tradimenti
LA NUOVA CASA.
di LuciferRM
18.08.2022 |
13.017 |
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"Altri dieci giorni li avrebbe avuti più in là, in concomitanza con il marito..."
LA NUOVA CASAIn un lavoro come il mio non ci si può permettere di affezionarsi.
Né alle persone, né ai luoghi.
L’ho capito dal primo giorno e le persone con un carattere “mediamente” sentimentale che ho conosciuto nell’ambiente, nella migliore delle ipotesi vivono male.
Del resto sì sa… Nella vita siamo solo di passaggio. E allora perché mettere radici?
Perché fossilizzarsi sul futuro mentre il presente ci scorre accanto senza che neanche ce ne accorgiamo?
Un’altra cosa che avevo imparato e della quale avevo fatto una mia regola imprescindibile, era che la casa nella quale dovevo trasferirmi doveva essere abbastanza vicina all’ufficio per consentirmi di spostarmi facilmente ma, anche abbastanza lontana da non consentire ad altri di disturbarmi una volta fuori dal lavoro.
Attente ed elaborate ricerche di mappe, collegamenti, planimetrie… Potevo ormai definirmi un esperto nel trovare la soluzione abitativa che mi garantisse il miglior equilibrio da me auspicato.
Per questo nuovo incarico scelsi una villetta a schiera in un complesso molto tranquillo e vicino ai principali servizi ed attività commerciali di beni di prima necessità.
Aspetto da non trascurare, considerando gli orari pressoché proibitivi ai quali ormai da anni andavo incontro.
Arredata in uno stile moderno che soddisfava i miei gusti e con la zona notte ben separata dal salone di ingresso da una scala in finto legno molto chiaro e acciaio, che sembrava voler portare un tocco di naturale luminosità anche dove era impossibile.
Il camion con le mie cose arrivò puntuale in un sabato mattina abbastanza soleggiato di metà marzo e dal piccolo cancello di ingresso, smistavo i facchini tra l’appartamento e il garage a seconda di cosa recitasse la scritta sugli scatoloni.
Ne approfittavo tra un momento e l’altro per guardarmi intorno, senza vedere niente che fosse degno di particolari attenzioni. I giardini erano tutti abbastanza curati ed a parte due ragazze grassocce impegnate a fare jogging e qualche rara macchina di passaggio, sembrava non esserci anima viva in giro.
“Nuovo inquilino?”, sento all’improvviso dalla mia sinistra…
Girando lo sguardo vidi un uomo più o meno della mia età, magro e brizzolato, che mi sorrideva appoggiato al corrimano della scaletta di ingresso.
“Si, buon giorno!”, risposi…
“Buon giorno a te… E benvenuto!”.
Rientrò in casa senza lasciarmi il tempo di rispondere e ricambiare quel saluto gentile, come avesse avuto un’emergenza improvvisa.
Presi atto che si trattava del mio vicino, ma senza soffermarmi troppo sulla novità.
Mi premeva di più che gli operai finissero di scaricare e che se ne andassero, perché di lì a un paio d’ore sarebbe arrivata Giulia.
Giulia era una mia collega con un modo di affrontare la vita molto simile al mio.
Cerebrale e distaccata, sempre attenta a non superare quel limite autoimposto che probabilmente per noi segnava una sorta di punto di non ritorno.
Se avesse richiesto più coraggio superarlo o no quel limite, me lo sono chiesto più di una volta… Senza mai trovare una risposta che potesse convincermi ne in un senso ne nell’altro.
Eravamo come due tessere di un complicato puzzle, che combaciano perfettamente tra loro senza completare niente.
Una perfetta sintonia caratteriale e un’intesa sessuale invidiabile.
Vedersi di tanto in tanto era qualcosa di cui entrambi avevamo bisogno, come una grossa bistecca o un dolce dopo cena, sfruttando un’occasione o usandola come pretesto, consapevoli che ogni volta avrebbe potuto essere l’ultima.
I due figli che aveva messo al mondo non avevano minimamente intaccato il suo fisico da modella e la mia banale attenzione nel notare i particolari le trasmetteva un genuino senso di importanza che percepivo già solo dalle parole che pronunciava o mi scriveva, e che dentro di me adoravo e cercavo di dosare per non varcare quella soglia temuta e rispettata.
La sua pacata determinazione, conferiva qualcosa in più al suo fascino già di per se disarmante ed essere dominata e domata da me, era per lei un perverso gioco dall’esito mai scontato.
La vidi arrivare sul suo mini suv bianco, i grossi occhiali da sole non mascheravano la sua espressione già sorridente nel vedermi da dentro l’abitacolo mentre arrestava l’auto con il suo solito fare frenetico.
Le andai incontro mentre scendeva…
“Sembra molto carina, bravo!”, fece con lo sguardo leggermente alzato verso la facciata.
