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Lui & Lei

Il numero dodici


di brendon_7
28.07.2016    |    2.814    |    0 9.6
"Non è meglio uscire? Ovvio che sì..."
Che sito inutile.
Una chat per soli adulti che ha disatteso le promesse della campagna elettorale fin da subito, peggio dei peggiori politici. Prometteva tante ragazze e tante scopate da rischiare di stufarsi, e invece mi offre solo la noia di una lista infinita di uomini collegati, con la rara eccezione di qualche macchiolina rosa qua e là, distante come minimo cinque seicento chilometri.
Eppure ogni tanto ci torno. Due anni così eppure ancora ci torno. Se va bene per qualche chiacchiera distante anni luce, senza la minima possibilità di un incontro. Mi sa che ho qualche problema, lo devo ammettere, me lo devo dire. Non è meglio uscire? Ovvio che sì.
Come oggi. Ho già buttato il telo-mare nello zaino, ma per dopo. Ora fa veramente troppo caldo, farò prima un pasto leggero e attenderò un’oretta. Accendo anche il pc, ed è uno dei giorni in cui faccio la capatina in quella chat “per vedere chi c’è…”. Chi c’è? I soliti innumerevoli maschi, le solite macchioline rosa sparse. Forse non son nemmeno donne. Chissà. Lascio aperta la finestra e guardo altro.
Quando torno nella finestra della chat ho la sorpresa che non mi aspetto: una donna collegata! Ma non una qualunque: una vicina! Trieste c’è scritto! E giovane! Evento accolto con entusiasmo dopo i primi secondi di incredulità. Lo ammetto: sì, qualche problema ce l’ho se gioisco per una donna in chat che nemmeno conosco.
Mi gioco la mia fiches: le mando un saluto, non troppo banale, non troppo ricercato, non troppo lungo, non troppo porco, non troppo casto… ma tanto sarà già assalita da altri mille e forse nemmeno lo leggerà. La mia unica possibilità è che non ce ne siano troppi ragazzi in zona e che mi dia precedenza.
“Ciao…”. Miracolo. Ha risposto. “Come va?”. Lei può permettersi di essere banale e sintetica.
Bene dai, prima della spiaggia vediamo in quanto tempo si esaurisce questa conversazione.
Silvia. Dice di chiamarsi Silvia. E continuiamo a parlare, ma la conversazione non decolla.
“Hai messenger?” è lei a chiedermelo. “Qui mi stanno bombardando di messaggi e non riesco a seguirti”. Una svolta imprevista. Forse per questo la conversazione era fiacca? Bene, cambiamo piattaforma e saremo più tranquilli.
In messenger conferma il nome, è anche scritto. C’è anche una foto, presa un po’ da lontano, un po’ camuffata, volutamente sfocata per non essere troppo riconoscibile. Non si capisce molto.
Ora si parla meglio, si riesce a dialogare, a fare scambi serrati di battute o ad approfondire un discorso. È simpatica e continuo volentieri.
Comincia a passare il tempo, le chiedo uno scambio di foto… se accetta bene, se rifiuta e mi scarica vado al mare senza perdere tutto il pomeriggio.
Accetta.
La foto che mi manda è diversa da quella dell’icona , ma si capisce che è la stessa ragazza. È una foto del volto. Carina. Anzi, bella. Occhi castani, una montagna di capelli scuri e ricci , nasino piccolo e belle labbra. Sì, una bella ragazza. Se davvero è lei. Il dubbio mi vien solo ora che ho la foto, ma è un dubbio blando, più un timore di esser deluso che altro.
Le faccio i complimenti, e con mio sommo piacere lei ricambia: mi trova “carino e simpatico”… è un bel complimento, visto che “un gran figo” so di non esserlo.
Arriviamo a proporci un incontro per un drink, e concordiamo per la sera stessa. Forse mi tirerà un bidone? è la celerità a mettermi il dubbio. Tentar non nuoce. Le lascio il mio numero, per avvisarmi se dovesse servire, e lei mi lascia il suo ma “non chiamare adesso, sono in casa e c’è mia madre”. Forse è vero, o forse non vuol farsi chiamare perché il numero è fasullo e stasera, quando la chiamerò perché non sarà all’appuntamento, chissà chi risponderà. Continuo a dividermi tra possibilista e pessimista.
