Prime Esperienze
Quando ho scopato una vietnamita
di Alceste
19.06.2016 |
18.324 |
4
"Guidavo una Punto bordeaux mezza scassata..."
Ero giovanissimo, facevo il Servizio Civile in comune, mi avevano mandato a volantinare uno spettacolo e dovevo coprire tutto il comune, peraltro abbastanza esteso. Guidavo una Punto bordeaux mezza scassata. Avevo previsto di iniziare da una stazione di servizio, posta fuori dall’abitato. Quella è veramente terra di nessuno, non si capisce bene nemmeno se è dentro il territorio comunale. La terra lì è gaiosa, polverosa, la vegetazione rada. Sembra proprio un posto uscito dai documentari di Overland, pampa argentina o Mongolia (deserto del Gobi).Arrivo a questa stazione di servizio, parcheggio la Punto e scendo con il mio elenco di esercizi commerciali dove avrei dovuto volantinare e con una camicia blu veramente orrenda ed eccentrica che avevo comprato dai cinesi. Io, magrissimo, coi capelli lunghi svolazzanti al vento e lo sguardo rapace.
Mi si fa incontro una ragazzina (così pareva, ma era più vecchia di me), con cappello da cow-boy di cuoio e stivali. Asiatica. Sorridente. Una presenza insperata che mi colpì e avrebbe colpito tutti voi che leggete (anche femmine), ve lo garantisco. I suoi stivali alzavano sabbia, mossa dal vento.
“Sono finito in un cazzo di film western!”, pensai.
Le dissi che cercavo il titolare e lei, con un italiano ovviamente asiaticizzato che non riproporrò per non farla sembrare una macchietta da commediola adolescenziale, mi disse che non c’era. Dissi che i volantini li consegnavo al bar. Poi, incamminandomi, le dissi «Bello il cappello».
E lei: «Solo il cappello?». Sorridendo con quell’espressione dolcissima che solo le asiatiche.
Non me l’aspettavo. Probabilmente arrossii o feci una faccia da cazzone, perché lei si mise a ridere. Biascicai «No no, anche te, soprattutto te». Lei, seguitando a ridere, disse «Scherzavo».
Quando uscii dal bar mi si fece incontro e mi salutò. Le chiesi se fosse filippina, e lei disse delusa «Noooo! Thailandia!». Poi mi spiegò che era nera in faccia per via del sole, ma le mani e le braccia erano bianche. Io guardai e, con la sincerità e quella dose di ignoranza e spontaneità che mi contraddistingue, dissi «Più o meno». Lei si rattristò un poco, ma poi tornò dolcissima. Evidentemente gli asiatici stimano molto la pelle bianca e considerano feccia i filippini.
Io tornai a volantinare e la sera pensai a questa ragazza, chi fosse e perché mi aveva dato queste attenzioni, in un periodo della mia vita dove non ricevevo mai attenzioni e non ero molto sicuro delle mie potenzialità. Dedussi che era solita fare così perché probabilmente clandestina, quindi sottopagata e abituata a fare marchette ai camionisti che passavano in quel posto di frontiera.
Il giorno dopo andai di nuovo alla stazione di servizio, sempre con la Punto del comune, nonostante avessi già volantinato quella zona; temo che potrei essere pure denunciato per aver fatto 3 km inutilmente con la vettura di servizio. Parcheggiai e lei non mi sorrise. Disse che il capo non c’era. Io dissi che non faceva niente e se potevo parcheggiare lì che dovevo entrare al bar. Lei scrollò le spalle. Io, umiliato da quel suo menefreghismo tanto distante dal calore del giorno prima, feci pure spegnere la macchina, perché mollai la frizione mentre avevo ingranato la prima. Scesi tutto curvo e mi sentii stupidissimo e goffissimo. Lei attraversò la strada. Io pensai “Fanculo”, e le dissi di getto: «Un giorno vengo con la macchina fotografica e faccio una foto al cappello!». Lei rimase basita, poi si illuminò in un sorriso e disse scherzando «10 euro!».
Entrai al bar, comprai delle chewingum a caso, 1 €, e uscii. Gliene offrii una, ma lei disse di no col capo e aprì la bocca, tirando fuori la lingua, facendomi vedere che ne aveva una. Troppo dolce questo atteggiamento.
