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Magistra (Quando il cuore è infranto)


di cpelcabo
01.01.2012    |    20.547    |    9 9.8
"A metà pomeriggio avevo la figa in fiamme ed ero spossata..."
Aggiustiamo il genere .....e il titolo

ANNAMARIA
L’autobus è pieno, come al solito, a questa ora del mattino. Sono riuscita a trovare un posto a sedere solo perché una ragazza si è alzata proprio davanti a me. Ho dormito poco e comunque non mi sono mai sentita meglio.
Sandra si è accanita sin quasi all’alba e ho la sensazione di avere ancora le sue mani su di me.
Oggi a scuola cercherò di riposarmi: una traduzione di Tacito li impegnerà per il tempo sufficiente a riprendermi. E’ da molto che non mi sentivo così: stanca ma appagata. Non avrei mai pensato che a trentacinque anni una donna sarebbe riuscita a farmi fare quello che Sandra ha preteso e ottenuto da me.
Ho sposato un uomo quindici anni fa: l’ho lasciato senza rimpianti dopo tre anni e dopo essermi laureata ed aver sopportato la solita trafila che attende tutti gli insegnanti in Italia, sono riuscita ad ottenere il passaggio di ruolo l’anno scorso.
La vita a Bologna è molto più cara che a Terni e dopo i primi tre mesi presso una conoscente ho cercato un alloggio dignitoso. Le agenzie sanno che i prezzi proposti sono inaccessibili ai più, ma lavorando a percentuale non hanno nessun interesse a calmierarli; non trovai niente che facesse al caso mio.
Una collega mi suggerì di chiedere ai bidelli; loro sanno sempre tutto. Una di queste mi informò che nel palazzo a fianco il suo aveva visto un cartello con un’offerta di posto letto.
Si trattava di un appartamento di circa cento metri che Sandra aveva affittato: cercava qualcuno con cui dividere l’affitto e le spese.
A conti fatti avrei speso meno della metà di quanto previsto.
Non persi tempo e mi trasferii nella nuova casa in un batter d’occhio. Le “mie cose” si riducevano a qualche libro, uno stereo nuovo, il computer e qualche vestito: la cassapanca con i ricordi della vita coniugale, i vestiti invernali, le scarpe, li avevo lasciati in un deposito. Dopo alcuni giorni mi seguirono.
Gli accordi con Sandra prevedevano: camera da letto, bagno annesso, stanzino (senza finestra) uso studio, sala e cucina in comune.
A lei sarebbe rimasta l’altra stanza da letto con l’altro bagno, la stanza chiamata pomposamente dal proprietario ”biblioteca” e l’uso in comune di sala e cucina. Cominciammo con un accordo sulla spesa quasi perfetto.
Si comperava e si divideva equamente. All’inizio di questo anno scolastico ero ormai tranquilla.

Mi sono lasciata alle spalle un brutto periodo. Quando mi sono sposata, purtroppo assai giovane, non potevo immaginare che mi sarei legata ad un violento e per di più dedito a Bacco.
Preso atto che ero stata una stupida ho provveduto a rendermi autonoma. Avevo iniziato l’Università. La finii, e per questo dovrò sempre ringraziare mio padre, che mi aveva sempre spronato a riprendere. Quando a settembre cominciai la scuola mi sembrò di iniziare una nuova vita. Era vero.

Questa notte abbiamo festeggiato nove mesi di subaffitto insieme e sei mesi di sesso sfrenato con tanto di bevuta e mangiata. Ormai la primitiva divisione delle stanze non ha più senso, poiché la pudibonda divorziata ha scoperto le gioie dell’amore con una donna. Se qualcuno me lo avesse predetto gli avrei riso in faccia. Ho detto gioie dell’amore e devo dire che Sandra con me è stata molto sincera e non ha mai pronunciato quella parola.
Ho passato i primi tre mesi di convivenza con Sandra abbastanza banalmente. Lavoro, spesa, correzione dei compiti, TV, dormire, lavoro ecc.

Avevo notato che certe volte Sandra si chiudeva a chiave in camera, e ne usciva dopo un po’ abbastanza stravolta. La curiosità era forte, ma le convenzioni mi impedivano di essere indiscreta. Non sapevo se avesse qualcuno, ma un paio di volte avevo visto che era in camera e solo a tarda notte ne era uscita in compagnia. Successivamente mi confessò che erano ragazze rimorchiate in locali e solo divertimenti di una notte; io invece pensavo a qualche baldo giovane.
Tutto precipitò una sera che entrai banalmente in camera sua e la trovai sul letto, scosciata e con un cazzo di plastica nella passera. Ci stava dando dentro come una matta, a occhi chiusi, e non si era nemmeno accorta della mia presenza.

