Gay & Bisex
La prima volta sbagliata – Parte 3
di Darkdaddy
09.05.2022 |
5.624 |
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"Durante una pausa caffè si chiese se Devis fosse ancora al cantiere del giorno precedente..."
Alcuni giorni dopo Filippo andò in libreria per ritirare dei libri che aveva ordinato. Mentre si aggirava tra gli scaffali, notò all’esterno un ragazzo, vestito con una tuta da lavoro, che trasportava del materiale edile: era Devis.Indeciso se nascondersi o palesarsi, decise di seguirlo a distanza. Lo vide entrare in un cantiere di una casa in ristrutturazione: c’erano altri due operai con lui, uno dei quali assomigliava terribilmente all’uomo che li aveva raggiunti nel bagno turco. Rimase imbambolato ad osservare l’interazione tra i tre, e cercò il cartello dei lavori, per scoprire il nome della ditta. “Zavaldi & Co.”, recitava la scritta. Rimase a spiarlo per circa mezz’ora, durante la quale Devis e l’uomo del bagno turco uscirono spesso per recuperare del materiale. Il terzo rimaneva lì a lavorare, nascosto dalle impalcature. Dopo essere rientrati per l’ennesima volta nel cantiere, Filippo decise di tornare a casa, quando il terzo si palesò all’improvviso. Era un uomo ben piazzato, di un’età indefinita tra i quarantacinque e i cinquantacinque, capelli rasati e sguardo torvo. Non assomigliava né a Devis, né tanto meno all’altro uomo. Andò al bar lì vicino, non prima di essersi fumato una sigaretta. Era talmente concentrato sul terzo, che non si accorse di Devis alle sue spalle.
“Allora ti è piaciuto l’altra sera, eh? Sei venuto a cercarmi al lavoro! Proprio una troietta…”, disse, accarezzandogli il mento.
“Io… ti ho visto passare… non ti stavo cercando…”, balbettò Filippo, imbarazzato per essere stato colto sul fatto, e per non sapersi giustificare in maniera migliore.
“Tsk tsk… hai voglia di questo, tu – afferrandosi il pacco in maniera molto vistosa – se vuoi, ti concedo l’onore di avere il mio numero di telefono. Anzi, dammi il tuo così non mi scappi più”, proclamò estraendo il cellulare dal taschino.
Filippo si ammutolì, incapace perfino di muovere un muscolo.
“Allora? Mica possiamo far notte, io devo lavorare”.
“Ok, ok, eccotelo – glielo dettò – però mi raccomando…”.
“Mi raccomando cosa? Mica ti scopo chiamandoti”, ridendo beffardamente, e tornando verso il cantiere. L’uomo del bagno turco lo stava guardando, salutandolo con la mano. Filippo scappò via.
La sera stessa ricevette un messaggio da un numero sconosciuto, ma il cui proprietario era ben facilmente individuabile. ‘Spritz tra mezz’ora al bar davanti alle piscine comunali’. Non era un invito, era un ordine. E lui, incredibilmente, gli obbedì. Che fosse stato stregato dal fascino dello stronzo figo?
Devis indossava ancora la tuta da lavoro, con la zip abbassata fin sotto i pettorali: ovviamente non portava una t-shirt sotto. Sorrise quando lo vide arrivare.
“Ero sicuro che saresti venuto. Questo giro lo offro io”.
“Non so nemmeno io perché sono venuto”.
Rise sguaiatamente, guardandolo come se fosse un povero scemo.
“Ma è chiaro perché sei venuto! Ti sei già innamorato dei miei ventidue centimetri di lattina!”.
Filippo arrossì, guardandosi attorno qualora qualcuno avesse sentito.
“Tranquillo, se qualcuno avesse sentito, sarebbe già qui in ginocchio… a differenza tua, certe dimensioni sono molto ricercate ed apprezzate!”.