Ci siamo accordati per vederci alle nove, alla fontana di piazza Unità. Lei arriverà direttamente dalle prove di musica, avrà fame, e quindi a me viene assegnato il compito di pensare fin da subito a dove portarla a mangiare, per non perdere tempo. Mi informa anche che quindi, arrivando da musica, sarà un po’ “scrausa”… Tradotto: che non mi aspetti di vederla truccata e in gran tiro, sarà vestita male, trasandata, senza trucco, senza tacchi e coi capelli arruffati. Mi avvisa per non farmi prendere paura…
Che strano aver fissato un appuntamento così, quasi al buio ma con naturalezza. Chissà come andrà. Chissà se prenderò paura.
Resto poco al mare, sia per non rischiare di presentarmi all’appuntamento ustionato, sia per non rischiare di arrivare in ritardo, imbottigliato nel traffico dei vacanzieri giornalieri di città e di quelli che arrivano da più lontano e vogliono sconfinare che intaseranno la strada.
E così arrivo lievemente in anticipo. Riesco addirittura a trovar subito parcheggio proprio lungo le rive, vicino al molo pedonale che si protende in mare e a pochi passi dalla piazza.
Non sono emozionato, perché dentro di me mi tengo pronto al fatto che non ci sarà nessuno all’appuntamento; già penso a quale giro di amici chiamare per una birra , come misura riparatoria per la serata. Faccio due passi sul lungomare per far avvicinare l’appuntamento, e quando mancano pochi minuti all’orario convenuto mi appropinquo verso la fontana della piazza, adesso sì leggermente ansioso, speranzoso di trovare Silvia, e resterei deluso se non arrivasse o se non fosse lei la ragazza della foto.
Già a diversi metri dalla fontana riconosco una chioma scura riccioluta, vedo la custodia dello strumento a tracolla, è arrivata più in anticipo di me e la leggera ansia lascia il posto a un misto tra palpitazione e eccitazione. Ero così orientato al fatto che non si sarebbe presentata che non ho pensato a come ci saremmo presentati dal vivo, e ora sono colto alla sprovvista, perché lei c’è , ed è già lì a pochi metri. Anche lei mi ha visto e mi regala il primo sorriso della serata: bello, solare ed allegro. Per fortuna almeno ho pensato a dove portarla a saziare la fame.
Non è “scrausa”, non troppo almeno. Non ha i tacchi, non ha trucco, non ha abitini da sera ma una maglia adatta ad affrontare il caldo diurno, sandaletti, e un paio di jeans che mal si prestano ad affrontare il caldo serale, e ancor meno erano adatti per quello diurno. I capelli stanno bene: con quella chioma credo non sia possibile distinguere tra pettinati e spettinati. È bastata un’occhiata per rendermi conto che ha proprio un bel corpo. In buona sostanza non ho preso paura, non sono scappato e, anzi, sono rimasto piacevolmente colpito dal vederla dal vivo, dal sorriso e dalle curve, come già detto, ed anche dalla luminosità e vivacità degli occhi e da quel poco che vedo da come si muove. Mi piace e mi è simpatica.
Un saluto veloce, stretta di mano e bacini sulle guance. È più piccolina di me e mi chino un po’ per baciarla. Memore di quanto mi aveva intimato, e perché è un buon modo per tenere rotto il ghiaccio ed evitare subito pericolosi silenzi, le esibisco deciso tre soluzioni per la cena, elencando possibili scelte culinarie, pro e contro. Opta per un locale lì vicino: il servizio è veloce e fanno anche long drinks.
Mangiamo, beviamo e parliamo. Lei è metà israeliana e metà brasiliana, è nata in Italia, è stata a trovare sia i parenti materni che quelli paterni. Mi dice delle spiagge brasiliane che ha visto anche se i parenti vivono nell’entroterra, e mi offre una sua visione della situazione israelo-palestinese molto interessante, un punto di vista che dice predominante tra la gente comune. Ci siamo incontrati in una chat per adulti, ci siamo dati un appuntamento per la sera stessa, e parliamo di argomenti seri e di spessore come se ci conoscessimo da una vita. Che piega strana ha preso la serata.
Silvia è una sua compagna di classe, una che proprio non le va a genio. Vivono in palazzi attigui ed un po’ si somigliano fisicamente. Ha scelto il suo nome perché metti caso che parlando le capiti di trovare in chat qualcuno che la conosce, si potrebbe defilare ed i sospetti ricadrebbero su Silvia. Ed ecco anche il perché della foto sfocata. Scelta diabolica.
Il suo vero nome? Come il titolo di una canzone, e mi invita ad indovinarlo.
