo quattro giorni di esplorazione delle rispettive cavità, uscimmo finalmente per un aperitivo. Ci rassettammo sommariamente con una doccia, per tornare a un aspetto presentabile. Fu così che Alessio incontrò Alice per la prima volta.
Ovviamente in tarda serata ci fu occasione per uno scambio di messaggi.
«Dai, sembra un tipo carino e divertente! Io non mi lamenterei. Che culo sono contenta per te. E si vede che è uno che trasuda sensualità».
«Sì devo ammettere che è andato oltre ogni mia aspettativa»
«Ma quindi? State insieme? Ne avete parlato?»
«Proprio no, vorrei andare decisamente con calma. Ma perché domani sera non vieni a cena da me? Così mi racconti l’uscita con Marco»
«C’è poco da raccontare».
***
Una pasta con il tonno, classico piatto universitario, e una damigiana di rosso del discount. Bastava questo per una di quelle informali serate in cui si sarebbe tirato tardi a chiacchierare e dire cazzate. Non mi aspettavo però che la cosa avrebbe preso una piega decisamente particolare.
Eravamo ormai piuttosto disinibiti io e Alessio. Passandomi dietro ci scappò qualche pacca sul culo, qualche presa piuttosto profonda sul mio fondoschiena. Qualche bacio più torrido. Alice non era la tipa da scandalizzarsi o da formalizzarli. Certo però che al quarto limone profondo iniziò a dimostrare qualche segno di irrequietezza sulla sedia, e, a dirla tutta, anch’io iniziai a sentirmi un po’ in imbarazzo.
«Ahahah, dai Ale, tieni a freno i bollenti spirit…»
Ma non ci fu verso di fermarlo. Ogni tanto, alla prima occasione, mi staccava un limone rovente, un morso ai capezzoli. Finché mi succhiò la lingua fuori dalla bocca. Completamente fuori controllo mi torse la maglietta e si attaccò ai miei capezzoli.
Cercai di divincolarmi, ma lui mi sollevò, appoggiandomi al tavolo e iniziò a baciarmi selvaggiamente.
Alice sentendosi decisamente di troppo si alzò e disse: «Va beh, ci vediamo, eh…» prese il cappotto ed uscì dalla porta. Da quel momento in poi persi la cognizione di quello che mi accadeva intorno.
Il giorno dopo, vergognandomi a morte, le scrissi per scusarmi.
«Cazzo Ale – sbottai fuori di me – sei veramente un coglione. Povera Ali, si sarà sentita tremendamente imbarazzata»
«Ti preoccupi troppo – replicò il lestofante –, secondo me si è pure divertita».
«Ma piantala! Figurati, a volte mi dà fastidio quando la gente si bacia in pubblico troppo ostentatamente. Tu mi hai praticamente scopato davanti a lei».
«Lascia fare, tu eri troppo occupata per accorgerti di come ci guardava».
Dopo qualche giorno ci rivedemmo, qualche frecciatina ci fu, era inevitabile, ma riprendemmo la solita quotidianità. Poi ci fu un altro invito a cena. Volevo farmi perdonare, temevo che però non sarebbe venuta. Accettò invece. Mi raccomandai con Ale.
Fu tutto inutile.
Poco dopo il caffè quello sciroccato ricominciò con le sue zozze avances. Io la presi inizialmente sullo scherzo, cercai di divincolarmi, ma lui mi prese alla gola, mi baciò profondamente, poi sostanzialmente mi strappò la maglietta di dosso. Era troppo forte, troppo grosso, tentai di spostarlo ma era impossibile. Nuovamente vidi Alice con la coda dell’occhio che iniziava a muovere le gambe, guardava il cellulare, si sistemava continuamente i capelli, arrossendo visibilmente. La lotta con Ale andò avanti ancora qualche minuto, lui riuscì a privarmi delle mutandine, stava per penetrarmi, ma per farlo dovette mettersi in una posizione più precaria, così riuscii a spingerlo via. Mi voltai: «Cazzo Ali scusami, è proprio una testa di cazzo, non vol…».
Alice era sulla sedia, le cosce divaricate, entrambi i piedi sul tavolo.
Si stava sgrillettando ferocemente.