“Sono un viziato, lo sai…”, risposi mentre mi avvicinavo per salutarla…
Già, salutarla… Qualcosa di rituale alla quale avrei dovuto essere ormai abituato ma che invece mi provocava ogni volta una scossa emotiva impossibile da controllare.
Il suo profumo, il suo odore, non erano cambiati e accendevano sempre quel piacevole brivido dietro la schiena che mi ricordava che si, ero ancora capace di emozionarmi.
Presi la sua valigia ed espletati i primi convenevoli, ci incamminammo verso l’ingresso.
Il disordine degli scatoloni scaricati poche ore prima non sarebbero stati un problema in quella situazione, soprattutto per una pratica come Giulia.
Il giorno dopo sarebbe già andata via e quindi avevo programmato una cena al ristorante un pò sul tardi, così da avere del tempo per stare un pò insieme prima di riempire con tranquillità lo stomaco.
“Si, anche l’interno ti somiglia…”, disse guardandosi attorno…
Risposi mentre versavo due calici di un bianco che avevo premurosamente messo in fresco: “Ti riferisci al gusto, o al caos che regna sovrano?”.
“A tutti e due!…”, rispose con quel ghigno di chi non abbassa mai la guardia, mentre si impadroniva del suo bicchiere.
“La camera di sopra è in ordine…”.
“Ah si? Che uomo premuroso…”.
I nostri corpi si sfioravano, eravamo ormai come due calamite in procinto di sferrare la scocca decisiva per entrare in un intenso contatto che le rende poi difficili da scindere…
DRRRIIIIIIIIIIN….
Il campanello della porta svolgeva diligentemente il proprio compito di disturbatore ad orologeria, programmato per intervenire nei momenti meno opportuni.
“Chi cazzo è adesso??” Pensai tra me e me…
“Non vai ad aprire?” ghignò Giulia, consapevole del fastidio dal quale potevo essere pervaso in quel momento.
Non risposi, mi diressi verso la porta pensando che chiunque fosse, avrebbe fatto bene ad avere più di un buon motivo per aver interrotto quel momento.
Guardai dallo spioncino ed era di nuovo il mio vicino questa volta in compagnia di una donna, probabilmente sua moglie.
“Ma proprio adesso dovevo sorbirmi la retorica dei vicini gentili?”, pensai prima di aprire…
“Si?…”.
“Ciao, ci siamo visti prima… Io sono Daniele e lei è Barbara, mia moglie…”.
L’istinto fu quello di scaricarli come si farebbe con due venditori ambulanti ma il mio proverbiale self control ebbe la meglio…
“Piacere di conoscervi, vi farei accomodare ma ho ancora tutto in disordine…”.
DANIELE: “Tranquillo, venivamo proprio per questo. Abbiamo immaginato che dovrete ancora organizzarvi e volevamo invitarvi da noi per cena…”.
BARBARA: “Molti sostengono che io cucini benissimo, mi piacerebbe se lo confermaste anche voi…”.
IO: “Veramente…”…
BARBARA: “Ho preparato un paio di mie specialità da leccarsi i baffi…”.
Intervenne affiancandosi a me Giulia: “Tesoro, non sarebbe elegante rifiutare un invito così gentile! Piacere, io sono Giulia…”.
BARBARA: “Piacere nostro…”.
Terminate le presentazioni fu nuovamente Giulia a prendere l’iniziativa su quella cena che già detestavo:
“Per che ora vi raggiungiamo?”…
BARBARA: “Anche subito se volete. Ci prendiamo un aperitivo intanto…”.
GIULIA: “Sentito tesoro? Andiamo!”.
Tenni per me il fatto che stessi pensando per nulla sorpreso, a quanto riuscisse ad essere stronza!
Sapeva che se quel campanello non avesse mai suonato, ci saremmo trovati in una prima tornata di sesso selvaggio senza inibizioni. Aveva percepito il desiderio che cresceva dentro me e aveva colto l’occasione per arginarlo giocando a fare il topolino che fa incazzare il gatto.
“Dopo facciamo i conti…”, le sussurrai a bassa voce e sorridendole minacciosamente mentre camminavamo.
“Mmmhh, non vedo l’ora!”, rispose sempre a bassa voce strizzandomi l’occhiolino e lasciandosi discretamente andare ad un provocante sguardo da troia impaziente di essere posseduta.
La cena preparata da Barbara a base di stuzzichini salati di verdure e carne, era davvero squisita e questo mi aiutava a percepire meno lento lo scorrere del tempo che mi separava dal restare solo con Giulia, che sotto il tavolo sapeva bene come provocarmi, strusciando saltuariamente il suo piede contro la mia gamba.
