Lui & Lei
notte in treno
di Minero
10.07.2014 |
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"Ogni vibrazione troppo forte, ogni volte che sentivo rumore di passi, guardavo ogni singolo occhio dei miei compagni dormienti..."
Finalmente, dopo estenuanti ore di viaggio sono di nuovo a Milano.
Presi il treno appena sette ore fa. Prevedevo di dormire un po'. 61...71... 81! Raggiunsi il mio scompartimento trainando la borsa che effettivamente non era poi così pesante. Aprii la porta scorrevole, tutti i posti erano occupati.
Riosservai la legenda dei posti, per poi alzare il mento verso un africano. «Ei, quello è il mio posto»
L'africano sgomentò la testa in un chiaro segno negativo.
Ti pareva. Tirai fuori il biglietto e glielo porsi; di fronte alla cruda e spietata realtà, Abdul è costretto ad alzarsi, chiedere scusa e andarsene. Entrai. Silenzio tombale. Non sono mai stato un gran improvvisatore, poggiai il bagaglio fra le grate di ferro sopra i sedili, mi sedetti e accennai un 'buona sera', cominciando a toccarmi le tempie. Il preludio di un buon sonno. Mi trovo in compagnia di una signora uscita da anni dal mercato della gente interessante, di una signora sulla quarantina e di una bella donna.
C'è anche un ragazzino che, come tutti i ragazzini, ascoltano strana musica a palla su quegli ipod
costosissimi. Fortunatamente però, il ragazzino rompe il ghiaccio, spiegandomi in che maniera spavalda Abdul è entrato e si è seduto al mio posto.
Niente di meglio. Forzo una risata. «Eh guarda, da quando prendo questo treno ho visto le cose
peggiori.» La signora alla mia sinistra annuisce con un sorriso; la guardo meglio; non male. Converso un po', niente di che; il ragazzino, la ragazza e la signorona sembrano addormentarsi a pochi secondi di differenza, lasciandomi in un gioco di sguardi con la donna affianco a me.
Mi sorride, presentandosi.
Emanuela.
Si alza, levandosi il golfino che le teneva caldo fino a quel momento, mostrando delle braccia niente male. Le braccia – che sono la prima cosa che guardo in qualunque persona – sono davvero
in forma: niente grasso, niente peli, chiare. Se sono così vuol dire che il fisico tutto sommato, anche se coperto da un'abbondante camicia, è buono. Continuiamo a conversare del più e del meno per almeno un quarto d’ora, il treno si ferma e poi riparte, ci aspettano molte ore di viaggio.
Socchiudo gli occhi e mi sembra un'eternità. Sento qualcosa premermi sui pantaloni e vedo uno strano roditore dagli occhi di uomo grattarmi sulla gamba, lo guardo e mi guarda, sussurrandomi
in napoletano: “Che vuoi?”.
La pressione è più forte, scosto la testa, apro gli occhi e mi sveglio, vedendo Emanuela che mi picchietta dolcemente. La guardo, mi guarda, e con lo stesso fare del topo, le sussurro “Che vuoi?”.
Lei mi guarda, e sorride. Schiocca le dita creando un rumore secco, pesante, morto. Punta il dito contro gli altri, nessuno si sveglia, in realtà non si muovono neanche.
Il treno con le sue vibrazioni ci cullava tutti. Tornai a dormire. Ma la signora sui quaranta continuava a picchiettare, mi girai mezzo incazzato: “Cosa c'è?” Il tono aggressivo era sicuramente ingiustificato, non so se qualcuno ha presente com’è brutto il mondo appena svegli.
La sua mano si posò sui miei pantaloni, smettendo di picchiettare, cominciando ad accarezzare piano piano sempre un po’ più su che giù. Con voce tremolante e nervosa provai a tirar fuori un argomento qualsiasi, per farla smettere. Non era né il momento né il luogo adatto per fare ciò che pensavo lei volesse fare. «Non so lei ma io prendo questo treno da vent'anni quattro volte al mese, ed è migliorato parecchio».
