Racconti Erotici > bdsm > Il nero vince in due mosse (cap. 3)
bdsm

Il nero vince in due mosse (cap. 3)


di eborgo
07.06.2023    |    736    |    0 9.4
"Proprio con due professionisti del “bondage” dovevo capitare..."
Capitolo terzo. L’affare s’ingrossa

Romilda ha nuovamente indosso la sua tuta da ginnastica di tessuto sintetico lucido. Il tè alla menta mi ha rimesso al mondo. Mi hanno slegato polsi e caviglie e ho potuto fare la prima doccia della mia vita sotto la minaccia di una pistola. Mi stò asciugando davanti a Romilda che si tiene a qualche metro di distanza da me, il ferro in mano e gli occhi sul mio uccello. Mi lascia finire e aspetta che io abbia indossato i deliziosi calzoni di raso giallo oro. Credo gli piaccia molto quello straccetto che mi fanno portare. Ho il sospetto che Nives Anyanwu me li abbia fatti mettere apposta per stuzzicare le voglie del suo amico.
Lui raccoglie le corde da terra e mi indica il letto. «Forza» mi dice, «sdraiato su letto a faccia in giù.»
Evito di polemizzare e obbedisco. Si siede sulla sponda del letto accanto a me e io giro la testa dall’altra. Mi passa la canna fredda della pistola sulla schiena, su e giù lungo le scapole facendomi rabbrividire. «Le mani dietro tua schiena, tesoro.» Mi dice.
Comincia a legarmi i polsi lentamente, con metodo, tirando bene le corde. Dev’essere una cosa che lo eccita perché un paio di volte interrompe il suo lavoro e si china a baciarmi, ora il collo ora le spalle. Stringe bene i nodi e controlla che non mi possa sciogliere. Proprio con due professionisti del “bondage” dovevo capitare...
«Ti eccita quando ti lego, amore?» domanda cogliendomi di sorpresa.
Si china nuovamente e prende a strisciare lentamente il suo viso tra le mie chiappe coperte di raso giallo oro. I miei muscoli si tendono a quel contatto impertinente, ma quando sento la sua lingua spingere lungo la zona proibita faccio davvero un guizzo.
«Calmo» mormora Romilda, «è solo sesso, tu ricordi? Non c’e niente di male.»
Sotto la pancia, quel bastardo del mio uccello ha avuto un guizzo anche lui. Questa è insubordinazione grave. Sembra che il mio coso sia indipendente dal mio cervello.
Lui mi da ancora un paio di morbidi baci dove il collo si attacca alla spalla poi si alza e mi lega le caviglie lasciando i soliti trenta centimetri di corda tra una e l’altra.
Mi fa voltare e mi aiuta ad appoggiarmi ai cuscini. Poi si ritira in bagno.
C’è poca privacy in questa casetta. Capisco cosa intendesse Nives quando diceva che la scala B è una scala di seconda classe. In effetti in casa mia, dall’altra parte, ho più del doppio dello spazio. E due bagni in più
Dal salotto arriva il ticchettio della tastiera sulla quale lei sta lavorando. Qualsiasi imbroglio stiano preparando, questi due ci danno dentro. Hanno pure l’aria sveglia.
Romilda esce dal cesso asciugandosi le mani. Posa la salvietta sullo schienale di una seggiola e si avvicina al fondo del letto.
«É stato molto eccitante oggi, tesoro.» dice guardandomi negli occhi «Era tanto che non succedeva. Solitamente è lavoro.» Manda un bacio con la punta delle dita poi si volta ed esce dalla stanza.
Chiacchierano nella loro lingua per qualche minuto poi sento la porta d’ingresso che si apre. Un paio di risate sommesse, rumore di baci poi la porta si richiude.
Il ticchettio dei passi di Nives viene verso di me. Compare sulla porta e mi guarda con un sorriso tra il divertito e il curioso «Cosa vuole mangiare questa sera, il nostro “tombeur de femmes”?» domanda. «Gradisce leggera cucina nigeriana?.»
In effetti muoio di fame. Accetto volentieri la cucina nigeriana.


La mia prima sera in cattività, come direbbe King Kong, scorre più tranquilla del resto della giornata. Da qualche parte arriva il suono metallico di un televisore. Dev’essere l’ora del telegiornale. Chissà cos’ha preparato oggi la presidente del Consiglio per i suoi fan? Forse un’uscita in pubblico con lo scolapasta in testa.
