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Lui & Lei

"Capannetta" una delle mie (per)versioni


di Allthesaintsgotohell
30.12.2019    |    2.981    |    0 8.1
"E Malia lo guardava come fosse stato un angelo..."
Riscrivo “Capannetta” di Pirandello dal punto di vista della bambina, in prima persona.

Stamattina mi sono svegliata, ma non era il raggio amico che da sempre si allunga dalla corona del Sole non appena spunta da dietro la collina a est fino ad infilarsi in una fessura della nostra capannetta e stuzzicarmi, solleticandomi il volto. Io grazie a lui mi sono sempre alzata allegra: avevo imparato a riconoscere che tipo di giornata avrei trovato fuori a seconda della tonalità di quella luce; ieri aveva sfumature gialle ed arancioni, quindi sapevo che il cielo sarebbe stato meravigliosamente terso. Cercai di sbrigarmi: ancora un pochino assonnata mi sono preparata, ero impaziente di uscire. Avevo appena varcato la soglia, quando papà Camillo si è affacciato, ordinandomi di chiamare Jelì e dirgli di andare da lui. Io ho annuito, poi ho proseguito; mentre mi arrampicato sulla collinetta sentivo un buon odore di terra e salsedine assieme. Dalla cima si gode un panorama che non smette mai di incantarmi: col bel tempo si riesce a distinguere bene la linea dell'orizzonte, è di un colore blu intenso che non trovo in nessun altro angolo del creato attorno a me. Anche stamattina c'erano delle barche: io mi concentro ogni volta su di loro, affidando un sogno e una speranza ad ognuna di esse. Immagino che oltre quella linea ci sia un mondo fatato: quando le imbarcazioni attraccano là, le creature magiche che lo abitano ispezionano il carico. Quindi anche tutti i miei desideri vengono rimirati, essi brillano come pietre preziose e penso che loro li conservino gelosamente, poi. Ma spero che invece un giorno, una di queste fatine decida di trasformarne uno, rendendolo reale, e che gli faccia riprendere il mare per tornare qui, rendendomi felice. Il Sole ieri era di ottimo umore, irradiava ogni cosa che raggiungeva di una luce giallo-arancione, anch'io parevo il pistillo di un fiore di zafferano! Improvvisamente, un gracchiare di cornacchie mi ha scossa da quel croceo tepore e mi sono ricordata di dover chiamare Jeli. Mi sono quindi affacciata sulla piana sottostante, proclamando il suo nome, sperando mi sentisse subito. Se avesse tardato a presentarsi da papà Camillo quest'ultimo ci avrebbe puniti entrambi, quando invece sarebbe stata solo colpa mia, visto che mi ero persa in quel paesaggio meraviglioso. Fortunatamente il giovane garzone mi ha risposto con un verso, nemmeno fosse stato un bovino. E' un bravo giovane, Jeli; è un semplice ragazzotto, buono e generoso. Possiede solo la forza delle proprie braccia e una pipa, che si ostina a tenere tra i denti qualsiasi cosa stia facendo; l'ho visto toglierla e tenerla in mano solo quando si mette ad urlare, arrabbiato. Ad esempio, qualche volta ha discusso con papà Michele perché si è seduto vicino a mia sorella Malia durante la pausa del mezzodì, nei campi. Mio padre lo ha rimproverato aspramente per questo, ma Jelì si è sempre difeso, esponendo le proprie ragioni. In quei frangenti teneva la pipa saldamente nella destra, mentre gesticolava: pareva che stesse brandendo una spada. E Malia lo guardava come fosse stato un angelo. Ieri comunque si è arrampicato verso la capannetta, obbedendo a ciò che gli era stato chiesto, mentre io ho proseguito per raggiungere le altre bambine: avremmo dovuto dedicarci a levare le erbacce e le piante infestanti. Dopo circa mezz'ora ho visto passare mio padre, diretto con altri uomini verso alcuni agrumeti situati vicino al confine con l'altro paese: avevano in programma di potare gli alberi, sarebbero tornati la sera tardi.
Verso metà mattina ci ha raggiunti Malia: era pallida, mi sono preoccupata per lei. Ero ferma vicino alle altre donne con le mie compagne di lavoro, prendevamo tutte quante fiato e bevevamo un po' di latte.
“Dove ti eri cacciata?!” le chiese la moglie di nostro fratello, con un tono davvero acido “Prendi piuttosto esempio da tua sorella, qui, e vergognati!” terminò, indicandomi con un cenno della testa e asciugandosi il viso con un fazzoletto sgualcito. Nessuna di noi riuscì a proferire una parola in risposta. Io risistemai il mio foulard rosso annodandolo con cura: si era tutto spostato, rimanendo china così tanto a lungo. Al rintocco di campana tornammo a dividerci in gruppi e riprendemmo il lavoro. Ai vespri diversi uomini erano tornati dagli altri campi e si erano messi a chiacchierare. A noi bambine mancava solo un piccolo tratto di terreno per terminare il nostro compito, così decidemmo di proseguire ancora qualche minuto. Mentre stavo estirpando alcune erbacce piuttosto caparbie, ho sentito un fruscio dietro di me; mi sono parzialmente voltata e ho visto Nunzio che stava venendo verso di noi con un forcone.