Abbiamo finito il secondo long drink e già deciso di alzarci quando mi chiede come mai mi sono iscritto a quel sito e cosa cerco. La domanda evidentemente le frullava in testa da un po’. Cerco quel che capita. Un incontro, un’amante, una chiacchierata, del sesso, una bella serata. Non mi aspetto di trovare una fidanzata o una storia seria, credo sarebbe difficile, ma non chiudo nessuna porta. Tutte le mie risposte si riferiscono alla serata in corso, dal momento che di solito non capita proprio nulla ed anche le aspettative sono piatte.
Il meteo sta rapidamente mutando. Il sole torrido, il cielo terso e l’aria immobile del giorno nel volgere della nostra cena hanno lasciato il posto ad un cielo coperto di nubi che si illumina a giorno per i lampi in avvicinamento, e ad un vento intenso che è tutt’altro che spiacevole, ma che trascina con sé nubi e lampi e preannuncia pioggia entro pochi minuti.
Ci dirigiamo verso il molo, è un luogo di pace nel cuore della città: circondati dal mare, con le luci alle spalle ed il rumore del traffico che arriva soffuso. D’inverno, con la nebbia che attutisce, il rumore non arriva proprio. Il posto è ideale per sedersi su una panchina o per terra ed arrivare alla tappa intermedia della serata, i corpi vicini a coccolarci e baciarci… se non fosse che quando siamo appena all’inizio del molo, le nubi decidono di riversare in terra l’acqua che hanno trattenuto in forma di grosse gocce che si schiantano sulle lastre di pietra. Nemmeno il tempo di alzare gli occhi al cielo e chiederci se continuare o cambiare programma, che le gocce diventano uno scroscio monsonico e ci ritroviamo fradici a correre tra laghi comparsi all’improvviso per cercare ricovero in auto.
Entriamo confortati dal riparo. L’acqua ci scorre ancora sul viso e i vestiti fradici si incollano al corpo e gocciolano. Ci facciamo una bella risata, mi passo una mano sul viso per illudermi di asciugarmi, e appena mi volto trovo le sue labbra sulle mie, e le sue braccia che mi si buttano al collo. Ricambio subito il bacio, premo le mie labbra contro le sue, riconquisto spazio e terreno e la faccio indietreggiare verso il sedile del passeggero mentre le labbra si baciano e le lingue si cercano e giocano assieme, finchè la sua testa si poggia sul sedile e siamo scomodamente ma avidamente legati. Le mani scorrono sulla sua schiena, sui fianchi e sulle cosce; le sue mi carezzano e stringono il petto. La pioggia è talmente fitta e picchia così intensa sull’auto che oltre i cristalli è impossibile vedere. Siamo nel centro del centro città, eppure siamo isolati dal mondo, e di certo in giro non c’è più nessuno a passeggio. Per quanto mi riguarda possiamo rimanere dove siamo e farlo proprio lì, in auto, dove di solito è tutto un passeggiare di gente. Sarebbe una interessantissima esperienza, e dalla sua foga direi che andrebbe bene anche a lei… allora rinuncio a sentire nelle mani le sue belle cosce e con la mano mi insinuo sotto la maglia, la accarezzo in vita e salgo verso i magnifici seni che mi fanno sussultare… li sfioro appena e sussulta anche lei, emette un sospiro carico di voglie ed eccitazione, eppure subito mi allontana la mano, mi respinge e si ritrae. Per non farsi travolgere e perdere il controllo…per cos’altro altrimenti?
“Metti in moto…. Metti in moto… ” lo dice quando deve ancora riprendere padronanza della voce “Ti indico io un posto”. E si rimette composta sul sedile.
Stento a riavermi, ormai i sensi erano tutti su di lei e sul suo corpo. Allontanarsi è dura, trovar la concentrazione per guidare anche. Metto in moto, i tergicristalli impazziti concedono di vedere oltre il muro d’acqua, prendo la strada che porta sopra la città, in altopiano, dove le ampie piazzole erbose ai lati di stradine in terra che entrano nel bosco concedono tutta la privacy del caso.
Quasi subito mi appoggia una mano sulla gamba, e senza indugio si sposta sul pacco, mi stringe l’asta turgida e inizia a giocarci facendomi eccitare ancora di più. Ci scambiamo i favori e i piaceri, anche se guido con l’ansia immensa di giungere a destinazione, non disdegno di allungare una mano verso le sue cosce, e poi anch’io verso il fulcro del suo piacere. Le strofino l’inguine da sopra i jeans, lei divarica un po’ le cosce dimostrando di apprezzare e si distende verso di me per rendermi più agevole il compito durante la guida. Quando non ci tocchiamo premo di più sull’acceleratore, per arrivare presto. Salendo piove di meno.