La mia mano andò su quella di Emanuela per tentare di levarla da me, ma lei oppose resistenza tenendo la mano ferma immobile li dov’era. Mi si stava drizzando. Con voce soave, quasi un sospiro «Io lo prendo dal 2005 perché ho trovato lavoro a Milano e ogni tanto mi fa piacere tornare»
Subito una risata di cortesia, finta, mi esplose dallo stomaco. Continuavo a guardarmi intorno, non so perché ma avevo il presentimento che qualcuno si stesse per svegliare o fosse già sveglio. Mi sentivo osservato insomma!
«Ahah, allora non sa di quando non passavano neanche i controllori, la gente dormiva per terra,
dove si mettono le valigie, a volte trovavo perfino gente sotto i sedili o ammucchiati in bagno, un
inferno. A volte ho dovuto dormire pure io dove si mettono i bagagli, ma tanto tempo fa». Mi zittii. La sua mano mi raggiunse la cerniera dei pantaloni, e le sue dita si aggrapparono alla zip; Si avvicinò all’orecchio e sussurrò «Eh la capisco, ma meno male che adesso passa la polizia di stazione in stazione, prima si poteva anche non pagare il biglietto». Riuscivo appena a sentire le sue parole, ma percepivo bene l’aria calda che le usciva dalla bocca raggiungermi l’orecchio. Tutto ciò mi provocava strane vibrazioni, volevo piegare il collo e grattarmi l’orecchio ma non ci riuscivo; il mio corpo la imprecava di continuare.
Mi voltai verso di lei, trovandomela naso a naso. Respiravamo in sincronia, lo stesso ossigeno.
«Si, ed era un casino perché la legge dice che se non ci si presenta entro trenta minuti, la
prenotazione scade! Se io trovo uno al mio posto nme ne frega, niente quel posto è mio! », quasi soffocando le parole, noto nel suo viso una certa incomprensione, forse non ha recepito il messaggio. Le leccai il labbro superiore con dolcezza «Ho dovuto fa divertì la bimba di dieci anni al parco giochi per tre, giorni mo voglio dormire un po'!»
Cominciò a tirare giù la zip, la vedevo fremere da quel tocco al labbro.
«Ha una bambina di dieci anni? Che tesoro che deve essere.». Anch’io poggiai la mano sui suoi pantaloni, all’altezza del ginocchio.
Tornai a guardare davanti a me.
«Eh si, un amore, ed io la devo andare a trovare spesso perché sa com'è.. una bambina senza il
padre. Poi sta prendendo tutto dalla madre e dalla nonna!». Il mio tono di voce ritornò normale, concludendosi con un leggero colpo di tosse. Nessuno in quello scompartimento muoveva un nervo, tranne me e la mia Emanuela.
Mi disse «Chiacchierona?». Mi succhiava il collo, la sentii ridere quando, provando a entrare con la mano dentro jeans, ha trovato la mia durezza interiore.
«Si, e anche puntigliosa, mi somiglia solamente.». Levai la mano dalla gamba della quarantenne e, con uno strano distorcimento del braccio, riuscii a toccarle finalmente un seno, muovendo le dita circolarmente. Piccolino ma abbastanza sodo per una donna di quell’età.
Il suo respiro cominciò ad affannarsi, sorrise alle mie parole. Cominciai a sentire il suo tocco sul mio compagno laggiù che lentamente veniva preso in una stretta. Scoppiò la mia passione in un bacio, e con tutta la forza che avevo nelle vene, spinsi per indurirlo ancora di più. Lo tirò fuori dalle mutande e dal jeans. Si fermò dal baciarmi solo per guardarlo, tornando poi a fissarmi dritto negli occhi.
«Bè, se le somiglia dev'essere una bella bimba. Pensi che per una zitellina come me è quasi una
colpa per i miei genitori, come una sconfitta.» Mi sussurrò, aggrappandosi coi denti ancora al collo.
