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Lui & Lei

Lezioni di italiano


di Renee
12.08.2024    |    3.490    |    8 9.8
"Ormai ero talmente bagnata che non ci volle nessuno sforzo per farlo entrare..."
Vivevo in Belgio già da 10 anni quando ho deciso di iniziare a dare lezioni di italiano. L’idea mi era venuta un po’ così, mentre riflettevo sul fatto che avrei voluto guadagnare qualcosina in più senza fare sforzi immani. Così mi cimentai in alcune ricerche, trovando la soluzione ideale. Avevo trovato un sito dove poter pubblicare il mio annuncio. Non credevo avesse mai potuto funzionare.
Dopo qualche settimana ho avuto le mie prime richieste, incontrando gente interessante. A volte online, a volte di persona. Così ho incontrato S. e S., una coppia interessante e gentile con cui è nata un’amicizia sincera, poi ho incontrato P., un ex neurochirurgo in pensione che scriveva canzoni, e poi dopo alcuni mesi sono stata contattata da T.

Con T. non è stato facile pianificare un primo incontro, non vivendo troppo vicini l’uno all’altro. Inizialmente ci siamo scambiati qualche messaggio, poi qualche email. Il nostro primo incontro è stato dietro una webcam. Solitamente preferisco vedere le persone dal vivo, almeno la prima volta. Vedere per la prima volta le persone online mi imbarazza. Però quel giorno non era così. Quando T. entró online non mi sentì affatto a disagio. Mi ritrovai davanti un uomo dal bell’aspetto, socievole e alla mano. Non so perché, ma la conversazione mi dava una bella sensazione. Tutto molto spontaneo, iniziai a fargli domande sulla sua vita e sul suo interesse nella lingua italiana. Poi feci alcune domande per capire il suo livello, per capire cosa avesse già imparato e come avrei potuto aiutarlo. Mi aveva dato l’impressione di essere intelligente, capiva al volo. Caspita - pensai - mi divertirò a dargli lezioni.
Dopo la lezione gli proposi un incontro per la settimana dopo. “Dato che lavoro nei dintorni della sua città” - pensai - “magari ci posso andare dopo il lavoro.”
E così ci accordammo.
Ci ho pensato spesso nei giorni successivi.
Il giorno in cui ci eravamo accordati, però, decisi di non andarci più a causa del traffico. Mi sarebbe costato più di un'ora. L’ultimo messaggio è stato “Cercheremo un’altra data”.

Un venerdì sera, dopo la giornata lavorativa, sarei dovuta andare a una festa di lavoro. Sono andata a casa, mi sono convinta di non essere troppo stanca e sono andata in bagno per prepararmi. Avevo scelto un pantalone nero elegante, un body nero trasparente che avevo comprato in italia da Yamamay con solo alcune strisce nere che coprivano in parte il seno en in parte la pancia accentuandone i lineamenti, una giacchetta nera elegante e delle scarpe col tacco a punta nere. La serata era a tema, black and gold. Un orecchino a triangolo e un braccialetto, entrambi color oro.
Un po’ di make-up, il mio solito eyeliner nero. Andiamo!
La festa era stata organizzata in un locale, pensavo, nella stessa città dove viveva T. Più volte mi era passato per la mente di mandargli un messaggio per dirgli che mi sarei trovata nei paraggi, per dirgli che magari sarebbe stata una buona occasione per vederci dal vivo.
“Ma che cavolo dici - dissi tra me e me - non é per nulla professionale quello che stai pensando. Lascia stare”.


Dopo un’ora di macchina e alcune bestemmie per trovare il posto, parcheggiai la macchina e mi avviai a piedi verso il locale. Sentivo la musica e vedevo le luci in lontananza.
“Non farò tardi - pensai - sono già stanca e non conosco nessuno. Cercherò di bere il meno possibile e dopo con calma si va a casa”.
Entrai nel locale, venni accolta gentilmente e fui accompagnata dai colleghi della mia regione. Fui contenta di annunciare alla mia recruiter che il lavoro nuovo nell’ospedale psichiatrico andava alla grande, colleghi e capo reparto erano soddisfatti e avevo sentito delle voci che dicevano che avrebbero voluto tenermi lì a lungo. Allora cin cin! Il primo bicchiere di prosecco.