Richiusi pianino la porta e cominciai ad apparecchiare la tavola, facendo rumore con piatti e stoviglie. Dopo poco la vidi entrare, scarmigliata e con gli occhi lucidi. Mi era chiaro che aveva appena finito di godere. Non avevo mai visto da vicino un dildo, ma avevo pensato di comprarne uno. La vergogna di entrare in un sexy shop era però stata più forte di me. Quando avevo bisogno di sfogarmi adoperavo il fedele dito e quelle volte che avevo voglia di qualcosa… di più grosso adoperavo la fantasia: avevo trovato che andavano bene sia le famose banane, sia i cetrioli, le zucchine, che però avevano l’abitudine di rompersi, le carote e una volta volli sperimentare anche un surrogato delle palline dell’amore (due ravanelli dentro un preservativo).

La mia vita sessuale negli ultimi anni si era ridotta a questo.
Di uomini attorno non ne voglio e quando cominciano a rompere provvedo a farli fuggire: poiché sono abbastanza carina (circa un metro e settantacinque, sessanta chili, piccolo sederino da ragazzino e un seno anche troppo evidente per la mia stazza) ho tentato, per anni, dopo il divorzio, di essere il meno possibile appariscente.

Purtroppo il trucco dura poco e spesso ho dovuto rispondere a muso duro a qualche collega intraprendente.

Due giorni dopo Sara mi disse che si sarebbe dovuta recare tutto il giorno a Imola per tenere un breve corso pratico a delle neodiplomate su come far nascere bimbi podalici. Si era presentato un caso all’Ospedale di Imola e sarebbe restata lì tutto il giorno: era uscita da un quarto d’ora ed io ero già in camera sua.

Lo so che è scorretto, maleducato e sconveniente, ma volevo provare quel cazzo di plastica anche se non mio. Cercai brevemente nel comodino, niente, comò, niente: ragionai un attimo e lo trovai: banale, sotto il cuscino.
Nel posto più comodo.
Lo presi in mano e lo guardai per bene. Non conoscevo le misure standard, ma questo mi sembrava un po’ maxi.
Venato, cappella a punta, anziché arrotondata. Trovai il bottone di accensione. Sobbalzai. Non credevo che avrebbe ballato così tanto.
Presi una rapida decisione.
Telefonai a scuola e mi dichiarai malata, col ponte dell’otto Dicembre sarei restata a casa per quattro giorni.
Presi il dildo, andai in cucina e ci versai sopra un goccio d’olio, lo unsi per bene e lo riaccesi mentre entravo in camera.
Passai la mattina ad infilarmelo e a goderci insieme: la vibrazione mi faceva morire (mancava ai tuberi).
A mezzogiorno aprii le finestre della camera (c’era un tanfo di figa goduta da convertire un finocchio), mi portai il dildo in cucina, sul tavolo, e ci feci conversazione mentre preparavo da mangiare.
Quando fu tutto pronto me lo rimisi, senza accenderlo e mangiai così, a gambe incrociate e con il sugo della passera che colava sulla seggiola. Pulii tutto alla perfezione, e ritornai in camera col mio fido, per la sessione pomeridiana.
A metà pomeriggio avevo la figa in fiamme ed ero spossata. Rimisi a posto il dildo e mi misi a correggere i compiti.
Sandra rientrò a tarda sera, tutta giuliva e felice; chissà perché.
La lezione era stata sufficientemente esplicativa e tutto era filato liscio.
Dopo poco la vidi tornare in tuta da casa: le è sempre piaciuto stare comoda, come me d’altronde.
Avevo previsto che sarebbe tornata stanca e poiché quando a scuola dovevo sopportare le riunioni d’istituto o le interclassi lei era sempre molto gentile facendomi trovare tutto pronto, avevo deciso di sdebitarmi.
Farfalle speck e rucola, nodino di vitello con carciofini ed asparagi, vinello fresco, pane caldo, ananas e panna. L’avevo stupita. Lo so che come cuoca sono mediocre, ma questo è un menù che riesco a preparare.
Goccetto finale di vodka e alla fine eravamo sufficientemente brille da non avere voglia di sparecchiare.