Nives è seduta accanto a me, sulla sponda del letto. Mi sta imboccando con del meraviglioso asaro, piatto di carne con patate e passata di pomodoro. Prima ho potuto assaggiare un paio di deliziosi fagottini di pasta, i kokoro e delle frittelle di gamberi che lei chiama ojojo assolutamente squisite.
Raccoglie l’ultima forchettata di asaro e me la porge. «Vedi?» mi dice posando la scodella sul vassoio, «siamo riusciti a fare nostra cenetta.»
Sorrido. Non riesco proprio a odiarli questi due. Hanno qualcosa che mi affascina.
«E che cenetta» rispondo, «era tutto delizioso.»
Sembriamo lord e lady Mountbatten a una cena in società. Mi ringrazia del complimento e si alza per portare il vassoio in cucina.
Passa un’altra oretta durante la quale Nives lavora al computer e io sonnecchio pensando a quello che mi è successo oggi. La vita è strana. Uno arriva a venticinque anni facendo sesso come Barbie e Ken e poi, in un momento, vieni risucchiato nel vortice della perversione selvaggia. Forse ha ragione Romilda, è solo sesso, tutta esperienza da mettere nel cassetto.
Intanto Nives si è alzata dal computer, ha spento tutte le luci e si è chiusa in bagno.
Sento scorrere acqua, rumore di spazzolino da denti, altra acqua, silenzio. Anche il suono della televisine non si sente più.
Esce dal bagno con indosso un’ampia e morbida camicia da note di seta grigio-argento lunga fino ai piedi. È probabile che appartenesse alla signora Barzini. Addosso a Nives fa la sua bella figura. Ha i piedi nudi calzati in un paio di ciabattine di maglina nera trasparente che lascia intravvedere le dita con un effetto erotico tutt’altro che disprezzabile. Un sussulto leggero mi scuote il basso ventre.
Viene verso di me, la camicia da notte che svolazza in un ondeggiare morbido e setoso. Pare quasi che il raso le stia colando addosso. Piuttosto differente dalle camicette da notte in felpa con gli orsacchiotti disegnati che indossava Valentina.
Le chiedo di lavarmi i denti. Mi aiuta ad alzarmi e a piccoli passi torniamo in bagno. Mi fa sedere sul water, mi asciuga quando ho finito e poi mi lava anche i denti. Se avesse in casa una mamma novantenne dovrebbe seguirla di meno.
Torniamo in camera coi passi di Pollicino. Mi sistema al meglio sotto le lenzuola e si infila a letto al mio fianco. Prende un libro dal comodino e prima di mettersi a leggere si volta verso di me. «Mi spiace» dice trattenendo un sbadiglio, «non sarai molto comodo con mani legate ma capisci che non c’è alternativa.» Mi sorride di sottecchi.
«E ora cerca di dormire, tu ha fatto abbastanza sesso oggi»
Si immerge nel libro e non mi degna più di uno sguardo. Mi volto su un fianco e la guardo. Lentamente, i miei occhi si chiudono sul suo profilo scolpito nell’ebano e cado in un sonno popolato da occhi scuri, labbra carnose, lingue rosa e di enormi membri curvi e duri che danzano davanti ai miei occhi come serpenti indemoniati.
Mi sveglia una leggera scossa sulla spalla. Ho la bocca impastata, gli occhi cisposi e nessuna voglia di aprirli sul mondo. Una seconda scossa, un po più decisa della prima.
Socchiudo le palpebre e il volto sfocato di Nives Anyanwu riempie la mia visuale.
«Svegliati» mi dice scuotendo la mia spalla per la terza volta. «Dài, hai dormito come sasso. Devi alzarti.»
La metto a fuoco. Faccio per portare le mani agli occhi feriti dalla luce improvvisa ma nessuna delle due obbedisce al mio comando. Mi ricordo improvvisamente dove sono e una stretta allo stomaco mi scuote l’addome. Le mani cominciano a formicolare e io cerco di cambiare posizione. Sono tutto anchilosato, ma le mie caviglie sono libere.
«Dai» mi ingiunge Nives, «voltati che ti slego e ti faccio fare doccia.»
La pistola compare nella sua mano destra. Con quella mi fa segno di girarmi. Ha sempre indosso la camicia da notte di seta grigio argento. Lentamente, a fatica, mi metto a pancia sotto. Le sue dita sciolgono i nodi e la stretta sui miei polsi alla fine si allenta.