Dove ci appartiamo ha già smesso di piovere e il terreno caldo si sta già asciugando. Finalmente possiamo riprendere a baciarci, e stavolta anche a spogliarci: per me subito via la maglietta e poi le scarpe, lei non mi mostra subito i seni, e dopo essersi facilmente liberata dei sandali si contorce sul sedile per togliere i jeans fradici. La mia auto è piccola, e il compito non è agevole. Ci trasferiamo sul sedile posteriore, spingo i sedili in avanti il più possibile per stare larghi. Resto in short, e la sua mano torna sull’asta e la stringe di gusto. Mi sale sopra, preme e strofina il suo perizoma e i seni contro di me. Si sfila in un attimo la maglia, i suoi seni meravigliosi sono ora finalmente liberi. Mi libera completamente il manico, si scosta di lato il perizoma in uno stato di ipnosi, gli occhi semichiusi e l’espressione di piacere dipinta sul volto, indirizza il mio pene verso il suo corpo, ci monta sopra e si penetra fino in fondo col mio eccitatissimo cazzo, accompagnando il gesto con un gemito lungo ed intenso, finendo con l’abbandonarsi su di me, la testa e la chioma di capelli ricci sulla mia spalla, i grandi seni dai capezzoli in tiro contro il mio torace, le gambe aperte a cavalcioni su di me, con la passerina piena del mio membro. Le gonfio il cazzo e la cappella nel suo corpo, sussulta di nuovo, geme di nuovo e si stringe intorno all’asta, le stringo i fianchi, mi muovo e la muovo per scorrere nel suo corpo bagnatissimo, lei contrae e rilascia i muscoli abbracciandomi e liberandomi dentro sé stessa. E’ eccitazione pura. Decide di riprendere le redini del gioco e inizia a cavalcare; l’intensità della cavalcata cresce al pari dell’intensità dei gemiti. Decide lei i ritmi del gioco e l’entità della penetrazione, nonostante la voglia di muovermi e scoparla la lascio fare, le lascio decidere se lasciarsi cadere con foga e farsi penetrare del tutto, o passare a ritmi veloci tutta impegnata a procurarsi piacere con la cappella. È così che viene, intenta a farsi entrare solo i primi centimetri del cazzo, il respiro si fa più affannoso, scuote i capelli, scuote la testa, mi stringe le spalle e graffia la pelle; sento i suoi muscoli presi sempre più da scariche elettriche finchè si bagna ancora di più e grida di piacere col fiato strozzato. Diventa una pantera nell’orgasmo, ed anch’io raggiungo l’apice del piacere che schizzo tutto dentro di lei, succhiandole e leccandole i seni e stringendo il bel sedere nelle mani.
Restiamo abbracciati immobili e ansimanti, io ancora duro dentro di lei, lei appoggiata sulla mia spalla.
Dopo qualche carezza, si sfila e si siede a fianco.
Mi dice che la madre le aveva intimato un orario di rientro, non sappiamo se lo rispetteremo.
Non le chiedo se è un problema esserle venuto dentro, chiaramente lo voleva.
Quando si riprende si accuccia davanti a me e mi delizia con la sua lingua e la sua bocca. Le chiedo di poterlo appoggiare e strofinare tra i suoi seni, così grossi e così invitanti.
“Me lo chiedono tutti quelli che mi conoscono”, lo dice un po’ tra l’orgoglioso e il dispiaciuto “e tutti mi guardano le tette”.
“Ci credo, sono stupende e invitanti”
“Sono troppo grosse, non credi?”
Troppo grosse? No… sono molto grosse, ma troppo grosse no. Non sono mai troppo grosse. E nemmeno mai troppo piccole. Sono sempre bellissime, ogn’una a suo modo, ed attrae per motivi diversi, ma sono sempre uno stupendo emblema di femminilità.
Così lo appoggio tra quei seni meravigliosi, lei lo stringe a sé coi palmi delle mani, la cosa mi piace ed eccita così già lo muovo piano scopandole seni e mani; poi mi abbraccia coi seni, lo avvolge tutto e lo fa sparire nel paradisiaco gonfiore delle sue tette. Che scossa di piacere mi pervade. Lo spingo verso l’alto e la cappella ricompare spuntando dal suo bendiddio. Continuo così, lei sorride, guarda me godere e guarda la cappella scomparire e ricomparire. Mi guarda più vogliosa… abbassa lo sguardo e avvicina le labbra, aspetta che risalga la cappella e la lecca. Quando torna la succhia. E meraviglioso stare così. Potrei continuare fino alla fine, ma voglio che anche lei ne abbia un gran piacere.
