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L'invito - prima parte


di ServoXSignora
27.01.2025    |    296    |    0 8.7
"Lo immaginò guardarsi intorno sperando che la sua voce si disperdesse nel traffico caotico di Firenze – e ribadì la sua presentazione: «Simone lo schiavo..."
Il campanello suonò. S. si alzò dalla chaise-longue su cui era seduta a leggere un romanzo e andò ad aprire.
Prima di azionare il comando, parlò al citofono: «Sì, chi è?»
«Sono Simone, Signora S.» la voce nella cornetta suonò flebile – S. era sicura che non fosse colpa dell’apparecchio.
«Simone? Non conosco alcun Simone, a dire il vero… sii più preciso…» gli angoli della sua bocca si piegarono verso l’alto in un sorriso beffardo.
La voce nel citofono risuonò dopo qualche secondo di esitazione: «Sono Simone. Lo… schiavo…» le ultime parole erano appena udibili.
S. aveva sentito, ma divertendosi un mondo, lo incalzò: «Scusa, non ho capito, Simone chi?»
L’uomo prese il coraggio che aveva – S. lo immaginò guardarsi intorno sperando che la sua voce si disperdesse nel traffico caotico di Firenze – e ribadì la sua presentazione: «Simone lo schiavo. Abbiamo fissato di vederci, oggi, Signora S.»
S. decise che quella prima – piccola – tortura poteva finire lì: «Ahh, il candidato… Sali pure, ti apro… Ah! Un’altra cosa» le venne in mente un’altra delle sue idee diaboliche «non usare l’ascensore. La bolletta condominiale della luce è stata stratosferica, il mese scorso, quindi usami la cortesia di salire per le scale. Ricordi? Il mio appartamento è all’undicesimo piano, grazie mille…»
La Signora agganciò la cornetta mentre Simone stava rispondendo. La sua risposta deferente si perse tra i cavi elettrici del citofono.
Si diede un’ultima occhiata nel piccolo specchio attaccato all’ingresso. Ciò che vide la compiacque: una folta chioma nera che scendeva morbida sulle spalle fino a metà delle scapole, lineamenti marcati ma gradevoli e un corpo da urlo.
Due seni sodi, non eccessivamente grandi ma proporzionati alla sua corporatura, erano valorizzati da un maglione di lana blu, con un’ampia scollatura a v, mentre le sue gambe snelle e tornite spiccavano da una gonna che le arrivava a metà coscia coperte da un collant nero, di 30 denari, con una riga laterale a tema floreale.
Probabilmente Simone si aspettava di trovarla in una mise tipicamente femdom, ma uno schiavo non poteva certo avere pretese. E comunque S. era ben consapevole che anche con quel tipo di outfit gli uomini le cadevano ai piedi come mosche e Simone non sarebbe stato l’eccezione, visto che la supplicava di strisciare ai suoi piedi da mesi.
L’aveva apprezzato subito. In quel sito di scambisti non era facile trovare appassionati di bdsm, soprattutto nella sfumatura femdom. Lei stessa si era iscritta per cercare sesso vanilla – il sesso tradizionale.
E le foto che aveva postato erano “normalissime”, così come l’annuncio non aveva alcun riferimento a pratiche di dominazione.
Eppure Simone l’aveva stupita con quel messaggio: "Benvenuta – Ho notato il Suo profilo appena si è iscritta. Ho l’impressione che io e Lei abbiamo diverse cose in comune e mi piacerebbe poterLe essere utile in qualche modo. Simone"
Già l’approccio così rispettoso – cosa rara in un sito del genere – rivelava in modo chiaro le sue inclinazioni; il nickname del sedicente Simone poi – "Servoxsignora" – non lasciava adito a dubbi.
Avevano dialogato per quasi tre mesi, in cui lei aveva apprezzato la sua forma mentis, il suo modo di vivere la sessualità e, soprattutto, la sua sincera venerazione per la Donna.
Una volta sicura della sua affidabilità si erano visti in un caffè.
Dopo qualche giorno in cui non si era fatta sentire per lasciarlo sulla graticola, l’aveva finalmente invitato nel suo nido.
Un rumore di passi pesanti e un respiro affannato la distolsero da quell’excursus sulla loro conoscenza.