Mi sollevo massaggiandone i segni lasciati dalle corde per riattivare la circolazione. Mi indica il bagno con la canna della sua stramaledetta pistola di merda. Entro nella doccia, la apro e assaporo a lungo il rilassante getto d’acqua che mi scivola addosso. Lei mi osserva appoggiata allo stipite della porta del bagno, senza espressione. Ci scrutiamo a vicenda. Strana situazione. Mi asciugo lentamente. Lei continua a guardarmi.
«Ti do colazione prima di legarti» mi dice lì per lì, «va bene?.»
Annuisco. Andiamo in salotto dove mi aspetta un caffè fumante e una scatola di biscotti. Ne mangio un paio e bevo il caffè.
«Questa mattina viene Romilda per farti la guardia» dice mordendo un biscotto. «Io devo uscire.» Mi guarda di sottecchi, un mezzo sorriso. «Sono sicura che avete molte cose da dirvi.» Non rispondo. L’idea mi dà le palpitazioni. Siccome ho finito lei si alza. «Dai, andiamo di la.» Si fa precedere sempre tenendosi a una certa distanza.
Senza aspettare che me lo dica lei, mi sdraio a pancia sotto sul letto e incrocio le mani sulla schiena. «Bravo» mi fa posandomi la canna fredda della pistola sulla pelle. «Così rendi cose più facili.»
Guizzo nel basso ventre e calda sensazione che si diffonde.
Come sempre, con inquietante perizia, mi lega i polsi stringendo con cura i nodi. Anche le caviglie subiscono la stessa sorte. Poi mi volta e sale sul letto inginocchiandosi sopra di me. «Adesso stai qui bravo che anche io ho voglia di fare doccia.»
Si sporge verso la sua parte del letto per prendere un asciugamano e allora, inarcando la schiena, vado a sfregare la punta del pene contro la pelle morbida della sua coscia velata dalla seta della camicia da notte. Si blocca e si rimette dritta. Mi guarda dall’alto, con aria leggermente sorpresa. «Cosa credi di fare?» mormora. «Non farmi perdere tempo che devo andare.»
«Esplorazioni» dico.
«Ah, davvero» Si solleva e scosta la camicia da notte di quel tanto che mi permette di venire in contatto con la sua pelle nuda e di introdurre appena il glande dentro di lei.
«Questo è quanto ti è permesso» mi dice «ed è più di quello che ti spetta.»
Lo spingo leggermente verso l’alto, un piccolo respiro trattenuto, sempre guardandola negli occhi.
«Smettila» sussurra. Tiene gli occhi chiusi, il mento alzato. Le labbra grandi, scure, sono socchiuse. «Farò tardi.»
Un’altra piccola spinta: è delizioso e irresistibile.
«Dov’è che deve andare?» chiedo.
Il rumore della strada giunge ovattato alle mie orecchie, la luce del sole invade la stanza.
«Non sono tuoi affari.»
Sempre con gli occhi chiusi, si abbassa di colpo su di me con un lungo gemito sommesso. Un lampo di calore mi attraversa il corpo, «Dovrò punirti severamente per questo» mugola e si china su di me. Le sue labbra coprono le mie e le nostre lingue si incrociano furibonde. Bruca avidamente la mia bocca mentre il suo bacino si muove lentamente su e giù. A tratti contrae la fica strappandomi gemiti di piacere. A volte, quando sale pare quasi che me lo debba strappare. La sua camicia di seta struscia sulla mia pelle in maniera terribilmente erotica. Avrei una voglia folle di toccarla, di carezzarla, di far scorrere le mie mani sul suo corpo maturo velato di liscio e lucido raso mai i miei polsi sono tesi, dietro alla schiena, stretti l’uno contro l’altro dalle corde.
Assecondo il suo movimento e scosse elettriche di varia intensità si comunicano al mio addome sempre più frequenti. Smette di baciarmi e solleva lentamente il capo, gli occhi socchiusi fissi nei miei e i denti bianchi che fanno capolino attraverso le labbra socchiuse. Veniamo insieme, lei con lunghi sospiri di piacere, io con pulsazioni violente, sempre più lente e distanziate.
Si lascia andare su di me e appoggia la testa nell’incavo del mio collo. Sento il suo fiato caldo sulla pelle e le sue unghie che mi carezzano il petto.