La pecorina è la sua posizione preferita, lo dice senza ombra di dubbio. Non stento a crederle sentendo come risponde il suo corpo mentre se ne sta sul sedile posteriore e io dietro in posizione non proprio comodissima, stringendole e accarezzandole i fianchi e la schiena, stringendole e accarezzandole tette e capezzoli. Non emette suoni ora, è ancora più intimo e più intenso il piacere che prova: è in un mondo tutto suo; anche quando si volta con espressione da sogno sul volto e intensifica la stretta sullo schienale del sedile, dalla bocca aperta non emette suoni, ma è palese che l’orgasmo in corso le dà un godimento intenso.
Concludiamo all’aperto, con la bellezza del sentire la natura intorno. Lei appoggiata all’auto, per proseguire il godimento di prima.

Prendo la via del ritorno dosando piano il gas, saltellando sul terreno erboso e immettendomi sull’asfalto. I finestrini sono abbassati e la capottina spalancata, il gas sempre ridotto. Non abbiamo nessuno davanti fin dove i fari illuminano, alti per vedere più lontano, magari un cerbiatto o una volpe o un cinghiale, e nessuno dietro si appresta a raggiungerci. L’aria fresca della nottata estiva in altopiano entra abbondante e ci investe il viso, piacevolmente. Entra anche il frinire dei grilli, più forte del rumore del motore a bassi giri, e un buon profumo di vegetazione che spesso cambia adeguandosi alla macchia di piante dominante in quella zona, e intensificato dal caldo umido della terra dopo l’acquazzone. A qualche curva si affaccia anche la città, bellissima dall’alto, illuminata e addormentata nella notte, col mare che la lambisce.
In questo clima rilassato guido tenendo il volante con due dita, il gomito sinistro posato sulla portiera e la testa reclinata sorretta dalla mano. Tutto un altro andare rispetto alla fretta di arrivare dell’andata. Ci lanciamo qualche occhiata, dei sorrisi, ci scambiamo qualche frase a voce bassa. Ci parliamo di più con gli occhi e i silenzi.
È lei a rompere uno di questi silenzi, sempre a voce bassa, mentre guardo la strada e la testa è vuota ma piena di benessere.
“…sei il numero dodici…”
“Eh?”
“Sei il numero dodici”, ripete.
Subito puntualizza: “Sei il dodicesimo ragazzo con cui ho fatto sesso”. E sorride.
Non me l’aspettavo questa uscita.
In questo contesto ritengo che i titoli numerici che possono avere un senso e magari meritare di essere citati e comunicati solennemente siano due: uno ben definito, quando ti vien detto che “sei il primo…”; l’altro una numerazione indefinita, da usare con cautela e a mio avviso da dirsi solo se sinceri con sé stessi almeno nel momento in cui si dice, anche se le vicissitudini della vita dovessero poi dimostrare che si era in torto, e che si può sintetizzare nella certezza o promessa che si sarà l’ultimo, che non c’è né motivo né volontà di cercare altri uomini e che non ce ne saranno altri.
Gli altri numeri, tutto sommato, si somigliano tutti, son tutti uguali.
Comunque la prima cosa che penso è una sciocchezza : “Il numero dodici… quello del portiere di riserva…”. Il pensiero supera le barriere del mio cervello, muove le labbra e si pronuncia… e lei scoppia in una gran risata.
Refuso di un passato da tifoso di calcio, dei tempi in cui l’utilità del portiere di riserva era quella di consentire le partitelle negli allenamenti e tenere calda la panchina durante tutto il campionato: zero gioco, zero divertimento, zero gloria. Per mia fortuna invece ero un dodici atipico…avevo giocato, e avrei giocato ancora…mi ero divertito, e mi sarei divertito ancora…avevo avuto Gloria, lei aveva avuto me, e ci saremmo avuti reciprocamente ancora… Nonostante il tredici, il quattordici, il quindici…
Rido anch’io, che gran sciocchezza ho detto! E proseguiamo la nostra andatura lenta, con lei che mi indirizza verso casa sua e il coprifuoco della madre abbondantemente disatteso.

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