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Lui & Lei

Una storia vera. Il profumo delle sue labbra


di multilover
14.06.2024    |    204    |    0 8.7
"Regali fatti, sacrifici e sopportazioni del periodo stressante, ma a nulla è valso tutto questo..."
Vi racconto una storia. Per ovvi motivi i nomi sono tutti di fantasia, ma la storia è vera, ed è mia.
Ci ho pensato un po' prima di scriverla, ma alla fine mi sono detto che ne vale la pena.
Ero single da qualche mese. Non ci ero rimasto benissimo, anzi, a dirla tutta avevo preso una botta di quelle pesanti, di quelle che ci resti sotto un bel po'. Ero molto innamorato di Roberta, che però, aveva ben pensato di dare una svolta alla sua vita e quindi di trasferirsi fuori per cercare lavoro. Mi aveva lasciato la settimana prima della sua laurea. Regali fatti, sacrifici e sopportazioni del periodo stressante, ma a nulla è valso tutto questo. E così senza preavviso alcuno mi sono ritrovato in questo turbine di emozioni devastanti. A ripensarci adesso mi viene veramente da ridere, ma chi non ci è passato almeno una volta nella vita? Sebbene quello che posso affermare con assoluta certezza è che i periodi migliori che ho avuto dal punto di vista sessuale sono quelli subito successivi a questi eventi "nefasti".
E proprio così ve lo posso firmare con il sangue! Dopo Roberta, infatti, ho dato sfogo e piacere al mio discreto seppur onorevole membro, che sicuramente meritava tanto e tanto di più di una scopata ogni dieci o quindi giorni. Ma si sa, la maggior parte delle relazioni stabili e canoniche, passano dai primi mesi di fuoco, alla routine tradizionalista e noiosa della vita di tutti i giorni.
Comunque, dopo un mese di pianti, depressioni, e vuoti di affetto, la faccio finita e comincio a prendermi cura di me stesso.
Ritorno in palestra, mangio sano, esco con gli amici e rifrequento i locali della città dove, almeno fino a qualche anno fa, c'era davvero bella gente.
Mi riapproprio del mio tempo e dei miei spazi: faccio quello che mi piace fare e non devo dare conto e ragione a nessuno. Avevo 33 anni, un lavoro sicuro, ben pagato, mi ero rimesso in linea. Sono uno spigliato, di compagnia, a cui piace stare con le persone e divertirsi. E sono anche uno curato. Non sono un maniaco, ma tengo allo stile, alla forma, all'italiano corretto e ai buoni modi di fare. Sapevo in cuor mio di avere qualche trasgressione. Con Roberta il sesso ero bello e avevamo anche fatto qualcosa di più spinto ma nulla che non sia lecito in una coppia. Qualche video, delle foto, qualche scopata all'aperto, al mare o in macchina e ricordo anche una notte d'estate in balcone. Ma dentro di me sapevo che trasgredire era qualcosa che non aveva limiti alla fantasia e volevo inconsciamente esplorare questo mondo infinito.

Tra una serata e l'altra la gente della notte non cambiava tanto. Più o meno gli stessi volti, la stessa musica, gli stessi amici e i medesimi drink. Tra un discorso leggero e uno più impegnato, le serate passavano piacevoli, tuttavia senza quel "quid" che mettesse un po' di pepe alla situazione. Avevo conosciuto diverse ragazze, con qualcuna avevo anche avuto qualche flirt e anche oltre, sebbene nulla di veramente coinvolgente. Non che cercassi emozioni, tantomeno una relazione per l'amor di Dio! Anzi, tutto avrei accolto meno che una relazione fissa con il rischio di ritornare alla solita vita routinaria e noiosa della coppia di fidanzatini. Me lo imposi da subito.

Un giorno mi chiama un'amica, Loredana. Viveva fuori e veniva a passare le vacanze estive in città. “Vengo con un gruppo di amici”, mi disse, “tutta gente tranquilla e molto divertente”. Loredana è una ragazza che conosco da sempre e non c'è mai stato nulla, tra noi e mai ci sarà, per due motivi fondamentali: ci conosciamo da quando eravamo bambini perché i nostri genitori erano amici di università, e, secondo motivo di impedimento, lei è lesbica...A parer mio è pure una figa. L'ho vista nuda da quando avevamo 14 anni, e anche di recente, ma in sincerità non la toccherei neanche con un dito perché il cazzo neanche mi si rizza. E' un'amica e basta.
