Gay & Bisex
Danilo e Federico - Parte 2: Il talamo (1)
di vgvg91
17.02.2023 |
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"Lo sentii sputare sulla mano e lubrificare il suo cazzo che non poteva attendere un secondo di più, lo avvicinò al buco e spinse, tenendomi in quella..."
Cari lettori, un carissimo abbraccio a tutti voi.Ho deciso di continuare questa storia nel momento in cui ho appurato il fatto che nella storia tra Danilo e Federico fossero rimaste delle crepe, delle questioni irrisolte che meritavano di essere chiuse.
In questo lungo periodo, ho ricevuto molti messaggi in privato che mi chiedevano di continuare questa storia. Spero che l'attesa ne sia valsa la pena, buona lettura come sempre.
Quel sabato di maggio, l’atmosfera era piuttosto frizzante. Non riuscivo a comprendere appieno se dipendesse dal fresco vento di maestrale che imperversava ormai da giorni e che aveva spazzato l’asfissiante coperta di umidità e smog milanese, o se dal fatto che quel giorno avremmo festeggiato il nostro primo anniversario. Istintivamente, tornai indietro con la mente e ripercorsi tutte le vicissitudini che ci avevano condotto fino a quel momento: a tratti, non riuscivo a credere che fossimo arrivati a quell’importante traguardo. Ero eccitato all’idea e avevo organizzato il tutto nei minimi dettagli. Dal momento che il mio uomo sarebbe rincasato solo sul tardi per impegni improrogabili di lavoro, mi sarei occupato io dei preparativi, riservandogli la migliore delle sorprese.
Infilai la chiave nella toppa del nostro appartamento, entrai e respirai a pieni polmoni. Il silenzio dell’abitazione venne interrotto dai miei movimenti maldestri, causati dai pesanti e ingombranti pacchi della spesa che trasportavo a fatica, contenenti l’occorrente che avrebbe reso la serata indimenticabile. Diedi uno sguardo all’orologio a muro.
«Ok, niente panico, ho tre ore di tempo. Mettiamoci all’opera».
Cominciai dai preparativi per la cena: avevo optato per un brasato, che necessitava di una cottura lunga e piuttosto lenta, onde evitare che la carne risultasse asciutta. Seguii scrupolosamente la ricetta che trovai online, ma ormai erano anni che provvedevo autonomamente alla cucina e potevo vantarmi tranquillamente di essere diventato un cuoco discreto, a detta delle cavie a cui avevo sottoposto alcune delle mie preparazioni.
Mentre la carne aveva già cominciato il processo di cottura, passai all’allestimento del tavolo da pranzo: tovaglia, piatti, posate coordinate. Mi ero preso la briga di scegliere un servizio coordinato e arricchii la composizione con un centrotavola e un paio di candele, che avrei acceso poco prima del suo arrivo.
«Adesso il pezzo forte» sussurrai, spostandomi all’ingresso. Muovendomi febbrilmente, feci partire dalla porta un tappeto di rose che proseguiva verso il salotto e, di lì, conduceva in sala di pranzo. Sparsi alcuni petali attorno al tavolo, poi ricongiunsi il percorso che avevo studiato in corridoio, verso la camera da letto.
Cambiai le lenzuola con altre lavate di fresco la mattina stessa, distribuii altri petali attorno al talamo e ne disposi alcuni sulla superficie che, ne ero certo, avrebbe accolto uno dei migliori amplessi di sempre. Completai l’atmosfera romantica con altre piccole candele e mi guardai attorno con aria soddisfatta.
Tornai in cucina, per dare un’occhiata al brasato che cuoceva a fuoco lento e sprigionava già un aroma irresistibile. Poi mi diressi in bagno, per prepararmi con cura maniacale. Indugiai a lungo nella vasca da bagno, lavando impeccabilmente ogni centimetro del mio corpo. Afferrai il doccino e procedetti con un lavaggio interno che avrebbe evitato qualsiasi problema. Avevamo già affrontato fin troppi problemi, non ci sarebbe stato spazio per nessun altro inconveniente, non quella sera.