“Insomma, cosa vuoi da me?”, trovò il coraggio per chiederglielo direttamente.
Devis appoggiò le mani sul tavolino, sporgendo il busto verso di lui. Filippo sbirciò nell’apertura della tuta che si era creata: Devis lo notò ed abbassò la zip fin sotto l’ombelico: non indossava nemmeno i boxer. Filippo si sentì il sangue andare alla testa dall’improvvisa eccitazione.
“Voglio liberarti dalla frustrazione che ti sei autoimposto. E mi pare di riuscirci”.
Si rimise in posizione eretta sulla sedia, e si alzò la zip. Andò alla cassa per pagare, e poi fece cenno a Filippo di seguirlo. Quando si trovarono nel parcheggio poco distante, Devis, spinse giù Filippo, si abbassò completamente la zip, tirò fuori il cazzo già barzotto e glielo mise in bocca, ordinandogli di spompinarlo. La situazione lo eccitò talmente tanto, che si lanciò su quel cazzone cercando di prenderlo tutto in bocca, leccando tutta l’asta dalla cappella alla base, passando la lingua anche sui coglioni, per poi metterselo in bocca e succhiarlo avidamente. Tornò a contatto con la realtà quando dei fari illuminarono la testa di Devis: si bloccò, e si spostò distante da lui, rimanendo rannicchiato tra due auto. Devis si rivestì in fretta e se ne andò dalla parte opposta, lasciando solo e voglioso.
Dopo qualche minuto, si alzò e si diresse verso casa, guardandosi alle spalle se per caso fosse ricomparso. Una volta giunto a destinazione, si distese a letto, a luce spenta, pensando a quello che aveva fatto. Non ci voleva credere di essere caduto così in basso.
“Mio Dio, cosa ho fatto? Peggio di una troia… e se qualcuno mi avesse visto? Lì si allenano i miei coinquilini… che figura di merda… ma poi, che cazzo mi è preso?! Ok, lui è davvero un gran figo, e ha un cazzo enorme, forse il più bello mai visto, ma io non posso sbarellare perché uno ha il cazzone! E poi con quel nome da tamarro… no, non posso davvero fare queste cose!”.
I dubbi e le domande si affollavano nella sua mente, senza trovare risposta. Forse aveva ragione Devis: era sempre molto sostenuto, aveva paura a mostrarsi per quello che era, per cui essere impostato gli assicurava una sorta di immagine di bel ragazzo, molto interessante, e non facile come tanti altri. In realtà, scopava ben poco, e si tirava tante, troppe seghe, perché aveva sempre paura di far sesso con ragazzi che poi lo avrebbero urlato ai quattro venti. E poi, durante una serata in sauna, aveva fatto una pompa con ingoio a uno di cui a malapena conosceva il nome… però che goduria, cazzo. Gli era davvero piaciuto. E quei litri di sborra ingoiata, davvero molto, molto buona.
Decise di inviargli un messaggio simpatico: “vedi che bisogna chiudere le porte così nessuno vede?”.
Arrivò subito la risposta: “e invece ti saresti fatto anche quello…”.
Ma chi? L’automobilista che li aveva accidentalmente interrotti? Questa era strano forte! Arrivò un altro messaggio di Devis, che lesse subito: “E pure il terzo ti saresti fatto, ho visto come lo guardavi…”.
Si riferiva ai suoi colleghi di lavoro. Beh, se lo pensava davvero, non aveva proprio capito un cazzo!
Si mise sotto le coperte a leggere, e si addormentò in breve tempo.
Fece molti sogni, strani e variegati, ma al risveglio se ne ricordò solo uno, che sembrava più un incubo che un sogno: difatti aveva sognato di far sesso con uno dei colleghi di Devis, quello con lo sguardo torvo! Si fece una lunga doccia e bevve una moka di caffè per riprendersi, poi andò in facoltà per studiare. Trascorse la mattinata studiando per un esame, mangiando un panino per pranzo e proseguendo lo studio fino a pomeriggio inoltrato. Durante una pausa caffè si chiese se Devis fosse ancora al cantiere del giorno precedente. Stava per inviargli un messaggio quando gliene arrivò uno.