Giulia e Barbara, sembravano essere amiche da una vita. Spolveravano vecchi discorsi che avevano segnato il tempo trascorso al liceo, condendoli di spontanee risate, ancorché avessero vissuto in città diverse e divise da centinaia di chilometri.
Non da meno, gli interessi in comune derivanti da passioni ormai chiuse in un cassetto ma mai del tutto spirate.
Lo stesso non si poteva dire di me e Daniele.
Era certamente un brav’uomo. Ebbi di lui la percezione di un marito attento verso la sua metà al punto tale di esserne vittima…
Non direttamente di Barbara, ma del loro rapporto.
Come se temesse di poter combinare una qualsiasi cazzata che gliela avrebbe fatta irrimediabilmente perdere.
Una persona che vive nella costante fobia di sbagliare tutto pur non facendo niente.
E poi io e lui di argomenti da condividere, a parte il vivere lì, proprio non ne avevamo.
Facevamo due lavori distanti anni luce e dei quali reciprocamente non capivamo nulla. L’approccio alla “sfera sentimentale” poi, era l’esatta rappresentazione dei poli opposti di un qualsiasi pianeta.
Come un pugile costretto ad agire sulla difensiva per recuperare le energie, sopportai ed ebbi la meglio. Finalmente Giulia ed io, avevamo salutato la coppia di sposi e ci eravamo incamminati verso casa mia.
“Carini vero?”, mi domandò Giulia mentre chiudevo a chiave la porta…
“Si, se non interrompono nulla…”.
Giulia si lasciò andare ad una breve risata, prima avvicinarsi abbracciandomi.
“Faccio una doccia e ti raggiungo”, sussurrò…
“Dopo”…
“Dopo cosa?”…
Non risposi, la afferrai per i fianchi e presi a baciarla appassionatamente, continuando con una certa naturalezza da dove eravamo stati interrotti.
In me provavo di nuovo quella scossa unica nel suo genere, come si facesse largo per entrare e poi dare segno di essersi stabilizzata con l’affanno bramoso del respiro, a sancire tutta l’irruenza di una eccitazione che solo lei sapeva scaturirmi in quel modo.
I nostri corpi completamente nudi, si esploravano a vicenda con le mani, mentre cercavano un punto più libero dal caos che invadeva la stanza.
Una volta a terra, scesi con la mia bocca e con la lingua verso tutto il suo corpo, fino ad arrivare tra le sue gambe dove presi ad alternare profonde leccate tra le labbra della sua fica a più tenui colpetti e succhiate al clitoride.
La sentivo già bagnata e questo giochetto la faceva impazzire.
“Mmmmmhhhhh… Si… Ancora…” pronunciava affannata mentre le sue mani accarezzavano i miei capelli, stringendoli a tratti, quando toccavo quei punti che le provocavano brividi di incontrollata eccitazione.
Il sapore della sua fica completamente liscia e umida, era una gioia per il mio palato e sentirla gemere di piacere rendeva il mio cazzo duro come il ferro.
Mi sdraiai nel verso opposto al suo e iniziammo un sessantanove nei primi istanti accovacciati su un lato, ma poi la feci posizionare sopra di me così da poterle violare per bene la fica da sotto, con la lingua, alternando intense succhiate e tenendo la testa tra le sue cosce, mentre con le mani le stringevo golosamente le natiche.
“Si, così… Sì…”, sospirava concedendosi delle brevi pause dal tirarmi dei pompini voluttuosi ed intensi e tenendolo ben saldo con una mano nella posizione che le permetteva di ingoiarlo il più possibile.
Sentivo scorrere su e giù la sua bocca calda con un ritmo irregolare, accompagnato dalla sua lingua che massaggiava abilmente la mia cappella provocandomi un piacere intenso, consapevole che si trattava solo dell’antipasto.
“Mmmmmmhhhhhhh!”, urlò mentre lo teneva ancora generosamente in bocca…
Io seguitavo con costanza il mio energico gioco di lingua, sentendola improvvisamente mollare la presa…
“Si… Si… Siiiiiii…”, esclamò mentre sentivo vibrare il suo corpo sopra di me e tra le mie mani.
Continuò a succhiarmelo per qualche altro istante finché non la spostai e iniziai a scoparla nella posizione del missionario che lei adorava.
Ogni volta che ero dentro di lei sentivo il mio corpo saturato da una impagabile sensazione di benessere, invaso da un perverso flusso di appagamento e onnipotenza che sembrava spazzare via qualsiasi ambizione ad un potenziale “meglio”.
La sentii gemere e venire di nuovo sotto i miei colpi, che in quel frangente si facevano appositamente più lenti, violenti e profondi fino ad un’ultima piena penetrazione, che sembrava avesse il velleitario obiettivo di arginare un impetuoso fiume in piena.