«Non pensare di cambiare le cose» mi dice in un soffio «non sei niente per me, solo una bella scopata pulita.» Si solleva appena e mi guarda negli occhi senza sorridere. Con un piccolo sforzo sollevo il capo dal cuscino e la bacio sulla bocca. Risponde al mio bacio e mi da la lingua da succhiare. La sua vagina si contrae sul mio uccello ancora dentro di lei. mugolo tra le sue labbra.
Si stacca dal mio bacio e si sfila dal mio sesso con una mossa lenta e studiata.
Mi guarda negli occhi, questa volta con un lieve sorriso, quasi dolce «Ieri mattina» mi dice «quando hai chiesto se potevi invitarmi a cena...» mi passa due dita leggere sulla bocca «beh, ho molto apprezzato.» Mi bacia sulle labbra «Ho subito avuto voglia di fare amore con te.»
Chiudo gli occhi riempiendomi le narici del suo profumo mescolato a quello leggero del sudore.
In quella suona il campanello.
Lei si alza dal letto e guarda l’orologio «Sono in grande ritardo» sospira uscendo dalla stanza. La sento azionare l’apri porta del citofono, poi rientra in camera da letto e scompare in bagno in una nuvola di seta grigio argento.


Romilda sta frugando nell’armadio a muro in cerca di qualcosa di sensuale ed eccitante da mettersi addosso.
É nudo ad eccezione di un paio di seriche mutandine di raso nero sul davanti delle quali spinge il gonfiore del suo sesso in posizione di riposo evidenziato dai lucidi riflessi del tessuto.
Ai piedi ha le solite infradito di gomma nera semitrasparente. La sua tuta da ginnastica di lucido tessuto sintetico è buttata su una sedia vicino alla finestra.
Quando Nives è uscita dal bagno vestita hanno avuto una breve chiacchierata nella loro ermetica lingua ed è da allora che Romilda ha cominciato a cambiarsi senza degnarmi di uno sguardo. Io sono sempre legato sul letto e ogni tanto lancio un’occhiata al suo corpo magro e asciutto. Da quando è entrato in casa l’ansia ha di nuovo cominciato ad attanagliarmi lo stomaco.
Si muove con eleganza innata e i suoi movimenti, né maschili né femminili, hanno sempre una certa grazia. Immagino che sui suoi amanti o clienti o quel che diavolo sono, debba avere un’attrazione magnetica.
Tutto in lui è speciale, le gambe forti ma più belle sicuramente di quelle di molte donne che conosco, i muscoli delle braccia lunghi e ben disegnati, la vita asciutta e il ventre piatto e quelle sue piccole tette, appena accennate ma con un capezzolo troppo grande e pronunciato per un uomo.
Mi volto e guardo il sole che entra attraverso le tende. Intanto Nives è comparsa sulla porta, ha in mano la mia borsa della telecamera che evidentemente si porta via. Mi giro verso di lei e i nostri sguardi si incontrano per un lungo attimo. Poi si rivolge a Romilda e si scambiano un paio di parole in un telegrafico yoruba. Si volta e il ticchettio dei suoi passi si perde nel rumore della porta di casa che si richiude alle sue spalle.
Romilda prende alcuni capi d’abbigliamento dall’armadio prima di richiuderne le ante. Come se io nemmeno fossi nella stanza si sfila le mutandine e si siede su una poltroncina per infilarsi un paio di calze di seta nera, molto velate, che accarezza a piene mani per tirarle bene sulla gamba tesa, come già faceva la signora Robinson nella famosa scena de Il laureato.
Una volta in piedi, raccoglie un lucido reggicalze di raso scuro, lo cinge in vita e fissa la parte più scura di entrambe le calze ai gancetti preposti. Si volta verso lo specchio dell’armadio a muro e si rimira con aria compiaciuta, poi si rimette le morbide mutandine di raso nero sistemandone per bene il sesso all’interno. Mai visto nessuno vestirsi in questa maniera... Ho contemporaneamente il cuore in gola e il fuoco nella stiva. Lui si accomoda nuovamente sulla poltroncina e indossati un paio di sandali a fascetta di pelle nera, con il tacco a spillo, ne allaccia coscienziosamente i cinghietti alle caviglie.