Ero in paranoia. Ogni vibrazione troppo forte, ogni volte che sentivo rumore di passi, guardavo ogni singolo occhio dei miei compagni dormienti. Molto lentamente, senza colpire nessuno, allungai la gamba sinistra, e poi la gamba destra.
Provando a tornare alla realtà le risposi con un’insicurezza che scommetto rafforzasse il suo status di donna predatrice «Ma non si preoccupi, meglio senza figli, che poterli vedere quattro volte al mese si fidi. Tu, oh scusi, posso darle del tu?»
«Ma certo»
Fu la prima volta che mi sorrise e questo mi rincuorava. Non so ancora se la sua logica fosse win-to-win o se pensasse ‘quanto so figa che mi rimorchio i tizi in treno’ o meglio ancora ‘menomale che c’è cascato quest’uomo è troppo figo’.
Spero quest’ultima. Ad ogni modo volevo sapere un po’ di più.
«Tu che lavoro fai?». Appena smesso di parlare, lei sbuffò in una risatina.
«Eh lasciamo perdere questa parte, ti dico solo che sono una sorta di segretaria. Tu?» Questa volta fui io a sbottare a ridere. Tenevamo una conversazione mentre lei aveva il mio coso in mano. La guardai, scrollando il volto, prendendole la mano colta in flagrante e cominciando a muovergliela. Feci così per una decina di secondi, per poi lasciare il lavoro a lei: senza dire nulla lei continuò ad andare su e giù.
«Io sono un capo officina per la Mercedes che ha sede vicino Linate, ma non quelli che stanno
sempre seduti davanti al computer, io sono uno che con il lavoratore ci comunica, vado li,
scherziamo, parliamo, aiuto!» E volevo che anche Emanuela in quel momento mi aiutasse. Il mio bacino seguiva il suo movimento di mano spingendosi avanti e indietro. La sua morsa era sempre più stretta.
«Un capo buono, insomma!» Le sorrisi, le gote cominciarono ad arrossarmi, e adesso anche il mio respiro era affannato. Sentii la fronte sudare.
La baciai di nuovo, adesso stringendole il braccio attorno alle spalle, facendole capire che si doveva piegare, che doveva lavorare sodo.
«Si, spero di si. Da quando la mia ex si è voluta trasferire a Roma, ho dovuto far quel lavoro, per
guadagnare di più» non volevo più parlare. Lei seguì le istruzioni e si piegò, usando ora la bocca come strumento di piacere. Sentivo che faceva pressione sulle labbra per renderle strette. Si capiva che era un’esperta.
Durai appena trenta secondi, lei sputò tutto nel secchio vicino la finestra. Nessuno si era accorto di nulla, nessuno aveva visto niente. Emanuela provò a baciarmi di nuovo, ma io mi scansai.
«Ognuno fa quel che può, ma mi dica, come ha fatto la sua ex a rompere con lei? Dev'essere una
matta!».
Sentìì il suo dito ancora battermi sul pantaloni come all’inizio di questa storia, mi volta verso di lei, mi schiaffeggiò due volte.
Aprìì gli occhi, mi trovavo d’improvviso col mio arnese dentro, seduto al mio posto. La luce nello scompartimento era stata spenta, e tutti dormivano agiatamente. Guardai Emanuela che dormiva, possibile che non fosse successo niente?
Mi tocco il cazzo per sentire eventuali residui di un rapporto ma niente.
Guardo l’orologio, sono le sei a cinquanta, ancora dieci minuti ed il treno si sarebbe arenato a Milano Centrale, voglio avvantaggiarmi. Una voce sveglia i presenti.
Mi alzo e prendo la valigia. Il ragazzino che ha ascoltato l’ipod tutto il viaggio mi punta, sorride e fa l’occhiolino. Chissà che c’ha da guardare sto coglione.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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