Rimasi dentro fino a sentire la delicata morsa attorno al mio membro duro e spietato, mollare lentamente la presa, per poi farla alzare e metterla a pecorina facendola poggiare al mobile della parete infondo…
La penetrai nuovamente, questa volta con maggiore fatica, ma continuai spinto ed incoraggiato dal desiderio di entrambi.
Mentre la martellavo ad un ritmo questa volta più regolare ed egoista, potevo vedere le sue espressioni di piacere nello specchio e il mio sguardo percorreva guidato dall’istinto, dapprima il suo volto quasi la stessi spiando, poi quel bel culetto passando per la schiena, dove potevo vedere la mia solida virilità irrompere dentro sua fica.
Si accorse della sua immagine riflessa senza nessun imbarazzo, nonostante non ci fosse mai capitato e in tutta risposta, mi guardò sorridendomi con complicità…
“Se mi fai venire di nuovo perdo i sensi…” disse ansimando, ma quasi non riuscì neanche a finire la frase che fu costretta ad abbassare di nuovo lo sguardo in preda ad un altro orgasmo, mentre io continuavo a dominarla tenendola per i fianchi.
Si riprese dopo lunghi intensi istanti…
“Ti piace scoparmi eh?…” con la voce affannata di chi è allo stremo delle forze…
“Adoro scoparti!…” risposi a voce bassa e con lo stesso affanno.
Non fu necessario andare avanti ancora molto per individuare il momento in cui fosse necessario uscire e lei si inginocchiò rapidamente a spompinarmi.
Il mio era quasi un ruggito, mentre le schizzavo in bocca tutta la mia esplosione e avevo la sensazione di aver appena varcato i cancelli del paradiso.
Prosegui dolcemente fino al placare delle mie vibrazioni che adorava gustare quasi sadicamente con gli occhi…
Vedermi e sentirmi venire le piaceva eccome, nei suoi fugaci sguardi in quelli intensi e magici attimi incontrollabili, sembrava andare alla famelica caccia di una egoistica soddisfazione necessaria alla chiusura di un cerchio.
“Vado a fare una doccia…”, disse con un filo di voce che inglobava fatica ed appagamento ed io, ancora provato ma felice, ammiravo le sinuose movenze di quel corpo che avevo appena fatto mio dirigersi avvolto dalla penombra verso le luci delle scale, quasi entrasse in un altro mondo, lasciandomi agonizzante nel mio.
La raggiunsi nella doccia, come di consuetudine nelle occasioni in cui ci incontravamo.
Ci regalavamo un ulteriore spazio di complicità quasi a voler confermare a noi stessi che potevamo “collaborare” anche senza sfociare nel sesso, prima di dormire abbracciati nel silenzio.
Il mattino arrivò cinico, portando con se quell’acre odore di distacco… L’unico che forse odiavo dei miei appuntamenti con Giulia.
“Allora ci vediamo”, disse dopo aver chiuso il bagagliaio con dentro la valigia che la avevo aiutata a riporre con una sensazione di colpevolezza addosso.
“Spero presto…” risposi sforzandomi di sorridere.
Un bacio di rito, prima di dirigersi verso la portiera e salire in macchina.
Accese il motore ed abbassò il finestrino, dopo aver indossato quegli scuri occhiali che camuffavano l’espressione dei suoi occhi, ma non il tono della sua voce…
“Tu lo sai, che cosa vuoi da una donna”…
Partì come se nulla fosse, ma quelle parole avevano tutte le sembianze di quell’addio che speravo non arrivasse mai.
La crudele conferma si materializzò in un messaggio mai ricevuto per avvisarmi che fosse arrivata, mentre sui social aveva già postato un paio di foto che la ritraevano in compagnia dei suoi figli.
Trascorrere il resto della giornata a svuotare scatoloni e mettere ordine non mi fu di grande aiuto a non pensarci ma, il giorno dopo avrei cominciato il nuovo incarico e alla sera, nella mia mente non c’era più spazio per nessuno.
Le giornate trascorrevano più o meno tutte uguali, al mattino uscivo di casa mentre il quartiere ancora dormiva e tornavo la sera con la luce del salone dei vicini che potevo notare puntualmente accesa, percorrendo lentamente gli ultimi metri di strada prima di svoltare per la rampa del garage.
Nei week end invece, l’appuntamento più atteso era una corsetta mattutina di buon ora, che adoravo fare perché mi permetteva di stare solo con me stesso, salvo incontrare la coppia di sposi miei vicini al ritorno, sempre intenti a sistemare qualcosa in giardino o sull’ingresso.
Un’immagine che mi trasmetteva tristezza e noia, soprattutto perché le percepivo nelle brevi frasi dal sapore retorico che strutturava i loro dialoghi e che riuscivo a cogliere per ciò che mi consentivano quei pochi metri, oltre che nel linguaggio del loro corpo, prima del discreto saluto che ci scambiavamo quasi costretti, come se avere altro per la testa si traducesse in una ingiustificata ed intollerabile maleducazione.