A casa pensai a lei. Avevo il pallino delle asiatiche, non perché mi piacessero più delle altre (a me piacciono tutte le donne, di tutte le razze e di tutte le età legali), ma perché volevo togliermi la curiosità. Così presi la questione di petto, una domenica spolverai la bicicletta e andai là. “Se non c’è avrò fatto comunque una bella girata!”. E invece c’era.
Dapprincipio non mi riconobbe, poi quando le dissi «Ho portato la macchina fotografica» si illuminò in viso. Allora mi porse il suo cappello, ma io dissi «No! Voglio fare la foto con te!!». Lei si imbarazzò un poco, ma me la concesse. Poi sghignazzò e disse «10 euro!». Mi ero preparato la risposta: «No 10 euro, ma un gelato! Quando vieni?». E così la invitai fuori, questa clandestina asiatica di 35 anni e con una figlia in Thailandia. Ne aveva 35, vero, ma ne dimostrava meno di me, che ero davvero giovane.
Fu così: prendemmo il gelato nell’unico pomeriggio libero che aveva, camminammo, la accompagnai a casa (un container nei pressi della stazione di servizio), mi offrì il tè, mi fece sedere sul suo letto e lei di fianco, dato che di sedie non ce n’erano, e poi aspettò. Aspettava una mia mossa, ma io ero inesperiente e davvero sensibile come solo i ragazzi bruttini sanno essere. Mi aveva raccontato la sua storia triste e mi sembrava di approfittare di lei. Eppure lei voleva. Allora le dissi, tutto rosso in faccia, che mi piaceva. Lei sorrise dolcemente e mi disse «He he, sei carino!». Quindi prese la mia mano e la appoggiò dolcemente al suo cuore. La baciai.
Non ricordo bene ciò che successe subito dopo; quando ripresi coscienza stavamo rotolandoci nel letto limonando duro, mentre lei si strappava di dosso i vestiti. Il corpo era davvero chiaro, e stonava con la faccia bruna. Però era troppo sexy, troppo bella con quelle tettine sode con i bottoncini dei capezzoli piccoli e duri. Mi marcò il collo con i suoi denti bianchi e io mi divertii a sfregarle il mio nasone sul suo nasino. Mi spingeva la sua figa al cazzo. Poi disse «Entra! Entra!!». Ma non avevo il goldone! Dissi «Aspetta!» e mi chinai a cercare i jeans. Lei si spazientiva, dicendo «Dai dai!!» con quella sua vocetta da nana assassina, e io ero in confusione perché non trovavo il portafoglio e perché avevo la paranoia che m’avrebbe cacciato via.
Alle tante lo trovai. Lei me lo infilò nervosamente. Poi iniziai a stantuffarla mentre mugulava con una voce sexy che non ho mai sentito in nessun’altra. Mi cingeva il bacino con le gambe. Seguiva i miei movimenti. Questa era proprio una professionista del sesso. A un certo punto chiesi tregua: non volevo venire in fretta.
Lei, impeccabile, mi mise quindi i piedi (numero 35) in faccia. Io che feticista dei piedi non sono, non feci una grinza, e glieli leccai da fare invidia a un qualunque schiavo panzuto segomane. Puzzavano un po’, lo ammetto, ma d’altronde questa cosa non mi disturbò. Poi la scopai a missionario, quindi da dietro, tenendole ferma la testa con una mano. Dopo non moltissimi minuti venni nel goldone. Lei me lo sfilò e si bevve lo sperma. Solo un’altra donna nella mia vita ha fatto questa cosa, ed è la donna che più ho amato.
Poi mi chiese soldi. Da un lato me l’aspettavo, dall’altro no. Io, complice anche la depressione post-coito, reagii male, le dissi di no, e lei mi tirò addosso i miei vestiti e mi cacciò dalla baracca mezzo nudo.
Non ho più parlato con lei e l’ho rivista qualche volta di sfuggita. Spesso, quando torno al mio paese e ho momenti di sconforto, penso a tornarci a pagamento. Ma io sono contrario al sesso a pagamento. Lei mi chiese 25 € e secondo me una scopata con lei ne vale anche 100, considerando che ci sono delle albanesi tamarre e delle rumene frigide che sulla statale ne chiedono 50 per una cosa triste, veloce e vuota, ma non è questo il punto. Io forse mi ero illuso di avere una relazione con lei.
Dolce, tenero ragazzo. Non conoscevo le donne.
Disclaimer! Tutti i diritti riservati all'autore del racconto - Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell'autore.
Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.