Finalmente l’uomo arrivò sul pianerottolo dell’undicesimo piano.
«Buon pomeriggio, Signora S.» la salutò con un sorriso, piegandosi un po’ con le mani sulle ginocchia.
S. incassò con soddisfazione il suo sguardo ammirato e lo fece entrare.
Gli offrì un drink ma lui preferì un semplice bicchier d’acqua ed esauriti i convenevoli, la padrona di casa decise che era iniziato il momento di concretizzare quei mesi di dialoghi incessanti ed eccitanti.
«Bene, Simone» si accomodò di nuovo sul divano «dimmi – dal vivo stavolta – perché vorresti servirmi, cosa puoi offrirmi e perché dovrei accettarti al mio cospetto.»
Lui si avvicinò, allacciò le dita dietro la schiena e fece per attaccare a parlare.
«No, Simone. Partiamo male…» lo interruppe brusca «ti sembra questo il modo con cui uno schiavo può enunciare la propria supplica a colei che vorrebbe servire?»
L’aspirante servo si inginocchiò ed esordì: «Dunque, Signora…»
«Non ci siamo ancora, Simone» il tono era ancora più duro «ti sembra consono guardarmi, mentre mi supplichi? Eppure nei messaggi sembravi così pronto, così consapevole…» S. adorava mettere in difficoltà gli uomini che le strisciavano ai piedi.
L’uomo si mise in ginocchio, si prostrò fronte a terra, mani giunte davanti alla testa.
Mentre stava per iniziare la supplica, fu di nuovo interrotto «Nudo!»
Simone si alzò e iniziò a denudarsi, stando ben attento, stavolta, a tenere lo sguardo ben basso.
«Appoggia pure i vestiti su quella sedia…» lo invitò S.
Lui obbedì e con meticolosità portò a termine l’operazione, riponendo gli indumenti dove gli era stato ordinato.
Il suo atteggiamento composto fu apprezzatissimo dalla Signora.
Appena si fu nuovamente prostrato, S. – rimasta seria fino a quel momento – sfoggiò il suo sorriso da gatta che aveva appena afferrato il topolino con cui giocare, stringendo le cosce per tenere a bada le prime piacevoli vibrazioni che riverberavano dalla parte bassa del suo addome.
«… Insomma, ciò che desidero maggiormente» Simone stava concludendo il suo accorato appello «è adorarla come una Dea, Padrona S, e le posso assicurare che…»
«Non mi pare di averti permesso di chiamarmi Padrona. O mi sbaglio?» Simone sussultò, nel trasporto del monologo non si era reso conto di aver corso troppo. L'inaspettato intervento della Signora, anche stavolta, era affilato come uno stiletto.
S. scivolò verso l’estremità della chaise-longue e iniziò a dondolare la decolleté della gamba accavallata in modo conturbante.
«Quanti errori...» mormorò accompagnando le sillabe con i colpi della calzatura sul piede.
Simone aveva riconosciuto quel suono, ma doveva contentarsi del solo rumore, visto che la sua fronte era ancora aderente al pavimento.
Di lì a poco, però, anche il suo olfatto fu premiato: un piacevole afrore – un mix tra il cuoio della scarpa e il sudore del piede della donna, fasciato dal collant – raggiunse le sue narici.
La Signora si alzò. Facendo risuonare i tacchi sul parquet fece un giro intorno a ciò che in quel momento le appariva come un semplice pezzo di carne, che avrebbe potuto consumare a suo piacimento e finché ne avesse avuto voglia.
Osservò la sua schiena, apprezzando ciò che vedeva e immaginando come avrebbe potuto adornare quella tela.
Completando il giro, si posizionò proprio dietro di lui, contemplando il sedere, cosa che aveva subito apprezzato nelle foto del sito, e fantasticando di come avrebbe potuto disporne.
Nonostante non fosse un ragazzino, si notava che Simone aveva avuto cura, negli anni, del proprio corpo.
Finita l'ispezione, riprese: «Non posso negare di essere rimasta delusa, Simone. Lo avrai capito…»
Un lieve tremore del corpo prono ai suoi piedi fu il chiaro segnale dell’ansia crescente in lui.
«Però è anche vero che al giorno d’oggi il livello degli schiavi è davvero deprimente, per cui temo che dovrò accontentarmi… ti darò una possibilità…»
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