Erano proprio le situazioni da famiglia felice e piatta, che più mi facevano ripensare a quello che era stato il mio rapporto con Giulia.
Lo stare lontani ci permetteva di riscoprirci ogni volta, di poter filtrare cosa raccontarci e di avere qualcosa di intimo da donarci a vicenda.
Se avessimo vissuto insieme avremmo fatto quella fine?
Saremmo diventati una coppia di pseudo innamorati senza motivazioni, ingabbiati in una soffocante noia?
Quante cose avremmo dato per scontate prima di accorgerci di aver spento le nostre emozioni?… E chi dei due avrebbe fatto la prima mossa per porre fine a quella masochistica tortura?
“Come è andata la corsa?”, chiese Barbara avvicinandosi al muretto con ringhiera che separava i due ingressi, mentre mi accingevo ad aprire la porta.
“Bene grazie, le temperature sono ancora sopportabili…”, risposi.
“Questa sera abbiamo organizzato un barbecue in giardino da noi. Ci saranno degli amici di qui vicino. Sei dei nostri?”.
Non avevo programmi per quella serata di fine aprile…
“Va bene, però la prossima volta vi ospito io”.
“Iniziamo a prepararci per le sette, quando vuoi raggiungici”, mi disse salutandomi.
“A più tardi”, assecondando quel garbo impossibile da respingere.
La riservatezza dopo quella cena con Giulia era un aspetto di loro che avevo inconsciamente apprezzato, a distanza di oltre un mese non mi avevano mai fatto domande, ne tanto meno erano mai stati invadenti nei loro modi, quando seppur di sfuggita ci incontravamo e salutavamo.
Vedevo dalla mia finestra arrivare le prime persone e mi ero fatto consegnare una sacher di dimensioni importanti per non presentarmi a mani vuote.
Mi avviai e mi presentai davanti al loro cancello con Daniele indaffarato al barbecue, attorniato da un paio di coppie intorno alla sessantina…
“È qui la festa?”, domandai con un’ironia scontata.
Spuntò fuori Barbara con alcune bibite in mano che si affrettò a posare su un tavolo…
“Ciao! Ti apro subito…”.
Dopo pochi attimi il cancello scatto e subito tornò fuori per farmi gli onori di casa.
“Ho portato qualcosa di dolce, spero basti per tutti…”, dissi accantonati i saluti iniziali.
“A prima vista direi che basta per un esercito! Va in frigo?”…
“Oh… Si, è una sacher…”.
“La adoro!”…
Si diresse con la scatola dentro casa, lasciandomi nella consolante certezza che almeno con la proprietaria di casa avevo indovinato.
Le successive presentazioni nonostante il numero di persone non superasse la dozzina, mi avevano già sfinito.
Le due coppie più anziane erano i loro rispettivi genitori e gli altri si conoscevano già tutti.
Affrontavano discorsi blindati che andavano dal gruppo whatsapp della scuola a quanto fosse bello diventare nonni, con i genitori di Barbara e Daniele particolarmente interessati, passando dal programma scolastico dell’anno e dagli interessi sportivi dei figli.
Persino una coppietta che avrà avuto circa venticinque anni, aveva più senso di me in quel contesto.
La scusa migliore per allontanarmi era fumare una sigaretta e per fortuna, ne tenevo sempre con me un pacchetto.
Ne accesi una in prossimità del cancello, fingendo di essere incuriosito dal nulla che la strada offriva a quell’ora, quando una nuvola di fumo emessa non da me, mi passò accanto emettendo un odore estraneo ed ai limiti del fastidioso…
“Tempi duri, per noi fumatori…”.
Era Barbara, che mi si avvicinò scrutando anche lei il niente che avevamo davanti, quasi si trattasse della luna piena all’orizzonte sull’oceano.
Mi domandai per un istante il perché cercasse un dialogo, ma non potevo non assecondarla…
“È giusto che sia così…”…
BARBARA: “Avrei dovuto invitare qualche nostra amica, mi dispiace…”;
IO: “Non sarebbe cambiato niente, tranquilla…”;
BARBARA: “Giulia non l’ho più vista da quella sera… Credevo foste fidanzati…”;
IO: “Giulia ed io non siamo mai stati insieme… O almeno non lo abbiamo mai stabilito.”;
BARBARA: “Ma come? Eppure quella sera sembravate fatti l’una per l’altro…”;
IO: “Già… Però non tutto è come sembra…”
BARBARA: “Ma perché? Secondo me eravate perfetti!”;
IO: “Giulia ed io eravamo le persone giuste nel momento sbagliato!… E lei ha fatto la sua scelta… Senza che io glielo chiedessi. Conta solo che sia felice.”;
BARBARA: “Scusami, non volevo…”;
IO: “Non c’è nulla di cui tu debba scusarti…”.