Chiacchiere, risate, Sandra mima lo svenimento di una delle aspiranti infermiere alla vista del sangue, io racconto le mie gesta per tagliare i carciofini a metà senza aspettarne lo scongelamento (provateci); erano già le dieci, il tavolo un disastro e le chiedo se ha intenzione di uscire.
E’ troppo stanca e quasi ubriaca, ridacchiamo ancora e stancamente ci alziamo per sparecchiare. Sto finendo di correggere i compiti quando lei esce dal bagno in accappatoio e strofinandosi i capelli.
:- Lavori sempre? –
:- Voglio finire stasera per avere il week-end libero- Replico.
Accende il phon e comincia ad asciugarsi. La occhieggio di nascosto: tutte le donne lo fanno per confrontarsi.
Devo dire che le mie tette sono meglio, ma lei è più alta e ha cosce sode e muscolose, non so come faccia, non l’ho mai vista fare sport.
Ho finito, raccolgo i fogli e li metto via. Ora la doccia è mia. Comincio a spogliarmi, entro in bagno e apprezzo il calduccio lasciato da Sandra: preferisco sempre fare la doccia per seconda proprio per questo. Sono freddolosa.
L’acqua è rilassante, rigenerante, uso la cipolla per dare sollievo alle mucose infiammate della passera. L’azione dell’acqua mi fa cadere in deliquio, brividoni corrono lungo la schiena, ma decido saggiamente di soprassedere. Infilo l’accappatoio e comincio ad asciugarmi i capelli.
Vedo nello specchio Sandra seduta sul divano: si sta dipingendo le unghie dei piedi e l’accappatoio si apre lasciandole scoperto il ventre. Il suo pelo nero è solcato nel mezzo dal rosa delle labbra che sporgono leggermente.
Questa immagine è impressa nella mia mente molto chiaramente e spesso mi chiedo se non sia stata proprio lei a condizionarmi.
Esco dal bagno così come sono e mi avvicino, indifferente, a lei chiedendole banalmente un balsamo per la pelle.
Non finge neppure di coprirsi, mi guarda di sotto in su e mi sorprende.
Allunga la mano, veloce, troppo veloce e prima che faccia in tempo a spostarmi la infila tra le gambe afferrandomi il pelo a piene mani.
–Per lei?- chiede.
Cerco di scostarmi ma la sua presa è salda.
Si alza, mi tira, mi fa male, cerco di opporre una parvenza di resistenza.
La sua bocca è sulla mia.
Mi lascia il pelo, mi artiglia la nuca e la sua lingua mi violenta le labbra.
Non voglio raccontare cazzate ma probabilmente il mio inconscio aspettava solo questo.
Pochi secondi e siamo avvinghiate, le mani sui seni, lingua su lingua, le gambe incrociate, i ventri avvinti; sento sulla coscia il fresco del suo pelo, ancora bagnato.
Una sua mano mi artiglia un gluteo. Ci stacchiamo e guardiamo negli occhi.
Mi mormora :- Sei bellissima-
Non rispondo e cerco, folle di voglia, le sue labbra. Si scosta, mi prende per mano
:-Vieni- dice - Sarò la tua folle puttana.