“Immagino tu non sia libero tra un’ora per raggiungermi in sauna? Oppure la voglia ha il sopravvento sulla clausura? Fammi sapere”.
Sospirò, guardando fuori dalla finestra la tormenta che si stava avvicinando.
“Ci vediamo lì”, fu la sua risposta laconica.
Il gestore lo salutò beffardo, dicendogli che c’era giro a quell’ora. Non lo badò ed entrò diretto agli armadietti, spogliandosi di tutto e dirigendosi poi alle docce. Andò ad asciugarsi nella sauna finlandese, e lo trovò lì a parlottare col suo collega, quello dallo sguardo torvo. Era davvero un omone, di stazza robusta, piuttosto peloso.
“Eccolo! Già molto ubbidiente, mi piace”, e gli strizzò un capezzolo.
Filippo si infastidì scostandosi dalla presa di Devis.
“Questo è il mio collega che hai già visto in azione… azione diurna, non notturna”.
Si chiamava Mario e aveva cinquantatré anni. Uscì poco dopo, lasciandoli soli.
“Possiamo andare in camerino, noi due soli, con la porta chiusa?”, ebbe il coraggio di dire Filippo.
“Ben volentieri”, fu la risposta che ottenne.
Si appartarono, assicurandosi di chiudere la porta, e iniziarono subito a baciarsi, toccandosi ovunque. Filippo voleva leccargli tutto quel corpo così ben definito, per cui lo fece stendere e gli montò sopra, passandogli la lingua ovunque. Devis alzò le gambe, piegandole, offrendogli il culo. Filippo non si fece pregare e gli leccò anche il buco, spingendo dentro la lingua.
“Quella è l’unica cosa che entra qui dentro, sappilo”. Proprio un maschio alfa!
Passò la lingua più volte sul perineo, facendogli il solletico, per poi leccargli le palle, ed infine salire lungo l’asta di quel magnifico cazzo. Se lo prese in bocca e se lo lavorò di lingua per un bel po’, ammirandolo e dandogli dei bacini ogni tanto, per poi slinguare quel cappellone enorme.
Devis lo fece distendere al suo fianco, per poi girarlo prono, così da avere quel culetto in bella mostra.
Prese a mordicchiargli le chiappe, per poi passare la lingua lungo il solco intergluteo, fino al buchetto.
“Qui non è mai entrata nemmeno quella”, disse Filippo, facendo il verso alla frase di Devis.
“Lo avevo già capito, hehehe”, e si fiondò su quel buco, leccandolo a fondo, talvolta inserendoci un dito, facendolo ansimare rumorosamente.
Si portò poi sopra la schiena di Filippo, per baciargli il collo, mentre il suo cazzone pungeva il suo culetto. Istintivamente Filippo aprì un po’ le chiappe, così il cazzone ora si trovava appoggiato proprio sul buchetto: se fosse entrato, lo avrebbe squarciato. Allungò una mano per prenderlo e direzionarlo meglio sopra il suo culo, ma Devis lo strattonò.
“Vuoi prenderlo in culo così? Ne sei sicuro?”.
“Ma… io…”.
“Ti farei tanto, tanto male. Non posso essere io il primo. Però posso aiutarti a trovarlo”.
P.S. Vi ricordo che, essendo un racconto, fatti e persone sono puramente frutto della mia fantasia.
I racconti sono, per l'appunto, racconti, ovvero una narrazione in prosa di contenuto fantastico o realistico, ma non per questo una storia vera. Se ritenete che quanto scritto da Dick, Cooper o Apollinaire corrisponda al vero, allora forse dovreste rileggere il significato di “racconto”…
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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