Si rialza e viene a lenti passi verso di me, le mani sui fianchi e lo sguardo di sfida, ondeggiando sulle gambe come una modella. Si ferma accanto al letto e mi osserva senza dire una parola. La sua pelle lucida e scura brilla alla luce rosata che filtra attraverso le tende. Improvvisamente allunga una mano e mi afferra il sesso semirigido attraverso il raso dei pantaloni del pigiama. Faccio un balzo dell’accidente e il mio cuore si mette a ballare la danza della pioggia.
«Ti è piaciuto scoparti Nives, vero?» mi dice in un soffio chinandosi leggermente su di me.
Lo guardo e non favello, anche perché ho fiato appena sufficiente per respirare. Lui prende ad accarezzarmi l’uccello attraverso il tessuto dei pantaloni. La mia parziale erezione indica che, nonostante il mio ostruzionismo, la cosa mi è tutt’altro che indifferente e questo deve divertirlo molto. Del resto, è evidente che qualcosa in lui va a colpire in pieno il mio sensore dell’erotismo. «Mi auguro per te che sei altrettanto carino con me» mi dice continuando a carezzarmi, «anche se io più esigente di lei.» Qualcosa nel sacchetto di raso che ha tra le gambe ha un guizzo. Ora la forma del suo pene eccitato è chiaramente visibile sotto la seta delle mutandine. Un fiotto di adrenalina mi elettrizza. Lui mi lascia andare e si allontana dal letto. Cammina sculettando fino in bagno e prima di scomparire alla mia vista mi lancia un’ultima occhiata da sopra la spalla destra.
Chiudo gli occhi e inspiro due o tre volte profondamente, riempiendo d’aria i miei polmoni e cercando di calmare i lampi di tensione che imperversano nel mio corpo. Ho un batticuore da far spavento.
Lo sento muovere in bagno, oggetti spostati, boccettini che tintinnano, fruscii di tessuto. Passano una decina di minuti prima che ricompaia. Ha indossato un top di seta nera che gli copre a malapena l’ombelico sopra al quale sporgono i capezzoli delle sue minuscole tette. Un’ampia e morbida vestaglia di raso nero, lunga fino ai piedi e lucida di riflessi setosi completa il suo abbigliamento. Come l’altra, deve far parte del guardaroba che hanno rubato alla signora Barzini. La tiene aperta e mentre viene verso di me il serico tessuto svolazza alle sue spalle come un mantello. Si ferma accanto alla sponda del letto e mi osserva con aria pensosa. Si è sciolto i capelli che gli cadono neri e lucidi sulle spalle e si è truccato leggermente gli occhi con un ombretto azzurro, dai vaghi riflessi argentati. Le labbra, socchiuse, sono appena velate di rossetto pallido.
Sono senza parole. In lui, la parte maschile e ormai velata dalla prepotenza della parte femminile che a questo punto prevale sull’altra. L’uomo appare a tratti ma come trasparendo appena, un’ombra che ormai fa parte dello sfondo. Se non fossi spaventato, sarei affascinato. O viceversa. Il suo profumo leggero mi solletica le narici.
«Questa è lingerie di quella vecchia troia che abita in tua scala» dice con un sorriso, «Non credi che sta meglio a me?»
Taccio e quindi acconsento. All’improvviso mi prende per un braccio e mi costringe ad alzarmi dal letto. Si mette alle mie spalle e, premendo il suo sesso contro le mie mani legate, mi stringe contro di se. Sento il suo affare tra le dita, liscio e scorrevole sotto la mutandina di seta, mentre lo sfrega lentamente sulle palme delle mie mani. Istintivamente chiudo i pugni per evitare di toccarlo. «Cominciamo male, tesoro.» Mi sussurra in un orecchio.
Mi sovrasta. Con i tacchi e tutto il resto sarà più alto di me di tutta la testa. I suoi capelli mi solleticano la spalla. Mi spinge appena e mi costringe a camminargli davanti. Entriamo in salotto e ci fermiamo davanti a una delle due poltrone.
Lui si accomoda e mi fa voltare verso di sé. «Mettiti in ginocchio» mi dice e siccome nicchio solleva una gamba e preme con il piede calzato dal sandalo sul retro del mio ginocchio. «Ubbidisci» mormora, «non vuoi irritarmi, vero?»
Faccio come mi dice e, prima una gamba e poi l’altra, mi ritrovo inginocchiato tra le sue cosce forti. Sembra soddisfatto. Prende a carezzarmi i fianchi con i polpacci velati dalle calze di seta. Si inarca leggermente e mi porge il suo sesso coperto dalle mutandine lucide. Sprizza feticismo da ogni atomo del suo essere, dovrebbe piacermi ma qualcosa mi porta a ritrarmi.