Per farla breve lei viene in Sicilia con un gruppo di amici. Gente davvero piacevole, e passiamo la prima settimana praticamente sempre insieme. Durante una cena viene fuori che da li a qualche giorno li avrebbe raggiunti un'amica, Nadia, che era ritornata da un viaggio e veniva in Sicilia per stare insieme. Faccio finta di nulla, ma Loredana, che mi è seduta accanto, mi spinge con il gomito e mi strizza l'occhio. La guardo come per chiederle "che vuoi dire?", strizzando la fronte verso gli occhi. Lei fa una smorfia con la bocca esternando un sorriso "jokeriano". Più tardi, mentre passeggiamo per il centro le chiedo: "quindi, questa Nadia? Che volevi dire?"
"Eh caro mio! Vedrai!" Non sono uno che la tira per le lunghe quindi rispondo con un "vabbè, vedrò!", più disinteressato che disilluso.

E così, qualche giorno più tardi, avevo quasi dimenticato quella breve discussione che poco aveva lasciato alla curiosità, tantomeno alla fantasia. Senonché, proprio alla sera mentre cenavamo in un noto ristorante di pesce della città, arriva una telefonata a Claudio, uno dei ragazzi della comitiva che risponde con marcato accento milanese: "Ehi ciao! Sei arrivata? Aspetta ti passo Loredana che ti indica la strada." Loredana prende il telefono e da le coordinate per raggiungerci. Ed ecco che qualche minuto dopo arriva lei, Nadia.
Sono sincero: poche volte nella vita posso dire di essere rimasto senza parole. Non sono uno che si stupisce facilmente, neanche davanti a cose oggettive. Ma ricordo quell'istante, e anche tutti gli altri che seguiranno, con una dovizia di particolari che credo buona parte dei miei neuroni sia ormai dedicata solamente al mantenimento di questi ricordi.
Nadia è una bellezza da togliere il fiato. I capelli castano chiaro adornati da un fedora color panna con la cintura, la fascia del cappello per capirci, marrone. La fronte ambrata e le sopracciglia chiare e leggermente sollevate, fanno da cornice ai grandi occhi verdi, un verde cangiante a seconda della luce. Il naso piccolo e perfettamente proporzionato lascia intravedere una fossetta sopra le labbra che sono rosa antico, sensuali, sottili ma carnose al tempo stesso. La bocca incornicia denti bianchissimi e perfetti. I capelli le scendono mossi, in parte raccolti dietro, sulle spalle e due ciocche le definiscono il viso verso il mento, perfettamente in linea con la punta del naso.
Ha una camicia bianca con le tasche sui seni e i bottoni color ambra; il pantalone a vita alta definisce i fianchi perfettamente simmetrici, stretti alle caviglie che sono incredibilmente belle, anch'esse ambrate, con il tendine tibiale pronunciato che definisce il muscolo. Indossa un paio di Superga, bianche anch'esse. Una giacca corta da archeologo beige completa quell'outfit che era impreziosito dalla sua persona e non il contrario.
Dopo aver lanciato per terra lo zaino di cuoio, senza neanche togliersi il cappello, abbraccia tutti, e l'aria si fa ricca di sorrisi e gioia.
Io sono ancora seduto, e dopo il giro di abbracci, Loredana mi presenta: "Ti presento Livio, il mio amico d'infanzia". Mi alzo in piedi come farebbe ogni gentiluomo di rispetto. "Ciao!" le dico io porgendole la mano. Lei mi guarda e mi dice con accento romano " 'A Livio! che me dai la mano? Viè qua che Loredana m'ha parlato 'nsacco de te!" , e mi abbraccia come fossimo amici da anni.
Il quel momento, misto di imbarazzo e curiosità, mi ritrovai con il volto accanto al suo, con il naso inebriato dal profumo di argan, sparso dai suoi capelli.
Ci sedemmo, e la serata proseguì, ricca di racconti e storie di vita di tutti. Io non ero in imbarazzo, non lo sono mai, anzi, ma allo stesso tempo non volevo però fare quello che tiene banco, cosa che capita spesso. Mi ero calato nella comitiva ormai ed ero a mio agio, anche se, quella nuova presenza aveva fatto traballare un equilibrio consolidato.

Quella stessa sera mi ritrovai da solo ad accompagnare Loredana a casa dei suoi e inevitabilmente la discussione ebbe un solo argomento.
"Ma da dove cazzo viene fuori sta tipa?", le chiesi con voce quasi ansimante. "Ragazzo," disse lei, "Nadia è uno spettacolo della natura, me la farei io tre volte al giorno! Peccato sia etero!"