Mi sentivo abbastanza carina, la musica era bella, c’erano stuzzichini che venivano serviti da camerieri educati e sorridenti, la gente rideva e ballava. Tutti infermieri. Di solito a questi avvenimenti ci sono principalmente donne, ma questa volta il pubblico era piacevolmente misto.
Incontrai una collega di qualche anno più grande di me, non ci eravamo mai viste ma iniziammo a parlare, bevemmo un prosecco assieme… salute! Alcuni belga sanno essere piacevoli.
In quel periodo c’era una particolare malinconia che mi portavo dietro, una sensazione di insicurezza e voglia di evadere, una voglia di ballare, di fare festa, di riscattarmi da tutti i momenti degradanti dell’ultimo anno. Un altro bicchiere… salute!
“Cavolo - pensai - forse non dovrei più guidare per oggi”.
Presi il telefono e inizia a scrivere un messaggio… a T.!

“Se hai voglia di una lezione di italiano, sono in città!”, faccina che ride. No, non posso farlo. Non lo feci.

Mi avvicinai al bar, ordinai una coca-cola. Era più o meno mezzanotte e la mia collega mi disse che sarebbe dovuta andare via, mi raccomandò di essere prudente.
Ero un po’ brilla, avevo voglia di svagarmi. Ma mi sembrava quasi impossibile farlo in quel posto. Non so perché, a volte con i belga si fa fatica a socializzare. Mi sentivo un po’ così, in un angolino nascosto. Ordinai ancora una coca-cola e andai a sedermi su un divanetto, “Direi sia arrivato il momento di prenotare un hotel, comunque vada non posso più guidare”. E così prenotai un hotel a dieci minuti a piedi dal locale.

Seduta sui divanetti vedevo la gente ballare, ridere, e pensavo a quanti mesi e mesi mi fossi persa quella vita… per stare a casa ad essere una persona che non ero. Guardai ancora il telefono, tornai ad aprire i messaggi:
“Se hai voglia di una lezione di italiano, sono in città!”.
Non avevo cancellato quel messaggio, ci stavo rimuginando da almeno un’ora. Come potrebbe cambiare questa serata con un semplice messaggio? Forse si, forse no, chissà…
INVIA.
“Ma che cavolo fai - pensai - beh comunque, ormai il danno è fatto".
Guardai il telefono e iniziai a ridere, sono sempre la solita impulsiva del cavolo. Ero compiaciuta di aver avuto un flash della vera me.
Era l’una di notte e onestamente non mi aspettavo una risposta.
“Una lezione… un po’ insolita. Però mi piace questo tipo di spontaneità. Dove sei?”
Questa non me l’aspettavo.
“Che risposta simpatica - pensai - come se mi stessi aspettando”

“Sono a una festa del lavoro ormai diventata noiosa. Hai voglia di venirmi a salvare?”
“Dammi una posizione e ti dico tra quanto tempo sono li.”

“Ma sta succedendo davvero? - pensai - non me lo sto immaginando, non sono troppo sbronza no… ho bevuto 3 bicchieri. Ok…”
Gli mandai l'indirizzo.

“Sta arrivando la cavalleria, ce la fai a resistere per 20 minuti?”
"Farò del mio meglio”

Dopo venti minuti, puntualissimo, era lì che mi aspettava all’ingresso del locale. Era un bell’uomo anche dal vivo, forse anche meglio.

“Ciao, ce l’abbiamo fatta a vederci anche se non come me l’ero immaginata! Dove mi porti?”
“Vieni, andiamo a bere qualcosa”

Mi sembrava quasi nervoso. Entrammo in macchina e ci avviammo. Andammo in un bar abbastanza affollato, ci sedemmo fuori in terrazza dove c’era meno confusione, in modo tale da poter comunicare. Ci sedemmo uno accanto all’altra, io con un prosecco e lui con una birra. Io ero un pochino brilla, forse anche per questo mi sentivo più a mio agio. Iniziammo a parlare del più e del meno, dei nostri interessi, dei rispettivi lavori, del nostro passato, degli hobby… venne fuori che avevamo più cose in comune di quanto pensassi.

“Ma alla fine, quanti anni hai?”
“29” gli dissi
“E io quanti ne ho secondo te?”
“Io lo so, me l’hai detto l’altra volta e ancora lo ricordo: ne hai 45”
“Infatti, ti ricordi bene”
“Comunque grazie per essere venuto a salvarmi, è un periodo un po’ così, ho bisogno di distrarmi. Non mi sento molto sicura di me e ho bisogno di togliermi questi pensieri dalla testa.”

“Ma che cavolo stai raccontando a uno sconosciuto - pensai - chiaramente questo quarto bicchiere di prosecco sta parlando al posto mio.” Sorrisi.

“Non capisco perché tu ti senta insicura. Sei una donna molto bella”
“Ti ringrazio, sei gentile.”