«Baciami le mutandine...» Mi sussurra ruotando lentamente il bacino «Dai, amore, fa sentire tue labbra su mio uccello. »
Sono talmente teso che il cuore sembra voglia schizzarmi fuori dal naso.
Vedendo che nicchio, allunga una mano e mi afferra per i capelli. Mi tira a sé e il mio viso entra in contatto con il pacco lucido che ha sulle mutandine di seta. Mi ci struscia contro le guance, la bocca, spingendolo con il bacino contro la mia faccia.
Con uno strattone improvviso mi libero dalla sua presa e mi rimetto dritto, riuscendo appena a mantenere l’equilibrio a causa delle mani legate dietro alla schiena.
Sono furibondo «Non sono un finocchio» ansimo. «Non ho nessuna voglia di prendere di nuovo in bocca il tuo uccello.»
Mi guarda per qualche istante con un sopracciglio alzato poi mi spinge indietro seduto sui talloni e si alza in uno svolazzo di seta. Teso e irritato non mi volto nemmeno a guardarlo mentre entra a grandi passi in camera da letto ticchettando sul pavimento. Lo sento rovistare nell’armadio per qualche secondo poi rientra in salotto. Ha in mano un frustino di pelle nera, lungo e sottile, con una frangetta di cuoio sulla punta. Sbalordito, cerco di tirarmi in piedi ma in un lampo mi è alle spalle. Blocca le mie gambe tra i suoi piedi e mi preme la nuca contro il suo addome chiudendomi la bocca con la mano libera.
Cerco di divincolarmi, ma con le mani legate e lui che mi tiene fermo ho un bel provare. In pochi secondi sono alla sua mercé.
La prima frustata mi arriva sul fianco della coscia destra, improvvisa e luminosa come un lampo. Non ci ha messo molta forza ma l’effetto è quello di un ferro rovente che scava la carne. Mugolo attraverso le sue dita e ricomincio a divincolarmi come un ossesso, ma lui mi tiene saldamente. Una seconda frustata mi incendia nuovamente il fianco della coscia. Mi divincolo come una tigre, mugolando di dolore ma ancora mi tiene fermo.
Una terza frustata, una quarta, una quinta. Mi abbandono ansante contro le sue gambe, le tempie che pulsano e gli occhi pieni di lacrime di rabbia e di dolore.
Sempre tenendomi la mano sulla bocca si china su di me. «Tu devi fare quello che dico» mi sussurra in un orecchio «devi fare bene, ti deve piacere. Capisci questo?.»
Chiudo gli occhi, respiro veloce col naso mentre il bruciore alla coscia va perdendo d’intensità.
Basta frustate, il dottore ha ordinato non più di cinque all’anno. Quindi faccio segno di si con il capo.
Mi toglie la mano dalla bocca e mi rimette seduto sui talloni. Butta il frustino sulla poltrona e si allontana verso la cucina. Mi sento come se una cassaforte mi fosse piombata sulla testa.
Romilda rientra in salotto con un bicchiere d’acqua in mano. Si siede in poltrona e mi riporta tra le sue ginocchia. Mentre bevo avidamente l’acqua fresca mi tremano leggermente le gambe. Quando ho finito posa il bicchiere per terra accanto alla poltrona e mi attira verso di se. Le sue labbra si appoggiano alle mie e mi ritrovo la sua lingua a frugare nella bocca. Le sue mani mi accarezzano i fianchi e la schiena e sento i suoi capezzoli duri spingere contro il mio petto sotto al toppino di seta nera. Dopo le frustate è quasi un balsamo.
Chiudo gli occhi e mi abbandono contro di lui, le labbra schiuse e la sua bocca che le bruca, le succhia, la lingua inquieta contro il mio palato e i miei denti. Ogni tanto si stacca e le sue labbra scorrono sul mio collo e sulle mie spalle, mentre contro il bassoventre sento premere il suo sesso sempre più gonfio e palpitante nelle mutandine di seta.