Con una passata di mano, rimossi il vapore che si era condensato sullo specchio. L’immagine che mi restituì necessitava di una urgente sistemata. Mi accorciai prima di tutto la barba, seguendo con precisione la linea del mento. Asciugai e ordinai i capelli, poi, con l’asciugamano ancora in vita, tornai in camera da letto, indossai un jockstrap che mi aveva regalato due settimane prima e prelevai dall’armadio il completo elegante che avrei indossato per quella serata solo nostra. Il blu notte metteva in risalto la camicia bianca incorniciata dalla giacca. Spruzzai il suo profumo preferito e mi specchiai: il risultato finale era di tutto rispetto, per quanto fossi insicuro di natura, quella sera l’ottimismo mi pervadeva. Controllai l’orario: sarebbe potuto arrivare da un momento all’altro, quindi mi affrettai ad accendere tutte le candele, spensi il brasato e mi ero appena sistemato in soggiorno, quando sentii la chiave girare nella toppa e la porta aprirsi.
Deglutii, pervaso da una strana euforia mista a preoccupazione, e mi preparai ad accogliere il mio uomo.
«Fede, sono torna…» la voce gli si bloccò in gola. Notò subito che c’era qualcosa di diverso. I suoi occhi guizzarono velocemente da una parte all’altra, cogliendo tutti i particolari che lo circondavano. Poi il suo sguardò si posò su di me, squadrandomi dalla testa ai piedi, e mi regalò un largo sorriso.
«Ma cosa… sei matto, tu!» fece lui, venendomi incontro.
«Buon anniversario, amore» gli risposi io di rimando, accogliendolo tra le mie braccia. Il suo respiro si posò delicatamente sul mio collo, finché i suoi occhi non si riversarono nei miei e mi diede un bacio lungo, appassionato, interminabile.
«Non senti questo buonissimo odore?» gli chiesi, testando i suoi sensi.
«Certo che sì, il mio profumo preferito» replicò, rapito.
«E…?» lo incalzai io, attendendo che si rendesse conto dell’odore della cena che aspettava solo noi.
«Ti dico la verità, al momento non sento altro che te» disse lui, abbozzando un sorriso. «E non mi interessa di nient’altro». Dopo aver aggiunto queste parole, mi prese per un braccio, conducendomi rapidamente verso la camera da letto.
«Ma la cena che ho preparato con cura è di là!» provai a dire io, visibilmente divertito dalla situazione. Quando aprì la porta della camera da letto, si voltò verso di me e mi disse: «Al momento, l’unica cosa che voglio mangiare sei tu» e mi gettò di peso sul letto.
«Allora mangiami» risposi, stando al gioco e allargando le gambe. Lo accolsi tra le mie cosce, mentre prese a baciarmi con passione e a svestirmi. Mentre gli facilitavo l’operazione, presi a spogliarlo anche io, finché non ci ritrovammo in intimo.
«È il jockstrap che ti ho regalato!» osservò lui, deliziato. Adoravo la sua attenzione per i dettagli e, profondamente grato, annuii con un ghigno.
«Vorrei vedere come ti stanno» mi sussurrò in tono malizioso. Non me lo feci ripetere due volte, perché sapevo cosa intendesse: mi voltai a quattro zampe, permettendogli di godere della visione delle mie terga.
«Perfetto… semplicemente perfetto» disse lui, posando una mano sulla natica destra e palpeggiando avidamente quello che gli apparteneva. Poi, con un dito, percorse i lineamenti del mio culo messi in evidenza dal tessuto, gesto che mi provocò un fremito di piacere. Se ne accorse, perché fece scattare improvvisamente in risposta uno schiaffo gentile che mi fece gemere. Si avvicinò carponi e si posizionò sopra di me, avvicinando la sua bocca al mio orecchio.
«Non sai quello che ti farei in questo momento» sospirò, ebbro di desiderio.
«È vero, non lo so. Dimostramelo, allora» risposi, spalancando le gambe e avvicinando il mio culo al suo pacco, che fremeva e pulsava.
Lo sentii sfilarsi gli slip e avvicinare il membro nudo al mio ingresso, che si apriva e si chiudeva ritmicamente, dando chiari segnali di bramosa accoglienza. Mi baciò la schiena e strusciò il cazzo sulla rosa del mio ano, permettendomi di avvertire la potenza maschile che di lì a poco avrebbe preso possesso della mia intimità. Mi passò una mano sul membro chiuso nel jockstrap e lo avvertì duro e voglioso. Lo palpò leggermente, ma era troppo rapito dal mio culo per dedicarcisi interamente. Non potevo che essere più d’accordo: volevo che mi prendesse, lì e in quel momento.