"Si, ho capito, ma qui non parlo solo di sesso" le rispondi io con un tono quasi di difesa nei confronti di quella dea appena conosciuta. "Ma l'hai vista? Sembra disegnata! Sembra una fatta con il computer, una di quelle modelle che vedi in televisione! E tu che cazzo le hai raccontato di me?"
"Ecco appunto" dice lei, "hai detto bene, in televisione!".
Rimango per un attimo interdetto. "In che senso?" "Hai presente il programma "Donna Avventura?" "Oh cazzo!" faccio io.
"E' appena tornata dal Kenya. E' rimasta lì' per due mesi, sia per il programma, sia per ritrovare se stessa. Avrei sempre voluto presentartela, ma è sempre stata impegnata. L'hanno scorso però ha perso la mamma e il fidanzato l'ha lasciata".
Tra me e me pensavo: "ma tu guarda sto coglione che cosa si è lasciato scappare!".
"Gli ho raccontato della nostra amicizia, nulla di più" disse Loredana, "e lei ha sempre un po' invidiato il nostro legame, così vero e forte. Ora sta a te amico mio!".
"Penso proprio che non sta a me un cazzo!" le dico ridacchiante". Ma figurati se una così guarda uno come me. Per carità non sono così male, ma neanche un adone dal fisico statuario, con gli addominali scolpiti, il petto glabro e i bicipiti tonici!"
"In compenso hai un gran bel cazzo!" dice Loredana ridendo a crepapelle. "Eh si ad arrivarci a scoprirlo" le dico io. Insomma, la discussione trascende pesante con allusioni e volgarità, anche se in cuor mio non posso negare che ci fantasticavo su. Sotto casa, Loredana apre la portiera della macchina, scende e si abbassa: "io ho fatto il mio. Ora è tutto nelle tue mani. Buona fortuna!" Chiude e va via.
Quella notte non chiusi occhio. Passai tutto il tempo su youtube a guardare le puntate di quel programma e a cercare le sue foto su internet. La vidi insieme ad altre ragazze, ma lei era veramente qualcosa di incredibile. In una scena indossavano tutte un bikini bianco. Non posso negare di aver fantasticato su quelle immagini e ad un certo punto ricordo di essermi trovato con il pene in mano, duro e turgido e di essermi masturbato davanti cotanta bellezza.
Le giornate, lunghe e solari, passavano piacevoli. Avevo ormai fatto amicizia con tutti, anche con Nadia con la quale avevo un rapporto molto gradevole. Ero stupito dalla tanta semplicità con la quale dialogavamo. Parlavamo dei viaggi, cosa che ci accomuna, di politica, di storia, di scienza. Tutto era semplice con lei. A me non pareva vero, però sapevo che quando le relazioni prendono quella direzione di solito volgono verso l’amicizia, e quasi mai verso altro.

Qualche giorno più tardi, ormai ad estate inoltrata, ci trasferimmo nella casa al mare di Loredana. Non tutto il gruppo ma solo sei persone. Tra queste ovviamente io e Nadia. Loredana viene da una famiglia molto molto facoltosa e ha disponibilità economiche significative. La casa è praticamente in riva al mare. Una porzione di una vecchia tonnara, completamente restaurata, con una terrazza enorme che si affaccia sulla spiaggia, anzi su una baia, punto di raccolta delle barche che portavano il pesce. In sostanza ha come una spiaggia privata perché è praticamente inaccessibile dal resto della costa se non da mare. Una cosa da mille e una notte. Io ci avevo passato l’infanzia quindi non mi stupivo più di tanto, anche se, i tramonti, da quella casa, avevano un sapore veramente unico. O forse la mia infanzia non era ancora pronta alla bellezza insindacabile della natura.
Quel pomeriggio di agosto restammo soli in casa. Claudio e sua moglie erano ripartiti per Milano per lavoro. Loredana era dovuta rientrare in città per una questione di famiglia insieme alla sorella e non sarebbero tornate fino all’indomani. Ricordo perfettamente lo sguardo di Nadia quando si affaccio alla terrazza al tramonto. Non c’era stupore. Non c’era meraviglia. Non c’era ammirazione. C’era lei, con lo sguardo malinconico perché incapace di accogliere dentro tanto splendore. Un raggio di sole le attraversava i capelli, schiariti dal sole e dall’acqua di mare e le colpiva la schiena scoperta. La pelle in penombra era colore della sabbia bagnata, e un granello di sale portato dal vento sulla sua guancia, luccicava intermittente.