La tranquillizzai e le chiesi di salutarmi Daniele ed il resto della loro compagnia, prima di sgattaiolare dentro casa mia e restare finalmente solo.
Avrei voluto chiamarla Giulia quella sera…Ma per dirle cosa?
Per lei rappresentavo un gradevole mondo parallelo dal quale non farsi distrarre più di tanto, per non rischiare che il suo treno veloce ed inesorabile deragliasse.
Non si sarebbe mai fermata per ricominciare da capo con me ed io non avevo certo argomentazioni convincenti per proporglielo.
Mi mancava?
Certamente si, ma non l’avrei di sicuro conquistata dicendoglielo.
Quello che potevo offrirle lo conosceva bene e se aveva deciso che non fosse abbastanza, almeno un motivo doveva esserci.
Le giornate e le settimane, trascorrevano con una certa similitudine e ben presto mi ritrovai all’inizio dell’estate a beneficiare di un lungo periodo di ferie forzate, frutto dei periodi non goduti in precedenza e che l’azienda doveva necessariamente elargirmi, seppur con un certo malumore.
L’accordo fu che avrei seguito da casa eventuali situazioni che richiedessero la mia gestione, salvo rendermi disponibile a garantire la mia presenza in tempi ragionevoli, in caso di un eventuale disastro estremo verso il quale non nutrivo nessuna preoccupazione.
Non potevo pianificare un viaggio oltre oceano, ma almeno potevo approfittarne per mettere un pò di ordine nella mia vita privata, dedicandomi alle cose che mi facevano star bene… O quanto meno sentirmi meglio.
Ne approfittai nei primi giorni per invitare a cena da me Barbara e Daniele. Mi sentivo in debito e siccome me la cavavo abbastanza bene in cucina colsi l’occasione per ricambiare le loro gentilezze.
La mia cucina fu apprezzata e ci forniva finalmente un tema sul quale incontrarsi, soprattutto con Barbara, che rimase piacevolmente colpita dalla mia abilità ai fornelli, frutto di costanti ricerche e sperimentazioni.
Al mattino ci incontravamo salutandoci dai giardini, mentre Daniele non lo vedevo praticamente mai a causa del fatto che anche lui era sottoposto ad orari non proprio agevoli e in più, lavorava anche ad una discreta distanza.
Barbara invece lavorava nelle vicinanze ed era anche lei in una prima tranche di ferie forzate. Altri dieci giorni li avrebbe avuti più in là, in concomitanza con il marito.
Avevano prenotato un viaggio in Spagna, me lo confidò in una delle ormai brevi ma consuete chiacchierate mattutine…
“Che cucina oggi il nostro chef?”…
Iniziò così il nostro dialogo in una calda mattina di inizio luglio.
“Oggi visto il caldo, credo che mi concederò il lusso di una bella insalata di pasta…”, risposi intento ad innaffiare pigramente una pianta in prossimità della recinzione…
BARBARA: “Ottimo, credo che ti copierò. Avresti da prestarmi del sale? Con questo caldo non ho molta voglia di uscire…”;
IO: “Se vieni a prenderlo te lo regalo. Hai già preso il caffè?”;
BARBARA: “Dammi un minuto!”…
Ecco, senza che lo sapessi la goccia aveva già iniziato inesorabile a scavare una pietra fatta di borotalco!…
Prese chiavi e telefono e mi raggiunse mentre ero ancora fuori, vestita di una lunga ma non troppo canotta gialla e scarpe estive bianche.
Barbara era una donna piacente, mora, dal fisico asciutto e con due belle tette che misuravano una bella terza abbondante.
Anche Daniele era un bell’uomo e fisicamente formavano una bella coppia, non stonavano.
“Caffè e sigaretta!”, esclamò mentre le facevo strada per entrare.
“Ovvio!”, risposi facendole cenno di accomodarsi.
Le proposi del caffè freddo, che in estate tenevo sempre meticolosamente pronto e lei accettò volentieri.
La chiacchierata fu uno spunto reciproco su cosa si potesse mettere nell’insalata di pasta, alla ricerca degli elementi più insoliti e abbinamenti più improbabili.
Ai momenti dei saluti si accorse che fissavo un qualche suo particolare…
BARBARA: “Ma cosa guardi che è da un pò che ti vedo incuriosito?”;
IO: “Hai cambiato orecchìni? Non sono quelli che avevi ieri…”;
BARBARA: “Si… Quindi esistono uomini che notano i particolari?”;
IO: “Sembrerebbe di si… Ti stanno bene!”;
Uscì sorridendo, colpita dalla mia attenzione che per me era una cosa assolutamente naturale.