“Raccolgo io quello che avete tolto, così finirete prima!” esclamò. E' un giovane dinamico e intraprendente; io gli ho sorriso e fatto un segno positivo con la testa. Poi, non so come sia stato, nel prendere su quei ciuffi strappati, ha incastrato la mia gonna nei denti di quell'attrezzo. Certamente ha agito in modo delicato: io non mi sono immediatamente accorta di questo, ho continuato a restare china concentrata sul mio lavoro, finché ho sentito un solletico sulla natica. Erano alcuni fili che erano caduti dal forcone; così mi sono girata, sobbalzando spaventata. Anche Nunzio doveva esserlo: era paonazzo in viso, pareva non respirare più. Immediatamente dopo lui si è scosso e ha tirato l'attrezzo verso di sé; io mi sono risistemata l'abito e sono corsa via.
Nelle ore seguenti non ho avuto modo di ripensare all'accaduto: quando sono tornata alla capannetta ho trovato Malia e Jelì che parlavano concitatamente. Lui la esortava a fuggire insieme, per la loro felicità. Io sono rimasta vicino al focolare, ero troppo scossa per riuscire a dire qualcosa. Alla fine il garzone è riuscito a convincere mia sorella a scappare; io li ho guardati correre a perdifiato giù per la collina tenendosi per mano.
Verso l'ora nona è tornato mio padre; mi ha chiesto di Malia e io gli ho risposto che era fuggita con Jelì. Avevo pensato che padre Camillo non l'avrebbe presa bene, ma lui ha addirittura imbracciato il fucile, è uscito e si è messo a sparare nel buio, come a voler colpire i due innamorati. Urlava come un matto poi, in preda a una rabbia cieca, ha preso un legno incendiato e ha dato fuoco alla capannetta. Mi ha lasciata lì, a guardare tutto ciò che avevo diventare un mozzicone nero incenerito, mentre lui è partito alla ricerca spasmodica di quella sua figlia degenere.
Il fumo saliva lento, dopo un po' sono accorsi alcuni braccianti dalle loro capanne, preoccupati dall'odore e dagli spari che avevano sentito.
“Vieni da noi, non puoi stare fuori tutta la notte.” mi ha detto la mamma di Nunzio. Io tentennavo, non volevo allontanarmi dal mio nido, anche se ormai il fuoco l'aveva completamente divorato, ma ho finito per cedere, accettando l'invito.
Quindi, stamattina all'alba, non è stato il raggio amico del Sole, a insinuarsi fino a svegliarmi, ma la mano di Nunzio, che si è allungata sotto la coperta lisa che mi aveva dato sua madre. Io mi ero raggomitolata vicino al focolare ed ero crollata, sfinita. Quelle dita si sono quindi infilate sotto e, visto che noi donne non portiamo i pantaloni, ha preso ad accarezzarmi sulla pelle delle gambe, poi tra di esse.
“Non aver paura...” mi ha sussurrato. Io però ne avevo, ma non riuscivo a muovermi. Le sue dita mi parvero prima zampe di ragno: si muovevano veloci e leggere sul mio corpo; poi si trasformarono in tentacoli di polipo, avvinghiandosi in diversi punti come se non volessero staccarsi più. Quest'idea mi fece pensare ai segni che lasciano queste creature quando si stringono al braccio del pescatore e mi sentii pervadere dal terrore che qualcuno potesse scoprire l'accaduto, nei prossimi giorni. Non riuscivo a capire esattamente cosa stesse succedendo, ma sapevo fosse qualcosa di proibito. Nunzio poi si fermò da tutto quel frugare, premere, impastare, io stavo per tirare un sospiro di sollievo, quando prese la mia mano sinistra e mi fece afferrare qualcosa di caldo e turgido. Io non avevo il coraggio di guardare, ma immaginavo fosse la parte che usano per fare la pipì, dato il punto in cui era situato. Però era strano, perché era molto rigido, rimaneva tirato caparbiamente su. Io provai a pensare, mi sembrava di non aver mai notato...specie di bastoni, tra le gambe degli uomini. Comunque fosse, Nunzio continuò a guidarmi la mano con la sua destra, mentre con la sinistra riprese a toccarmi sotto i vestiti.
“Sì, continua...” mormorava ogni tanto. Dopo non so quanti minuti quella parte divenne addirittura più gonfia e più rigida; infine si mise a pulsare e, mentre Nunzio gemeva, qualcosa di caldo, liquido e denso schizzò da lì. Si era sporcata un po' anche la gonna, oltre alle dita.
“Leccalo, è buono.” mi disse. Io lo guardai esterrefatta, ma la sua espressione era talmente limpida e sincera, che mi ritrovai a pulirmi le dita con la lingua. Aveva davvero ragione e quando lui si accorse che non provavo ribrezzo, mi guidò a farlo anche su di lui.
Ci eravamo appena ricomposti, io mi sentivo stordita e sporca dentro. Improvvisamente un forte impulso mi dominò: calzai gli zoccoli, aprii la porta e mi diressi in cima alla collinetta. Era un'altra stupenda giornata, il mare mi dava conforto. Alcune barche si stavano avvicinando alla costa, io improvvisamente mi misi a correre verso quella direzione. Calde lacrime mi rigavano il volto: non sapevo cosa avrei fatto e dove sarei finita, ma continuai a correre.
“Figlia mia, mi sei venuta incontro piangendo!” mio padre stava tornando alla proprietà. Aprì le braccia per accogliermi e continuò: “Scusami, per averti fatto spaventare!”

Alessia A.F.D.
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