Restai pietrificata e non vidi arrivare Ale, che mi prese di peso, mi conficcò sul divano e iniziò a scoparmi con una violenza inaudita. Mi assestò due ceffoni sonori sul culo, sputò sulla sua mano e mi infilò due dita nello sfintere, poi quel suo uccello che più mi penetrava più sentivo enorme, violò anche quel pertugio senza alcuna pietà. Poi non ricordo, non riesco a ricostruire niente, persi completamente il controllo. Ricordò che nel girarmi per mettermi il pene in gola, intravidi ancora Alice, che si stava penetrando con una bottiglia di Moretti vuota.
***
«Ali cazzo però…»
Mi guardai intorno circospetta nel bar, ancora semi deserto. Avevo occhiaie profonde come la fossa delle Marianne. Davanti a me, Alice arrossì leggermente e ridacchiò.
«Eh beh, cosa ti devo dire? Ti ho invidiato parecchio»
«Ali, non ti facevo una fan di un certo tipo di sesso»
«Beh, ognuno ha le sue fantasie no? Non ti ho mica mai giudicato con quella tua ossessione di farti un prete»
«Sì ma non… Oh Alice»
«Si vede che è proprio un bel maschione. Sei fortunata, uno così me lo sposerei domani mattina. Dai devo andare che comincia la lezione, grazie per la cena e il bello spettacolo»
Mi lasciò li, ancora un po’ inebetita, con il mio te davanti da finire.
«Cosa ti avevo detto io?»
«Sì, ma è Alice. Alice! Quella che al liceo quando parlavi di sesso arrossiva e cambiava discorso. È sempre uscita con i più perfettini dell’Istituto. Adesso scopro che sognava di essere sbattuta al muro e penetrata selvaggiamente…»
«E magari anche legata e frustata, perché no»
«Eh certo»
«Invitala a cena domani sera, vedrai che ci divertiremo»
«Non penserai mica di….»
«Oh adesso non fare tu la monaca di Monza. È la tua migliore amica no?»
«Appunto, mi sembra una cosa che complicherebbe un po’ i nostri rapporti»
«Magari li faciliterebbe, che ne sai»
«Sei pazzo»
«Tu invitala, poi scommetto una pizza sull’esito della serata».
Alla fine la invitai, perché la cosa mi intrigava anche se non l’avrei mai confessato neanche sotto tortura. Non avevo mai avuto l’occasione di un trio, soprattutto con un’altra donna. Non avevo mai avuto nemmeno esperienze lesbo, ma ogni tanto, nel guardare i corpi delle altre donne, qualche brivido e qualche turbamento dovevo ammettere a me stessa di averlo provato. Ero curiosa io per prima di quello che sarebbe potuto accadere.
Per essere molto breve, Alessio vinse alla grande quella scommessa.
Dopo cena, fomentati da qualche bicchiere di troppo bevuto accuratamente, ci furono dei toccamenti, dei baci dei morbidi preliminari. Ma cavallerescamente lasciai il primo giro ad Alice.
Mi feci indietro, sul divano e lo provocai: «Fammi vedere cosa sai fare». Mentre lui le sfilava le mutande e la baciava profondamente, sdraiandola a gambe aperte sul letto, mi soffermai sulle parti intime della mia migliore amica. Alice aveva una vulva piccola e tonda, sembrava una boccuccia pronta a schioccare un bacio. Faceva venire voglia di avvicinare le labbra, di assaggiarla, leccarla. Quando l’intero pene di ale sprofondò dentro di lei, lui sollevò le sue gambe appoggiandosele alle spalle, e io mi soffermai sui piedi di Alice. Sembravano così morbidi. Indugiai con gli occhi sulle curve dei suoi archi, su come dal tallone scivolavano in basso per risalire verso le dita. Il morbido rossore della pianta contro la pelle pallida, le dita che si aprivano e si contraevano, in preda alle ondate di piacere, prima della mareggiata dell’orgasmo. Mi alzai e mi avvicinai. Metà del suo corpo giaceva supino, scosso da tremori e dai colpi di bacino di Ale. Mi avvicinai ai suoi occhi imploranti e alle sue labbra roride e mi lasciai andare ad un torrido bacio. Fu il preludio a una notte rovente, al termine della quale il suo corpo, per me non ebbe più alcun segreto.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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