Mi sembrava la scena di un film. Il vento leggero del tramonto, il rumore delle piccole onde sulla battigia. Lei era lì, con le mani aperte sulla balaustra di tufo. Io poggiato allo stipite della porta la guardavo da dietro a debita distanza. Assistevo a questo spettacolo, in silenzio. Mi presi di coraggio. Mi avvicinai piano, senza fare rumore. Avevo una camicia di lino bianca e i capelli arruffati ancora fatti di sale. Mentre camminavo verso di lei contavo le mattonelle di ceramica antica sul pavimento. Tre, quattro, sette, dieci, quasi come un conto alla rovescia per raggiungere la meta.
Aveva una canotta bianca e un pareo a fiori, enormi fiori di Ibiscus rosa. Le arrivai dietro e le poggiai delicatamente le mani sulle spalle. Sussultò leggermente e senza voltarsi mi disse “finalmente!”. Mi sentii sprofondare. Il cuore iniziò a battermi forte. Non dissi nulla. Da questo momento ogni singolo movimento fu praticamente impercettibile. Ogni gesto era millimetrico. Le mie mani le accarezzavano lentamente le braccia. Lei si sposto poco indietro per poggiare la sua schiena sul mio petto, abbassò leggermente il viso per guardare la mia mano, quasi per avere la certezza che fosse la mia. Voltò la testa verso l’alto per cercare il mio sguardo, mi chinai leggermente e le nostre bocche si incontrarono lentamente fino a toccarsi. Rimanemmo così per un tempo indefinito, fermi, immobili. Tra noi solo il nostro respiro attraversato dalla salsedine. Poi per un secondo le nostre bocche si allontanarono, e cominciammo a respirarci l’uno dell’altra, assaporando le nostre anime.
Ci baciammo appassionatamente, accarezzati dalla brezza tiepida ma piacevole dei pomeriggi di agosto. Faceva caldo ma non ce ne rendevamo conto. Lei rivolta con le spalle al mare mi mise una mano dentro la camicia e cominciò ad accarezzarmi il petto mentre continuava a baciarmi. La presi dai fianchi e la poggia delicatamente sul largo davanzale di pietra bianca. Le sue gambe intrecciarono la mia schiena. Le accarezzai il collo e le misi una mano tra i capelli, poi le sfilai la canotta bianca. I suoi seni erano scoperti davanti a me e non potei far altro se non cominciare a baciarli. Il suo ventre piatto con l’ombelico adornato da un monile era colore dell’ambra fino ai seni, che si mostravano prosperosi e disegnati con un triangolo che rivelava la pelle bianca, candida, non intaccata dal sole.
I suoi capezzoli erano perfettamente rotondi e centrati sui seni. L’areola rosa faceva da corona al capezzolo duro e ritto. Sentii il mio membro diventare duro e turgido come non avveniva da mesi.
Lei sciolse il pareo e mostro il costume basico con i laccetti ai fianchi. Mi prese per mano e mi condusse alla stanza da letto. Si mise ai piedi del grande letto e con le mani sciolse i lacci dello slip, lasciandolo cadere per terra; poi si girò e si distese. Le sue natiche rivolte verso l’alto erano come colline di sabbia levigate dal mare. Mi spogliai e la raggiunsi, mi misi sopra di lei e l’avvolsi con il mio corpo.
I nostri corpi non potevano fare a meno l’uno dell’altro. Eravamo in simbiosi assoluta. Ci baciavamo e ci toccavamo. Le misi una mano tra le gambe e comincia ad esplorare il suo sesso liscio e turgido, completamente bagnato; lei prese il mio fallo in mano che era grondante di umore e cominciò a massaggiarlo con passione e delicatezza al contempo. Nessuno mai lo aveva fatto a quel modo prima.
Ci intrecciamo uno verso il sesso dell’altro di fianco sul letto. Io assaporavo con la mia bocca ogni centimetro di quel capolavoro dal sapore di mare e dal profumo di mandorle. Leccai ogni angolo della sua pelle, le sue labbra, la sua clitoride, le sue natiche e dentro il sesso mettevo la lingua per suggere ogni goccia di lei.
Lei assaporava il mio fallo così avidamente e con passione che mi sembro fosse ancor più grande del solito. Con la lingua circuiva il glande e ad ogni movimento le gocce di umore si facevano sempre più copiose, riempiendole la bocca e bagnandole il viso.