Mi guardò negli occhi mentre me lo disse. Per un attimo sentì come un fermo immagine.

Scoprimmo di avere in comune la curiosità per la mente umana, mi raccontò di aver fatto dei corsi di ipnoterapia.

“Sai - mi disse - a volte chiedo a una persona di immaginare qualcosa di bello, e poi utilizzo un’ancora per imprimere quella sensazione nella sua mente”
“Un’ancora? E come funziona?”
“Beh, funziona esercitando una certa pressione sul corpo, in modo tale da creare una reazione che il cervello poi collega automaticamente a quel pensiero”
“Per esempio?”
“Per esempio, afferrando i polsi della persona…”
Mi prese il polso con determinazione e lo spinse contro la panchina su cui eravamo seduti, stringendo le dita, senza farmi male.
“Ok, quindi in questo modo crei una reazione…” cercai di nascondere l’imbarazzo.
Che avevo appena sentito?
“Esatto, proprio così."
Ripeté il gesto.

Mentre parlava sentivo quasi una calma. La musica in sottofondo mi piaceva, incorniciava la scena. Ad un certo punto mentre lo ascoltavo parlare sentì la musica farsi sempre più in primo piano, non più cornice ma centro florido della scena: Atomic degli Sleepers. Lo fermai, gli chiesi di aspettare un attimo. Nella testa rivedevo la scena di Trainspotting in cui Renton incontra Diane in discoteca, la scena in cui vanno a casa insieme dopo essersi baciati intensamente nel taxi. Il seno di Diane che ondeggiava armonioso mentre lei si muoveva su di lui sdraiato sul letto…
“Scusami, la musica mi ha distratta un attimo” - la musica.
“Non preoccuparti”

“If you're looking for a sign, this is it. ”

Parole, parole e all’improvviso non potevamo ordinare più nulla da bere. “Che palle - pensai - é presto”. Io non avevo ancora voglia di andare a dormire. Ma sorprendentemente i locali in quella zona chiudevano tutti abbastanza presto.

“Possiamo bere ancora qualcosa da me - mi disse T. - se vuoi. Poi se vuoi ti posso accompagnare in hotel”
Riflettei un attimo.
“Ma si dai, però dopo devo davvero andare in hotel”

Poco dopo eravamo lì, sul divano di casa sua, ad ascoltare musica, a parlare del più e del meno e a bere un bicchiere di vino. T. aveva scelto proprio della bella musica, era gentile. Il vino era buono.

“Dopo devo davvero andare in hotel” gli dissi.
“Questa è una tua scelta, per me puoi anche restare”

Mi guardò negli occhi in silenzio, si avvicinò.
“Ora che succede? - pensai - non credo che…”
Mi sfiorò le labbra, per un attimo fui presa dall’imbarazzo. Mi spostai.
“Scusami - gli dissi - non so se…”
“Non preoccuparti, non mi aspetto niente”
Mannaggia al vino, non riuscivo più a pensare in modo razionale.
“Ma che c'è di razionale in tutto questo? - mi dissi - è già da quel messaggio che hai scelto di dire addio alla razionalità. Non fare l’ipocrita dai…”

Lo guardai ancora un attimo, vi avvicinai al suo viso, mentre lui si avvicinava al mio. Le labbra si sfiorarono, prima un po’ timide, poi più sicure. Leggere e poi sempre più marcate. Gentili, e poi sempre più sfacciate.
Intrecciammo le lingue per la prima volta, come un puzzle perfetto, con una libera spontaneità - faccio quasi fatica a descriverlo a parole.
Mi portò la mano sul collo, decisa, ferma. Mi teneva così, mentre l’altra mano scorreva sulla mia schiena, sui fianchi, sulle gambe. Portai anche io la mano tra il suo collo e la guancia. Ci stringemmo più forte, quasi come a toglierci il respiro, senza fermarci nemmeno un istante. Non so come, ci trovammo sdraiati sul divano, lui sopra di me, con tutti i vestiti ancora addosso. Sembrava quasi non averli.
I baci diventavano sempre più intensi, le mani sempre più alla ricerca della pelle…
Avevo perso la cognizione del tempo.

Mi fermai, lo guardai. Mi piaceva il modo in cui i suoi occhi si posavano su di me. Il modo in cui mi guardava le labbra, il modo in cui mi guardava negli occhi. Era intenso, una cosa da assaporare secondo dopo secondo…

“Forse dovremmo lasciare le cose così per sta sera - gli dissi - si è fatto un po’ tardi”
“Hai bisogno di una maglietta e un pantaloncino?”
Si era fatto davvero troppo tardi per tornare in hotel. Ormai il danno é fatto, mi dissi.