«Ti prego, scopami» feci io, mugolando e inarcando la schiena. Con una mano, mi trasse a sé, accostandomi al suo petto e strizzandomi i capezzoli. Lo sentii sputare sulla mano e lubrificare il suo cazzo che non poteva attendere un secondo di più, lo avvicinò al buco e spinse, tenendomi in quella posizione. Mi avvinghiai al braccio che mi teneva stretto e gemetti nel momento in cui avvertii il palo di carne calda che, centimetro dopo centimetro, si faceva strada in me, mozzandomi il fiato. Quando i peli del pube mi solleticarono il culo, capii che era completamente dentro di me, completamente mio. E io suo. Ero in estasi.
«Sei mio» sibilò lui, poi diede un colpo secco di reni ed emessi un urletto, poi mi spinse a testa in giù sul materasso e mise le sue mani attorno ai miei fianchi, avvicinandomi il più possibile a lui. Prese a scoparmi in quella posizione, ammirando lo spettacolo che gli si parava davanti agli occhi: la mia schiena nuda, la mia testa riversata di lato, la mia bocca che emanava gemiti incessanti, i miei occhi rivoltati all’interno, il mio corpo, preso dagli spasmi, che godeva di lui, della sua virilità.
La cavalcata fu scandita da movimenti imperterriti, incessanti, intervallanti sapientemente da affondi più profondi e dilatati nel tempo. Le sue qualità da esperto amatore emersero in tutta la loro perfezione: ero certo che sarebbe successo, sapevo che mi amava e che lo avrebbe dimostrato nel migliore dei modi.
Il suo cazzo pulsante aveva fame di me, del mio corpo, sembrava non potersi mai saziare. Le mie pareti anali risposero all’unisono alle sue pulsazioni, fondendosi in un unico ritmo. I nervi del mio corpo partecipavano all’amplesso, provocandomi gittate di piacere che si espandevano nel mio essere.
«Sei meraviglioso… meraviglioso» ripeteva ansimando. «E sei mio. Prenditi tutto il mio cazzo, so che lo vuoi».
«Sì… scopami, dammelo tutto!» mugolai in risposta, affondando le dita nel materasso.
«Voglio guardarti negli occhi» aggiunse lui, prendendomi dalla vita e girandomi sul posto, frapponendosi tra le gambe e piantando di nuovo il suo cazzo in me senza troppe cerimonie.
Ci guardammo: fu uno sguardo profondo, intenso, un altro modo di scopare, di unirci spiritualmente. Poi riprese a stantuffarmi e apprezzò il mio volto contorto dal piacere. Mi ciucciò i capezzoli, mentre con le mani mi palpava le gambe.
Quando aumentò il ritmo della penetrazione, capii che doveva essere vicino all’apice massimo del piacere. La sua fronte era imperlata di sudore per lo sforzo. Scostai il jockstrap ormai fradicio per l’eccitazione prodotta dal mio sesso e presi a segarmi convulsamente.
«No, ci penso io» disse lui interrompendo il mio proposito. Si accostò ancora di più al mio corpo: il suo addome entrò in contatto col mio cazzo e riprese a scoparmi. Il risultato ottenuto fu che la sua pelle si strusciasse sul mio membro, stimolandolo e provocandomi un piacere ancora più intenso.
Ero al limite, così come il mio uomo: le mie pareti anali emettevano umori che lubrificavano il cazzo dentro di me, moltiplicando il piacere che gli stavo offrendo.
«Oddio, ci sono quasi Fede… sto venendo!» urlò, strabuzzando gli occhi e affondando maggiormente nel mio corpo, quasi come se non potesse esserci una fine. A quella visione, persi la testa e venni nello stesso momento. Ci dimenammo, mentre i nostri sessi emettevano fiotti di seme caldo e denso. Il mio imbrattò il suo addome, il suo mi lavò gli intestini e ricoprì le pareti del mio ano, grate per il regalo appena ricevuto.
Restammo in quella posizione per qualche minuto, ansimando, baciandoci, toccandoci. Poi gli sussurrai all’orecchio: «Il brasato si fredda». Rise di gusto, mostrando i denti bianchissimi, luminosi, in perfetto contrasto con la sua pelle d’ebano.
Spontaneamente, dissi: «Ti amo, Abel».
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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