Prime Esperienze

Svegliandoci


di LeonGino
15.08.2023    |    1.441    |    1 8.7
"Non che avessi dormito molto, ero stato in uno stato di costante dormiveglia silenzioso per tutta la notte, quasi con il fiato sospeso, per non far rumore,..."
Non che avessi dormito molto,
ero stato in uno stato di costante dormiveglia silenzioso per tutta la notte, quasi con il fiato sospeso, per non far rumore, per non svegliarla, fino all’alba, a guardarla.
Lei era giunta presto, più presto del previsto, l’alba intendo, con la luce appena accennata, con il suo tepore che lentamente aumentava di intensità, ora appena percepibile e il chiaroscuro che avevo avuto negli occhi per tutta la notte, aveva lentamente lasciato la stanza per far posto a colori tenui e caldi.
La forma era rimasta identica, di lei intendo, la donna, lei dormiva ancora, di fianco a me, ma ora la sua pelle tornava ad avere il suo colore naturale, le ombre iniziarono a disegnare meglio il suo corpo.
Le curve come d’incanto si materializzarono e cominciarono ad avere spessore allo sguardo. Lo spessore che avevo continuato a gustare in punta di dita, che mi ero immaginato, quasi sognato e costruito nella mente, ora era lì, di nuovo, accanto a me, in bella vista, in Lei, nelle sue forme, nel suo respiro che le faceva alzare ed abbassare ritmicamente il petto.
Ed io continuavo a guardarla per cogliere l’attimo, non so bene di cosa, ma l’attimo che sapevo, dentro di me, sarebbe giunto senza preavviso, all’improvviso.
Non potevo perderlo, per niente al mondo.
Avevo inizialmente giocato con i suoi capelli, per la notte, girandoli tra le dita per gustarmi la sua presenza e nella notte percepirla oltre che nei chiaroscuri, al tatto, anche con la punta delle dita.
Avevamo fatto l’amore, per due volte, il primo irruento, forte, carnale, gettando quasi i vestiti a terra, strappati da mani voraci, in cui il desiderio era stato totale, in cui le bocche e le lingue si erano intrecciate, per esplorarsi, in cui i sessi avevano avuto lunghi e profondi affondi, in cui i gemiti non avevano lasciato spazio all’immaginazione e in cui gli umori si erano fusi, l’uno nell’altra.
Il secondo era stato più calmo, lungo, passionale, profumato quasi, in cui anche gli sguardi si erano fusi, compenetrati, ed i gemiti si erano fatti più soffusi, lenti, intensi e profondi, in cui le fronti si erano sfiorate e poggiate l’una sull’altra, e gli occhi persi negli occhi dell’altra.
Ora, nella calma dell’alba iniziai a ripercorrere il suo fianco con un dito, gustandola, leggero, mentre dormiva ancora, con il respiro calmo.
Dalla finestra fece capolino la prima aurora, prima dell’alba.
Mi avvicinai a baciarle il collo. Inspirai profondamente, il suo odore sapeva di gelsomino.
I baci si fecero più profondi, in punta di lingua. Gustai la sua pelle. Ne percepii il calore, e discesi, protendendomi verso di lei, lungo le scapole, cospargendola di baci, in punta di labbra, di carezze, scesi lungo la schiena, e lungo la spina dorsale afferrai, mordicchiando la sua pelle, tirandola senza stringere.
Si mosse, ancora addormentata. Giunsi ai glutei, li sentii pieni nelle mani, li percorsi con la bocca, saggiandoli, gustandoli ancora, perdendomi nelle loro rotondità. Sentii, inspirando a pieni polmoni, l’odore così inebriante del suo sesso.
Lo gustai chiudendo gli occhi. Era un odore frammisto, il suo, il nostro, mescolato il una notte di follia in cui ci eravamo presi e donati l’un l’altra.
Mi spostai, allontanandomi, volevo guardarla tutta, gustarla per come la avevo immaginata per tutta la notte. Costruita nella mente. Là un neo, un capello, una ciocca sbarazzina.
Le montai sopra ancora voltata di schiena, afferrai le sue cosce, stringendole, divaricandole per far spazio al mio sesso. Lo poggiai tra le sue natiche, e scesi ancora più in basso.
Di colpo le entrai dentro. Sesso nel sesso.
Si destò sorpresa, sospirando.
Non mi curai di niente e la amai. Profondamente.
Le affondai dentro, gustando ogni piccolo spasmo dei nostri corpi, ogni affondo, ogni gemito che si faceva sempre più libero. Era calda.
I nostri corpi iniziarono a muoversi assieme, i sessi compenetrati, i respiri a contorcerci le menti, la mia bocca si avvicinò alla sua nuca, la lingua sfiorò il suo lobo, i denti lo strinsero. Avidi lo volevano.
Iniziammo a pulsare assieme, senza una sola parola da dirci, sudando, inarcando i glutei, stringendo i fianchi, affondando le unghie nella pelle, sudando ancora, selvaggi animali alla ricerca dell’altro e dell’altra.
E selvaggi animali ci voltammo, lottando nel letto, come belve feroci con gli sguardi persi, cambiando pose e affondi, e l’uno sull’altra abbracciati, sesso nel sesso, bagnati, pelle sulla pelle, le nostre bocche si dischiusero, le lingue si unirono, i fiati, l’alito caldo, sfiorò le menti, si fusero, e le coperte non divennero altro che fili d’erba alta in un campo di grano, e non più stanza, non più camera attorno, non più luce soffusa, rotolammo sulla cresta, cadendo, senza appiglio, e l’alto, il cielo si mosse all’improvviso e la terra ondulò, tutto roteò attorno e la zolla nuda su cui eravamo caduti ci graffiò, l’odore si mescolò a quello della terra bagnata, l’erba alta ci sfregò, e con le unghie aggrappati l’una all’altro, per non perderci, perdendoci in un ultimo sguardo roteammo la testa indietro, senza vedere che l’altro nell’intorno e a bocca aperta, urlammo, si, urlammo senza sentire una sola parola uscire dalle nostre bocche urlammo. Godendo persi negli occhi dell’altro.
Godendo quando il seme esplose ed entrò in lei, riempiendoci.
Vibrando, crollando, al suono affievolito di un urlo silenzioso che si stava spegnendo.
E cademmo solo allora a terra.
Solo allora.
Uno sull’altra.
Stravolti, sul tappeto di fianco al letto.
E non vi era stanza o grano o terra, ma solo io e lei.
E niente altro attorno.
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