In una donna ero abituato a notare subito un cambio di pettinatura, di colore di capelli, un accessorio, un gioiello…
In qualche modo i dettagli mi dicevano qualcosa del loro carattere che neanche io sapevo ben decifrare, ma che sicuramente lanciavano un messaggio a qualcuno.
Una curiosità primordiale ed istintiva la mia, che difficilmente esternavo e senza saperlo spiegare nemmeno a me stesso.
Finito di consumare il mio pasto, diedi un’occhiata allo smartphone e tra le notifiche di Facebook ce ne era una per nulla casuale…
“Barbara T. ti ha inviato una richiesta di amicizia”.
Rimasi diversi minuti a riflettere sul da farsi… Ma poi accettai, consapevole che tanto della mia vita privata avevo condiviso poco e niente.
Lei invece era molto più espansiva di quanto credessi…
Vita da moglie si, ma ogni tanto si lasciava andare a qualche selfie che rimbalzava tra l’ambiguo ed il provocante, con commenti da parte di uomini, volti ad esprimere un educato apprezzamento che sembrava gradire.
Smignotteggiare sui social evidentemente le piaceva e io non ci trovavo niente di strano. A quale donna non piace essere apprezzata?
Verso le ventidue, scrutando nuovamente il telefono, vidi che aveva da pochi minuti messo like a tre o quattro mie foto che mi ritraevano tra lavoro, hobby e mare.
“Ma a quest’ora non dovrebbe essere impegnata a scopare con il marito?”, pensai tra me e me del tutto spontaneamente.
Il mattino seguente ero nuovamente in giardino, uscì e ci salutammo al solito con chiacchiere da buon vicinato, come se Facebook non esistesse.
“Hai cambiato nuovamente orecchini…”, le dissi con sguardo infastidito dal sole.
Sorrise e rimase in silenzio qualche istante… “Ti piacciono?”…
“Si, ti donano…”.
La goccia continuava a scavare la pietra di borotalco e progrediva facendo passi da gigante…
Stavo uscendo per una breve commissione e rientrai dopo meno di un’ora. Una doccia veloce prima di tornare in salone e sentire il suono di un messaggio sul cellulare…
“Mi offriresti un pò di quell’ottimo caffè freddo?”…
Andava anche a me e risposi rilassato da fresco del climatizzatore.
“Se mi lasci qualche minuto per rivestirmi, volentieri…”.
Ebbi appena il tempo di indossare un paio di boxer neri, prima di sentir suonare il citofono. Controllai il telefono ed il messaggio era stato visualizzato subito…
Così decisi di aprire lo stesso e passare al contrattacco. Mi avrebbe trovato in mutande e se non gradiva, poteva tranquillamente andarsene.
“Permesso?”, sentii un momento dopo dalla porta mentre lo scatto della serratura sanciva che era stata richiusa.
“Vieni pure”, risposi dalla cucina intento con indifferenza preparare le due coppette di caffè freddo appena estratto dal frigorifero.
I suoi passi erano alle mie spalle e mi voltai porgendole il suo bicchiere.
Un’altra canotta, questa volta beige chiaro, che metteva allo stesso modo in risalto quell’appetibile seno cadendo aderente sui splendi fianchi che sembravano implorare di essere afferrati.
“Te lo avevo detto di lasciarmi il tempo di vestirmi…” esordii offrendole il mio bicchiere per un bizzarro brindisi.
“Lo so…”, rispose assecondando quel gesto e sorseggiando, lasciando lo sguardo fisso sui miei occhi…
“Se non ho aspettato ci sarà un motivo”…
Mentre pronunciava la sua provocatoria frase, le avevo già tolto il bicchiere di mano per posarlo sul tavolo insieme al mio e presi deciso a baciarla con il mio corpo che aveva già spinto il suo contro il frigorifero.
Accarezzavo le sue cosce sode e desiderose di mani intraprendenti, salendo fino ai fianchi, alzando quella canottiera da troia insospettabile mentre il nostro respiro si faceva più affannoso e il cazzo mi diventava duro come il marmo.
Con una mano andai ad esplorarla tra le gambe, salendo delicatamente verso la sua fica che accarezzavo morbida e già brodosa, stuzzicandola con due dita e con un movimento lento e circolatorio sul clitoride che le strappava improvvisi urletti di piacere.
Ricambiò estraendo facilmente il mio bastone bello duro, iniziando a segarlo con una mano mentre con l’altra mi accarezzava le palle e le nostre lingue si massaggiavano l’un l’altra.
Si inginocchiò tenendolo in mano quasi fosse un sostegno per il suo equilibrio, ammirandolo con soddisfazione davanti al suo viso, prima di portarselo golosamente in bocca aggrappandosi ai miei glutei e lanciandomi ambiziosi sguardi da puttana conclamata che sembravano umilmente cercare la mia approvazione.