“Ti voglio!” mi disse “Ti voglio tantissimo!”. Non me lo feci ripetere più. La distesi sul letto, le allargai le gambe e poggiai il mio membro sulla sua vagina fradicia e rossa; lei lo prese e lo accompagno dentro. Un sussulto e un sospiro echeggiarono nell’aria. Sentii il calore del suo sesso sul pene lucido dei suoi umori e cominciai a muovermi lentamente dentro di lei. Ogni mio movimento generava un gemito e un sospiro, ad ogni spinta mi diceva “ancora, ancora!”. Io ero estasiato davanti a tanto ardore. Mai avevo provato un’eccitazione così forte e così grande. Il mio glande pulsante era grosso, rosso, e duro, completamente irrorato di sangue e la penetravo con così tanto godimento da aver pensato “ Questo è il paradiso, e io sono morto!”. Mi gettai su di lei e ci baciammo mentre continuavo a penetrarla. Le sue labbra, il sapore di lei. Ero in estasi. Poi si girò, mostrandomi le natiche; non servirono parole. La presi da dietro. Lei si muoveva forte, le mie mani sulle sue natiche la tenevano verso me, e ogni movimento era sempre più forte e sempre più in profondità. I gemiti si trasformarono in piccole urla, che riempivano la villa vuota. Vedevo il mio fallo entrare ed uscire dalla sua vagina, con le piccole labbra che lasciavano un umore bianco sulla mia asta. Eravamo così bagnati che gli umori colavano sul letto lasciando aloni umidi che poco avrebbero lasciato all’immaginazione. Con il pollice esplorai il suo ano e lei non fece cenno di fastidio alcuno. Delicatamente uscii dal suo sesso per intraprendere altre strade. Le poggiai il pene duro e turgido tra le natiche e comincia a strofinarlo, poi, piano piano, accostai il glande sull’ano e premetti delicatamente. Poco ver volta la presi e sentii il suo godimento fin dentro il ventre, mentre con la mano lei si masturbava. Nulla facevamo per trattenere i nostri rantoli e le nostre urla. D’un tratto la sentii irrigidirsi con forza. I muscoli del suo ano stretti sul mio fallo mi davano un piacere indescrivibile. Lei era all’apice del piacere. “Non venirmi nel culo!” Mi disse come fosse un generale che impartisce ordini a un soldato. “Ti voglio dentro di me, nella mia fica!, voglio sentire la tua sborra dentro di me! Riempimi tutta, Riempimi della tua sborra!”.
Ricordo ancora quel momento. E’ vivissimo nella mia mente e nella mie membra e ancora mi eccito pensandoci; certe volte mi masturbo pensando a quella notte.
Lei si giro di nuovo e si mise sulla schiena. Io sopra di lei ripresi a penetrarla con … amore. Gli affanni si fecero rapidamente veloci, sempre più veloci, e sempre più duro era il mio membro dentro di lei. “non ti fermare, non ti fermare, riempimi, riempimi” ripeteva affannata e gemente.
Poi un urlo di piacere invase la notte. Sentii che raggiungeva l’apice massimo del piacere e a quei suoni e a quella visione vissi il suo orgasmo che si liberava con un eccesso di umore sul mio pene e mi sciolsi anch’ io in un rantolo profondo di godimento dentro di lei, inondando il suo sesso e il mio completamente. Fermi e per un tempo non chiaro rimanemmo accompagnati da spasmi di piacere residuo, ancora presenti, come fa la coda di una lucertola appena tagliata. Poi ci guardammo negli occhi e ci accorgemmo che piangevamo entrambi.
Tirai fuori il fallo ancora turgido e una copiosa quantità del mio seme usci dalla sua vagina. Lei lo raccolse e lo porto alla bocca. Poi si accarezzo ancora il sesso unto dei nostri fluidi e lo porto alla mia. Rimanemmo lì distesi sul letto, nudi, ad accarezzarci per il resto della notte.
Altre cose sono accadute in quei giorni, e altre nei mesi seguenti e le ricordo tutte perfettamente. Quella però fu una notte davvero unica nella mia vita.

Fare l’amore con lei è in assoluto la cosa più bella che mi sia capitata fino ad oggi. Ma la vita si sa, a volte è malsana.
Una cosa però ricordo di Nadia e nessuna altra donna che è venuta dopo e che verrà in futuro avrà il potere di farmela dimenticare, un ricordo vivo e presente come se fosse ancora qui in ogni istante della mia esistenza: il profumo delle sue labbra al tramonto.
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