tradimenti
Vittoria Capitolo 7

22.04.2025 |
52 |
1
"Il libro sulle ginocchia, ancora aperto sulla stessa pagina..."
Capitolo 7 – Sotto l’ombrelloneLui se ne andò.
Chiusi la porta con calma, senza fretta, come si chiude un capitolo ancora caldo.
Restai lì un attimo, con la mano sulla maniglia, sospesa.
Poi mi voltai e tornai dentro.
Ero perplessa.
Sì.
Ma stranamente tranquilla.
Non avevo l’inquietudine.
Non avevo la nausea del senso di colpa.
Avevo solo quella lucidità impalpabile di chi sa contenere due versioni di sé stessa.
Due personalità diverse.
Entrambe vere.
Entrambe mie.
Arrivò il messaggio di buongiorno di Marco.
Dolce.
Limpido.
Sereno.
Mi diceva che non vedeva l’ora di tornare da me, che aveva pensato a me tutta la notte.
Gli risposi con amore.
Perché lo amavo.
Marco era la mia base sicura.
La mia realtà stabile.
E in quel momento… non sentivo il bisogno di scegliere.
Mi sembrava possibile amare con due profondità diverse.
Decisi di dedicare quella mattina a me stessa.
Sola.
Lontano da tutto.
In ascolto.
Mi misi il costume intero nero, il mio preferito.
Un copricostume bianco, sandali di cuoio, occhiali da sole larghi.
Presi il mio libro e andai al mare.
Scelsi di mettermi sotto l’ombrellone, come ogni estate da anni.
Sempre lo stesso, in terza fila, vicino al bar.
Mi sistemai, ordinai un caffè freddo, e aprii il libro.
Provai a leggere.
Lo giuro.
Ma rileggevo sempre la stessa pagina.
Le stesse frasi.
Non entravano.
Rimbalzavano.
Il mio corpo era lì, sdraiato sulla sdraio.
Ma la mia testa era rimasta nel letto.
Nel suo odore.
Nel suo cazzo.
Nel suo modo di guardarmi.
Nel suo saper toccare esattamente dove serviva.
Avevo fatto qualcosa di diverso.
Di sporco.
Di travolgente.
E non me ne pentivo.
Anzi.
Mi sentivo viva.
Persa.
Ma viva.
Avevo rotto il dogma invisibile dell’amore monogamo.
E adesso… stavo desiderando due uomini.
Uno che mi amava.
E uno che mi conosceva.
Nell’ombra.
Nella pelle.
Nel buio.
Decisi di cambiare playlist.
Presi il cellulare, aprii l’app e selezionai “riproduzione casuale”.
Misi le cuffiette, mi accasciai meglio sulla sdraio.
Chiusi gli occhi.
E in quel momento…
partì “Enjoy the Silence” dei Depeche Mode.
“Words are very… unnecessary
They can only do harm…”
Una vibrazione.
Poi un’altra.
Poi un’altra ancora.
Aprii gli occhi.
Il cellulare tremava.
Edoardo.
Lui.
Ancora.
Il primo messaggio:
“Lo so che volevi tempo per te.
Ma io non riesco a staccarmi da te.
Ho ancora il sapore della tua pelle in bocca.”
Il secondo:
“Ti sto pensando.
E non è un pensiero romantico.
È fisico.
È viscerale.
Mi prende lo stomaco e mi fa male.”
Il terzo:
“Dimmi solo dove sei.
Anche se non vuoi vedermi.
Fammi solo sapere che ci sei.”
Il quarto:
“Hai idea di cosa mi hai fatto?
Io non mi innamoro.
Io domino, controllo.
Ma con te ho perso il controllo.
E non lo rivoglio indietro.”
Sentii le parole di Dave Gahan nelle orecchie mentre leggevo le sue.
Tutto si confondeva.
Tutto si sovrapponeva.
Musica, pelle, parole.
Sentivo salire l’ansia, o forse era eccitazione.
Non lo sapevo più distinguere.
Mi alzai.
Andai al bar.
Presi una birra ghiacciata.
La bevvi a piccoli sorsi.
Mi serviva un po’ d’alcol nel sangue.
Per reggere tutto.
Per reggere lui.
Una parte di me avrebbe voluto una bottiglia di vino.
Rossa.
Pesante.
Ma ero al mare.
E non volevo dare spettacolo.
Mi rimisi sotto l’ombrellone.
Il sole cominciava a diventare caldo, tagliente.
La birra mi dava un senso di leggerezza e vertigine.
Ero lì.
Ma non c’ero.
Il libro sulle ginocchia, ancora aperto sulla stessa pagina.
La canzone ancora nelle orecchie.
Le sue parole ancora nella pancia.
E io…
sorrisi.
Perché era iniziato tutto.
Ma non era finito proprio niente.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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