Infine smette di baciarmi, mi allontana leggermente e mi porge nuovamente il suo pube a malapena coperto dal lucido tessuto. Dopo una breve esitazione, mentre lui divarica un poco le cosce, mi chino e poso le labbra sulla forma ben definita del suo uccello, e le lascio scorrere lentamente sulla seta per tutta la sua lunghezza, avanti e indietro. Sento gonfiare sotto la bocca la forma rigida del suo membro e a tratti lascio scorrere le labbra sulla pelle scura delle sue cosce, fino ad incontrare la parte finale delle calze di seta. Lo faccio gemere e mugolare di piacere mentre il suo glande rosato sporge già di alcuni centimetri sopra il bordo delle mutandine che non riescono più a trattenerlo.
Mi prende con due dita il mento e mi costringe a sollevare il viso verso il suo. Le sue grosse labbra nere si incollano nuovamente sulle mie e la sua lingua si insinua a cercare la mia. Non rispondere al suo bacio, lasciarlo fare senza partecipare è la mia sola protesta. Mi bacia lentamente ma con foga, una mano sul collo per far si che le nostre bocche siano premute l’una contro l’altra. Lascia le mie labbra e mi porge il petto coperto di seta. Lascio scorrere sotto le labbra i suoi capezzoli velati dal serico tessuto, stuzzicandoli con i denti e con la punta della lingua. Lui mugola di piacere porgendomi ora uno ora l’altro.
Quando con una carezza un po’ brusca riporta infine la mia testa verso il pube il suo uccello nero, duro e arcuato è completamente fuori dalle mutandine e aspetta la mia bocca. Schiudo le labbra e le richiudo sul suo grosso glande rosa, titillandolo leggermente con la lingua. Ha un gusto forte e un po salato e una strana consistenza. Lui si muove in modo da variare la sua posizione all’interno delle mie labbra. Io succhio, mordicchio e bacio. Mi viene così, seguo un istinto che non so da dove arrivi. Forse ha ragione lui, alla fine è soltanto sesso.
Mi rendo conto adesso che anche il mio affare è duro come un palo e sporge dalla pattuella dei calzoni di raso giallo oro. Romilda allunga le mani e lo prende fra le dita e nel far questo, con un movimento del baccino, spinge a fondo il suo uccello nella mia bocca. Io continuo a succhiare, facendo scorrere avanti e indietro le labbra lungo l’asta, dalla radice all’attaccatura del glande, lentamente, accarezzandola con la lingua e nel contempo muovendo leggermente il baccino per facilitare e enfatizzare la sua presa sul mio coso. Vengo per primo tra le sue dita, con lunghe pulsazioni che partono profonde dall’interno del mio ventre.
Lui sfila il suo uccello dalla mia bocca e me lo da da leccare e succhiare, porgendomi ora un lato ora l’altro, facendosi baciare i testicoli e, soprattutto costringendomi a solleticargli il perineo, quel lembo di pelle tra lo scroto e il buco del sedere, dove la mia lingua gli scatena un godimento feroce. Mi viene fra le labbra mentre succhio la sua cappella, una serie di getti lattei, caldi e cremosi, che sento in bocca e mi colpiscono sul mento e sulle guance. Accade come al rallentatore, lunghi spasmi di piacere, che scuotono il suo sesso davanti alla mia faccia. Il tempo si è come fermato, il mio cuore batte più lentamente e il respiro di lui è lungo e soddisfatto.
Esausto per la tensione, abbandono il volto tra le sue gambe e a occhi aperti ascolto il suo uccello pulsare sempre più lentamente contro la mia guancia.
Rimaniamo in silenzio, al solo suono dei nostri respiri, nella luce calda della tarda mattinata.
Romilda mi solleva il viso con due dita e mi attira verso di se. Con un lembo del mezzaro che copre la poltrona mi pulisce il viso dal suo seme.
Ci guardiamo negli occhi per qualche istante poi mi attira verso il suo petto in un abbraccio di seta. Chiudo gli occhi e mi lascio andare. Vorrei avere le mani libere per poter sentire il suo corpo, per capire quanto dell’uomo e quanto della donna mi stanno abbracciando in quel momento. Ma non lo posso fare.
Disclaimer! Tutti i diritti riservati all'autore del racconto - Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell'autore. Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Votazione dei Lettori: 9.4
Ti è piaciuto??? SI NO


Commenti per Il nero vince in due mosse (cap. 3):

Altri Racconti Erotici in bdsm:



Sex Extra


® Annunci69.it è un marchio registrato. Tutti i diritti sono riservati e vietate le riproduzioni senza esplicito consenso.

Condizioni del Servizio. | Privacy. | Regolamento della Community | Segnalazioni