In tutta risposta afferrai la sua nuca, tentando invano di spingerla ben oltre la metà della mia mazza che la sua sapiente bocca riuscisse ad accogliere, ma pazienza… Spompinava eccellentemente e mi bastava!
Si fermo per un attimo senza trascurarlo, riprendendo fiato accudendomi con la lingua che percorreva umida e famelica ogni singolo centimetro…
“Lo voglio dentro!”, esclamò con voce flebile e quasi implorandomi.
La portai velocemente sul divano, facendola sdraiare a pancia in su e posando la mia cappella umida della sua saliva, sulle labbra della sua fica bagnatissima.
Entrai spietato e presi a martellarla a ritmo crescente godendomi le espressioni di piacere sul suo volto ed i suoi eccitanti gemiti, che sapevano di scandalo e vietato, sotto il rumore del mio basso ventre che sbatteva inesorabile contro di lei provocandole un primo vibrante ed intenso orgasmo.
La feci girare, facendola poggiare con le braccia sullo schienale del divano e iniziai a scoparla da dietro tenendola per i fianchi e con una gamba alzata di fianco a lei.
Una posizione che mi consentiva di affondare con maggior vigore i miei colpi e di sentire il suo utero subire il bussare della mia cappella.
“Oooohhh, si… Si!… Oh… Oh…”…
Questi erano i suoi versi mentre potevo vedere scorrere il mio membro bello aderente dentro la sua intimità quasi sfondandola, da come si gonfiava ad ogni regolare violazione.
Afferrai i suoi seni senza interrompere il ritmo della mia danza, portando il mio respiro vicino al suo orecchio e penetrandola con ancora maggior veemenza.
Non era in grado di sopportare ancora a lungo il mio peso, così mi rialzai afferrandola per i capelli, continuando ad incalzarla in profondità, fino a sentire le mie palle infrangersi contro la sua delicatezza.
“Oooh, si!… Che bel cazzo che hai!… Oh… Ooooohhh…”
Venne nuovamente, gustandosi ogni singolo istante con il mio cazzo bello duro e intriso dei suoi liquidi ancora dentro di lei, che intanto aveva acceso una sorta di lento ansimante ballo su quel virile ed immobile palo, al fine di godersi egoisticamente fino all’ultimo istante quella piacevole sottomissione.
Si inginocchiò davanti a me, ma prima di concederle di succhiarlo, mi abbassai poggiandoglielo deciso fra le tette, che nel frattempo lei strinse tra le mani con famelico sguardo di complicità.
Scorrevo su e giù fra i suoi seni facilitato dalla sua saliva, che aveva generosamente elargito mentre vedevo la mia cappella emergere da quella piacevole morbidezza sotto il suo mento.
Mi rialzai e la presi con una mano per la testa, infilandolo di nuovo nella sua bocca… Non si fece pregare e bastarono poche movenze per far esplodere i miei voluttuosi schizzi praticamente nella sua gola.
“Mmmmmmhhhh…”, fu il suo ultimo verso, mentre con una mano sferrava due o tre pugni del tutto innocui sul mio fianco, quasi a volermi colpevolizzare per una troppo abbondante e profonda sborrata, della quale avrei potuto avere almeno il garbo di avvisarla.
La scopai di nuovo e come prima, istintivamente come una vera troia che a modo suo sapeva trasmettere una perversa e magnetica dolcezza, che concedeva tutto e non regalava niente.
Proseguimmo con il nostro appuntamento mattutino (e qualche volta anche pomeridiano), per i giorni seguenti.
“Tu guarda se dovevo incontrare uno capace di farmi godere così!”…
Fù solo una delle sue svariate esclamazioni elargite mentre la possedevo e in breve arrivò il momento delle vacanze che aveva prenotato con Daniele, che non sospettava assolutamente nulla.
Durante quei dieci giorni, era vietato sentirsi, il rischio di accendere sospetti era troppo elevato.
Al loro ritorno, Barbara ed io ci organizzammo rapidamente nel riprendere seppur con minore frequenza il nostro rapporto di sane e trasgressive scopate, talvolta a casa mia, altre volte in un discreto hotel che avevamo accuratamente selezionato.
Daniele invece aveva intuito qualcosa e si faceva sempre più sospettoso, tanto che una sera arrivò addirittura a confidarmelo…
“Mia moglie mi sà che ha un altro… Tarda spesso da lavoro, è cambiata, è più distante…”.
La sua ingenuità non mi impietosiva minimamente.
Una sera, di lì a poco, organizzarono una cena con i rispettivi genitori, alla quale mi invitarono e partecipai… Fu quasi comico vederlo voler trasmettere tutto il suo amore nel baciare Barbara con un certo orgoglio, consapevole che le avevo ancora una volta sontuosamente sborrato in bocca, dopo averla scopata come non ci fosse un domani, solo qualche ora prima.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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