Mi porse una t-shirt bianca e un suo boxer.

“Forse prendo solo la maglietta - gli dissi ridendo - ma grazie del pensiero”
“Non c'è di che” mi sorrise.

Mi misi la maglietta e tolsi i pantaloni.

“Grazie, è molto meglio così”
“Con piacere…”

E poi ancora quello sguardo. E poi senza capire come ci ritrovammo ancora sdraiati su quel divano. E poi le mani sotto i vestiti che sentivano la pelle calda. T. sdraiato su di me, mi spingeva il polso contro il divano, proprio come aveva fatto qualche ora prima al bar contro la panchina. Intanto si muoveva, spingeva il suo corpo contro il mio, io mi muovevo insieme a lui. Pian piano cresceva l’affanno, si stringevano ancora di più le mani, i corpi, le lingue.
Mentre eravamo sdraiati così, T. mi teneva stretta tra le braccia, le mani dietro la mia schiena. Sentì la sua mano scendere verso il basso, mi afferrò il sedere. Mi girava la testa dall’eccitazione. Ormai non potevo più nasconderla, non potevo più contenerla. Né emotivamente, né fisicamente… portó la mano ancora più giù, mi spostò leggermente le mutande…

“Ma sei un sacco bagnata - mi sussurrò all’orecchio - mi fai impazzire così"

Sentire la sua voce nell’orecchio oltre i suoi respiri, mi fece esplodere la testa completamente. Intanto continuava a stuzzicarmi con le dita e a spingere il suo corpo contro il mio.
Portai la mia mano sulle sue mutande, volevo sentire. Volevo sentirlo.
Lui le abbassò leggermente e io iniziai a sfiorarlo con la punta delle dita, poi sempre più convinta, ma senza esagerare… una cosa alla volta. In quel momento ero seduta davanti a lui, mentre lui stava in ginocchio sul divano. Ci guardammo un attimo e poi lo tirai di nuovo verso di me.
Questo gioco, questa danza… mi piaceva, mi uccideva.
Ci ritrovammo ancora come poco prima, lui su di me, con le mutande abbassate questa volta. Con la mano mi spostò le mutande e lo sentì per la prima volta vicino alle mie labbra. Prima un pochino, uno sfiorarsi… e poi sempre più deciso, sempre più profondo. Era come cadere da un precipizio senza paracadute.
Il buio, gli occhi socchiusi, i sorrisi di piacere. Un ritmo marcato. Il dolce su e giù (come avrebbe detto Alex in Clockwork orange). La musica.
Questo gioco, questa danza… Mi piaceva, mi uccideva. Ed eccola li, la tanto attesa petite mort. Mentre T. continuava a spingere, senza sosta, mi passó come un fulmine attraverso il corpo.
Gemiti e sospiri, le gambe tremarono.

"Hold it, baby, it gets too much
I feel like I'm gonna die”
Vaya con Dios aveva ragione.

Cercai di resistere ancora un po’, ma le gambe mi avevano abbandonata.

“Ok, aspetta un attimo, devo respirare” gli dissi sorridendo.
“Lo sai che è difficile per me? “
“Che vuoi dire?”
“Sarei potuto venire già tante volte”
“E perché non lo fai?”
“Perché è troppo bello, non voglio che finisca”

Lo feci sdraiare, andai a sedermi su di lui. Ormai ero talmente bagnata che non ci volle nessuno sforzo per farlo entrare. Iniziai a muovermi su di lui, con calma. Ma lui non voleva la calma, no. Mi afferró per i fianchi iniziando a muoversi sotto di me, facendomi quasi saltare. Una passione wild, un ritmo primordiale.
Gli leccai il collo, l'orecchio, sdraiandomi leggermente su di lui.
Il ritmo si faceva sempre più intenso, sempre più veloce. Io volevo vederlo perdere il controllo, volevo sentirlo tremare.
Cercavo di mantenermi in equilibrio appoggiandomi allo schienale del divano per mantenere la cadenza, per non rallentare… e all'improvviso sentì il suo respiro affannarsi ancora di più, il suo viso cambió in una bellissima espressione di piacere, lo sentì diminuire l'intensità dei movimenti.

“Ah…”

Sdraiati ancora sullo stesso divano, T. inizió a baciarmi tra il collo e la clavicola.

“Questo è da oggi il mio nuovo posto preferito” mi sussurrò.






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