Mi trascina sul divano, mi fa sedere, scende tra le mie gambe aperte a leccarmela. La sua lingua è fresca e calda, liscia e rugosa, appuntita, penetrante, poi lenta, larga a spatola, mi porta su vette che da sola non avevo mai provato, anche perché mai mi sarei sognata di farmela leccare da una donna.
Sono combattuta, dopotutto non sono una lesbica.
Decido di non decidere: ci penserò. Ora aspetto solo che il noto formicolio scenda dalla schiena alla passera e voglio solo godermi l’orgasmo.
Quando comincia col grilletto anziché venire provo quasi una sensazione di fastidio: è come avere la scossa.
Non è piacevole, in un primo momento penso che non riuscirò a venire a breve; poi il bocciolo si scalda improvvisamente e comincio a venire.
Molto velocemente, troppo velocemente, in un attimo ho finito: sono delusa; Sandra non si ferma e sembra volermi entrare col viso nella figa.
Dopo un tempo breve ed infinito ricomincio a sobbalzare.
Questo sì che è forte, forte, forte…sobbalzo, incrocio le gambe e cerco di spingere il suo viso ancora più dentro, a fondo…quanto mi manca un cazzo ora…sto ancora finendo di venire quando sento il suo viso staccarsi, le sue dita entrare, dolci, delicate, profonde, tante.
Mi apre molto e molto godo, le rigira, le toglie e le riinfila, continuo a venire a raffica, per lunghi, interminabili secondi.
Sto finendo di godere e sento una delle sue dita ben succosa appoggiarsi all’ano ed entrare, così, semplicemente, come se fossi col culo sfondato.
A nessuno avevo mai permesso di andarci vicino; figurarsi.
Quando ritira le dita non ho ancora capito se mi è piaciuto o no. Non ho il tempo di pensarci, il suo viso è sopra il mio. Mi guarda negli occhi prendendomi il viso tra le mani e lentamente avvicina le sue labbra alle mie.
Sento distintamente il mio odore sul suo viso, apro la bocca e comincio a baciarla, leccarla, mordicchiarla. Il profumo di figa è forte, intenso, sul suo viso; ho molto goduto e si sente. Sono sfinita, lei non sa delle mie performance, ma non posso certo far finta di niente e non ricambiarla.
Comincio ad accarezzarla anche perché se continuasse probabilmente le sverrei tra le mani. Il suo seno è più piccolo, ma i suoi capezzoli si ergono e reclamano attenzioni in maniera sfacciata.
Ho la bocca che salta da un seno all’altro, una mano comincia ad esplorarla in mezzo alle cosce e sento un pelo raso, riccioluto, fittissimo come un moquette, molto diverso dal mio, lungo, rossiccio, a cascatella.
Non potrei mai prenderglielo a piene mani come lei mi ha fatto.
Comincio a massaggiarla esternamente, a dividergli le labbra, entro con un dito e la sento in un lago, poverina, è allo stremo.
Deve aver una gran voglia.
Mi chino e le rendo dolcemente, lentamente, coscienziosamente, il servizio.

Ho appena il tempo di sfiorarle il bocciolo che comincia a venire, sobbalza, mi artiglia la nuca, solleva il bacino. Penso bene di tirar fuori tutta quanta la lingua, come se fossi un formichiere: è con tutta la lingua che mi ritrovo improvvisamente a leccarle il buco del culo.
Ho un moto istintivo ad allontanarmene, resisto e proseguo: è aperto, molto aperto, morbido e cedevole.
Provo a titillarlo e ad esplorarlo. Entro facilmente, molto facilmente.
Gli hanno rotto il culo di recente, senza dubbio.
Mentre la esploro la sento sospirare, mugola, si apre il culo con le mani.
Mi ringrazia e mi confessa che un suo buon amico, infermiere ad Imola, le ha arato il culo per più di un’ora, nel pomeriggio.
Le chiedo se è il suo uomo. Al suo cenno di diniego aggiunge che lei non ha uomini. Solo buoni amici. Non so se arraparmi, incazzarmi o scandalizzarmi.
Non si fa così. Glielo dico quasi imbronciata: mi prende in giro e mi chiede se per caso non sia già gelosa….
:- Mi stai imbarazzando, le dico, dopotutto ci conosciamo così da poco tempo…Guarda che io sono una ragazza che non aveva mai baciato una donna prima di stasera, figurati un po’, risposi piccata -. Si precipitò a baciarmi accarezzarmi scusarsi.
:- Scusa…amore…non sapevo…non credevo che tu fossi..:- Così imbranata? - chiesi - così stupidamente bigotta, provinciale?-……- Ok è vero sono un po’ indietro, mio marito mi trombava solo alla missionaria, non ho mai baciato un donna …..né un culo …ecco!-
:- Stupidina, non devi mica giustificarti! Sono io che esagero. Ma ti avevo detto che sarei stata la tua folle puttana...non credevo di turbarti -.
Mi prende tra le braccia, mi copre di casti baci, sulle guance, sulle palpebre sulle tempie: mi accarezza il viso.
Sono quasi commossa, l’imbarazzo si attenua, le lievi attenzioni mi tranquillizzano. Insieme nel letto, vicine, appoggio la testa nell’incavo del collo, sul suo petto, sento il suo cuore battere, ascolto il suo respiro. Lei mi accarezza i capelli, la nuca. E’ un momento di grande tenerezza che, rassicurandomi, mi accompagna in un sonno profondo.
Era il sette dicembre.


SEGUE










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